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L'evoluzione del
sistema universitario italiano è stata segnata da una serie di riforme cruciali,
ciascuna delle quali ha riflettuto i cambiamenti socio-politici e culturali del
paese. In questo articolo, esploreremo le tappe principali di questa evoluzione,
dalle origini medievali alle riforme contemporanee.
Un po' di
storia
Le Origini Medievali e il
Rinascimento
Le università in Italia hanno radici profonde, con istituzioni come l'Università
di Bologna, fondata nel 1088, che è considerata la più antica università del
mondo occidentale. Durante il Medioevo e il Rinascimento, queste istituzioni
erano autonome, con un forte focus su discipline come teologia, diritto,
medicina e arti liberali.
Il Periodo Napoleonico e l'Unità d'Italia
La fine del XVIII e l'inizio del XIX
secolo videro l'influenza della Francia napoleonica, che introdusse un modello
più centralizzato e statalizzato di istruzione superiore. Dopo l'Unità d'Italia
nel 1861, ci fu un tentativo di standardizzare e modernizzare le università in
tutto il paese, sebbene le risorse fossero limitate e la partecipazione
studentesca relativamente bassa.
Il Ventennio Fascista
Durante il regime fascista, le
università italiane furono soggette a un controllo statale più rigoroso. Fu
introdotta una riforma nel 1933 (Riforma Bottai) che riorganizzò le facoltà e
promosse ideali fascisti all'interno dell'istruzione superiore.
Il Secondo Dopoguerra e la Riforma del 1969
Nel secondo dopoguerra, l'Italia
vide un significativo aumento della domanda di istruzione superiore, portando
alla riforma del 1969, conosciuta come "Riforma Gui". Questa riforma
democratizzò l'accesso all'istruzione superiore, ampliò l'offerta formativa e
introdusse il sistema dei crediti universitari.
La Riforma del 3+2 e la Dichiarazione di Bologna
Un cambiamento fondamentale avvenne
con la riforma universitaria del 1999, che introdusse il modello 3+2
(laurea triennale seguita da una laurea magistrale di due anni) in linea con la
Dichiarazione di Bologna. Questo modello ha avuto l'obiettivo di armonizzare i
sistemi di istruzione superiore europei e facilitare la mobilità degli studenti.
Riforme Recenti e Sfide Contemporanee
Le riforme più recenti, come la
riforma Gelmini del 2010, hanno cercato di migliorare la qualità e l'efficienza
del sistema universitario, con un focus su merito, ricerca e
internazionalizzazione. Tuttavia, queste riforme hanno anche sollevato questioni
riguardanti il finanziamento, l'accessibilità e la valorizzazione della ricerca.
RIFORMA DELL'UNIVERSITÀ DEL 2004
Gli studi universitari italiani erano già stati
profondamente modificati con la riforma del 1999 con la quale è stata inserita
la divisione in laurea di primo livello e secondo livello. La riforma universitaria entrata in vigore con
il decreto 270/2004 ha previsto la riorganizzazione accademica. È
iniziata nell’anno accademico 2008-2009. In sintesi, si sono previsti due
tipologie di cicli formativi: la laurea (prima chiamata
triennale), e la laurea magistrale
(prima chiamata specialistica) che dura due anni (dopo la prima). Alcuni
corsi di laurea hanno un ciclo unico. Per la formazione post laurea sono
previsti master universitari di primo e secondo livello della durata di 1
anno. Si possono iscrivere ai master di primo livello coloro che hanno
conseguito il titolo di laurea triennale; possono iscriversi ai master di
secondo livello coloro che hanno conseguito il titolo di laurea magistrale. Il
dottorato di ricerca triennale (dopo il conseguimento della laurea magistrale).
Inoltre per alcune professioni quali medico, avvocato, insegnante, etc.,
l’abilitazione sarà conseguita frequentando, dopo la laurea di primo livello o
magistrale, le scuole di specializzazione o praticantati, della durata di
1 e/o 2 anni e superando quindi l’esame di stato.
Resta il concetto di credito formativo,
introdotto con la riforma universitaria precedente. Il voto è ancora espresso in
trentesimi, con 18 come votazione minima. Le regole per il superamento degli
esami vengono stabilite da ogni ateneo. Al termine della laure di primo livello
è obbligatorio sostenere una prova finale, decisa autonomamente da ogni Ateneo.
Al termine della laurea magistrale è necessario predisporre la tesi di laurea e
presentarla alla commissione. Il punteggio minimo per il superamento dell’esame
è di 66 punti, mentre quello massimo è di 110 punti con eventuale lode.
Lo studente delle superiori può scegliere qualsiasi corso di laure, indipendente
dalla scuola di provenienza ma, se l’università verifica qualche lacuna, queste
saranno espresse in debiti formativi e dovranno essere recuperati entro il primo
anno.
Vale ancora il concetto di classe di laurea, introdotta con la riforma del ’99.
Con il Decreto-legge 180/2008 "Disposizioni urgenti per il diritto allo
studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e
della ricerca" e s.m.i. sono state introdotte importanti novità in merito alla
trasparenza dei concorsi, al reclutamento dei professori e dei ricercatori, alle
borse di studio per gli studenti più meritevoli. Interessanti approfondimenti in
merito possono essere consultati nel documento predisposto dal MIUR. Nel 2008
inoltre è stato realizzato un documento
Linee guida che illustra le principali novità della riforma.
Nel 2010, è stata poi promulgata dal Presidente della Repubblica la legge 30
dicembre 2010 recante “Norme in materia di organizzazione delle università, di
personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la
qualità e l’efficienza del sistema universitario?. Queste modifiche (la famosa
Legge Gelmini) sono state oggetto di scontro nel mondo universitario.
RIFORMA GELMINI DELL'UNIVERSITÀ
Le università italiane dovranno, secondo il decreto
Gelmini, dotasi di norme contro il conflitto di interessi e di codici etici
(questo in teoria parrebbe positivo ma non lo è, come vedremo). Le Università
subiranno accorpamenti con università limitrofe, diminuzione del numero dei
corsi di laurea e notevoli cambiamenti per quanto riguarda la composizione del
Consiglio di amministrazione di ateneo, lo stato giuridico dei docenti e le
abilitazioni per l’insegnamento universitario.
Nei Consigli di Amministrazione siederanno 2 o
3 soggetti esterni all'università (rappresentanti di aziende, enti locali,
politici) che potranno influire sulle scelte didattiche, di ricerca e
sull'entità delle tasse universitarie. Si completa il modello di privatizzazione
previsto dalla Legge 133. Il Consiglio di Amministrazione diventa l’unico
organo con tutti i poteri decisionali sul bilancio, la programmazione didattica,
l’apertura e la chiusura dei corsi di laurea. Il Senato Accademico
(organo di autogoverno) viene privato dei suoi poteri, assumendo un mero ruolo
consultivo, anche sulla didattica e sulla ricerca. I Rettori (ai quali viene
prorogato il mandato) vedono aumentare i loro poteri e potranno appartenere ad
un ateneo diverso da quello nel quale svolgono il loro incarico.
Nel disegno di legge è contenuta una delega "praticamente in bianco" al Governo
per la riforma del sistema del diritto allo studio. Viene istituito il Fondo per
il merito per assegnare premi e buoni studio da restituire (cioè prestiti) agli
studenti meritevoli.
LA RIFORMA UNIVERSITARIA IN
ITALIA NEL 1999
Col
decreto del 3 novembre 1999, n. 509 l’Università italiana cambia
definitivamente veste. Sicuramente l’aspetto più innovativo del nuovo sistema
universitario è il carattere di sequenzialità dei due cicli di studio
(laurea triennale e laurea specialistica). Il primo ciclo di laurea, con
durata triennale, mira a fornire una formazione generale di base, in vista di un
eventuale proseguimento degli studi ma anche una preparazione specifica e
professionale, immediatamente spendibile e funzionale all’accesso nel mondo del
lavoro. Il conseguimento della laurea cosiddetta di primo livello permette di
accedere a:
• attività lavorative, ad eccezione di quelle che richiedono necessariamente un
ulteriore approfondimento e specializzazione
• corsi di laurea specialistica (anche in ambiti diversi da quello in cui si è
conseguito il titolo in precedenza)
• master di primo livello
La laurea specialistica invece ha durata biennale, offre una elevata
qualificazione in ambiti specifici, permette di approfondire conoscenze e
competenze fino a quel momento acquisite. A tale percorso formativo vi si può
accedere anche dopo aver affrontato e provato un’esperienza lavorativa. Infatti,
anche a distanza di anni si possono integrare gli anni della formazione
triennale con l’iscrizione ad un corso specialistico, ed in tal caso la propria
esperienza lavorativa verrà valutata in crediti.
I crediti formativi
Una delle novità della riforma sono i crediti formativi universitari. Si
tratta di una unità di misura del lavoro richiesto a uno studente per apprendere
quanto previsto dal corso di studi. In pratica il sistema prevede di assegnare a
ogni insegnamento un punteggio stabilito in base all’impegno necessario per
superare i corrispondenti esami scritti e orali, per svolgere stages, per
scrivere tesine ecc. Ogni credito corrisponde, cioè alle ore che si ritiene lo
studente debba spendere in università e individualmente per superare l’esame (1
credito equivale a 25 ore di lavoro).
La quantità media di lavoro svolto da uno studente in un anno accademico è
convenzionalmente fissata in 60 crediti (quindi, per acquisire la laurea
di primo grado ci vorranno 180 crediti e per raggiungere la specializzazione
ulteriori 120).
Per essere più chiari, se un esame vale 4 crediti, significa che, tra le ore
spese a lezione e lo studio svolto a casa, allo studente medio è richiesto un
impegno totale di 4 per 25 =100 ore di lavoro per superare l’esame. Superando
l’esame lo studente in questo caso acquisisce 4 crediti.
Il voto continua ad esistere e consente di specificare la qualità
dell’insegnamento. La valutazione dell’esame è sempre espressa in trentesimi
infatti il credito non valuta il profitto. Tuttavia il superamento dell’esame fa
acquisire il numero totale dei crediti indipendentemente dal voto ricevuto.
Le classi di laurea
Altra novità della riforma sono le classi. Le classi costituiscono dei
‘contenitori’ di corsi universitari (di laurea e di laurea specialistica) e
danno precise informazioni sugli obiettivi formativi qualificanti, sulle
attività formative indispensabili e sul numero di crediti da assegnare a
ciascuna di esse.
Lo studente in procinto di iscriversi all’Università deve sapere che la scelta
della classe di laurea verso cui orientarsi non è la sola che deve fare:
all’interno dello stesso corso di laurea è possibile seguire percorsi di studio
differenti grazie alla libertà dello studente di individuare gli insegnamenti
più coerenti con i propri interessi e con le proprie prospettive occupazionali.
I diritti dello studente lavoratore
Lavorate già, ma avete voglia di riprendere gli studi oppure state ancora
studiando ma desiderate anche lavorare? Come conciliare i due impegni?
In Italia ogni lavoratore studente ha la possibilità di fruire di interessanti
agevolazioni che gli consentono di frequentare corsi e di avere a disposizione
del tempo per preparare gli esami.
Allora occhio che:
• Tutti i lavoratori, se iscritti a regolari corsi di istruzione primaria,
secondaria e di qualificazione professionale, hanno diritto a non essere
inseriti in turni di lavoro straordinario o durante i riposi settimanali
• Lo studente lavoratore ha a disposizione un monte ore di 150 di permessi
retribuiti in tre anni per frequentare corsi e lezioni (le modalità sono
descritte nell’art. 91 dei contratti nazionali di lavoro)
• Nel caso di frequenza di corsi sperimentali per il recupero della scuola
dell’obbligo oppure se si tratta di corsi di studio correlati all’attività
dell’azienda il tetto massimo di permessi è elevato a 250 ore. L’uso deve essere
programmato trimestralmente con il datore di lavoro ed essere compatibile con le
esigenze produttive ed organizzative dell’azienda
• Durante il periodo degli esami i lavoratori studenti, compresi quelli
universitari , possono fruire di permessi giornalieri retribuiti
• In caso di esame oltre al giorno di permesso già accordato per legge, è
possibile richiedere due giorni di permesso retribuito, da fruirsi nei giorni
lavorativi precedenti l’esame
Naturalmente il datore di lavoro può richiedere al lavoratore la produzione
adeguata di documenti che dimostri l’effettiva frequenza dei corsi o la
partecipazione agli esami.
Attenzione: i permessi non sono retribuiti nel caso in cui l’esame universitario
viene sostenuto per più di due volte nello stesso anno accademico. Inoltre
tenete presente che tutte queste agevolazioni valgono soltanto per chi è in
regola con la posizione lavorativa. È inutile ricordare che spesso le cose non
vanno così e che a volte i datori di lavoro se ne dimenticano; quindi tocca a
voi richiederli e farli rispettare.
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