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Università a Venezia

A chi percorre il gran canale da Rialto verso S. Marco, s'affaccia subito da lungi lo splendido palazzo che fu dei Foscari. Posto sull'angolo del rivo di S. Pantaleone, alla svolta di quella che il Byron disse la più bella via del mondo, il palazzo Foscari, quasi centro e capo di una lunga serie di patrizie dimore, sorprende non meno per la maestà del luogo che per le elegantissime architettur". Così, per la penna di Federico Stefani, a lungo direttore dell'Archivio di Stato di Venezia, veniva descritta Ca' Foscari - la casa, il palazzo Foscari - sede della Regia Scuola Superiore di Commercio in Venezia, in un volume di Notizie e documenti presentato nel 1911, alla Esposizione Internazionale di Torino, che celebrò il cinquantenario della proclamazione del Regno d'Italia.


Si era, allora, nel pieno dell'età giolittiana, il periodo della storia politica italiana dominata dalla figura del leader liberale Giovanni Giolitti. Il caso però volle che, tra il marzo 1910 e il marzo 1911, fosse presidente del consiglio proprio quel Luigi Luzzatti, che era stato, giovanissimo esponente del gruppo facente capo a Marco Minghetti, nell'ormai lontano autunno 1866, l'ideatore della Scuola e nel 1868, con il vice presidente della Provincia, Edoardo Deodati e altri uomini di primo piano della città, il suo primo fondatore.

Nella Fondazione della Scuola Superiore di Commercio di Venezia, un saggio in cui ricostruisce i primi anni cafoscarini, Marino Berengo riassume le linee del progetto di Luzzatti, esposte all'Ateneo Veneto la sera del 31 gennaio 1868: l'istituto sarebbe stato il primo e unico in Italia, e perciò, più che una istituzione veneziana, sarebbe risultato un istituzione nazionale; il suo ufficio doveva essere duplice, quello di una scuola di perfezionamento di commercianti, in modo tale che i suoi allievi avessero, compiuti quei corsi, un valore distinto e una capacità altamente remunerabile, e quello di essere ufficialmente la Scuola normale atta a preparare idonei professori per le scienze commerciali negli Istituti secondari.

Un'idea ambiziosa, quella di Luzzatti: "l'intendimento di cui egli si rendeva portatore - scrive Berengo - era di costituire a Venezia un polo corrispondente a quello che cinque anni prima il ministro Carlo Matteucci aveva creato a Pisa per le Lettere e le Scienze fisiche, matematiche e naturali; a riempire il vuoto dell'economia e del commercio si doveva ora provvedere così".

Ma se il respiro che il giovane esponente politico intendeva conferire al progetto della Scuola era certamente nazionale, la scelta di Venezia non era casuale. Veneziano (era nato nel 1841 e proveniva dagli strati illuminati della borghesia israelitica cittadina), Luzzatti desiderava naturalmente favorire la città natale, annessa all'Italia il 4 ottobre 1866, sulla via dell'integrazione economica, procurandole un istituzione di risonanza nazionale in un campo che corrispondeva all'idea che ci si faceva allora del ruolo di Venezia, un ruolo in cui l'industria non avrebbe potuto avere che uno spazio trascurabile, mentre l'attività da potenziare sarebbe stata quella del traffico marittimo.

Di qui la necessità di istituire un opportuno regime doganale, di potenziare la flotta mercantile dell'Adriatico (era imminente l'apertura del Canale di Suez), di migliorare le strutture portuali veneziane e - ultima, ma la più importante tra le misure da assumere - di formare gli operatori economici.

Questa impostazione era comune alla classe dirigente veneziana del tempo: oltretutto, con l'istituzione di una Scuola superiore si sarebbe colmato, almeno in parte, lo svantaggio che il governo aristocratico aveva lasciato in eredità alla città lagunare a causa della secolare avversione ad ospitare, accanto al potere politico, quello culturale universitario, concesso in monopolio a Padova fin dalla prima metà del Quattrocento.

Nella promozione della Scuola furono coinvolte tutte le massime articolazioni amministrative di Venezia, il Comune, la Provincia, la Camera di Commercio. E Deodati, che a lungo sarebbe stato presidente della Provincia e, dal 1876, senatore del Regno, ottenne l'assenso governativo e il contributo del Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio nelle cui competenze la Scuola, appartenendo al settore dell'Istruzione tecnica, finiva per rientrare.

Ai due co-fondatori veneziani, si aggiunse poi il primo Direttore, Francesco Ferrara, siciliano, allora deputato ed ex-ministro, economista di stampo liberista, professore di economia politica dal 1849 prima a Torino e più tardi a Pisa.

Anche se quella di Luzzatti risulta, alla lunga, la più illustre, si deve concludere che la Scuola Superiore di Commercio di Venezia deve il suo primo, e decisivo, impianto, alla collaborazione di tre personalità di spicco, anche se di diversa indole: oltre al Luzzatti, il Deodati e il Ferrara, Direttore per un trentennio.

Quanto al "modello" per Ca' Foscari, esso dovette necessariamente ricercarsi all'estero, non esistendo in Italia istituzioni del genere, salvo quelle, specializzate nel settore tecnico, di Torino, Napoli, Milano e Firenze.

Ma anche fuori d'Italia, se si eccettua l'isolato esperimento di Blanqui a Parigi nel 1820, le scuole commerciali erano appena all'inizio. "Ciò dipendeva - osserva Amelio Tagliaferri nel suo Profilo storico di Ca' Foscari (1868-69 1968-69) - dal convincimento, radicato soprattutto in Inghilterra, che bastasse al commercio il tirocinio pratico, almeno fino a quando il mercato fosse stato dominato dai manufatti inglesi.

Ma, con il trionfo delle idee liberistiche e l'avvento di nuovi concorrenti a prezzi competitivi, si diffuse l'idea che occorresse, per meglio controllare produzione, sbocchi e mercati, anche un istruzione commerciale su base scientifica da affiancare o sostituire all'istruzione classica".

Nel 1866 e dunque all'atto della fondazione della Scuola veneziana nel 1868 (il decreto reale di fondazione e di approvazione dello statuto è del 6 agosto 1868, e nel dicembre successivo, malgrado diverse difficoltà, ebbero avvio i corsi, sicché il primo anno accademico è quello 1868-1869), in pratica, funzionava a pieno ritmo, a parte quello parigino, soltanto l'Istituto Superiore di Commercio di Anversa, ideato nel 1847 ma aperto nel 1853.

Proprio dal 1866 era stata aperta a Mülhouse, in Francia, una seconda scuola, che sarebbe stata trasferita a Lione dopo la perdita dell'Alsazia. Era, quindi, naturale che il Luzzatti proponesse quale modello del nuovo istituto veneziano la scuola di Anversa, la cui formula - già validamente sperimentata - consisteva nell'accostamento complementare di insegnamento teorico e di insegnamento pratico, fondato - quest'ultimo - sulle lezioni di Banco o Pratica Commerciale con applicazione, mediante operazioni simulate, delle nozioni teoriche apprese.

Nel Progetto steso dalla Commissione organizzativa della Scuola nel marzo del 1868, e firmato da Deodati e Luzzatti, si affermava, a questo proposito, che la Scuola che si stava fondando "non mirava soltanto alla coltura dell'intelletto", perché quello che si voleva ottenere era che gli allievi acquisissero "quella tempra gagliarda che si richiede onde un negoziante, un commesso viaggiatore possano pigliar parte... a quest'immensa concorrenza di traffici che oggi ha per teatro e per mercato il mondo intero".

Oltre agli operatori e ai commercianti, dalla Scuola sarebbero, dunque, usciti anche i futuri insegnanti di economia, che si intendeva formare "nel felice connubio della teoria colle pratiche applicazioni e cogli esercizi tecnici".

E, sempre dall'esperienza di Anversa, venne mutuata una sezione consolare, per dotare il paese di specialisti "che si confacessero a rappresentare e a difendere i nostri interessi commerciali all'estero".

Nel Progetto si prevedeva poi, a naturale complemento delle discipline economiche e commerciali, lo studio delle lingue straniere, non soltanto di quelle dell'occidente europeo (inglese, tedesco, francese, spagnolo), ma anche di quelle orientali, anche perché - lo ricorda Franco Meregalli nel suo Origini della Facoltà di Lingue e Letterature straniere - Luzzatti riteneva che "per conoscere noi stessi, per migliorarci, è più necessario lo studio delle lingue moderne che trattano i negozi del mondo moderno che quello delle antiche, che trattavano i negozi delle antiche".

Cinque anni dopo, quando nel 1872 un altro decreto reale modificò lo statuto, le funzioni della prima Commissione organizzativa furono trasferite ad un vero e proprio Consiglio Direttivo, composto da due membri per ciascuno dei quattro "corpi& #148; fondatori, il Consiglio Provinciale, il Comune e la Camera di Commercio di Venezia, nonché il Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio da cui la nuova istituzione dipendeva.

Alle necessità di bilancio il governo italiano non provvide, in genere, con la larghezza necessaria, sicché si può dire che, "povera e affranta da molte sventure" essendo, secondo le parole di Luzzatti, la città lagunare, la Scuola - per diversi decenni - dovette praticare una politica di restrizioni proprio nel campo, quello dell'assegnazione delle cattedre, che era l'ambito in cui si giocava la partita dell'affermazione della nuova istituzione nei confronti delle facoltà universitarie.

Occorre riconoscere che la Scuola seppe resistere alle prime difficoltà, e superare le naturali resistenze locali, mediante accorgimenti che consentirono di mantenere un sufficiente, a volte discreto, livello qualitativo della propria "offerta" didattica.

Particolarmente preziosa risultò, dunque, la donazione da parte del Comune alla Scuola dell'antico palazzo venduto dalla Signoria a Francesco Foscari, doge tra il 1423 e il 1457, e da questi totalmente rifatto a partire dal 1452, fino a farlo diventare l'esempio più cospicuo dell'architettura gotica veneziana nel suo ultimo periodo.

La casa del grande doge, proprio a metà dell'Ottocento, era entrata in possesso del Comune e, divenuta sede della Scuola, via via ne sarebbe divenuta il simbolo. Per trent'anni, almeno, gli anni di Ferrara, le cose procedettero secondo ri tmi regolari.

Stabili i bilanci, come s'è detto alquanto modesti; ferma la ripartizione delle tre sezioni e delle sottosezioni - commerciale, magistrale (economia, statistica e diritto; merceologia; computisteria e ragioneria; lingue straniere), consolare -; strettamente commisurato alle esigenze dei corsi il numero dei docenti distinti in tre classi (titolari, reggenti ed incaricati); legate soprattutto all'apertura delle Scuole Superiori di Commercio di Bari e di Genova, le oscillazioni della dinamica degli iscritti, documentata per i primi cent'anni e analizzata per i primi trenta-quaranta dal Tagliaferri.

Questa prima fase della vita della Scuola cafoscarina va esaminata anche sotto un altro aspetto, destinato a rivelarsi problematico molto più avanti, soprattutto dagli anni Sessanta in avanti del Novecento: quello delle sue relazioni con la citt&ag rave;.

Un rapporto preciso, tra la città e la sua università, ci fu, certamente, all'origine, a Venezia, ed anzi la classe politica e amministrativa (in questo i Luzzatti, i Deodati, e via dicendo, erano stati espliciti) considerarono all'inizio quella universitaria come una "funzione" indirettamente economica di Venezia.

Quest'idea dell'università durò a lungo, nei decenni dell'affermazione di Ca' Foscari come Scuola di fama nazionale.

Nel 1897 Alessandro Pascolato, che sarebbe stato Direttore nei primi cinque anni del secolo XX, epoca in cui (1903) la Scuola sarebbe stata autorizzata a rilasciare diplomi di laurea (il titolo di dottore venne nel 1906), poteva vantare questi indiscutibili meriti dell'istituzione: un direttore illustre, l'economista Francesco Ferrara (peraltro e non da allora, assertore di un liberismo fuori moda, un uomo un po' esausto e, comunque, destinato a scomparire nel 1900), uno scelto corpo insegnante e una buona sintesi di metodo e di rigore "privatistici"; e affermare la superiorità della Scuola veneziana su ogni altro istituto superiore commerciale.

Una Scuola un po' conservatrice, peraltro, quella cafoscarina.
Come ha scritto nel 1978 Gino Spadon, "quando, agli albori del Novecento, alcune Scuole di Commercio europee, interpreti del nuovo sviluppo delle attività economiche, smisero gli insegnamenti di applicazione pratica immediata per volgersi esclusivamente alle discipline teorico-scientifiche, la Scuola Superiore di Commercio di Venezia, fedele alle sue finalità statutarie, ma nel contempo aperta alle nuove suggestioni, seppe conciliare le esigenze della ricerca "pura" con quelle inerenti la formazione professionale, dando, sì, nuovo impulso alle discipline scientifiche, ma conservando anche agli insegnamenti teorico-pratici tutta la loro importanza".

Conservatrice e duttile, dunque, insieme, Ca' Foscari, fin dai primi decenni, è sempre più modello quasi unico, sul piano nazionale, nel suo campo.

Ma, appunto, anche istituto molto chiuso nella sua specificità, tanto che i figli dei veneziani, quando non si decidevano per il "commercio" e le professioni collegate, continuavano ad andare a studiare a Padova, tanto che la fama cafoscarina rimase a lungo, nei decenni successivi, legata ai nomi dei maestri, i Besta, i Luzzatto, gli Zappa, i de Pietri-Tonelli, scienziati di un ambito scientifico e culturale relativamente omogeneo anche se con le sue prime pluralistiche diversificazioni, da Amaduzzi a Onida.

Di qui, una posizione progressivamente appartata anche se non distaccata, di Ca' Foscari rispetto alla città, una posizione che, in ogni caso, le avrebbe consentito, nei primi anni Venti, di essere punto di riferimento di giovani di tutt'Italia che potevano trovarvi maestri, oltre che di sapere, di vita, nel momento della crisi dello stato liberale e delle libertà democratiche.

Ad apertura di secolo, nel novembre 1902, si era aperto a Milano, con capitali privati, un nuovo istituto, la "Facoltà Commerciale", dedicato, "per iniziativa privata, per un atto d'amore", dall'industriale milanese Ferdinando Bocconi, al nome del figlio, Luigi. L'evento ebbe il valore di uno spartiacque nell'evoluzione storica di Ca' Foscari.

I sostenitori della nuova Facoltà partivano dall'affermazione che l'istruzione commerciale era ormai pronta per elevarsi alle discipline teorico-scientifiche di grado universitario.

L'istruzione commerciale superiore, considerata al livello di quella classica, doveva far perno sull'insegnamento delle "dottrine economiche e di tutte le scienze che hanno per oggetto l'esame sistematico delle leggi e dei processi del la vita economica".

Far fronte alla nuova situazione, determinata dalla nascita della Bocconi, questa la grande scommessa della nuova fase della vita dell'Università veneziana.

La "duttilità" cafoscarina nella conservazione delle proprie ragioni originarie, si accompagnò con una troppo fiduciosa convinzione nell'aiuto statale.

Poco efficaci, malgrado le intenzioni, si rivelarono le misure interne, miranti a rendere più severa la selezione e più consistente la preparazione linguistica ("è nostro fermo proposito che d'ora innanzi nessuno potr&ag rave; essere licenziato dalla Scuola se non è in caso di farsi intendere nelle lingue straniere e di intenderle facilmente", affermò allora categoricamente Alessandro Pascolato). Più utili ad affrontare la nuova situazione i provvedimenti di legge del 1903 e del 1906, di cui s'è detto, e soprattutto l'approvazione governativa, nel 1909 e nel 1910, del riordinamento organico degli studi proposto dalla Commissione interna composta da Fabio Besta, Luigi Armanni e Tommaso Fornari.

Si trattò di una riforma a piccoli passi, tesa alla trasformazione della Scuola in istituzione universitaria pleno iure, che costò qualcosa in termini di autonomia, allo stesso modo che il nuovo corso scientifico, simboleggiato dalla Bocconi, suonò come una sorta di delegittimazione del carattere originario, "tecnico-pratico", della Scuola veneziana.

La distinzione tra Scuola "regia" e interferenze "governative" suona come una rivendicazione ormai difensiva. Con la legge del 1913 - al culmine della prima stagione di modernizzazione capitalistica del paese e mentre la stessa Venezia si avviava all'integrazione con il capitalismo industriale attraverso i primi provvedimenti attuativi dell'idea di ampliare il porto di Venezia, trasferendo in Terraferma almeno una sua parte, idea dalla quale si svilupperà rapidamente quella radicale di porto Marghera - l'integrazione statale dell'attività universitaria cafoscarina compì ul teriori passi.

Nel 1919, trascorsa la bufera della prima guerra mondiale, che vide Venezia in prima linea dal 1917, tanto che la Scuola si trasferì fino all'anno successivo a Pisa, le Scuole commerciali furono autorizzate per legge a istituire un quarto anno di corso con le risorse del proprio bilancio, nell'intento di avviare la sezione commerciale verso una regolare struttura universitaria (fin dall'inizio, la sezione più importante di Ca' Foscari era di durata triennale).

Il passaggio fu sanzionato nel 1920, mentre nel 1921, aprendo ai laureati in Scienze economiche e commerciali (la denominazione ha inizio in questo momento) le carriere dipendenti dal Ministero degli Affari Esteri, lo Stato tolse valore all'antica sezione consolare, che verrà soppressa dopo il 1935.

C'era stata, nella sfortunata tutela della propria autonoma caratterizzazione originaria, da parte di Ca' Foscari, un po' di spirito conservatore, non troppo all'altezza dei tempi.

Nessun tratto di conservazione ci fu, invece, nella difesa, altrettanto ma più drammaticamente sfortunata, della libera cultura simboleggiata nei primi decenni dello stato unitario da grandi studiosi e da grandi coscienze civili (da Ferrara a Maffeo Pantaleoni), "antichi esponenti del filone liberista che si ricongiungeva poi all'eredità di Carlo Cattaneo", come ha scritto Giovanni Spadolini.

C'è un nome che spicca, nella storia della Ca' Foscari degli anni della conquista fascista del potere, dell'intermezzo verso l'involuzione totalitaria degli anni Trenta, dei brevi anni della fascistizzazione dello Stato verso la seconda guerra mondiale e poi verso la riconquista della libertà in un'Europa distrutta dalle forze del male da essa evocate dalle sue stesse viscere, ed è quello di Gino Luzzatto.

Il grande storico dell'economia era stato chiamato a insegnare a Venezia, la città di sua madre, nel 1922.
Sulla laguna egli trovò la "cittadella del sapere" di cui avrebbe parlato, in un commosso profilo dell'università di cui fu studente, Armando Gavagnin, un oppositore del regime fascista, poi sindaco di Venezia, per breve periodo, alla fine degli anni Cinquanta.

V'erano i professori "anziani", ancora con la finanziera, la cosiddetta velada, le venete baracole, come Pietro Rigobon e lo stesso Luigi Armanni; e i professori "giovani", Gustavo Del Vecchio, Felice Vinci, Gino Zappa, il germanista Adriano Belli, l'anglista Ernesto Cesare Longobardi, che nutriva una speciale predilezione per la poesia e la filosofia di Shelley, altri ancora.

Ha scritto, del Luzzatto professore di quegli anni Venti, Ugo La Malfa, che a Venezia si laureò nel 1926 in scienze "consolari", che egli "aveva insegnato a comprendere e ad amare la ricerca storica, e soprattutto ad avvertire il fascino delle letture e delle meditazioni di storia economica, come premesse per comprendere e interpretare il mondo dei nostri giorni e, soprattutto, tentare di operarvi con azioni di politica economica e sociale.

Le sue lezioni, con le prospettive che aprivano sulle origini del capitalismo, sulle vicende delle prime grandi espansioni commerciali e coloniali, sull'affermazione del liberalismo economico, sulle prime impostazioni socialiste e sulla problematica del Mezzogiorno, costituivano per noi, della giovane generazione, il fondo culturale sul quale una nuova visione dei problemi della società democratica italiana poteva essenzialmente fondarsi".

Se il senso dell'insegnamento sta in ciò che ingenera negli allievi più acuti e sensibili, va detto, dunque, che quello di Luzzatto, come quello di pochi altri suoi colleghi nella Ca' Foscari degli anni difficili del primo fascismo, avviato alla costruzione del regime, serviva direttamente a creare le premesse dell'impegno civile, e che, dunque, era perciò stesso insegnamento "impegnato".

D'altra parte, ciò è dimostrato dal fatto che i Luzzatto e i Longobardi, insieme ad altri amici appartenenti ai circoli socialisti, democratici e repubblicani di Venezia costituirono quel "nucleo di una società nella società, di una impegnata cerchia idealista di intellettuali decisi a mantenere la loro identità nell'atmosfera di conformismo che li premeva e soffocava da ogni parte" di cui ha scritto con finezza Frank Rosengarten, il biografo americano di Silvio Trentin, l'altro professore che, insieme con Luzzatto, simboleggia nel modo più alto, il sapere unito all'etica pubblica nella Ca' Foscari degli anni Venti.

Dal marzo del 1925 Luzzatto era stato nominato Direttore dell'Istituto cafoscarino e ciò rappresentò, insieme alle pubbliche prese di posizione, come la lettera di solidarietà a Salvemini al tempo del suo arresto, e all'attività di pubblicista negli anni tra il 1922 e 1925 appunto, fino al limite della tolleranza del regime liberticida (si pensi alla trasparente denuncia della "mancanza di ogni libertà di discussione" fatta incidentalmente nel contesto di un discorso tecnico sui cambi nella "Critica Sociale" dell'1-15 agosto 1924), il pretesto di cui il fascismo si servì per dare una lezione a quei docenti universitari veneziani troppo fieri, e quella Ca' Foscari troppo viva .

Il 4 novembre 1925 Tito Zaniboni, ex-deputato socialista, fu arrestato sotto l'accusa di aver complottato per assassinare Mussolini. Zaniboni si era lasciato irretire da agenti del controspionaggio fascista, che condussero la polizia al luogo dove eg li si trovava nascosto.

Il governo fascista strumentalizzò immediatamente la scoperta del complotto per intensificare le persecuzioni contro i gruppi d'opposizione.

Cominciarono così le molestie e le minacce per Gino Luzzatto, mentre Trentin e Longobardi furono avvicinati da studenti fascisti nel cortile di Ca' Foscari e minacciati di violente rappresaglie se non si fossero dissociati dal gruppo favorevol e a Luzzatto.

Certo, nell'occhio del ciclone che si stava abbattendo sull'Istituto era principalmente Trentin, e ciò per aver proseguito in Venezia l'attività politica (era stato deputato demosociale dal 1919 al 1921) come esponente dell'Unione nazionale delle forze liberali e democratiche fondata da Giovanni Amendola l'8 novembre 1924 e per aver ancor prima partecipato alle elezioni politiche del 6 aprile 1924 come candidato dei democratici, tenendo comizi di denuncia del "t radimento" borghese del fascismo.

Ma, in quel tardo autunno del 1925, il bersaglio eletto dai fascisti a Ca' Foscari era essenzialmente Luzzatto, il Direttore dell'Istituto. Verso la fine dell'anno le risse a suon di pugni divennero fatti pressoché quotidiani e le autorità fasciste di Venezia, sostenute da tutte le forze cittadine della legge e dell'ordine, cominciarono a chiedere, con crescente animosità, le dimissioni di Luzzatto.

Nello "stato di servizio" di Gino Luzzatto sta scritto ancor oggi che il Direttore si dimise "a decorrere dal 16 novembre 1925" e che "le dimissioni sono state accettate".

In realtà, il 13 novembre una comunicazione del Ministero dell'Economia Nazionale (da cui ancora gli Istituti Superiori di Commercio dipendevano) aveva reso noto che Luzzatto aveva deciso di rassegnare spontaneamente le dimissioni e che il Consiglio di amministrazione di Ca' Foscari doveva essere disciolto e sostituito da "un Regio Commissario di grande autorità, il senatore professor Giordano", già sindaco di Venezia fino al 1923 e commissario governativo fino all'estate 1924, e dallo stesso anno senatore del Regno.

Il 16 novembre, il senatore Adriano Diena, presidente del Consiglio di amministrazione, chiese spiegazioni sul provvedimento del Ministero.
La risposta giunse il 18 novembre: il provvedimento era stato preso "per il bene obiettivo dell'Istituto", che non doveva essere sede di "agitazioni estranee agli studi".

La soluzione del dramma, politico piuttosto che accademico, si ebbe solo il 21 novembre, quando una delegazione dell'Istituto, di cui faceva parte anche Trentin, votò a nome di tutti i docenti una mozione di solidarietà a Luzzatto, ma accettò, insieme, che al suo posto venisse nominato il professor Ferruccio Truffi, ordinario di merceologia.

In una delle sue pagine più riuscite, Gavagnin racconta i retroscena di questa storia veneziana degli "anni fascistissimi", proprio l'epoca in cui egli, correttore di bozze al "Gazzettino" di Gianpietro Talamini, si era iscritto a Ca' Foscari per conseguire la laurea in economia e commercio.

Nella ricostruzione dell'antifascista veneziano, la vicenda che portò alle "dimissioni" di Luzzatto ( e all'esilio francese di Trentin, alla fine di gennaio del 1926) assume una dimensione drammatica, ma soffusa anch'essa di ironia, e rivela uno spessore non indifferente.

L'autore eccellente del "colpo", Italo Balbo, viene definito "gongolante"; Gino Luzzatto, insigne storico dell'economia, viene descritto mentre apprende soltanto al suo arrivo a Venezia di ... essersi dimesso.

Una storia fascista, con tutti gli ingredienti tipici della tracotanza di quel regime per molti aspetti di cartapesta, che lasciò, peraltro, un segno indelebile in un'Italia fortemente debilitata sul piano civile, ma in cui ancora resistevano isole di sapere e di dignità come quella "bella scuola di Ca' Foscari, intima e gioiosa, forse un po' trasandata, con una bella facciata sulla svolta del Canal Grande".

Tra 1923 e 1935, tra riforma Gentile e riforma De Vecchi, tra liberalismo ormai autoritario e fascismo ormai totalitario, l'istruzione superiore italiana subì una trasformazione pressoché integrale.
Per ciò che riguarda la Scuola veneziana, va ricordato che, dopo il raggruppamento degli otto istituti superiori commerciali italiani (più le libere università commerciali) nel regolamento del 1925, si verificò nel 1928 il passaggio di Ca' Foscari alle di pendenze del Ministero dell'Educazione Nazionale (l'attuale Ministero della Pubblica Istruzione, da cui si è staccata nel 1989 la parte universitaria per andare a costituire il Ministero dell'Università e della Ricerca Scienti fica e Tecnologica).

Nel 1935, la Scuola veneziana passò tra le Università statali, pur conservando - unica tra le vecchieScuole di commercio - titolo e forma di indipendenza.

Si trattò, come ha scritto Tagliaferri, della sanzione di una "lunga e affannosa corsa con la burocrazia durata più di un trentennio", alla fine della quale Ca' Foscari ottenne la parificazione giuridica con le Università di Stato, ma vide sparire le ultime tracce della sua antica autonomia, con la perdita di ogni funzione sostanziale dei suoi enti fondatori.

La "lunga notte" del fascismo terminò per Ca' Foscari con la rielezione a rettore dell'istituto, il 6 luglio 1945, di Gino Luzzatto, allontanato dall'insegnamento perché ebreo sette anni prima.

Il senso che Luzzatto volle dare, al ritorno della libertà, e a quello suo, nell'Università che lo aveva cacciato, sta, quasi una lezione morale, nelle relazioni che tenne per l'inaugurazione degli anni accademici 1945-46, 1946-47 , 1947-48.

Per anni, l'inaugurazione tradizionale aveva taciuto: nel novembre del 1941 e in quello del 1942 essa era stata sostituita da un una cerimonia militare con consegna di lauree ad honorem alla memoria degli studenti caduti

Il 10 novembre 1945, parlando con la sobrietà di espressioni che gli era propria, Luzzatto seppe comunicare il vero significato di tutto quello che era accaduto, inaugurando il primo anno accademico dell'Italia libera, rimanendo fedele alla sua indole di storico e di democratico.

Cominciò, Luzzatto, giustificandosi: non poteva, disse, conferire lauree ad honorem a studenti caduti, come era stato fatto nel 1941 e nel 1942, perché dall'8 settembre 1943 le cose erano cambiate al punto che non si poteva fare come se nulla fosse accaduto.

Agli studenti "caduti in guerra" che si erano potuti commemorare nelle due occasioni accennate si aggiungevano ora gli studenti "caduti per causa della guerra" e quelli "morti nelle lotte combattutesi in alta Italia nel periodo dell'occupazione tedesca oppure nei campi di concentramento in Germania".

Si sarebbe trattato di un elenco troppo lungo, ancora incompleto, da pubblicare più avanti, "a tempo migliore": ma "soprattutto - disse Luzzatto, alzando il tono del discorso - mi ha indotto a questo silenzio doloroso una considerazione assai più grave. Per venti mesi, dal settembre 1943 all'aprile 1945, l'Italia settentrionale è vissuta in un clima di guerra civile, che purtroppo è andata facendosi di mese in mese più atroce. A pochi mesi di distanza dalla fine di questa guerra, mentre molte ferite sono ancora aperte e gli odi non sono ancora sopiti, il porre assieme, sopra una stessa linea, caduti dell'una e dell';altra parte, suonerebbe offesa alla memoria di chi si è immolato per la causa della libertà ed ai sopravvissuti che sono ancora doloranti per le vessazioni e le torture subite". Meglio, dunque, limitarsi a ricordare i nomi degli studenti caduti nella guerra partigiana.

Meglio ricordare i docenti scomparsi tra il 1942 e 1945, e, tra essi, dedicare particolare segnalazione, oltreché a Silvio Trentin, a Ernesto Cesare Longobardi e Olga Secretant Blumenthal, lettrice di tedesco, deportata a settant'anni e morta prima che il viaggio verso la notte, decretata per motivi razziali, si compisse.

Non era facile, allora, questa superiore compostezza nel distinguere nettamente le due posizioni, quella di chi era stato coi fascisti e quella di chi era stato coi partigiani, nella guerra civile, e soprattutto nell'attribuire ad esse il dovuto significato, rinunciando tuttavia a commemorare prima, da soli, i meriti della parte che aveva lottato per la libertà, salvo il ricordarli, ma senza più quelle lauree ad honorem degli anni di guerra che potevano essere conferite senza distinguere tra i morti.

Davvero sarebbe stato difficile, e neppur giusto, dimenticare. Né Luzzatto lo fece, ma si sente, si capisce che, per lui, quanto prima fosse stato possibile ricomporre, pur nella lucida e netta visione delle cose accadute, uno spirito di pace, tanto meglio sarebbe stato, per tutti.
Un anno dopo, inaugurando 1'11 novembre 1946 il secondo anno accademico successivo alla liberazione, Luzzatto propose, infatti, una visione più composta, meno drammatica, della sua Ca' Foscari, riavviata ad essere strumento prezioso di ricerca scientifica e capace "di affrontare serenamente, forte anche della sua tradizione e del fascino di Venezia, ogni concorrente, senza deviare in alcun modo dalla sua vecchia strada per cui essa mira più alla qualità che alla quantità;".

Si sente, in tutto ciò, un gran desiderio di poter dire: heri dicebamus, e, insieme, una gran consapevolezza che ciò non sarebbe stato possibile senza una misura e una nobiltà che non potevano essere di tutti.

A Luzzatto successe come rettore, nel 1953, quell'Italo Siciliano che può considerarsi il secondo fondatore "culturale" dell'Università veneziana dopo Ferrara.

Italo Siciliano fu "una specie di don Chisciotte che andava cercando piaghe e busse", come lui stesso volle definirsi, destinato per diciott'anni, fino ai limiti dell'età accademica, a trasformare l'Istituto, a battersi non soltanto perchè Ca' Foscari divenisse istituzionalmente Università degli Studi, ma anche perché ad essa fosse riconosciuta quella piena cittadinanza veneziana che nella sua fase "preistorica" non era stata in dubbio, ma che le trasformazioni in atto dopo la fondazione di Porto Marghera nei primi anni Venti e l'avvio della "grande Venezia" di ispirazione volpiana, poi affidata alle forze politiche uscite dalla Resistenza e ormai accreditatesi come espressione di democrazia cattolica e sociale, ponevano su un piano alquanto diverso. Se, infatti, Ferrara fu il primo fondatore "culturale" di Ca' Foscari, quello della giovinezza della scuola, Siciliano fu quello della sua maturità.

E non è senza significato che sia stato uno studioso di letteratura francese - Siciliano, appunto - a imprimere alla vecchia Scuola "sobria e pudica", una spinta decisa ad essere competitiva, sul piano scientifico e culturale, e dunque anche su quello della varietà dell'offerta didattica, rispetto a Padova e in genere agli altri istituti universitari in senso pieno.

La Ca' Foscari ereditata da Siciliano era stata resa più snella dalla riforma del 1935: accanto alla Facoltà di Scienze economiche e commerciali, nata appunto allora come tale, il "magistero" di lingue aveva guadagnato in livello, potendovi accedere solo i diplomati degli istituti magistrali e non più quelli degli istituti tecnici.

Nel dopoguerra, il corso di laurea in lingue divenne, poi, Facoltà, e ciò accadde proprio nel 1954, primo anno "solare" del Rettore Siciliano (il titolo, diverso da quello precedente di Direttore, aveva cominciato a spettare ai capi cafoscarini nel 1934).

La storia dell'azione avviata dal nuovo rettore dal 1962 in poi per ottenere per Ca' Foscari il titolo di Università degli Studi sarebbe degna di un romanzo.

Basti dire che ci vollero sei anni perché Ministero e Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione superassero la convinzione che "un'Università a Venezia contrasta con la storia della città e delle sue tradizioni 48;.

Proprio così, questa era la percezione che a Roma si aveva del problema di Venezia destinata - di lì a poco, nel novembre 1966 - al rischio mortale che avrebbe arrestato, ma non definitivamente, né immediatamente, l'evoluzione in senso industriale e portuale-industriale della "grande Venezia" e indicato, proprio nella vocazione culturale, il miglior destino possibile della città lagunare.

E, tuttavia, la forza delle cose, la determinazione degli uomini, l'avvio della modernizzazione del paese, un felice connubio tra forze politiche consentì che nel 1968 nascesse finalmente l'Università degli Studi di Venezia e che nel 1969 venissero istituite due nuove Facoltà, quella di Lettere e filosofia e quella di Chimica industriale.

A partire, dunque, dalla fine degli anni Sessanta, Ca' Foscari - e con essa l'Istituto Universitario di Architettura, nato nel 1926 - avviano, per crescita istituzionale e di peso culturale e scientifico (nel 1964 nasce, dopo un breve periodo di ibernazione parlamentare, il Corso di Laurea in Lingue e letterature orientali, e con esso iniziano gli insegnamenti di arabo, cinese, giapponese, ebraico, indi, turco, iranico, lingue in parte presenti fin dalle origini a Ca' Foscari; nel 1971 nascerà il Corso di laurea in Economia aziendale) un processo di sviluppo che porta la presenza universitaria a Venezia a una dimensione ragguardevole e a una molteplicità di valenze scientifiche e culturali: l'affiancamento al corso di laurea in Lingue e letterature occidentali del corso "orientalistico " diventa il tramite per il rannodarsi dei rapporti culturali di Venezia con il vicino e l'estremo Oriente nel momento in cui i paesi orientali riacquistano centralità sulla scena mondiale; accanto al corso di laurea in Economia e commercio prende vita il corso di laurea "aziendalistico", immediatamente chiamato a rispondere alle esigenze di crescita di piccole e medie imprese del Triveneto; i corsi di laurea in Lettere e in Filosofia e, ultimo ma certo non meno importante, dal 1979-80, quello in Storia, creano le basi per un rapporto diretto con l'immenso patrimonio storico-culturale della città; il Corso di laurea in Chimica industriale, oltre a fornire una qualificata competenza tecnico-scientifica a un rilevante settore produttivo dell'entroterra veneziano, orienta sempre più la sua attenzione alla problematica ambientale e in particolare ai problemi del disinquinamento; l'Istituto Universitario di Architettura, consolidata la propria importanza nazionale e internazionale, avvia, per primo in Italia, un corso di laurea in Pianificazione territoriale e urbanistica che tende a dare una risposta, fondata su ampi apporti interdisciplinari, alla domanda di riorganizzazione del territorio.

Tutta questa crescita organizzativa e strutturale è, in qualche modo, il frutto di una lunga rincorsa di Ca' Foscari, quella che portò alla trasformazione della vecchia Scuola di commercio in Università degli Studi secondo una lungimirante logica di abbinamento di due principi resi tra di loro complementari: la continuità con la ragion d'essere originaria e la modernizzazione scientifica e culturale.

Si può ben parlare di una terza fase dell'ormai secolare vicenda storica cafoscarina, la cui venticinquennale durata porta l'istituzione voluta da Luigi Luzzatti nel 1868 fin dentro gli anni Novanta.

Si è trattato di una stagione non priva di discontinuità e di inquietudine, segnata com'è dalla difficile riformabilità degli atenei italiani, sfuggiti ad un disegno razionale di rinnovamento e percorsi, all'inizio de gli anni Settanta, dai fremiti di una contestazione che non trovò, come altrove in Europa e nel mondo, una classe dirigente determinata e presbite.

Ciò che preservò Ca' Foscari, colta oltrettutto dal Sessantotto - in laguna, manifestatosi con qualche ritardo - nel pieno del mutamento istituzionale così fortemente voluto da Siciliano, fu la fedeltà alle origini dei suoi docenti, e degli stessi studenti della fase acuta del mutamento.

Pur profondamente toccata dal ricambio generazionale, la docenza cafoscarina tenne fermi i caratteri di serietà e di selettività che corrispondevano ai criteri della "buona scelta dei docenti", del loro "alto valore scientifico", della loro "totale dedizione alla scuola", richiamati da Gino Luzzatto all'inaugurazione dell'anno accademico 1946-1947. "

Questo tema del rigore - è scritto nel piccolo, prezioso libro che contiene le tre relazioni luzzattiane del primo dopoguerra, pubblicato nel 1995 da Ca' Foscari per ricordare "il rettore della difficile transizione verso una democrazia di uomini liberi" - non è elemento di frattura e di contrapposizione tra professori e studenti, ma di coesione e di armonia, nella comune tutela dell'Istituto e degli studi".

Tra anni Sessanta e anni Settanta, parve spesso, anche a Ca' Foscari, che "questo rigore" potesse venir meno.
Ma la consapevolezza, comune a tutti, professori, studenti, funzionari, operatori tecnici e amministrativi, che l'abbandonarlo avrebbe esposto anche Ca' Foscari all'omologazione livellatrice, consentì alla nuova Università degli Studi di uscire felicemente dai momenti difficili, intatta nei suoi elementi di specificità tradizionale e aperta alle nuove correnti del sapere e dell'insegnamento.

Veri capiscuola aprirono percorsi di ricerca che appaiono, nella prospettiva storica, fortemente indicativi di ciò che Ca' Foscari era, e sarebbe stata in seguito, da Ladislao Mittner a Piero Treves, da Mario Volpato a Giulio La Volpe, da Michelangelo Merlin a Maria Nallino e a Pasquale Saraceno. Vasti settori di indagine e di affinamento professionale furono ulteriormente arricchiti.

Si può dire che, una ventina d'anni fa, s'era già profilata la Ca' Foscari d'oggi, compatta ed articolata matassa di filamenti scientifici a veder bene complementari, dagli studi economici a quelli filosofici, nelle loro svariate accezioni, dalla storia alle letterature, dall'informatica all'ambiente, dalle discipline artistiche a quelle linguistiche, dalle civiltà dell'Occidente a quelle dell'Oriente.

E proprio una ventina di anni fa si pose, in modo ancora embrionale, ma già visibile, il problema di un più organico rapporto tra l'Università e la città.

Le difficoltà che dimostrò la classe politica cittadina di intendere la novità rappresentata dalle trasformazioni maturate dall'Università - dai due Atenei, ma soprattutto da Ca' Foscari - si rivelarono subito di natu ra culturale.

Non si tratta di semplice distacco della società civile e, soprattutto, di quella politica (che in vari modi influenza la prima) della città, dall'istituzione universitaria, quanto di radicale incomprensione, appunto, culturale - e, dunque, anche delle persone di cultura, persino accademica - della valenza positiva dello sviluppo universitario nella città storica e anche nella parte di terraferma del comune e del territorio veneziano.

Alcuni fatti esteriori - il debordare dell'Ateneo dai contenitori storici di Ca' Foscari e dei Tolentini, fenomeno già determinatosi, per forza stessa delle cose, a metà degli anni Cinquanta, e la presenza numerosa di studenti universitari a Venezia, erroneamente indicata come concausa determinante dell'acuirsi del problema della residenza nella città storica - vengono spesso assunti a simbolo di una politica universitaria nemica della città quasi quanto la monoc ultura turistica.

L'intellettualità soprattutto progressista si lascia fuorviare ancora una volta dal vecchio pregiudizio produttivistico per cui la cultura non è fattore di investimento, è oggetto e non fattore di produzione.

Naturalmente, la diffusione nel tessuto cittadino, soprattutto nelle sue componenti più politicizzate, di una filosofia tanto rozza è ispirata alla stessa avversione verso l'idea di Venezia "città degli studi", sulla quale quei medesimi ambienti intellettuali si ricrederanno soltanto nei tardi anni Ottanta, e mai completamente.

Tutto ciò comporta che la nuova fase della storia dell'Università italiana - quella avviata dai "provvedimenti urgenti" nel 1973 e che avrà il suo culmine, prima con le normative sulla docenza degli anni 1979 e 1980 e con l'introduzione dei piani di sviluppo intesi come tavole di programmazione pluriennale, e poi con la legislazione, di riordino della didattica, e di sia pur contradditoria autonomia, di Antonio Ruberti, primo titolare del nuovo Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica - e di quella veneziana in particolare, venga affrontata con una cittàufficiale fino alla metà degli anni Ottanta restia a rovesciare gli indirizzi più conservatori.

Nonostante ciò, gli anni Settanta e Ottanta vedono uno straordinario sviluppo della presenza fisica dell'università a Venezia: sono gli anni dell'acquisizione, a vari titoli, di Ca' Bembo, di Ca' Bernardo, di Ca' Garzoni, della Celestia, di San Sebastiano, dell'ex Cotonificio di Santa Marta, di Ca'Foscarini della Frescada poi Bottacin, tutti edifici, spesso monumentali, che si aggiungono a quelli storici e a quelli entrati nell'uso universitario nei meno recenti anni Cinquanta e Sessanta, dalla costruzione dell'ala nuova verso il campiello degli Squelini a Ca' Dolfin alla seconda parte di Ca' Giustinian de' Vescovi, da Ca' Cappello a Palazzo Bernardo fino a Calle dei Guardiani.

Ad essi si aggiungeranno Ca' Nani Mocenigo e Ca' Gritti, gli ex cinema Italia e Santa Margherita, nonché diversi altri edifici: Dalla Zorza, Fondamenta Briati, S. Nicolò dei Mendicoli, Palazzo Querini, Palazzo Zorzi Liassidi.

Questo diffondersi dell'Università (soprattutto di Ca' Foscari) nella città storica (e oltre) avviene per impulso di un ceto universitario che, a partire dal rettorato di Feliciano Benvenuti (1974-1983), si ispira sempre più alla filosofia dell'"assoluta necessità che il legame tra Università e Città diventi operante e continuo, come rapporto costruttivo tra una collettività insediata in un ambito oggetto di dibattito mondiale, ed una parte di essa" e della volontà di "impostare la politica di ristrutturazione e di sviluppo edilizio nel rispetto dei seguenti principi: non essere concausa dello stravolgimento, già in atto, del tessuto sociale del centro d i Venezia, e comunque fattore di esodo verso altre ubicazioni abitative; non sottrarre aree in quanto possano essere destinate utilmente ad altri usi di prevalente carattere pubblico o ad attività produttive".

Verso la metà degli anni Ottanta, mentre Giovanni Castellani succedeva a Feliciano Benvenuti, questo stato di rapporti difficili, per non dire di estraneità ispirata da una cattiva cultura, tra la Venezia civile e delle istituzioni e quella della ricerca e della didattica universitarie, cominciava a modificarsi.

Nel 1986, la giunta comunale garantiva a Ca' Foscari l'area di San Giobbe, di proprietà del Comune, come ambito di grandi dimensioni per la ricomposizione e migliore articolazione delle localizzazioni estesesi a macchia d'olio negli ultimi anni, e ormai anguste, mentre si andava ponendo l'ipotesi di un possibile insediamento anche in terraferma, nella zona dell'ex Macello mestrino, lungo l'"asta" storica del Canal Salso, di porzioni qualificate di atti vità universitarie.

Negli anni successivi, un vero balletto di altre ipotesi sembrava riproporre le stucchevoli discussioni degli anni Settanta, e ciò proprio nel momento in cui l'Università aveva ottenuto dalle leggi di programmazione universitaria dello Stato (Piano quadriennale 1986-90) il Corso di laurea in Scienze ambientali e quello in Scienzedell'informazione, era riuscita ad avviare in terraferma l'attività della Scuola di economia del turismo, ora Diploma Universitario, a Villa Mocenigo a Oriago di Mira, insediava a Marghera il Centro interfacoltà per la ricerca educativa e didattica, concordava con tutte le Università del Veneto la richiesta di ottenere con il Piano triennale 1991-93 la Facoltà di Conservazio ne dei beni culturali (senza contare l'ipotesi, di una Facoltà di Ingegneria dei materiali da far crescere a Mestre, in collaborazione con l'Istituto di Architettura e con il mondo produttivo), richiesta soltanto in parte accolta.

Infatti, la Facoltà di Lettere si vide assegnare un Corso di Laurea in Conservazione dei beni culturali, ormai funzionante, mentre ad Architettura ne fu attivato uno in Storia e conservazione dei beni architettonici e ambientali.

I Diplomi universitari aggiuntisi, all'inizio degli anni Novanta, ai corsi di laurea, come frutto di un sia pur tardivo adeguamento dell'ordinamento didattico nazionale a quello degli atenei europei e, in genere, del mondo industrializzato si accrescono e si differenziano anche a Venezia: oltre a Economia e gestione dei servizi turistici, quello in Servizio sociale (la "vecchia" Scuola per assistenti sociali) e quelli della sede staccata di Treviso, Commercio estero, Statistica e informatica per la gestione delle imprese, Traduttori e interpreti.

La cosiddetta "rivoluzione finanziaria" della fine del 1993, che ha comportato una certa dose di autonomia universitaria anche sul piano progettuale, fa sì che, indipendentemente dai Piani triennali approvati o da avviare (è il caso di quello 1994-96, che fatica a decollare), Ca' Foscari possa presto andare oltre le previsione delle leggi dello stato.

Resta da dire dei Centri, interfacoltà, interdipartimentali e interuniversitari, a partire da quelli "storici" di Calcolo e Linguistico, e dei Master.

Questi ultimi, a cominciare da quelli in Comunicazione d'azienda e in Economia e gestione dei servizi turistici, sono sostenuti, mediante convenzioni, da soggetti economici e istituzionali esterni all'Università.

Un terreno, quest'ultimo, su cui Ca' Foscari intende continuare ad inoltrarsi, grazie anche al nuovo Statuto, entrato in vigore nella primavera del 1995, e che costituisce, ormai, la carta fondamentale della gestione e dello sviluppo di Ca' Foscari.

Naturalmente, l'espansione cafoscarina degli ultimi anni Ottanta non sarebbe stata possibile senza la coraggiosa opzione per la terraferma.

Emblema di essa, all'inizio degli anni Novanta, l'attivazione del Corso di laurea in Scienze dell'informazione in Via Torino, a Mestre.

La dislocazione non casuale, ma secondo assi storici, modi sedi di didattica e di ricerca di Ca' Foscari fuori della città storica obbedisce, in ogni caso, ad una visione equilibrata, di dimensione almeno regionale, della diffusione di sedi universitarie, ancorata, a sua volta, a concentrazioni di risorse intellettuali, scientifiche e tecnologiche nascenti sul territorio veneziano.

Alla stessa filosofia appartengono, insieme, i progetti di razionalizzazione della presenza di Ca' Foscari, e dell'Istituto Universitario di Architettura, nella città storica, per dare maggior forza ai fattori positivi e togliere spazio a quelli avvertiti come pericolosi per l'identità popolare veneziana, e gli episodi di contributo alla manutenzione e al restauro delle sedi monumentali via via passate nel patrimonio universitario.

E non è senza significato che, quasi vent'anni dopo l'inaugurazione dell'Aula Magna intitolata a Silvio Trentin nel settecentesco palazzo Secco-Dolfin, Ca' Foscari offra, dal 1995, alla città, come Auditorium di gran decoro, la chiesa di Santa Margherita, costruita nella seconda metà del Seicento e sconsacrata nel 1879.

Gli anni Novanta scorrono, dunque, per ciò che riguarda le relazioni con le istituzioni della città, all'insegna di un moderato ottimismo, dato che il Comune si è persuaso ad assumere verso Ca' Foscari l'atteggiamento che fu della classe dirigente veneziana dei Luzzatti e dei Deodati nei tardi anni Sessanta del XIX secolo. Il fatto è che, come ha scritto Maurizio Rispoli, l'Università a Venezia, con i suoi trentamila studenti - più della metà dei quali a Ca' Foscari - é una delle "aziende più vive e vitali di Venezia". Basta, del resto, scorrere le relazioni scritte dai rettori dagli anni Settanta ad oggi, da Siciliano a Candida, da Benvenuti a Castellani a Costa, per comprendere che l'Università degli Studi di Venezia, come del resto la maggior parte degli atenei italiani, sia ormai al centro di relazioni con enti di ricerca e di istruzione nazionali e internazionali, tali da rendere preliminarmente necessario un altro tipo di rapporto con la città e il territorio, inteso come entità molto più articolata e complessa, economicamente e socialmente, che non dica la sua semplice accezione fisica.

Si pone, insomma, per l'Università a Venezia il problema d'essere funzione diretta della vita della città che la ospita. E certamente vanno in questa direzione il fondamentale apporto cafoscarino al Parco Scientifico e Tecnologico di Venezia, e la costituzione della Venice International University, nell'isola di S. Servolo. Centro internazionale di istruzione superiore e di ricerc a, la Venice International University ha visto, tra gli enti promotori, oltre a importanti atenei di vari paesi, le due Università lagunari, e quella stessa Amministrazione provinciale di Venezia che fu, nel 1868, tra i sostenitori della Scuola Su periore di Commercio.

Un auspicio singolarmente buono.
Sulle tracce di appunti - vecchi ormai di più di un quarto di secolo e pur straordinariamente attuali - di Wladimiro Dorigo sul "futuro assetto della vita culturale" come problema di Venezia, trovano, dunque, conferma le parole di un eminente veneziano del Novecento, Carlo Ottolenghi che, da presidente della Fondazione Scientifica Querini Stampalia, ebbe a scrivere che "in una Venezia che sempre aspira a mantenere vivo il proprio ruolo internazionale di luogo deputato agli studi una proficua sinergia tra le tante istituzioni operanti in città ci garantisce quella funzione di produttori di cultura senza la quale le tradizioni veneziane più belle sono destinate a divenire vacuo scenario per l'esibizione di risultati conseguiti in luoghi e modi del tutto estranei alla vita della città".


"A chi percorre il gran canale da Rialto verso S. Marco, s'affaccia subito da lungi lo splendido palazzo che fu dei Foscari. Posto sull'angolo del rivo di S. Pantaleone, alla svolta di quella che il Byron disse la più bella via del mondo, il palazzo Foscari, quasi centro e capo di una lunga serie di patrizie dimore, sorprende non meno per la maestà del luogo che per le elegantissime architetture".Così, per la penna di Federico Stefani, a lungo direttore dell'Archivio di Stato di Venezia, veniva descritta Ca' Foscari - la casa, il palazzo Foscari - sede della Regia Scuola Superiore di Commercio in Venezia, in un volume di Notizie e documenti presentato nel 1911, alla Esposizione Internazionale di Torino, che celebrò il cinquantenario della proclamazione del Regno d'Italia.

Si era, allora, nel pieno dell'età giolittiana, il periodo della storia politica italiana dominata dalla figura del leader liberale Giovanni Giolitti. Il caso però volle che, tra il marzo 1910 e il marzo 1911, fosse presidente del consiglio proprio quel Luigi Luzzatti, che era stato, giovanissimo esponente del gruppo facente capo a Marco Minghetti, nell'ormai lontano autunno 1866, l'ideatore della Scuola e nel 1868, con il vice presidente della Provincia, Edoardo Deodati e altri uomini di primo piano della città, il suo primo fondatore.

Nella Fondazione della Scuola Superiore di Commercio di Venezia, un saggio in cui ricostruisce i primi anni cafoscarini, Marino Berengo riassume le linee del progetto di Luzzatti, esposte all'Ateneo Veneto la sera del 31 gennaio 1868: l'istituto sarebbe stato il primo e unico in Italia, e perciò, più che una istituzione veneziana, sarebbe risultato un istituzione nazionale; il suo ufficio doveva essere duplice, quello di una scuola di perfezionamento di commercianti, in modo tale che i suoi allievi avessero, compiuti quei corsi, un valore distinto e una capacità altamente remunerabile, e quello di essere ufficialmente la Scuola normale atta a preparare idonei professori per le scienze commerciali negli Istituti secondari.

Un'idea ambiziosa, quella di Luzzatti: "l'intendimento di cui egli si rendeva portatore - scrive Berengo - era di costituire a Venezia un polo corrispondente a quello che cinque anni prima il ministro Carlo Matteucci aveva creato a Pisa per le Lettere e le Scienze fisiche, matematiche e naturali; a riempire il vuoto dell'economia e del commercio si doveva ora provvedere così".

Ma se il respiro che il giovane esponente politico intendeva conferire al progetto della Scuola era certamente nazionale, la scelta di Venezia non era casuale. Veneziano (era nato nel 1841 e proveniva dagli strati illuminati della borghesia israelitica cittadina), Luzzatti desiderava naturalmente favorire la città natale, annessa all'Italia il 4 ottobre 1866, sulla via dell'integrazione economica, procurandole un istituzione di risonanza nazionale in un campo che corrispondeva all'idea che ci si faceva allora del ruolo di Venezia, un ruolo in cui l'industria non avrebbe potuto avere che uno spazio trascurabile, mentre l'attività da potenziare sarebbe stata quella del traffico marittimo.

Di qui la necessità di istituire un opportuno regime doganale, di potenziare la flotta mercantile dell'Adriatico (era imminente l'apertura del Canale di Suez), di migliorare le strutture portuali veneziane e - ultima, ma la più importante tra le misure da assumere - di formare gli operatori economici.

Questa impostazione era comune alla classe dirigente veneziana del tempo: oltretutto, con l'istituzione di una Scuola superiore si sarebbe colmato, almeno in parte, lo svantaggio che il governo aristocratico aveva lasciato in eredità alla città lagunare a causa della secolare avversione ad ospitare, accanto al potere politico, quello culturale universitario, concesso in monopolio a Padova fin dalla prima metà del Quattrocento.

Nella promozione della Scuola furono coinvolte tutte le massime articolazioni amministrative di Venezia, il Comune, la Provincia, la Camera di Commercio. E Deodati, che a lungo sarebbe stato presidente della Provincia e, dal 1876, senatore del Regno, ottenne l'assenso governativo e il contributo del Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio nelle cui competenze la Scuola, appartenendo al settore dell'Istruzione tecnica, finiva per rientrare.

Ai due co-fondatori veneziani, si aggiunse poi il primo Direttore, Francesco Ferrara, siciliano, allora deputato ed ex-ministro, economista di stampo liberista, professore di economia politica dal 1849 prima a Torino e più tardi a Pisa.

Anche se quella di Luzzatti risulta, alla lunga, la più illustre, si deve concludere che la Scuola Superiore di Commercio di Venezia deve il suo primo, e decisivo, impianto, alla collaborazione di tre personalità di spicco, anche se di diversa indole: oltre al Luzzatti, il Deodati e il Ferrara, Direttore per un trentennio.

Quanto al "modello" per Ca' Foscari, esso dovette necessariamente ricercarsi all'estero, non esistendo in Italia istituzioni del genere, salvo quelle, specializzate nel settore tecnico, di Torino, Napoli, Milano e Firenze.

Ma anche fuori d'Italia, se si eccettua l'isolato esperimento di Blanqui a Parigi nel 1820, le scuole commerciali erano appena all'inizio. "Ciò dipendeva - osserva Amelio Tagliaferri nel suo Profilo storico di Ca' Foscari (1868-69 1968-69) - dal convincimento, radicato soprattutto in Inghilterra, che bastasse al commercio il tirocinio pratico, almeno fino a quando il mercato fosse stato dominato dai manufatti inglesi.

Ma, con il trionfo delle idee liberistiche e l'avvento di nuovi concorrenti a prezzi competitivi, si diffuse l'idea che occorresse, per meglio controllare produzione, sbocchi e mercati, anche un istruzione commerciale su base scientifica da affiancare o sostituire all'istruzione classica".

Nel 1866 e dunque all'atto della fondazione della Scuola veneziana nel 1868 (il decreto reale di fondazione e di approvazione dello statuto è del 6 agosto 1868, e nel dicembre successivo, malgrado diverse difficoltà, ebbero avvio i corsi, sicché il primo anno accademico è quello 1868-1869), in pratica, funzionava a pieno ritmo, a parte quello parigino, soltanto l'Istituto Superiore di Commercio di Anversa, ideato nel 1847 ma aperto nel 1853.

Proprio dal 1866 era stata aperta a Mülhouse, in Francia, una seconda scuola, che sarebbe stata trasferita a Lione dopo la perdita dell'Alsazia. Era, quindi, naturale che il Luzzatti proponesse quale modello del nuovo istituto veneziano la scuola di Anversa, la cui formula - già validamente sperimentata - consisteva nell'accostamento complementare di insegnamento teorico e di insegnamento pratico, fondato - quest'ultimo - sulle lezioni di Banco o Pratica Commerciale con applicazione, mediante operazioni simulate, delle nozioni teoriche apprese.

Nel Progetto steso dalla Commissione organizzativa della Scuola nel marzo del 1868, e firmato da Deodati e Luzzatti, si affermava, a questo proposito, che la Scuola che si stava fondando "non mirava soltanto alla coltura dell'intelletto", perché quello che si voleva ottenere era che gli allievi acquisissero "quella tempra gagliarda che si richiede onde un negoziante, un commesso viaggiatore possano pigliar parte... a quest'immensa concorrenza di traffici che oggi ha per teatro e per mercato il mondo intero".

Oltre agli operatori e ai commercianti, dalla Scuola sarebbero, dunque, usciti anche i futuri insegnanti di economia, che si intendeva formare "nel felice connubio della teoria colle pratiche applicazioni e cogli esercizi tecnici".

E, sempre dall'esperienza di Anversa, venne mutuata una sezione consolare, per dotare il paese di specialisti "che si confacessero a rappresentare e a difendere i nostri interessi commerciali all'estero".

Nel Progetto si prevedeva poi, a naturale complemento delle discipline economiche e commerciali, lo studio delle lingue straniere, non soltanto di quelle dell'occidente europeo (inglese, tedesco, francese, spagnolo), ma anche di quelle orientali, anche perché - lo ricorda Franco Meregalli nel suo Origini della Facoltà di Lingue e Letterature straniere - Luzzatti riteneva che "per conoscere noi stessi, per migliorarci, è più necessario lo studio delle lingue moderne che trattano i negozi del mondo moderno che quello delle antiche, che trattavano i negozi delle antiche".

Cinque anni dopo, quando nel 1872 un altro decreto reale modificò lo statuto, le funzioni della prima Commissione organizzativa furono trasferite ad un vero e proprio Consiglio Direttivo, composto da due membri per ciascuno dei quattro "corpi& #148; fondatori, il Consiglio Provinciale, il Comune e la Camera di Commercio di Venezia, nonché il Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio da cui la nuova istituzione dipendeva.

Alle necessità di bilancio il governo italiano non provvide, in genere, con la larghezza necessaria, sicché si può dire che, "povera e affranta da molte sventure" essendo, secondo le parole di Luzzatti, la città lagunare, la Scuola - per diversi decenni - dovette praticare una politica di restrizioni proprio nel campo, quello dell'assegnazione delle cattedre, che era l'ambito in cui si giocava la partita dell'affermazione della nuova istituzione nei confronti delle facoltà universitarie.

Occorre riconoscere che la Scuola seppe resistere alle prime difficoltà, e superare le naturali resistenze locali, mediante accorgimenti che consentirono di mantenere un sufficiente, a volte discreto, livello qualitativo della propria "offerta" didattica.

Particolarmente preziosa risultò, dunque, la donazione da parte del Comune alla Scuola dell'antico palazzo venduto dalla Signoria a Francesco Foscari, doge tra il 1423 e il 1457, e da questi totalmente rifatto a partire dal 1452, fino a farlo diventare l'esempio più cospicuo dell'architettura gotica veneziana nel suo ultimo periodo.

La casa del grande doge, proprio a metà dell'Ottocento, era entrata in possesso del Comune e, divenuta sede della Scuola, via via ne sarebbe divenuta il simbolo. Per trent'anni, almeno, gli anni di Ferrara, le cose procedettero secondo ri tmi regolari.

Stabili i bilanci, come s'è detto alquanto modesti; ferma la ripartizione delle tre sezioni e delle sottosezioni - commerciale, magistrale (economia, statistica e diritto; merceologia; computisteria e ragioneria; lingue straniere), consolare -; strettamente commisurato alle esigenze dei corsi il numero dei docenti distinti in tre classi (titolari, reggenti ed incaricati); legate soprattutto all'apertura delle Scuole Superiori di Commercio di Bari e di Genova, le oscillazioni della dinamica degli iscritti, documentata per i primi cent'anni e analizzata per i primi trenta-quaranta dal Tagliaferri.

Questa prima fase della vita della Scuola cafoscarina va esaminata anche sotto un altro aspetto, destinato a rivelarsi problematico molto più avanti, soprattutto dagli anni Sessanta in avanti del Novecento: quello delle sue relazioni con la citt&ag rave;.

Un rapporto preciso, tra la città e la sua università, ci fu, certamente, all'origine, a Venezia, ed anzi la classe politica e amministrativa (in questo i Luzzatti, i Deodati, e via dicendo, erano stati espliciti) considerarono all'inizio quella universitaria come una "funzione" indirettamente economica di Venezia.

Quest'idea dell'università durò a lungo, nei decenni dell'affermazione di Ca' Foscari come Scuola di fama nazionale.

Nel 1897 Alessandro Pascolato, che sarebbe stato Direttore nei primi cinque anni del secolo XX, epoca in cui (1903) la Scuola sarebbe stata autorizzata a rilasciare diplomi di laurea (il titolo di dottore venne nel 1906), poteva vantare questi indiscutibili meriti dell'istituzione: un direttore illustre, l'economista Francesco Ferrara (peraltro e non da allora, assertore di un liberismo fuori moda, un uomo un po' esausto e, comunque, destinato a scomparire nel 1900), uno scelto corpo insegnante e una buona sintesi di metodo e di rigore "privatistici"; e affermare la superiorità della Scuola veneziana su ogni altro istituto superiore commerciale.

Una Scuola un po' conservatrice, peraltro, quella cafoscarina.
Come ha scritto nel 1978 Gino Spadon, "quando, agli albori del Novecento, alcune Scuole di Commercio europee, interpreti del nuovo sviluppo delle attività economiche, smisero gli insegnamenti di applicazione pratica immediata per volgersi esclusivamente alle discipline teorico-scientifiche, la Scuola Superiore di Commercio di Venezia, fedele alle sue finalità statutarie, ma nel contempo aperta alle nuove suggestioni, seppe conciliare le esigenze della ricerca "pura" con quelle inerenti la formazione professionale, dando, sì, nuovo impulso alle discipline scientifiche, ma conservando anche agli insegnamenti teorico-pratici tutta la loro importanza".

Conservatrice e duttile, dunque, insieme, Ca' Foscari, fin dai primi decenni, è sempre più modello quasi unico, sul piano nazionale, nel suo campo.

Ma, appunto, anche istituto molto chiuso nella sua specificità, tanto che i figli dei veneziani, quando non si decidevano per il "commercio" e le professioni collegate, continuavano ad andare a studiare a Padova, tanto che la fama cafoscarina rimase a lungo, nei decenni successivi, legata ai nomi dei maestri, i Besta, i Luzzatto, gli Zappa, i de Pietri-Tonelli, scienziati di un ambito scientifico e culturale relativamente omogeneo anche se con le sue prime pluralistiche diversificazioni, da Amaduzzi a Onida.

Di qui, una posizione progressivamente appartata anche se non distaccata, di Ca' Foscari rispetto alla città, una posizione che, in ogni caso, le avrebbe consentito, nei primi anni Venti, di essere punto di riferimento di giovani di tutt'Italia che potevano trovarvi maestri, oltre che di sapere, di vita, nel momento della crisi dello stato liberale e delle libertà democratiche.

Ad apertura di secolo, nel novembre 1902, si era aperto a Milano, con capitali privati, un nuovo istituto, la "Facoltà Commerciale", dedicato, "per iniziativa privata, per un atto d'amore", dall'industriale milanese Ferdinando Bocconi, al nome del figlio, Luigi. L'evento ebbe il valore di uno spartiacque nell'evoluzione storica di Ca' Foscari.

I sostenitori della nuova Facoltà partivano dall'affermazione che l'istruzione commerciale era ormai pronta per elevarsi alle discipline teorico-scientifiche di grado universitario.

L'istruzione commerciale superiore, considerata al livello di quella classica, doveva far perno sull'insegnamento delle "dottrine economiche e di tutte le scienze che hanno per oggetto l'esame sistematico delle leggi e dei processi del la vita economica".

Far fronte alla nuova situazione, determinata dalla nascita della Bocconi, questa la grande scommessa della nuova fase della vita dell'Università veneziana.

La "duttilità" cafoscarina nella conservazione delle proprie ragioni originarie, si accompagnò con una troppo fiduciosa convinzione nell'aiuto statale.

Poco efficaci, malgrado le intenzioni, si rivelarono le misure interne, miranti a rendere più severa la selezione e più consistente la preparazione linguistica ("è nostro fermo proposito che d'ora innanzi nessuno potr&ag rave; essere licenziato dalla Scuola se non è in caso di farsi intendere nelle lingue straniere e di intenderle facilmente", affermò allora categoricamente Alessandro Pascolato). Più utili ad affrontare la nuova situazione i provvedimenti di legge del 1903 e del 1906, di cui s'è detto, e soprattutto l'approvazione governativa, nel 1909 e nel 1910, del riordinamento organico degli studi proposto dalla Commissione interna composta da Fabio Besta, Luigi Armanni e Tommaso Fornari.

Si trattò di una riforma a piccoli passi, tesa alla trasformazione della Scuola in istituzione universitaria pleno iure, che costò qualcosa in termini di autonomia, allo stesso modo che il nuovo corso scientifico, simboleggiato dalla Bocconi, suonò come una sorta di delegittimazione del carattere originario, "tecnico-pratico", della Scuola veneziana.

La distinzione tra Scuola "regia" e interferenze "governative" suona come una rivendicazione ormai difensiva. Con la legge del 1913 - al culmine della prima stagione di modernizzazione capitalistica del paese e mentre la stessa Venezia si avviava all'integrazione con il capitalismo industriale attraverso i primi provvedimenti attuativi dell'idea di ampliare il porto di Venezia, trasferendo in Terraferma almeno una sua parte, idea dalla quale si svilupperà rapidamente quella radicale di porto Marghera - l'integrazione statale dell'attività universitaria cafoscarina compì ul teriori passi.

Nel 1919, trascorsa la bufera della prima guerra mondiale, che vide Venezia in prima linea dal 1917, tanto che la Scuola si trasferì fino all'anno successivo a Pisa, le Scuole commerciali furono autorizzate per legge a istituire un quarto anno di corso con le risorse del proprio bilancio, nell'intento di avviare la sezione commerciale verso una regolare struttura universitaria (fin dall'inizio, la sezione più importante di Ca' Foscari era di durata triennale).

Il passaggio fu sanzionato nel 1920, mentre nel 1921, aprendo ai laureati in Scienze economiche e commerciali (la denominazione ha inizio in questo momento) le carriere dipendenti dal Ministero degli Affari Esteri, lo Stato tolse valore all'antica sezione consolare, che verrà soppressa dopo il 1935.

C'era stata, nella sfortunata tutela della propria autonoma caratterizzazione originaria, da parte di Ca' Foscari, un po' di spirito conservatore, non troppo all'altezza dei tempi.

Nessun tratto di conservazione ci fu, invece, nella difesa, altrettanto ma più drammaticamente sfortunata, della libera cultura simboleggiata nei primi decenni dello stato unitario da grandi studiosi e da grandi coscienze civili (da Ferrara a Maffeo Pantaleoni), "antichi esponenti del filone liberista che si ricongiungeva poi all'eredità di Carlo Cattaneo", come ha scritto Giovanni Spadolini.

C'è un nome che spicca, nella storia della Ca' Foscari degli anni della conquista fascista del potere, dell'intermezzo verso l'involuzione totalitaria degli anni Trenta, dei brevi anni della fascistizzazione dello Stato verso la seconda guerra mondiale e poi verso la riconquista della libertà in un'Europa distrutta dalle forze del male da essa evocate dalle sue stesse viscere, ed è quello di Gino Luzzatto.

Il grande storico dell'economia era stato chiamato a insegnare a Venezia, la città di sua madre, nel 1922.
Sulla laguna egli trovò la "cittadella del sapere" di cui avrebbe parlato, in un commosso profilo dell'università di cui fu studente, Armando Gavagnin, un oppositore del regime fascista, poi sindaco di Venezia, per breve periodo, alla fine degli anni Cinquanta.

V'erano i professori "anziani", ancora con la finanziera, la cosiddetta velada, le venete baracole, come Pietro Rigobon e lo stesso Luigi Armanni; e i professori "giovani", Gustavo Del Vecchio, Felice Vinci, Gino Zappa, il germanista Adriano Belli, l'anglista Ernesto Cesare Longobardi, che nutriva una speciale predilezione per la poesia e la filosofia di Shelley, altri ancora.

Ha scritto, del Luzzatto professore di quegli anni Venti, Ugo La Malfa, che a Venezia si laureò nel 1926 in scienze "consolari", che egli "aveva insegnato a comprendere e ad amare la ricerca storica, e soprattutto ad avvertire il fascino delle letture e delle meditazioni di storia economica, come premesse per comprendere e interpretare il mondo dei nostri giorni e, soprattutto, tentare di operarvi con azioni di politica economica e sociale.

Le sue lezioni, con le prospettive che aprivano sulle origini del capitalismo, sulle vicende delle prime grandi espansioni commerciali e coloniali, sull'affermazione del liberalismo economico, sulle prime impostazioni socialiste e sulla problematica del Mezzogiorno, costituivano per noi, della giovane generazione, il fondo culturale sul quale una nuova visione dei problemi della società democratica italiana poteva essenzialmente fondarsi".

Se il senso dell'insegnamento sta in ciò che ingenera negli allievi più acuti e sensibili, va detto, dunque, che quello di Luzzatto, come quello di pochi altri suoi colleghi nella Ca' Foscari degli anni difficili del primo fascismo, avviato alla costruzione del regime, serviva direttamente a creare le premesse dell'impegno civile, e che, dunque, era perciò stesso insegnamento "impegnato".

D'altra parte, ciò è dimostrato dal fatto che i Luzzatto e i Longobardi, insieme ad altri amici appartenenti ai circoli socialisti, democratici e repubblicani di Venezia costituirono quel "nucleo di una società nella società, di una impegnata cerchia idealista di intellettuali decisi a mantenere la loro identità nell'atmosfera di conformismo che li premeva e soffocava da ogni parte" di cui ha scritto con finezza Frank Rosengarten, il biografo americano di Silvio Trentin, l'altro professore che, insieme con Luzzatto, simboleggia nel modo più alto, il sapere unito all'etica pubblica nella Ca' Foscari degli anni Venti.

Dal marzo del 1925 Luzzatto era stato nominato Direttore dell'Istituto cafoscarino e ciò rappresentò, insieme alle pubbliche prese di posizione, come la lettera di solidarietà a Salvemini al tempo del suo arresto, e all'attività di pubblicista negli anni tra il 1922 e 1925 appunto, fino al limite della tolleranza del regime liberticida (si pensi alla trasparente denuncia della "mancanza di ogni libertà di discussione" fatta incidentalmente nel contesto di un discorso tecnico sui cambi nella "Critica Sociale" dell'1-15 agosto 1924), il pretesto di cui il fascismo si servì per dare una lezione a quei docenti universitari veneziani troppo fieri, e quella Ca' Foscari troppo viva .

Il 4 novembre 1925 Tito Zaniboni, ex-deputato socialista, fu arrestato sotto l'accusa di aver complottato per assassinare Mussolini. Zaniboni si era lasciato irretire da agenti del controspionaggio fascista, che condussero la polizia al luogo dove eg li si trovava nascosto.

Il governo fascista strumentalizzò immediatamente la scoperta del complotto per intensificare le persecuzioni contro i gruppi d'opposizione.

Cominciarono così le molestie e le minacce per Gino Luzzatto, mentre Trentin e Longobardi furono avvicinati da studenti fascisti nel cortile di Ca' Foscari e minacciati di violente rappresaglie se non si fossero dissociati dal gruppo favorevol e a Luzzatto.

Certo, nell'occhio del ciclone che si stava abbattendo sull'Istituto era principalmente Trentin, e ciò per aver proseguito in Venezia l'attività politica (era stato deputato demosociale dal 1919 al 1921) come esponente dell'Unione nazionale delle forze liberali e democratiche fondata da Giovanni Amendola l'8 novembre 1924 e per aver ancor prima partecipato alle elezioni politiche del 6 aprile 1924 come candidato dei democratici, tenendo comizi di denuncia del "t radimento" borghese del fascismo.

Ma, in quel tardo autunno del 1925, il bersaglio eletto dai fascisti a Ca' Foscari era essenzialmente Luzzatto, il Direttore dell'Istituto. Verso la fine dell'anno le risse a suon di pugni divennero fatti pressoché quotidiani e le autorità fasciste di Venezia, sostenute da tutte le forze cittadine della legge e dell'ordine, cominciarono a chiedere, con crescente animosità, le dimissioni di Luzzatto.

Nello "stato di servizio" di Gino Luzzatto sta scritto ancor oggi che il Direttore si dimise "a decorrere dal 16 novembre 1925" e che "le dimissioni sono state accettate".

In realtà, il 13 novembre una comunicazione del Ministero dell'Economia Nazionale (da cui ancora gli Istituti Superiori di Commercio dipendevano) aveva reso noto che Luzzatto aveva deciso di rassegnare spontaneamente le dimissioni e che il Consiglio di amministrazione di Ca' Foscari doveva essere disciolto e sostituito da "un Regio Commissario di grande autorità, il senatore professor Giordano", già sindaco di Venezia fino al 1923 e commissario governativo fino all'estate 1924, e dallo stesso anno senatore del Regno.

Il 16 novembre, il senatore Adriano Diena, presidente del Consiglio di amministrazione, chiese spiegazioni sul provvedimento del Ministero.
La risposta giunse il 18 novembre: il provvedimento era stato preso "per il bene obiettivo dell'Istituto", che non doveva essere sede di "agitazioni estranee agli studi".

La soluzione del dramma, politico piuttosto che accademico, si ebbe solo il 21 novembre, quando una delegazione dell'Istituto, di cui faceva parte anche Trentin, votò a nome di tutti i docenti una mozione di solidarietà a Luzzatto, ma accettò, insieme, che al suo posto venisse nominato il professor Ferruccio Truffi, ordinario di merceologia.

In una delle sue pagine più riuscite, Gavagnin racconta i retroscena di questa storia veneziana degli "anni fascistissimi", proprio l'epoca in cui egli, correttore di bozze al "Gazzettino" di Gianpietro Talamini, si era iscritto a Ca' Foscari per conseguire la laurea in economia e commercio.

Nella ricostruzione dell'antifascista veneziano, la vicenda che portò alle "dimissioni" di Luzzatto ( e all'esilio francese di Trentin, alla fine di gennaio del 1926) assume una dimensione drammatica, ma soffusa anch'essa di ironia, e rivela uno spessore non indifferente.

L'autore eccellente del "colpo", Italo Balbo, viene definito "gongolante"; Gino Luzzatto, insigne storico dell'economia, viene descritto mentre apprende soltanto al suo arrivo a Venezia di ... essersi dimesso.

Una storia fascista, con tutti gli ingredienti tipici della tracotanza di quel regime per molti aspetti di cartapesta, che lasciò, peraltro, un segno indelebile in un'Italia fortemente debilitata sul piano civile, ma in cui ancora resistevano isole di sapere e di dignità come quella "bella scuola di Ca' Foscari, intima e gioiosa, forse un po' trasandata, con una bella facciata sulla svolta del Canal Grande".

Tra 1923 e 1935, tra riforma Gentile e riforma De Vecchi, tra liberalismo ormai autoritario e fascismo ormai totalitario, l'istruzione superiore italiana subì una trasformazione pressoché integrale.
Per ciò che riguarda la Scuola veneziana, va ricordato che, dopo il raggruppamento degli otto istituti superiori commerciali italiani (più le libere università commerciali) nel regolamento del 1925, si verificò nel 1928 il passaggio di Ca' Foscari alle di pendenze del Ministero dell'Educazione Nazionale (l'attuale Ministero della Pubblica Istruzione, da cui si è staccata nel 1989 la parte universitaria per andare a costituire il Ministero dell'Università e della Ricerca Scienti fica e Tecnologica).

Nel 1935, la Scuola veneziana passò tra le Università statali, pur conservando - unica tra le vecchieScuole di commercio - titolo e forma di indipendenza.

Si trattò, come ha scritto Tagliaferri, della sanzione di una "lunga e affannosa corsa con la burocrazia durata più di un trentennio", alla fine della quale Ca' Foscari ottenne la parificazione giuridica con le Università di Stato, ma vide sparire le ultime tracce della sua antica autonomia, con la perdita di ogni funzione sostanziale dei suoi enti fondatori.

La "lunga notte" del fascismo terminò per Ca' Foscari con la rielezione a rettore dell'istituto, il 6 luglio 1945, di Gino Luzzatto, allontanato dall'insegnamento perché ebreo sette anni prima.

Il senso che Luzzatto volle dare, al ritorno della libertà, e a quello suo, nell'Università che lo aveva cacciato, sta, quasi una lezione morale, nelle relazioni che tenne per l'inaugurazione degli anni accademici 1945-46, 1946-47 , 1947-48.

Per anni, l'inaugurazione tradizionale aveva taciuto: nel novembre del 1941 e in quello del 1942 essa era stata sostituita da un una cerimonia militare con consegna di lauree ad honorem alla memoria degli studenti caduti

Il 10 novembre 1945, parlando con la sobrietà di espressioni che gli era propria, Luzzatto seppe comunicare il vero significato di tutto quello che era accaduto, inaugurando il primo anno accademico dell'Italia libera, rimanendo fedele alla sua indole di storico e di democratico.

Cominciò, Luzzatto, giustificandosi: non poteva, disse, conferire lauree ad honorem a studenti caduti, come era stato fatto nel 1941 e nel 1942, perché dall'8 settembre 1943 le cose erano cambiate al punto che non si poteva fare come se nulla fosse accaduto.

Agli studenti "caduti in guerra" che si erano potuti commemorare nelle due occasioni accennate si aggiungevano ora gli studenti "caduti per causa della guerra" e quelli "morti nelle lotte combattutesi in alta Italia nel periodo dell'occupazione tedesca oppure nei campi di concentramento in Germania".

Si sarebbe trattato di un elenco troppo lungo, ancora incompleto, da pubblicare più avanti, "a tempo migliore": ma "soprattutto - disse Luzzatto, alzando il tono del discorso - mi ha indotto a questo silenzio doloroso una considerazione assai più grave. Per venti mesi, dal settembre 1943 all'aprile 1945, l'Italia settentrionale è vissuta in un clima di guerra civile, che purtroppo è andata facendosi di mese in mese più atroce. A pochi mesi di distanza dalla fine di questa guerra, mentre molte ferite sono ancora aperte e gli odi non sono ancora sopiti, il porre assieme, sopra una stessa linea, caduti dell'una e dell';altra parte, suonerebbe offesa alla memoria di chi si è immolato per la causa della libertà ed ai sopravvissuti che sono ancora doloranti per le vessazioni e le torture subite". Meglio, dunque, limitarsi a ricordare i nomi degli studenti caduti nella guerra partigiana.

Meglio ricordare i docenti scomparsi tra il 1942 e 1945, e, tra essi, dedicare particolare segnalazione, oltreché a Silvio Trentin, a Ernesto Cesare Longobardi e Olga Secretant Blumenthal, lettrice di tedesco, deportata a settant'anni e morta prima che il viaggio verso la notte, decretata per motivi razziali, si compisse.

Non era facile, allora, questa superiore compostezza nel distinguere nettamente le due posizioni, quella di chi era stato coi fascisti e quella di chi era stato coi partigiani, nella guerra civile, e soprattutto nell'attribuire ad esse il dovuto significato, rinunciando tuttavia a commemorare prima, da soli, i meriti della parte che aveva lottato per la libertà, salvo il ricordarli, ma senza più quelle lauree ad honorem degli anni di guerra che potevano essere conferite senza distinguere tra i morti.

Davvero sarebbe stato difficile, e neppur giusto, dimenticare. Né Luzzatto lo fece, ma si sente, si capisce che, per lui, quanto prima fosse stato possibile ricomporre, pur nella lucida e netta visione delle cose accadute, uno spirito di pace, tanto meglio sarebbe stato, per tutti.
Un anno dopo, inaugurando 1'11 novembre 1946 il secondo anno accademico successivo alla liberazione, Luzzatto propose, infatti, una visione più composta, meno drammatica, della sua Ca' Foscari, riavviata ad essere strumento prezioso di ricerca scientifica e capace "di affrontare serenamente, forte anche della sua tradizione e del fascino di Venezia, ogni concorrente, senza deviare in alcun modo dalla sua vecchia strada per cui essa mira più alla qualità che alla quantità;".

Si sente, in tutto ciò, un gran desiderio di poter dire: heri dicebamus, e, insieme, una gran consapevolezza che ciò non sarebbe stato possibile senza una misura e una nobiltà che non potevano essere di tutti.

A Luzzatto successe come rettore, nel 1953, quell'Italo Siciliano che può considerarsi il secondo fondatore "culturale" dell'Università veneziana dopo Ferrara.

Italo Siciliano fu "una specie di don Chisciotte che andava cercando piaghe e busse", come lui stesso volle definirsi, destinato per diciott'anni, fino ai limiti dell'età accademica, a trasformare l'Istituto, a battersi non soltanto perchè Ca' Foscari divenisse istituzionalmente Università degli Studi, ma anche perché ad essa fosse riconosciuta quella piena cittadinanza veneziana che nella sua fase "preistorica" non era stata in dubbio, ma che le trasformazioni in atto dopo la fondazione di Porto Marghera nei primi anni Venti e l'avvio della "grande Venezia" di ispirazione volpiana, poi affidata alle forze politiche uscite dalla Resistenza e ormai accreditatesi come espressione di democrazia cattolica e sociale, ponevano su un piano alquanto diverso. Se, infatti, Ferrara fu il primo fondatore "culturale" di Ca' Foscari, quello della giovinezza della scuola, Siciliano fu quello della sua maturità.

E non è senza significato che sia stato uno studioso di letteratura francese - Siciliano, appunto - a imprimere alla vecchia Scuola "sobria e pudica", una spinta decisa ad essere competitiva, sul piano scientifico e culturale, e dunque anche su quello della varietà dell'offerta didattica, rispetto a Padova e in genere agli altri istituti universitari in senso pieno.

La Ca' Foscari ereditata da Siciliano era stata resa più snella dalla riforma del 1935: accanto alla Facoltà di Scienze economiche e commerciali, nata appunto allora come tale, il "magistero" di lingue aveva guadagnato in livello, potendovi accedere solo i diplomati degli istituti magistrali e non più quelli degli istituti tecnici.

Nel dopoguerra, il corso di laurea in lingue divenne, poi, Facoltà, e ciò accadde proprio nel 1954, primo anno "solare" del Rettore Siciliano (il titolo, diverso da quello precedente di Direttore, aveva cominciato a spettare ai capi cafoscarini nel 1934).

La storia dell'azione avviata dal nuovo rettore dal 1962 in poi per ottenere per Ca' Foscari il titolo di Università degli Studi sarebbe degna di un romanzo.

Basti dire che ci vollero sei anni perché Ministero e Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione superassero la convinzione che "un'Università a Venezia contrasta con la storia della città e delle sue tradizioni 48;.

Proprio così, questa era la percezione che a Roma si aveva del problema di Venezia destinata - di lì a poco, nel novembre 1966 - al rischio mortale che avrebbe arrestato, ma non definitivamente, né immediatamente, l'evoluzione in senso industriale e portuale-industriale della "grande Venezia" e indicato, proprio nella vocazione culturale, il miglior destino possibile della città lagunare.

E, tuttavia, la forza delle cose, la determinazione degli uomini, l'avvio della modernizzazione del paese, un felice connubio tra forze politiche consentì che nel 1968 nascesse finalmente l'Università degli Studi di Venezia e che nel 1969 venissero istituite due nuove Facoltà, quella di Lettere e filosofia e quella di Chimica industriale.

A partire, dunque, dalla fine degli anni Sessanta, Ca' Foscari - e con essa l'Istituto Universitario di Architettura, nato nel 1926 - avviano, per crescita istituzionale e di peso culturale e scientifico (nel 1964 nasce, dopo un breve periodo di ibernazione parlamentare, il Corso di Laurea in Lingue e letterature orientali, e con esso iniziano gli insegnamenti di arabo, cinese, giapponese, ebraico, indi, turco, iranico, lingue in parte presenti fin dalle origini a Ca' Foscari; nel 1971 nascerà il Corso di laurea in Economia aziendale) un processo di sviluppo che porta la presenza universitaria a Venezia a una dimensione ragguardevole e a una molteplicità di valenze scientifiche e culturali: l'affiancamento al corso di laurea in Lingue e letterature occidentali del corso "orientalistico " diventa il tramite per il rannodarsi dei rapporti culturali di Venezia con il vicino e l'estremo Oriente nel momento in cui i paesi orientali riacquistano centralità sulla scena mondiale; accanto al corso di laurea in Economia e commercio prende vita il corso di laurea "aziendalistico", immediatamente chiamato a rispondere alle esigenze di crescita di piccole e medie imprese del Triveneto; i corsi di laurea in Lettere e in Filosofia e, ultimo ma certo non meno importante, dal 1979-80, quello in Storia, creano le basi per un rapporto diretto con l'immenso patrimonio storico-culturale della città; il Corso di laurea in Chimica industriale, oltre a fornire una qualificata competenza tecnico-scientifica a un rilevante settore produttivo dell'entroterra veneziano, orienta sempre più la sua attenzione alla problematica ambientale e in particolare ai problemi del disinquinamento; l'Istituto Universitario di Architettura, consolidata la propria importanza nazionale e internazionale, avvia, per primo in Italia, un corso di laurea in Pianificazione territoriale e urbanistica che tende a dare una risposta, fondata su ampi apporti interdisciplinari, alla domanda di riorganizzazione del territorio.

Tutta questa crescita organizzativa e strutturale è, in qualche modo, il frutto di una lunga rincorsa di Ca' Foscari, quella che portò alla trasformazione della vecchia Scuola di commercio in Università degli Studi secondo una lungimirante logica di abbinamento di due principi resi tra di loro complementari: la continuità con la ragion d'essere originaria e la modernizzazione scientifica e culturale.

Si può ben parlare di una terza fase dell'ormai secolare vicenda storica cafoscarina, la cui venticinquennale durata porta l'istituzione voluta da Luigi Luzzatti nel 1868 fin dentro gli anni Novanta.

Si è trattato di una stagione non priva di discontinuità e di inquietudine, segnata com'è dalla difficile riformabilità degli atenei italiani, sfuggiti ad un disegno razionale di rinnovamento e percorsi, all'inizio de gli anni Settanta, dai fremiti di una contestazione che non trovò, come altrove in Europa e nel mondo, una classe dirigente determinata e presbite.

Ciò che preservò Ca' Foscari, colta oltrettutto dal Sessantotto - in laguna, manifestatosi con qualche ritardo - nel pieno del mutamento istituzionale così fortemente voluto da Siciliano, fu la fedeltà alle origini dei suoi docenti, e degli stessi studenti della fase acuta del mutamento.

Pur profondamente toccata dal ricambio generazionale, la docenza cafoscarina tenne fermi i caratteri di serietà e di selettività che corrispondevano ai criteri della "buona scelta dei docenti", del loro "alto valore scientifico", della loro "totale dedizione alla scuola", richiamati da Gino Luzzatto all'inaugurazione dell'anno accademico 1946-1947. "

Questo tema del rigore - è scritto nel piccolo, prezioso libro che contiene le tre relazioni luzzattiane del primo dopoguerra, pubblicato nel 1995 da Ca' Foscari per ricordare "il rettore della difficile transizione verso una democrazia di uomini liberi" - non è elemento di frattura e di contrapposizione tra professori e studenti, ma di coesione e di armonia, nella comune tutela dell'Istituto e degli studi".

Tra anni Sessanta e anni Settanta, parve spesso, anche a Ca' Foscari, che "questo rigore" potesse venir meno.
Ma la consapevolezza, comune a tutti, professori, studenti, funzionari, operatori tecnici e amministrativi, che l'abbandonarlo avrebbe esposto anche Ca' Foscari all'omologazione livellatrice, consentì alla nuova Università degli Studi di uscire felicemente dai momenti difficili, intatta nei suoi elementi di specificità tradizionale e aperta alle nuove correnti del sapere e dell'insegnamento.

Veri capiscuola aprirono percorsi di ricerca che appaiono, nella prospettiva storica, fortemente indicativi di ciò che Ca' Foscari era, e sarebbe stata in seguito, da Ladislao Mittner a Piero Treves, da Mario Volpato a Giulio La Volpe, da Michelangelo Merlin a Maria Nallino e a Pasquale Saraceno. Vasti settori di indagine e di affinamento professionale furono ulteriormente arricchiti.

Si può dire che, una ventina d'anni fa, s'era già profilata la Ca' Foscari d'oggi, compatta ed articolata matassa di filamenti scientifici a veder bene complementari, dagli studi economici a quelli filosofici, nelle loro svariate accezioni, dalla storia alle letterature, dall'informatica all'ambiente, dalle discipline artistiche a quelle linguistiche, dalle civiltà dell'Occidente a quelle dell'Oriente.

E proprio una ventina di anni fa si pose, in modo ancora embrionale, ma già visibile, il problema di un più organico rapporto tra l'Università e la città.

Le difficoltà che dimostrò la classe politica cittadina di intendere la novità rappresentata dalle trasformazioni maturate dall'Università - dai due Atenei, ma soprattutto da Ca' Foscari - si rivelarono subito di natu ra culturale.

Non si tratta di semplice distacco della società civile e, soprattutto, di quella politica (che in vari modi influenza la prima) della città, dall'istituzione universitaria, quanto di radicale incomprensione, appunto, culturale - e, dunque, anche delle persone di cultura, persino accademica - della valenza positiva dello sviluppo universitario nella città storica e anche nella parte di terraferma del comune e del territorio veneziano.

Alcuni fatti esteriori - il debordare dell'Ateneo dai contenitori storici di Ca' Foscari e dei Tolentini, fenomeno già determinatosi, per forza stessa delle cose, a metà degli anni Cinquanta, e la presenza numerosa di studenti universitari a Venezia, erroneamente indicata come concausa determinante dell'acuirsi del problema della residenza nella città storica - vengono spesso assunti a simbolo di una politica universitaria nemica della città quasi quanto la monoc ultura turistica.

L'intellettualità soprattutto progressista si lascia fuorviare ancora una volta dal vecchio pregiudizio produttivistico per cui la cultura non è fattore di investimento, è oggetto e non fattore di produzione.

Naturalmente, la diffusione nel tessuto cittadino, soprattutto nelle sue componenti più politicizzate, di una filosofia tanto rozza è ispirata alla stessa avversione verso l'idea di Venezia "città degli studi", sulla quale quei medesimi ambienti intellettuali si ricrederanno soltanto nei tardi anni Ottanta, e mai completamente.

Tutto ciò comporta che la nuova fase della storia dell'Università italiana - quella avviata dai "provvedimenti urgenti" nel 1973 e che avrà il suo culmine, prima con le normative sulla docenza degli anni 1979 e 1980 e con l'introduzione dei piani di sviluppo intesi come tavole di programmazione pluriennale, e poi con la legislazione, di riordino della didattica, e di sia pur contradditoria autonomia, di Antonio Ruberti, primo titolare del nuovo Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica - e di quella veneziana in particolare, venga affrontata con una cittàufficiale fino alla metà degli anni Ottanta restia a rovesciare gli indirizzi più conservatori.

Nonostante ciò, gli anni Settanta e Ottanta vedono uno straordinario sviluppo della presenza fisica dell'università a Venezia: sono gli anni dell'acquisizione, a vari titoli, di Ca' Bembo, di Ca' Bernardo, di Ca' Garzoni, della Celestia, di San Sebastiano, dell'ex Cotonificio di Santa Marta, di Ca'Foscarini della Frescada poi Bottacin, tutti edifici, spesso monumentali, che si aggiungono a quelli storici e a quelli entrati nell'uso universitario nei meno recenti anni Cinquanta e Sessanta, dalla costruzione dell'ala nuova verso il campiello degli Squelini a Ca' Dolfin alla seconda parte di Ca' Giustinian de' Vescovi, da Ca' Cappello a Palazzo Bernardo fino a Calle dei Guardiani.

Ad essi si aggiungeranno Ca' Nani Mocenigo e Ca' Gritti, gli ex cinema Italia e Santa Margherita, nonché diversi altri edifici: Dalla Zorza, Fondamenta Briati, S. Nicolò dei Mendicoli, Palazzo Querini, Palazzo Zorzi Liassidi.

Questo diffondersi dell'Università (soprattutto di Ca' Foscari) nella città storica (e oltre) avviene per impulso di un ceto universitario che, a partire dal rettorato di Feliciano Benvenuti (1974-1983), si ispira sempre più alla filosofia dell'"assoluta necessità che il legame tra Università e Città diventi operante e continuo, come rapporto costruttivo tra una collettività insediata in un ambito oggetto di dibattito mondiale, ed una parte di essa" e della volontà di "impostare la politica di ristrutturazione e di sviluppo edilizio nel rispetto dei seguenti principi: non essere concausa dello stravolgimento, già in atto, del tessuto sociale del centro d i Venezia, e comunque fattore di esodo verso altre ubicazioni abitative; non sottrarre aree in quanto possano essere destinate utilmente ad altri usi di prevalente carattere pubblico o ad attività produttive".

Verso la metà degli anni Ottanta, mentre Giovanni Castellani succedeva a Feliciano Benvenuti, questo stato di rapporti difficili, per non dire di estraneità ispirata da una cattiva cultura, tra la Venezia civile e delle istituzioni e quella della ricerca e della didattica universitarie, cominciava a modificarsi.

Nel 1986, la giunta comunale garantiva a Ca' Foscari l'area di San Giobbe, di proprietà del Comune, come ambito di grandi dimensioni per la ricomposizione e migliore articolazione delle localizzazioni estesesi a macchia d'olio negli ultimi anni, e ormai anguste, mentre si andava ponendo l'ipotesi di un possibile insediamento anche in terraferma, nella zona dell'ex Macello mestrino, lungo l'"asta" storica del Canal Salso, di porzioni qualificate di atti vità universitarie.

Negli anni successivi, un vero balletto di altre ipotesi sembrava riproporre le stucchevoli discussioni degli anni Settanta, e ciò proprio nel momento in cui l'Università aveva ottenuto dalle leggi di programmazione universitaria dello Stato (Piano quadriennale 1986-90) il Corso di laurea in Scienze ambientali e quello in Scienzedell'informazione, era riuscita ad avviare in terraferma l'attività della Scuola di economia del turismo, ora Diploma Universitario, a Villa Mocenigo a Oriago di Mira, insediava a Marghera il Centro interfacoltà per la ricerca educativa e didattica, concordava con tutte le Università del Veneto la richiesta di ottenere con il Piano triennale 1991-93 la Facoltà di Conservazio ne dei beni culturali (senza contare l'ipotesi, di una Facoltà di Ingegneria dei materiali da far crescere a Mestre, in collaborazione con l'Istituto di Architettura e con il mondo produttivo), richiesta soltanto in parte accolta.

Infatti, la Facoltà di Lettere si vide assegnare un Corso di Laurea in Conservazione dei beni culturali, ormai funzionante, mentre ad Architettura ne fu attivato uno in Storia e conservazione dei beni architettonici e ambientali.

I Diplomi universitari aggiuntisi, all'inizio degli anni Novanta, ai corsi di laurea, come frutto di un sia pur tardivo adeguamento dell'ordinamento didattico nazionale a quello degli atenei europei e, in genere, del mondo industrializzato si accrescono e si differenziano anche a Venezia: oltre a Economia e gestione dei servizi turistici, quello in Servizio sociale (la "vecchia" Scuola per assistenti sociali) e quelli della sede staccata di Treviso, Commercio estero, Statistica e informatica per la gestione delle imprese, Traduttori e interpreti.

La cosiddetta "rivoluzione finanziaria" della fine del 1993, che ha comportato una certa dose di autonomia universitaria anche sul piano progettuale, fa sì che, indipendentemente dai Piani triennali approvati o da avviare (è il caso di quello 1994-96, che fatica a decollare), Ca' Foscari possa presto andare oltre le previsione delle leggi dello stato.

Resta da dire dei Centri, interfacoltà, interdipartimentali e interuniversitari, a partire da quelli "storici" di Calcolo e Linguistico, e dei Master.

Questi ultimi, a cominciare da quelli in Comunicazione d'azienda e in Economia e gestione dei servizi turistici, sono sostenuti, mediante convenzioni, da soggetti economici e istituzionali esterni all'Università.

Un terreno, quest'ultimo, su cui Ca' Foscari intende continuare ad inoltrarsi, grazie anche al nuovo Statuto, entrato in vigore nella primavera del 1995, e che costituisce, ormai, la carta fondamentale della gestione e dello sviluppo di Ca' Foscari.

Naturalmente, l'espansione cafoscarina degli ultimi anni Ottanta non sarebbe stata possibile senza la coraggiosa opzione per la terraferma.

Emblema di essa, all'inizio degli anni Novanta, l'attivazione del Corso di laurea in Scienze dell'informazione in Via Torino, a Mestre.

La dislocazione non casuale, ma secondo assi storici, modi sedi di didattica e di ricerca di Ca' Foscari fuori della città storica obbedisce, in ogni caso, ad una visione equilibrata, di dimensione almeno regionale, della diffusione di sedi universitarie, ancorata, a sua volta, a concentrazioni di risorse intellettuali, scientifiche e tecnologiche nascenti sul territorio veneziano.

Alla stessa filosofia appartengono, insieme, i progetti di razionalizzazione della presenza di Ca' Foscari, e dell'Istituto Universitario di Architettura, nella città storica, per dare maggior forza ai fattori positivi e togliere spazio a quelli avvertiti come pericolosi per l'identità popolare veneziana, e gli episodi di contributo alla manutenzione e al restauro delle sedi monumentali via via passate nel patrimonio universitario.

E non è senza significato che, quasi vent'anni dopo l'inaugurazione dell'Aula Magna intitolata a Silvio Trentin nel settecentesco palazzo Secco-Dolfin, Ca' Foscari offra, dal 1995, alla città, come Auditorium di gran decoro, la chiesa di Santa Margherita, costruita nella seconda metà del Seicento e sconsacrata nel 1879.

Gli anni Novanta scorrono, dunque, per ciò che riguarda le relazioni con le istituzioni della città, all'insegna di un moderato ottimismo, dato che il Comune si è persuaso ad assumere verso Ca' Foscari l'atteggiamento che fu della classe dirigente veneziana dei Luzzatti e dei Deodati nei tardi anni Sessanta del XIX secolo. Il fatto è che, come ha scritto Maurizio Rispoli, l'Università a Venezia, con i suoi trentamila studenti - più della metà dei quali a Ca' Foscari - é una delle "aziende più vive e vitali di Venezia". Basta, del resto, scorrere le relazioni scritte dai rettori dagli anni Settanta ad oggi, da Siciliano a Candida, da Benvenuti a Castellani a Costa, per comprendere che l'Università degli Studi di Venezia, come del resto la maggior parte degli atenei italiani, sia ormai al centro di relazioni con enti di ricerca e di istruzione nazionali e internazionali, tali da rendere preliminarmente necessario un altro tipo di rapporto con la città e il territorio, inteso come entità molto più articolata e complessa, economicamente e socialmente, che non dica la sua semplice accezione fisica.

Si pone, insomma, per l'Università a Venezia il problema d'essere funzione diretta della vita della città che la ospita. E certamente vanno in questa direzione il fondamentale apporto cafoscarino al Parco Scientifico e Tecnologico di Venezia, e la costituzione della Venice International University, nell'isola di S. Servolo. Centro internazionale di istruzione superiore e di ricerc a, la Venice International University ha visto, tra gli enti promotori, oltre a importanti atenei di vari paesi, le due Università lagunari, e quella stessa Amministrazione provinciale di Venezia che fu, nel 1868, tra i sostenitori della Scuola Superiore di Commercio.

Un auspicio singolarmente buono.
Sulle tracce di appunti - vecchi ormai di più di un quarto di secolo e pur straordinariamente attuali - di Wladimiro Dorigo sul "futuro assetto della vita culturale" come problema di Venezia, trovano, dunque, conferma le parole di un eminente veneziano del Novecento, Carlo Ottolenghi che, da presidente della Fondazione Scientifica Querini Stampalia, ebbe a scrivere che "in una Venezia che sempre aspira a mantenere vivo il proprio ruolo internazionale di luogo deputato agli studi una proficua sinergia tra le tante istituzioni operanti in città ci garantisce quella funzione di produttori di cultura senza la quale le tradizioni veneziane più belle sono destinate a divenire vacuo scenario per l'esibizione di risultati conseguiti in luoghi e modi del tutto estranei alla vita della città".

 

 


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