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Palazzo Vecchio
Il Palazzo Vecchio, anche chiamato Palazzo della Signoria è sede
tradizionale del comune di Firenze. All'interno delle sue mura furono
ospitati i signori della Repubblica fiorentina, così come il ducato
di
Cosimo de' Medici e Lorenzo il Magnifico o le sale del
Parlamento italiano, quando Firenze fu capitale d'Italia tra 1865 al
1871. Del palazzo sono note: la Torre dell'Orologio, anche detta
Torre di Arnolfo, uno dei maggiori emblemi della città; i cortili del
palazzo, tra cui il cortile e Fontana del Putto, detto anche Primo
cortile, e Cortile nuovo o Terzo cortile.
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All'interno, non si
manchi la visita al celebre e magnifico Salone dei Cinquecento (lungo 54 metri e alta 23): si caratterizzava in
particolare per i dipinti, incompleti, di
Leonardo, e quelli di
Michelangelo, andati probabilmente distrutti, (o forse solo nascosti perché
ricoperti) e per i dipinti del
Vasari nel soffitto, ancora presenti (39
dipinti). Si apprezzano anche le decorazioni dello Studiolo di Francesco
I de' Medici (detto anche Tesoretto), dei cosiddetti
Quartieri monumentali (stanze riccamente decorate e dedicate alla
famiglia de' Medici) e tutti i preziosi dipinti custoditi nelle varie sale:
della Sala di Leone X (il papa figlio di Lorenzo il Magnifico e
Clarice Orsini), della Sala di Cosimo il Vecchio, della Sala
di Lorenzo il Magnifico, la Sala Clemente VII (e soprattutto il
grande dipinto Assedio di Firenze), e tutte le altre, tra cui quella
chiamata Quartiere di Eleonora, poco lontana dal cosiddetto
Corridoio Vasariano (celebre passaggio che collega
Palazzo Vecchio a
Palazzo Pitti passando per la
Galleria degli Uffizi e
Ponte Vecchio). Tra le
altre aree da non mancare nella visita al palazzo Vecchio vanno incluse la
stanza delle mappe geografiche, la Sala dell'Udienza
(bellissima) e la Sala dei Gigli.
La storia di
Palazzo Vecchio
Nel 1299, fra i resti delle case già appartenute alla famiglia Uberti
e alla Chiesa di San Piero Scheraggio, si posò la prima pietra del
futuro palazzo dei priori delle Arti e del gonfaloniere di Giustizia, allora
massime espressioni del governo cittadino di Firenze. Il progetto e la
direzione dei lavori vennero affidati a Arnolfo di Cambio, che, come
confermano i rilievi tecnici eseguiti nel 1973, sfruttò i muri perimetrali e
le fondamenta di case-torri e di edifici preesistenti. Questo uso, già
frequente all'epoca di Arnolfo, faceva risparmiare tempo e denaro, e perciò
avrebbe incontrato fortuna anche in seguito. Nel caso di palazzo Vecchio,
dal lato di piazza della Signoria si utilizzarono le case dei Foraboschi:
una delle loro torri, detta "la Vacca" servì da base alla svettante torre
dell'edificio. Le case degli Uberti furono abbattute nonostante, nonostante
il capofamiglia (il celebre Farinata citato da Dante nella sua "Commedia")
avesse difeso Firenze dalla distruzione dopo la sconfitta nella battaglia
di Montaperti persa contro Siena (4 settembre 1260) e la coalizione
ghibellina da questa cappeggiata.
Quando i lavori non erano ancora ultimati si trasferirono nel palazzo il
gonfaloniere di Giustizia e i tre priori (poi aumentati e sei):
il fatto curioso era che queste figure dovevano risiedere nel palazzo per
tutti i due mesi del loro incarico. Questa sorta di reclusione forzata
veniva messa in pratica per evitare influenze esterne e per favorire
l'imparzialità del governo. L'isolamento poteva essere interrotto solo in
occasione di cerimonie ufficiali, cui presenziavano tutti insieme. Tra gli
illustri cittadini che soggiornarono a palazzo durante il proprio priorato
vi fu anche Dante tra il 15 luglio e il 15 agosto 1300.
Nel 1323 si completò il cosiddetto arengario o l'aringhiera.
Il termine "aringo" o "arengo" (alto tedesco "hring" cerchio, e, per
traslato, "assemblea"), definiva una sorta di balaustra munita di sedili di
pietra: qui i priori e le autorità sedevano durante le cerimonie pubbliche.
L'ultima parte dell'aringhiera, sul lato sinistro della facciata, fu
purtroppo demolita nel 1822, durante i restauri ottocenteschi di Giuseppe
Del Rosso, per aprire una porticina ad uso della guardia granducale. Durante
la breve signoria di Gualtieri di Brianne duca di Atene i due accessi
del palazzo, cioè il portone principale quello della sala d'Arme, vennero
fortificati con due antiporte, demolite dopo la cacciata del duca dopo soli
10 mesi da quando era stato chiamato (26 luglio 1343, giorno di Sant'Anna).
Queste modifiche sono attestate da un affresco staccato proveniente dal
carcere delle Stinche, ora conservato nella Salotta del palazzo.
Nel 1353 vengono dipinti su due lati del palazzo, sotto oli beccatelli del
ballatoio merlato, gli stemmi, ripetuti tre volte, della Città, del
Popolo fiorentino, della Chiesa, della parte Guelfa e
degli Angioini, re di Napoli e di Sicilia, protettori della città.
Sotto la torre di Arnolfo furono dipinti gli stemmi (oggi perduti) dei
sestieri nei quali all'epoca era divisa la città: San Pietro a
Scheraggio (con insegna il Carroccio), Borgo (il Becco), San
Brancazio (Branca il Leone), Duomo (con insegna il Battistero),
San Piero (con insegna le Chiavi) e Oltrarno (con insegna il
Ponte).
L'edificio
di Palazzo Vecchio, diviso in tre piani, si presentava allora come una
fortezza quadrangolare con la facciata rivestita di pietraforte, una
pietra arenaria a grana fine con cemento carbonatico, tipica pietra
dell'edilizia fiorentina, la cui cava si trovava vicinissimo, nella zona del
Giardino di Boboli. Al piano terreno le semplici finestre sono
protette da inferriate, mentre ai piani superiori si trovano eleganti bifore
gotiche. Il passaggio del ballatoio del palazzo è protetto da robusti merli
guelfi. La torre, detta torre di Arnolfo, alta 94 metri ha un
ballatoio simile a quello del palazzo ma con merlatura a coda di rondine (o
ghibellina). Al suo interno si apre una cella chiamata l'"Alberghetto",
nella quale furono imprigionati, tra gli altri, Cosimo de' Medici il
vecchio prima dell'esilio e Girolamo Savonarola in attesa della
condanna a morte, davanti al palazzo, in Piazza della Signoria, dove si
trova una targa nel punto esatto del rogo su cui fu in giustiziato.
L'interno dell'edificio risalente a questo primo periodo è assai modificato
da interventi successivi. La curiosa asimmetria della torre rispetto al
centro della facciata dipende dal fatto che fu eretta inglobando una torre
preesistente in quel punto, la torre "della Vacca" appartenente alla
famiglia Foraboschi.
Nella torre
era posta, fino al 1530, la "campana del Popolo" perché i suoi
rintocchi servivano a lanciare l'allarme e ad adunare il popolo in caso di
pericolo. Usata in una occasione per chiamare il popolo a difendere le
libertà repubblicane, da Alessandro de’ Medici, fu da quest'ultimo,
una volta rientrato in città, fatta spezzare e con il suo bronzo fatte
coniate monete con la sua effigie. Delle tre campane, ancora oggi in
funzione nella cella campanaria della torre, la campana del Mezzogiorno
suona una volta sola giorno per annunciare le ore 12, la campana del
Leone batte i rintocchi in corrispondenza delle ore, mentre la
cosiddetta "Martinella" veniva utilizzata per chiamare l'adunanza del
popolo per le occasioni importanti. L'orologio posto sulla facciata della
Torre possiede una sola lancetta. Sulla sommità della Torre di Arnolfo
svetta la banderuola che reca effigiato un leone rampante, simbolo del
potere di Firenze. La banderuola, che si vede oggi è una copia in
vetroresina, dell'originale conservata di fronte al Salone dei Cinquecento.
A
Palazzo Vecchio solo la sala d'Arme, situata al piano terreno sul
lato nord del palazzo, conserva il suo aspetto originario del 1312, anno in
cui venne costruita, con coperture a crociera in laterizio e costoloni e
pilastri in pietra forte. Come dice il nome, questa sala era utilizzata come
deposito di armi e munizioni e il stazionamento di soldati per la difesa
cittadina. Oggi ospita interessanti esposizioni e mostre.
Gli
interventi rinascimentali non intaccarono la fisionomia esterna di Palazzo
Vecchio. Nel 1453 il grande architetto Michelozzo di Bartolomeo Michelozzi,
conosciuto semplicemente come Michelozzo, venne incaricato di
ristrutturare il cortile. Questi realizzò eleganti bifore e i tondi in
pietra serena, rifece la scala, (oggi perduta) e rinforzò la torre lesionato
da un terremoto, coronandola con una
copertura
a cuspide e con la banderuola di cui si è accennato sopra. I lavori interni
effettuati da Benedetto e Giuliano Maiano iniziati nel 1472, portano
alla sdoppiamento della cosiddetta Sala Grande, al secondo piano. Nacquero
così la Sala dei Gigli, poi affrescata nella parete est dal
Ghirlandaio con il ciclo di affreschi Apoteosi di san Zanobi e
ciclo di uomini illustri, e la Sala dell'Udienza.
I gigli sono in onore del re di Francia protettore della Repubblica
Fiorentina. La sala prende il nome dai motivi floreali che ne decorano il
soffitto e le pareti. Si tratta dell'unica sala del palazzo a conservare un
aspetto quattrocentesco. Qui si trova esposta la statua in bronzo di
Giuditta e Oloferne, capolavoro di Donatello eseguita tra il 1457
e il 1464. La stanza è decorata con soffitti a cassettoni intagliati e
dorati con motivi ornamentali e floreali (gigli sopra tutti) su campo
azzurro. Sia il soffitto, sia il fregio con i leoni sono opera di Giuliano
da Maiano. La porta in legno intarsiata con scene di Dante e Petrarca
costruita tra il 1476 e il 1480 è opera di Giuliano da Maiano e Francesco
dei Giovanni detto il Francione.
La proclamazione della Repubblica in seguito alla cacciata dei Medici (1494)
indusse a costruire una grande sala in grado di ospitare le riunioni del
nuovo Consiglio fiorentino, formato come il Maggior Consiglio di Venezia,
dal 1500 membri che si riuniscono in tre sedute di 500 persone per
volta. Antonio da Sangallo, Simone del Pollaiolo detto il
Cronaca e Francesco Monciatto costruiscono allora il grande Salone
dei Cinquecento, situato sopra il cortile detto della Dogana,
nello spazio un tempo occupato dal Palazzo dei capitani del Popolo.
Più evidenti furono le modifiche successive, come quella che vide nel 1540
Cosimo I trasferirsi con la famiglia nel palazzo. Il passaggio da sede di
governo a residenza ducale impose grandi opere di ampliamento e di
ristrutturazione. I lavori vennero affidati prima a Giovan Battista di
Marco del Tasso e quindi a
Giorgio Vasari, che stravolse in modo
significativo la fisionomia dell'edificio. Nacquero in questo periodo il
Quartiere degli Elementi e il Quartiere di Leone X; il salone dei
Cinquecento venne modificato e decorato così come il cortile; vide la luce
il famoso Studiolo Francesco I; venne allestita la Sala delle
Carte geografiche. Anche dopo che i Medici si trasferirono a Palazzo
Pitti si continuò a lavorare nel palazzo, detto ormai "vecchio" in
contrapposizione alla nuova residenza. Bartolomeo Ammannati e in
seguito Bernardo Buontalenti terminaronk il grande corpo di fabbrica
che dà su via dei Leoni e via de' Gondi, con l'annesso ultimo cortile.
Tra le modifiche e aggiunte più recenti ricordiamo l'inserimento
dell'orologio sulla parete della Torre dell'Arnolfo nel 1667, firmata da
Giorgio Lederle di Augusta. Mentre al 1694 risale il terrazzino in ferro
battuto al centro della facciata, che andò a sostituire quello precedente in
pietra. All'epoca di Firenze capitale, infine, il salone di 500 fu
riadattato per ospitare la Camera dei deputati.
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