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arte e cultura
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Cuori solitari e paesaggi da sogno. Il Romanticismo
esalta il sentimento individuale, la spontaneità
creativa e il mistero della natura incontaminata.
Articolo di Laura Panarese per
Informagiovani Italia
Eccomi a parlare della ica,
momento della storia dell’arte che trovo assolutamente
magico, unico, irripetibile. L’arte romantica ha
caratteristiche specifiche che appartengono, più in
generale, al cosiddetto ROMANTICISMO, fenomeno
culturale, congiuntura storica, modus vivendi diffusosi
nell’800 in alcune nazioni europee, a partire dalla
Germania, dalla Francia, dall’Inghilterra, e poi
diffusosi in Spagna ed in Italia, nazioni per natura
meno portate alla drammaticità ed all’introspezione
proprie della sensibilità romantica.
Quali ne furono i tratti distintivi?
Innanzitutto il rapporto speciale tra l’uomo e la
natura: la natura diventa l'espressione del divino
in terra, di cui l'uomo non è che un’effimera
manifestazione. Essa, con la sua perfezione, stimola
nell'uomo sentimenti talmente intensi da devastarlo, a
volte spaventandolo, a volte calmandolo, ma sempre
tenendolo in pugno, determinando i suoi umori e le sue
vicende, facendolo vivere in modo totale, panico.
Quando l'uomo, tuttavia, arriva a vedere nel tutto
dell’universo la bellezza, quando ne sente la forza
sovrannaturale, è allora che si realizza il concetto di
sublime (teorizzato da Edmund Burke). Figlio di questo
aspetto della sensibilità dell’uomo romantico è un'altra
novità dell’epoca, l’aspirazione all'infinito, che in
filosofia coincide con l’idealismo. L'uomo vive in
funzione di un infinito processo di automiglioramento
dello spirito che immane, cioè sopravvive, alla realtà,
una perenne tensione verso la perfezione. Rispetto alla
sensibilità neoclassica, però, quest’aspirazione rischia
di rendere l’uomo perennemente infelice, perché cercare
di afferrare l’infinito vuol dire ritrovarsi sempre
sconfitti, frustrati nell’impossibile raggiungimento
delle proprie aspirazioni.
Una concretizzazione storicamente molto importante di
questo slancio dell’uomo verso l’infinito è sicuramente
l’amore della libertà, che in alcuni casi coincide con
l’amor di patria. La nazione diventa un’entità superiore
verso cui convogliare le proprie energie, la propria
ansia di dare, fino a morire per essa. La pittura
romantica, nello specifico, fu in alcuni casi
particolarmente legata a fatti di cronaca recente in cui
erano riportati questo tipo di episodi, di morte, di
sacrificio, di abnegazione per la patria, a partire
dalla "
Zattera della Medusa" di Géricault
(1818-19, olio su tela, Louvre).
Parlando di storia non possiamo non citare la
riscoperta del Medioevo come epoca cui ispirarsi, in
particolare per la fede cristiana, per l’intensità del
rapporto uomo-Dio, specie dopo i "
vaneggiamenti" pagani
della stagione neoclassica settecentesca; in nome di una
ritrovata spiritualità si riscoprono gli aspetti più
intimi e drammatici della sensibilità medievale, insieme
al concetto dell’ineluttabilità della morte. L’eroismo
civico della pittura davidiana diventa una più grande ed
alta missione divina di cui l’uomo è gigante, ma al
contempo piccolo esecutore. Della suggestione medievale,
tuttavia, spesso rimane solo il colore, le tinte fosche,
le ambientazioni suggestive, la leggera inquietudine che
scaturisce dalla memoria di quei secoli lontani.
Tra i più grandi pittori romantici europei, Francisco
Goya in Spagna,
Delacroix e Géricault in
Francia, Turner
e Blake in Inghilterra, ma mi soffermerei stavolta su
uno straordinario tedesco, Caspar David Friedrich
(Greifswald, 5 settembre 1774 - Dresda, 7 maggio 1879),
le cui opere ritengo tra le più intense ed emozionanti
della storia della pittura europea di tutti i tempi.
Conosciamolo insieme partendo dalle sue stesse parole:
"t;L'unica vera sorgente dell'arte è il nostro cuore,
il linguaggio di un animo infallibilmente puro. Un'opera
che non sia sgorgata da questa sorgente può essere
soltanto artificio. Ogni autentica opera d'arte viene
concepita in un'ora santa e partorita in un'ora felice,
spesso senza che lo stesso artista ne sia consapevole,
per l'impulso interiore del cuore".
Quanta distanza dalla perfezione
neoclassica… La freddezza, la scelta razionale
degli elementi più belli, la perfezione del prodotto
d’arte lasciano il posto ad una disposizione tutta
creativa, emozionale, pura, quasi mistica e spirituale
nella sincerità dell’animo del pittore mentre crea
l’opera d’arte.
A tredici anni Caspar rischiava di annegare nell’acqua
gelata, essendosi rotta la lastra di ghiaccio su cui
pattinava. Il fratello provò a salvarlo e morì al posto
suo. Anche la sorella morì in un incidente stradale.
Questi tragici eventi, uniti ad una rigida educazione
religiosa ed alle letture romantiche giovanili ne
determinarono il carattere malinconico, triste, a tratti
violentemente drammatico, oltre che il timbro cupo della
sua pittura. In pochi movimenti artistici la vita ha
coinciso con l’arte come nel romanticismo.
Il genere che Friedrich scelse di praticare fu la
pittura di paesaggio. Da dove prendere spunto, per una
sensibilità come la sua, se non dalla più spontanea e
sincera delle confidenti, la natura? Basti pensare alla
poesia di Leopardi. Per un animo introspettivo,
sofferente, solitario la natura può essere approdo
felice, come crudele matrigna, ma sempre,
imprescindibile punto di riferimento. .
In pittura, il genere del paesaggio comincia allora a
conquistare dignità ed autonomia, essendo prima solo
relegato agli sfondi dei fatti sacri, storici o
mitologici. Il poeta tedesco Schiller nel 1794 scriveva:
"
Vogliamo che l’arte del paesaggio eserciti su di noi
lo stesso effetto della musica. Il sentimento è in essa
risvegliato dall’analogia fra i suoni o i colori e i
moti dell’animo"
L’opera di Friedrich appare come la trasposizione
pittorica delle frasi di Schiller. Tuttavia, alcuni
paesaggi di Friedrich, reggendosi solo sull’emozione
dell’artista e sugli effetti cromatico-luministici o
disegnativi del dipinto sembrarono "
deboli" ad alcuni
detrattori. Ma quale grande artista non è stato
osteggiato? Chi rinnova spaventa. Così capitò al nostro
sfortunato pittore. Analizziamone alcune opere.
Monaco
sulla spiaggia risale al 1808-1809, è un olio su
tela, ed è conservato presso la Alte Nationalgalerie, a
Berlino. Fu acquistato dal re di Prussia Federico
Guglielmo III.
Originariamente non era un notturno. Poi Friedrich
eliminò due navi ed aggiunse la falce lunare e la stella
mattutina per rendere il paesaggio ancor più misterioso
ed evocativo. Il monaco di spalle è il pittore medesimo,
che si immedesima in questa suggestiva, medievale,
solitaria figura di spalle, perciò senza volto.
"
Il vero tema del quadro è il vuoto: la figura umana
è minuscola, quasi illeggibile... L'assenza di oggetti
che catturino l'attenzione e rendano graduale il
passaggio dal primo piano verso lo sfondo, fa sì che lo
spettatore si senta vertiginosamente attratto in uno
spazio privo di appigli e di punti fermi, uno spazio in
cui perdersi senza via d'uscita, […] labirinto liscio e
piatto come uno specchio" (Pegoraro, 1994, p. 29).
Una luce di tempesta sembra insinuarsi tra le plaghe
dell’animo umano, come nello spazio del dipinto. Eccelso
il commento del drammaturgo Von Kleist sul Berliner
Abendblätter:
"o stesso divenni il monaco, il dipinto divenne una
duna, ma ciò su cui doveva spaziare il mio sguardo
nostalgico, il mare, mancava del tutto. Nulla può essere
più triste [...]. Con i suoi due o tre oggetti ricchi di
mistero, il dipinto è simile all'Apocalisse, […] e
poiché nella sua uniformità sconfinata non ha altro
primo piano della cornice, guardandolo si ha
l'impressione di avere le palpebre tagliate. […] il
pittore ha indubbiamente aperto un cammino nuovo nel
campo della sua arte [...]".
La pittura di
Friedrich taglia le palpebre di chi la
guarda e va oltre la vista, apre uno squarcio nel cuore
e nell’animo, si fa largo tra i pensieri, evocando
quello che di più profondo, sopito ciascuno di noi
relega nei recessi più lontani del proprio io. Il monaco
è l’uomo stesso, che perde se stesso nella
contemplazione dell’infinito, dove l’animo vacilla, dove
per poco il cor non si spaura (L’infinito, Leopardi),
dove non c’è umana ragione che regga all’urto
dell’eterno, così immenso, così imperscrutabile...Lo
stesso re che acquistò acquistò anche
L’abbazia nel querceto (al lato)
del 1879, olio su tela conservato presso la Schloß
Charlottenburg, ancora a Berlino.
Il dipinto è tecnicamente elevatissimo per la resa dei
colori dell’atmosfera, che trapassano l’uno nell’altro
nel momento in cui la notte cede il passo al giorno, ma
senza gioia, come se una nebbia scendesse già dal
mattino nel cuore e sugli occhi di chi guarda; rispetto
al Monaco, questo dipinto è più carico di significati
metaforici (che forse ne appesantiscono un pò la
lettura): i ruderi dipinti sono quelli dell’abbazia di
Eldena, a Greifswald; Friedrich li aveva già
rappresentati in un precedente disegno (1804) in cui
metteva in scena il proprio funerale.
Qui l’alba vuol dire vita eterna, mentre lo spicchio di
luna allude all’avvento di Cristo. Il significato,
quindi, è cristiano, trattandosi di una metafora della
venuta di Gesù, foriera di salvezza per l’umanità. La
quercia secca, infatti, non è altro che il paganesimo,
ormai privo di linfa che lo nutra, mentre le persone si
stringono, seppur dolenti e silenziose, intorno alla
fede, unica certezza per l’essere umano. Nel
1818 F. sposò una donna di umili origini, suscitando lo
stupore di amici e parenti. Partirono per il viaggio di
nozze e durante quel periodo F. lavorò come non mai,
fissando le idee in bozzetti, schizzi, rapidi pensieri.
Celeberrimo prodotto di questo viaggio è "
Il
viandante sul mare di nebbia", olio su tela
conservato alla Kunsthalle di Amburgo (sempre 1818).
Quando guardo questo dipinto mi viene in mente Foscolo,
le sue "
Ultime lettere di Jacopo Ortis", quando solo,
disperato, disamorato Ortis\Foscolo corre a gridare alla
natura i suoi patimenti, lasciandosi accarezzare
dall’idea, dolce, ma irreversibile del suicidio. Quanti
viaggiatori angosciati a quei tempi! Quanti uomini soli
con se stessi, con il loro bagaglio carico di emozioni,
paure, pensieri si affacciavano sui panorami
incontaminati della natura cercandovi la risposta
eterna, immutabile alle mille domande senza soluzione
che li spingevano a partire…
Ancora una volta il personaggio è di spalle. Cominciamo
a capire Friedrich. Dipinse se stesso, il suo mondo
solitario, ma chiese in qualche modo ai suoi
contemporanei di immedesimarsi nelle sue opere, di
creare quel solidale, innato contatto tra uomini che la
sua pittura, così sincera, così emozionale generava.
Come l’ultimo Leopardi, quello della "
Ginestra". La
solitudine che l’uomo lamenta o vagheggia è solo
apparente. I panni dipinti, le parole usate sono quelli
dell’epoca, ma lo spirito umano, quello più profondo, è
rimasto immutato, non è cambiato.
Tra paure, domande, ricerche e approdi l’uomo va avanti,
chiedendo solo un momento per riposarsi, per dare
ristoro alla propria anima, per sedare le proprie
tempeste interiori…
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