Padova: idrogeno dalle alghe

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Presso l'Università di Padova è in corso una ricerca dalle interessanti prospettive che utilizza le alghe per produrre idrogeno in modo eco-sostenibile. Conosciamo più da vicino questo studio che potrebbe aprire la strada a nuove applicazioni pulite di questo combustibile.

 

L'energia pulita del futuro? Idrogeno estratto dalle alghe. O perlomeno così potrebbe essere, se andrà in porto l'innovativo progetto di ricerca condotto all'università di Padova e finanziato dal ministero con alcuni milioni di euro. È diventato uno scienziato famoso dopo che un giornale ha lanciato le sue ricerche tra quelle alle «frontiere della scienza». Già noto nel mondo accademico, adesso Giorgio Giacometti si gode questa improvvisa fama, con un po’ di incredulità. «Non è possibile che dopo un articolo ti chiamino tutti. Quell’intervista mi ha proprio rovinato» dice scherzando.

Al sesto piano del centro biologico «Vallisneri» dell’ateneo padovano, nel suo piccolo studio nel mezzo dei laboratori, Giacometti lavora alla sua ricerca più importante: estrarre idrogeno dalle alghe, un nuovo modo di produrre energia pulita. La sua ricerca è stata finanziata dal ministero della Ricerca con alcuni milioni di euro. Come dire, una bella responsabilità.
«Occorre essere cauti, la gente non deve fraintendere le nostre ricerche. Questi progetti non sono in grado di risolvere i problemi energetici, non garantiremo l’approvvigionamento di energia pulita in modo globale. Vogliamo solo contribuire a un migliore sfruttamento dell’energia solare. I risultati però si vedranno nel bilancio consuntivo, quando verificheremo la qualità del lavoro svolto».
Ma il finanziamento ministeriale è comunque un riconoscimento a questo progetto e alla sua ricerca.
«È un riconoscimento della presunta capacità dell’èquipe di attuare il progetto. I revisori che ci hanno attribuito il finanziamento hanno chiarito che si tratta di un obiettivo del tutto originale per il nostro Paese. All’estero ricerche analoghe si conducono da tempo e ciò garantisce che non si tratta di un’idea campata in aria».
Qual è la vostra sfida?
«Ci basiamo sullo sfruttamento di alcuni batteri e di un tipo di microalghe. Quindi su microorganismi, sia procarioti che eucarioti, che hanno imparato con l’evoluzione a utilizzare l’energia solare meglio di qualunque altro essere. La sfida è utilizzare questi processi naturali per ottenere idrogeno, che sembra essere il vettore emergente per produrre energia pulita».
Il processo naturale da cui si parte è quello della fotosintesi. Come si arriva a produrre l’idrogeno?
«Tutta l’energia che fa nascere, crescere e muovere gli esseri viventi deriva dalla fotosintesi, che produce le molecole necessarie per i processi energetici degli organismi. Noi vorremmo intervenire su questo processo per produrre, anziché le molecole necessarie per il metabolismo cellulare, la molecola dell’idrogeno. In parte le alghe già producono l’idrogeno, ma solo nelle componenti necessarie al loro metabolismo. Il nostro intervento di modificazione genetica consiste nel fargli produrre più idrogeno».
Lei è un esperto di fotosintesi. Da dove nasce l’interesse per questo processo?
«Io sono ordinario di biochimica ma in origine i miei studi sono stati di fisica. Perciò ho studiato in modo approfondito l’interazione della luce con la materia. La fotosintesi poi mi ha sempre affascinato. L’ateneo di Padova inoltre è una grande università, che dà la possibilità a chi vuole fare ricerca seriamente di farla e ottenere dei risultati. Il " gruppo fotosintesi" di Padova ha raggiunto una certa notorietà, anche internazionale. Ma ci sono altri gruppi in Italia che fanno questo lavoro da molto più tempo».

Quello della produzione di idrogeno è un progetto tutto padovano?
«Nella progettazione del gruppo di lavoro abbiamo cercato di utilizzare tutte le competenza che ci erano note e che potevano essere utili al progetto. Così sono nate le collaborazioni con l’università di Firenze, l’Enea e il Cnr, che ha tre grossi istituti a Napoli e a Firenze. Il coordinamento del gruppo è naturalmente a Padova».

Quali sono le linee di ricerca del progetto e quali i vantaggi a lunga scadenza?
«Seguiremo tre linee di ricerca. La prima è l’utilizzo di microorganismi per ottenere idrogeno da biomassa. La biomassa si può ottenere dai residui di lavorazione degli allevamenti, ma anche nelle acque reflue cittadine. Già oggi dalla biomassa si ricava metano, ma solo in base a processi che hanno lo svantaggio di dover usare energia elettrica. La seconda linea di ricerca è forse la più difficile a ambiziosa, cioè quella che ha attirato l’attenzione di tutti: modificare geneticamente alghe e organismi per produrre idrogeno. La terza linea è la più ingegneristica: sfrutteremo i risultati delle prime due per realizzare un impianto pilota in cui realizzare il frutto di questi processi. Sarà il momento in cui sarà possibile valutare il costo, l’economicità e la possibilità di questa innovazione. In prospettiva potremmo avere dei bioreattori che sotto illuminazione solare saranno capaci di produrre idrogeno».

Quale può essere un’applicazione pratica di questa innovazione?
«Nella prospettiva di una produzione diffusa dell’idrogeno, possiamo immaginare piccoli impianti che produca- no, almeno in parte, l’energia necessaria. Ad esempio un allevamento o un’azienda agricola che potrà installare il nostro bioreattore e soddisfare il suo fabbisogno».

Il suo progetto ha beneficiato del finanziamento del ministero della ricerca. Non sono molti, però, i fondi investiti dal nostro Paese in ricerca. Che ne pensa?
«Credo che la ricerca italiana dovrebbe poter contare su finanziamenti di misura analoga a quelli che vengono stanziati dagli altri Paesi. Qui purtroppo i fondi non sono mai stati cospicui. Questo non significa che non ci siano le possibilità di ottenere finanziamenti. In biologia è forse più difficile, perché nel nostro Paese è più sviluppata la ricerca biomedica».

Cosa pensa dell’agitazione dei ricercatori, che in questi mesi sta attraversando il mondo accademico?
«Le proteste e il malessere nell’università non sono mai stati così diffusi e avvertiti da tutte le componenti. Si ha la sensazione che questa riforma Moratti possa portare all’affossamento della ricerca di base».

La ricerca non può cercare nuovi fondi e finanziamenti dalle imprese private che vogliono investire nell’innovazione?
«La ricerca finanziata dalle aziende non sarà mai una ricerca di base. E senza di essa non si potrà fare poi la ricerca applicata. Se non investe nella ricerca pubblica un Paese resta indietro, sia culturalmente che economicamente».

Non si sa per quanto ancora saremo in grado di maltrattare in questo modo il pianeta. Certo si sa che questo tempo è sempre meno e se non ci saranno dei provvedimenti responsabili i danni saranno catastrofici per distruttivi. Recentemente a Kyoto in Giappone è stato firmato uno storico accordo volto a salvaguardare gli equilibri del pianeta. Il protocollo impegna 38 paesi industrializzati a ridurre in maniera considerevole l'emissione di gas responsabili dell'aumento dell'effetto serra. L'avvio del processo di applicazione della Convenzione sul Clima porterà a definire nuove misure e nuovi attori.

I giovani di oggi dovranno dare il loro contributo importante per far si che che i giovani di domani respirino un'aria migliore della nostra o almeno la stessa che respiriamo noi, e vivano in un pianeta dove si possa ancora vivere a contatto con la natura e con i suoi elementi.

Gentilmente tratto dal quotidiano Il Mattino di Padova  5/12/2004

 

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