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I libri che
salvano la vita
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"Uno,
nessuno, centomila" è un romanzo di Luigi Pirandello, pubblicato nel 1926. Il
libro segue la storia di Vitangelo Moscarda, un uomo che inizia a interrogarsi
sulla propria identità dopo che sua moglie gli fa notare che il suo naso è
leggermente storto. Inizia quindi una ricerca ossessiva per scoprire la propria
vera immagine agli occhi degli altri, con conseguenze che mettono in discussione
la stessa esistenza dell'io. Con questo romanzo, Pirandello esplora le
complessità dell'identità e della percezione di sé, utilizzando il suo stile
unico e innovativo.
Certamente tra le opere più famose
di
Luigi Pirandello, "Uno nessuno e centomila"
è un classico
imperdibile e sempre odierno. È stata un’opera rivoluzionaria da quando è nata –
agli albori del ‘900 - sino ad oggi. È la messa in scena di una filosofia di
vita più che di un romanzo.
Il protagonista di questo romanzo è
Vitangelo Moscarda, proprietario di una banca, che vive di rendita. Non è
un caso se l’autore sceglie come protagonista un uomo che non è invischiato nel
duro lavoro quotidiano, quel toccasana naturale, quel rimedio insostituibile a
qualsiasi problema esistenziale! Il personaggio dell’opera è dunque un uomo che
può permettersi di "
cogitare", ma con strani risultati: il "
cogito ergo sum" di
Cartesio viene ribaltato, riflettere significa scoprirsi irrimediabilmente soli
nella propria in-esistenza.
Una mattina davanti allo specchio,
Vitangelo Moscarda, su suggerimento della moglie, si accorge di un difetto al
proprio naso, che non aveva mai notato. Da questo piccolo imprevisto il
protagonista entra in un vortice di considerazioni senza uscita. Cosa vuol dire
riconoscersi allo specchio? Tra i 18 ed i 24 mesi i bambini imparano ad
assegnarsi un ruolo e a guardare l’immagine riflessa nello specchio come propria
figura "
virtuale": non reale, ma legata alla realtà.
Realtà, realtà: questa parola
rimbomba nella testa di Vitangelo Moscarda… L’intera umanità, per conoscere, ha
bisogno di catalogare la realtà e di darle una forma; l’uomo è capace di
discutere sui comportamenti delle mucche dopo aver analizzato un barattolino di
carne simmenthal!! Se quel barattolino di latta fosse per tutti uguale, gli
uomini avrebbero già raggiunto un traguardo di dimensioni indescrivibili, ma su
questo punto, su questo "
sassolino" che "
aveva assunto le proporzioni
d’una montagna insormontabile, anzi d’un mondo in cui avrei potuto senz’altro
domiciliarmi." la voce narrante si sofferma e si dipana in riflessioni
interminabili.
La realtà è relativa: ognuno
le fabbrica, a propria immagine e somiglianza, un contenitore diverso,
personale; ognuno la incarta con un rivestimento speciale, le mette un fiocco
particolare ed è convinto che il suo pacco sia quello giusto, quello migliore.
L’eroico personaggio interpretato da Moscarda allunga smisuratamente le distanze
con la quotidianità ed annulla le coordinate spazio-temporali - indispensabili
alla lettura ed all’interpretazione dell’universo -; egli rifiuta non solo di
farsi "
insaccare" nei molteplici Moscarda creati dagli altri, ma anche, e
soprattutto, di "
auto-inscatolarsi".
L’"usuraio" – come viene
additato da molti Moscarda - persegue, dunque, l’obiettivo di sbrigliarsi dalla
morte scaturita dalla fissità e dalla coerenza imposta dal mondo circostante.
Nella più cupa solitudine, in quel "
luogo che vive per sé e che per voi non
ha traccia né voce, e dove dunque l’estraneo siete voi", egli può finalmente
gridare nel silenzio del suo animo: LIBERTA’. Solitudine – libertà, un’equazione
intramontabile!
"
E io parlavo quasi senza pensare;
o piuttosto, il mio pensiero parlava da sé, come per un bisogno di rilasciare la
sua spasimosa tensione.":il protagonista
raggiunge una "
non-dimensione", perde totalmente consapevolezza di sé; ritorna
all’archè dell’umanità, a vivere nelle cose esterne, a
"
rinascere attimo per attimo. Impedire che il pensiero
si metta in me di nuovo a lavorare, e dentro mi rifaccia il vuoto delle vane
costruzioni.".
Su questo, poi, si imbastisce una
trama di "
pazzia", o meglio di "
singolarità" della condotta del
protagonista. In questa sua particolarissima condizione, Moscarda non cerca
complici, non cerca compagnia, ma trova in Anna Rosa una sensibile confidente.
Quasi con cinismo egli si diverte a farle cadere, pezzo per pezzo, il mondo in
testa e a ricoprirla di una valanga di macerie: le fotografie, per esempio,
"
- Tutte morte, - le dissi."; perché in una vita fluida, dominata dal "
panta
rei" di Eraclito, tutto scorre ed essa "
non può mai veramente vedere se
stessa", ma soltanto un’immagine del suo cadavere, della sua "
statua"
non viva.
Ironici e spassosi appaiono gli
esperimenti di Moscarda; ogni sua azione, anche la più futile e banale, acquista
il sapore della scoperta e l’aspetto della marachella fatta di nascosto. Di
nascosto non solo dagli occhi incomprensivi di Dida, ma anche da se stesso, cioè
da "
Gengè", dal signor Vitangelo, dal pazzo e dall’usuraio: di nascosto in
assoluto! Solo, libero, assolutamente. E così, per descrivere il relativo ci si
avvale dell’assoluto e viceversa; l’unico modo per non scendere a compromessi
con il linguaggio risulta non servirsi affatto di esso: "
Se il nome è la
cosa; se un nome è in noi il concetto d’ogni cosa posta fuori di noi; e senza il
nome non si ha il concetto, e la cosa resta in noi come cieca, non distinta e
non definita (…) Non è altro che questo, epigrafe funeraria, un nome. Conviene
ai morti. A chi ha concluso. Io sono vivo e non concludo. La vita non conclude.
E non sa di nomi, la vita…". Vitangelo Moscarda non ama le definizioni, non
ama i nomi e le catalogazioni, perché da esse non si scorge il naturale divenire
della via.
Cosa sono, dunque, pazzia e
normalità se non nomi astratti tradotti in immagini e imprigionati in
convenzioni?
Articolo di Francesca Colasuonno per Informagiovani
Italia
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