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Consacrata
nel 1070, la Cattedrale di Lucca custodisce la sacra effigie del Volto
Santo, la tomba Ilaria del Carretto realizzata da Jacopo della Quercia e
pregevoli opere d'arte tra cui un crocifisso del Giambologna.
La Cattedrale di Lucca,
dedicata a San Martino, è una delle
chiese più interessanti e antiche di tutta la Toscana. Al
suo interno sono custodite opere d'arte e religiose di notevole
importanza. Vale la pena visitarla innanzitutto perché
custodisce due simboli della città: il
Volto Santo, un grande Cristo "nero",
una delle reliquie più
importanti della fede cattolica, custodito in una teca ottagonale
che è anch'essa un'opera d'arte e il famoso
Monumento funebre a
Ilaria del Carretto, opera di
Jacopo della Quercia. Ci sono poi l'Ultima
Cena del
Tintoretto,
dipinti del
Ghirlandaio, di Fra' Bartolomeo, Filippino Lippi,
del Bronzino e
diversi altri.
Si paga per entrare, ma il biglietto non è costoso e
vale la pena visitarla!
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Ascolta "8 - Cattedrale di San Martino" su Spreaker.,
La cattedrale si pone ai limiti di quella che era la Lucca
romana. Precedentemente, la sede vescovile della città, si trovava in
quella che è l'attuale Chiesa dei Santi Giovanni e Reparata.
Non si dovette
attendere molto affinché venisse avviata la costruzione di un nuovo e più
grande edificio
religioso, vista la crescita di importanza di Lucca, che intanto era
diventata la capitale del longobardo Ducato di
Tuscia. Quel che è noto è che agli inizi del VIII secolo il
titolo di cattedrale venne trasferito all'edificio dedicato a San Martino e
alla vicina chiesa dei Santi Giovanni e Reparata, rimase solo il privilegio del battistero. Nello stesso
periodo, a conferma del nuovo status quo, a San Martino arrivarono anche le
reliquie di San Regolo, vescovo africano e "protettore benemerito"
della città, tutt'oggi conservate nella cattedrale.
Le
fondamenta della Chiesa di San Martino, risalgono al VI secolo, probabilmente sorte per
volere dello stesso San Frediano, il monaco irlandese santo patrono di
Lucca, ritiratosi ad eremita nei vicini monti
pisani, assunto a vescovo per volere dei cittadini e per il quale venne
costruita anche la
Basilica di San Frediano (vedi apposita sezione dedicata).
Il vescovo Anselmo da Baggio poi papa
Alessandro II, la ricostruì dalle fondamenta in
una struttura a cinque navate, consacrandola
solennemente nel 1070 alla presenza di 22 vescovi e
della contessa
Matilde di Canossa,
una delle più potenti donne della storia italiana,
che governava la Marca di Tuscia (erede del ducato
longobardo) di cui Lucca era allora una delle città
più importanti. Dopo la morte di Matilda, il comune
diventerà autonomo nel 1119.
Anche di questa fase però, resta poco, se non
qualche testimonianza nel Museo del Duomo, adiacente, tra cui un busto
raffigurante lo stesso papa. Circa tre secoli dopo le navate furono ridotte
a tre e la chiesa divenne a croce latina, culmine di un rifacimento
stilistico durato diverso tempo e per il quale fu costituita un'apposita
confraternita, l'Opera del Frontespizio,
poi confluita nel XII secolo nell'Opera di Santa Croce. Ancora
prima, nel XII secolo, la facciata venne completata con il portico a tre
arcate e la serie di loggette con le colonnine multiformi. La figura che,
nella facciata, si nota con una pergamena in mano datata 1204 è opera di Guidetto da Como, figlio di
Guido e uno dei Magistri cumacini (maestri comacini), degli
artigiani edili provenienti dall'alta Lombardia.
Nel periodo che va dal 1233 al 1257 si portarono avanti i lavori nell'atrio
alla decorazione del muro di facciata ed ai portali; mentre l'abside, con le
due cappelle di testata delle navate e il transetto nord, venne iniziato nel
1308, ampliando considerevolmente verso est la precedente costruzione.
Nel 1372, partendo dalla zona absidale rivelatasi pericolosamente instabile,
si intraprese, dopo un consulto con alcuni fra i maggiori architetti
dell'epoca, fra cui Simone di Francesco Talenti, già autore della
Loggia dei Lanzi in
Piazza
della Signoria a
Firenze, un generale rinnovamento dell'interno,
che venne ristrutturato a tre navate. L'adozione delle volte a crociera in
luogo della copertura a capriate comportò la sostituzione delle colonne
monolitiche con pilastri cruciformi e la costruzione di contrafforti sulle
fiancate.
Finalmente si arrivò alla conclusione dei lavori nel secolo XV con la decorazione esterna
della navata centrale e, all'interno, con l'esecuzione delle trifore del
matroneo. Vennero aggiunte in seguito solo le due cappelle ai lati delle tribune: quella a
sud, la Cappella del Sacramento costruita nella prima metà del '500 da
Vincenzo Civitali; l'altra, la Cappella del Santuario, da Muzio Oddi da
Urbino, un secolo dopo. Va
detto, che nonostante il lungo arco di tempo in cui fu costruita, e quindi il sovrapporsi
del gusto di epoche, maestranze e personalità assai
diverse, non hanno tuttavia prodotto nella fabbrica
del Duomo gravi disarmonie.
La vivacità usuale del centro cittadino di Lucca la
vive tuttavia, se così si può dire, particolarmente
la
Chiesa di San Michele in foro),
mentre il Duomo è situato invece in una parte più tranquilla, a ridosso
delle
mura di Lucca, verso sud, ed esattamente nella parte opposta della città rispetto alla Basilica.
Equidistanti dal Duomo sono anche l'Orto Botanico di Lucca e la
Piazza Napoleone cuore della città, davanti
al Palazzo Ducale (e sede ogni anno del Lucca Summer
Festival).
Se
si arriva in treno, la cattedrale è, dopo le mura, il primo monumento
storico che s'incontra. Dalla stazione dei treni si può difatti
attraversare le mura e ci si ritrova a scendere nel giardino sul retro della
cattedrale, nel quale si trova l'abside.
In Piazza San Martino ci si arriva comunque
sempre da un dedalo di vie e viuzze del centro. Ad affiancare piazza San
Martino vi è Piazza
Antelminelli, riconoscibile per la fontana circolare posta al suo centro,
opera del
grande architetto lucchese Nottolini.
La facciata
Prima
ancora di raccontare dell'interno, merita una prima menzione la facciata
del Duomo di Lucca, la parte più antica dell'edificio, la sola parte
autenticamente romanica dell'edificio, ma con influenze per così dire
"nordiche", ed è anche la parte più originale e significativa. Fino ad
allora il romanico lucchese era stato caratterizzato dalla lineare purezza
dell'insieme architettonico, quasi privo ornamenti (come ad esempio si può
vedere nella Chiesa di Sant'Alessandro o la parte più antica della
Basilica di San Frediano). Inoltre, l'atrio con quelle tre potenti
arcate aveva pochi precedenti, come soluzione edilizia, nell'architettura
dell'epoca.
Come per
quella di San Michele in foro, anche quella del Duomo risulta ricca di
insolite caratteristiche: è fortemente asimmetrica, fatto sempre piuttosto
raro e strano nelle chiese, in quanto innalzate alla perfezione divina (si
noterà infatti come delle tre arcate, quella di destra è più stretta
rispetto alle altre due); è riccamente decorata e scolpita, si noteranno
scene raffiguranti il 'martirio di San Regolo' (lunetta del portale
di destra), la 'Deposizione' (opera di Nicola Pisano) nella lunetta
del portale di sinistra, e l'Ascensione di Cristo' nella lunetta del
portale centrale.
Fu costruita sul limite di un portico preesistente ed
appoggiata alla vecchia facciata dell'edificio del vescovo Anselmo, per
mezzo di due archi sopra la volta dell'atrio. Al di sopra di questo rimase
quindi un'intercapedine, che venne aperta verso l'interno. Verso la metà del
secolo XII le arcate del portico erano già compiute. Più tarda la parte
superiore: un'iscrizione (sul cartiglio retta da una figura maschile
nell'ultima colonnina verso il campanile della prima loggetta) attesta che
Guidetto da Como vi aveva compiuto la sua opera nel 1204 (aveva già
lavorato a Lucca nel Monastero di San Ponziano oggi parte degli
uffici e della biblioteca dell'IMT e parte della scuola media Carducci)
occupandosi soprattutto dei capitelli del chiostro decorati con temi presi
dalla natura e dalla fauna.
L'opera, di grande forza inventiva, rivela chiaramente la formazione padana
dell'artefice. Ma nella complessa decorazione scultorea compare, soprattutto
nel terzo pilastro da sinistra, oltre alla mano del maestro lombardo, quella
di un altro artista di cultura pugliese, permeata da motivi bizantini. Se
siete stati a Pisa e siete appassionati di queste cose, noterete che la
parte superiore richiama il Duomo di Pisa. Tuttavia l'architetto, Guidetto
da Como, pur riprendendo lo schema degli ordini sovrapposti di loggette se
ne allontanò stilisticamente, pervenendo a un risultato espressivo del tutto
diverso. La geometrica chiarezza della facciata pisana di Rainaldo,
i cui fregi, sculture ed intarsi sottolineano simmetricamente le linee
architettoniche, è qui superato e sconvolto dal prorompente vigore plastico
e di colore delle maestranze lombarde.
Si notino anche le loggette sostenute da colonnine e da
colonne ofitiche e cioè annodate (tipiche dell'architettura
longobarda e di quella cistercense, e in senso più stretto ad ampio uso
nell'arte comacina, seguita dal Guidetto). Al lato destro della
facciata si nota anche la copia della Statua a cavallo di San Martino che
divide il suo mantello con un povero
(il famoso santo di
Tours, nell'atto di condividere il suo prezioso mantello con un povero),
l'originale del 1233 è custodita all'interno del duomo: viene da pensare al cavaliere di
Bamberga, presente nella cattedrale di questa città della Germania (si
veda la guida di
Bamberga,
per maggiori informazioni).
Delle statue che avrebbero dovuto accogliere le mensole che sporgono in
basso a diverso livello fu l'unica eseguita o pervenuta fino a noi.
L'opera, nel corso del tempo ha dato luogo a diverse interpretazioni nella
critica, con attribuzioni che spaziavano dal XII fino al XIV e anche al XV
secolo. Oggi è generalmente riconosciuta come appartenente a un artista di
cultura bizantina della prima metà del secolo XIII.
La tarsia figurativa bianca e verde
(la tarsia è una sorta di mosaico, o intarsio, ottenuto accostando sottili
lastre di marmo o lignee), stemmi, rosette, soggetti zoomorfì o
vegetali, che secondo la tradizione popolare richiamano analoghi motivi
delle sete lucchesi dell'epoca, si espande liberamente su tutte le
superfici, mentre la decorazione scultorea si addensa sui capitelli, sulle
cornici, sulle mensole, affollandole di draghi, sirene, leoni, di lotte di
fiere e di uomini. La fantasia dei maestri lombardi si mostra evidente nella
estrema diversificazione dei fusti delle colonne: alcuni interamente
scolpiti, altri a spirale o sorgenti dalla bocca di un drago, altri ancora
formati da quattro colonnine annodate, i più semplici ornati da tarsie a
scacchiera o a spina di pesce.
Tornado sulla asimmetria della facciata, pare certo che gli architetti
romanici dovettero tener conto della preesistente torre campanaria
oltretutto le costruzioni un tempo presenti nella Piazza San Martino,
dovevano ridurre l'effetto dell'asimmetria stessa.
L'Atrio
L'Atrio
è costituito da sette arcate cieche separate da
leoni aggettanti, in cui si
inseriscono i tre portali.
Poco
più in basso, nell'entrata laterale e sotto l'arcata più stretta della
facciata, desta curiosità un grande
labirinto intarsiato, nel cui centro si scorge una figura consumata
dal tempo. A circondare il disegno queste parole in
latino, verosimilmente tradotte: "Questo è il labirinto costruito da Dedalo cretese dal quale
nessuno che vi entrò poté uscire eccetto Teseo aiutato dal filo d’Arianna".
Molti riferiscono il labirinto di Lucca come frutto del mistero, ma
in effetti va ricordato che la città si trovava nel bel mezzo della
Via
Francigena, lungo la quale i labirinti di certo non mancano (tanto da
essere anche definita Via dei labirinti):
li troviamo infatti molto concentrati lungo il percorso che da
Pavia arriva fino a Lucca, passando anche per
Piacenza e Pontremoli.
A Lucca il pellegrino arrivava per veder
il Volto Santo e possibilmente proseguiva verso
Roma,
o viceversa, verso
Santiago de Compostela.
Certo si sa, il labirinto affascina i cultori del simbolismo più misterioso
e può essere oggetto di numerose interpretazioni tutte piuttosto coerenti
(si noterà la similitudine del labirinto di Lucca con quelli della
Cattedrale di Chartres in Francia e con il labirinto di
Alatri in provincia di
Frosinone); di certo rimanda
nell’immediatezza ad un percorso intricato e difficile da superare e che
re-interpretato in senso cristiano si trasforma nell’allegoria del
percorso tortuoso che deve portare alla salvezza dell’anima. Non è
questo forse l'intento di ciascun pellegrino nel raggiungimento della
propria meta?
Le superfici sono spartite a intervalli regolari da fasce di marmo verde e
rosso: nei riquadri si trovano una serie di preziose
tarsie, un medaglione romano del IV secolo,
raffigurante un imperatore, un altro rinascimentale,
che è il ritratto dell'umanista Giovan Pietro d'Avenza,
che il Comune di Lucca contese a Venezia per
l'insegnamento e la cui tomba si trova all'interno;
e ai lati della porta di sinistra, due lapidi
riprese in trascrizione duecentesca dalla vecchia
facciata; la prima celebra la ricostruzione
della chiesa compiuta dal vescovo Anselmo (papa
Alessandro II); l'altra, del 1111, ricorda il
giuramento di onestà dei cambia valute che
avevano i loro banchi nell'atrio (ricordiamo che
Lucca era metà di numerosi pellegrini per il Volto
Santo e terra intermedia verso Roma sulla
via Francigena). All'angolo tra via
del molinetto e vicolo del Chiostro si trovava un
ostello per pellegrini (Hospitale).
Più
in alto, in pannelli disposti simmetricamente, le Storie di San Martino
e la figurazione dei Mesi.
Non è possibile identificare con sicurezza gli artisti, di eccezionale
personalità, che qui hanno operato. Tra i nomi che ci forniscono i
documenti spiccano quelli di Maestro Lombardo (forse figlio di Guidetto da
Como) e di Guido Bigarelli. A quest'ultimo, che ha lasciato diverse opere
anche a
Pisa
(fonte battesimale del battistero) e
Pistoia
(pergamo nella chiesa di San Bartolomeo in Pantano). A quest'ultimo vengono assegnati il disegno architettonico
generale, la decorazione dei portali, l'architrave della porta maggiore
(Maria e gli Apostoli) ed i sovrastanti simboli degli Evangelisti (l'Aquila
e l'Angelo). A Maestro Lombardo sono attribuiti: l'architrave della porta
destra (San Regolo disputa con i Goti ariani) e, nella lunetta, il
bellissimo "Martirio di San Regolo"; la lunetta della porta centrale (Cristo
ascendente tra due angeli); i rilievi delle "Storie di San Martino", ai
lati della porta maggiore; e, al di sotto di questi, le figurazioni dei
Mesi, con i segni dello Zodiaco inseriti nell'imposta dagli architetti.
Un'altra presenza si manifesta nell'Atrio, quella di Nicola Pisano, cui
sono concordemente attribuiti l'architrave della porta di sinistra
(Annunciazione, Natività e l'Adorazione dei Magi) e la splendida
"Deposizione" della lunetta. Sarebbe questa la prima opera conosciuta di
Nicola, da poco arrivato in Toscana dalla Puglia (era nativo di Foggia) e
mentre stava lavorando nello stesso periodo anche al
Duomo di Siena. Sopra l'arco minore che
guarda verso Piazza Antelminelli si vede la testa di un personaggio con la
mitra,
all'interno, e all'esterno un busto femminile: secondo la tradizione
raffigurerebbero papa Alessandro II e la contessa Matilde di
Canossa.
Provate a pensare per un attimo a tutte le persone che nei secoli hanno
varcato i portomi di questo luogo, rimanendone ogni volta colpiti dalla sua
bellezza "divina". Un episodio storico importante fu l'incontro che si tenne
nella cattedrale tra il papa Paolo III e l'imperatore del
Sacro Romano Impero
Carlo V nel 1541 (in una visita alla città che durò 10
giorni).
L'interno della cattedrale
Una
volta all'interno della cattedrale si è sopraffatti da un senso di
ampio spazio e marcato verticalismo. La pianta è a croce latina e divisa in
tre navate, le atmosfere sono gotiche e arricchite da elementi romanici. Si
noterà la differente altezza tra la navata centrale e quelle laterali, altro
esempio caratteristico di questa chiesa. Alle pareti di quelle laterali si
incontrano vari dipinti, tra cui l'Ultima cena di
Jacopo Tintoretto (1518-1594).
Quest'ultimo capolavoro è di una bellezza sorprendente. Tintoretto dipinse
questo tema alla fine della sua carriera artistica e della sua vita. Dipinse lo stesso
tema altre volte, ma quest'ultima "Ultima Cena" è
qualcosa di diverso. L'artista utilizza una tela grande, con l'intento di utilizzare
una prospettiva completamente nuova e lontana diversa dai canoni
tradizionali; i dodici apostoli sono seduti attorno alla tavola messa in
obliquo, sulla quale sono appoggiati diversi oggetti per la cena, tra cui spicca
il vino ed il pane, gli elementi dell’Eucarestia.
Ma c'è qualcosa di
inconsueto per un tema del genere: una misteriosa donna che sta in primo
piano, sul lato sinistro della scena, è intenta ad allattare un bambino
al seno. Si tratta di un personaggio simbolico che collega 2 tipi di
nutrimento: quello materiale e quello spirituale, ovvero i 2 livelli che si
uniscono nell’Ultima Cena di Cristo. Come in altre opere dello stesso tema, Tintoretto ritrae sia il momento dell'Eucaristia, sia il momento in cui
Cristo annuncia la presenza di un traditore tra gli apostoli. Questo si può
vedere dalle reazioni concitate dei discepoli increduli. Cristo è al centro
della scena con un’aureola luminosa e forte che sembra quasi che stia per
aprire un varco verso il paradiso.
Come
accennato l'interno della Cattedrale di San Martino, venne interamente ricostruito dal 1372
alla fine del secolo successivo. Il gusto gotico non fu molto sentito a
Lucca, dove si cercò in genere di conciliare le nuove tendenze con la forte
ed ancora prevalente tradizione costruttiva romanica. Per dare un'idea,
l'ultima grande cattedrale gotico, il
Duomo di Milano venne iniziato nel 1386, ma le grandi
cattedrali gotiche del nord Europa, francesi in particolare, che erano
state costruite quasi 200 anni prima, come la Cattedrale di Chartres,
Cattedrale di Notre Dame, a
Parigi.
Anche nella Cattedrale di San Martino, che pure è l'unica chiesa lucchese dell'epoca con
copertura a volta (tutte le altre, anche se di grandi dimensioni, hanno la
copertura a capriate), lo slancio dei pilastri cruciformi e il verticalismo
della navata centrale sono attenuati dall'adozione dell'arco a tutto sesto.
Alla fase più tarda del gotico internazionale sono da riferirsi le eleganti
trifore archiacute del matroneo, cioè il loggiato interno che corre
al disopra delle navate, che continuano, aperte sul vuoto, anche nel muro
sopra i pilastri divisori del transetto. Pur nel compromesso stilistico,
l'insieme è allo stesso tempo suggestivo ed imponente.
Proseguendo con le opere d'arte, all'interno della cattedrale, oltre
alle già citate si segnalato le acquasantiere, presso i due primi pilastri, sono
opera di Matteo Civitali (1498), cui si deve pure l'ideazione del pavimento.
Formato da riquadri di marmo bianco listato di verde,
al centro dei quali si trovano geometrici intarsi policromi.
Poco più oltre si apre l'ingresso della Sacrestia ricostruita sul finire
del secolo XIV e compiuta nel 1404. Gli splendidi capitelli dei semi
pilastri rivelano la mano di Jacopo della Quercia, assai attivo in
quegli anni nei lavori del Duomo. Al suo interno è stato collocato il
celebre sarcofago di Ilaria del Carretto, di cui parleremo tra breve.
Il bassorilievo dell'altare di Sant'Agnello, con la figura del Santo, è
opera di Antonio Pardini da
Pietrasanta. Dobbiamo un cenno a questo punto alla
decorazione esterna della parte alta dell'abside, del transetto e della
navata centrale, a cui lavorarono a lungo, insieme a diversi altri, lo
stesso Antonio Pardini (con funzioni direttive dal 1395 al 1419) e Jacopo
della Quercia: queste sculture, in particolare le teste umane delle imposte
degli archi, finamente studiate da vicino, si sono rivelate di eccezionale
importanza.
La tavola dell'altare di Sant'Agnello
Madonna in trono fra quattro Santi è
di Domenico Bigordi, detto il Ghirlandaio (1449-1494), uno dei
protagonisti del
Rinascimento a
Firenze all'epoca di Lorenzo il Magnifico. Al suo allievo
Bartolomeo di Giovanni
si devono le libere e fantasiose scene della predella. La lunetta posta a
coronamento Cristo morto sorretto
da Nicodemo sul sepolcro è attribuita alla bottega di Filippino Lippi.
Sempre nella
sacrestia si trova un dipinto raffigurante San Girolamo, da alcuni attribuita al
Guercino
e da altri a Paolo Biancucci, un'altra tavola rappresentante
una Natività del '400 e una tavola di Jacopo Ligozi del '500 del quale si
trova una Visita di Maria a Santa Elisabetta del 1506 sull'altare posto
dietro al tempietto del Volto Santo. Usciti dalla Sacrestia si raggiunge il
transetto destro dove si trovano diverse opere del lucchese Matteo Civitali,
grande scultore ingiustamente trascurato dalla critica, forse perché operò
in ambiente periferico, ma pienamente partecipe della cultura figurativa
del suo tempo.
Il monumento sepolcrale di Pietro da Noceto, (un importante notabile
e diplomatico vaticano, segretario di Tommaso Parentucelli, futuro papa
Niccolò V; partecipò per esempio alla ristretta delegazione che firmò la
pace di Arras, che pose fine alla Guerra dei 100 anni), appoggiato sulla parete ovest,
è la prima opera documentata di Matteo Civitali, del 1472 (aveva allora trentasei
anni) ed una delle più belle: fu stimata da Antonio Rossellino 450 ducati
d'oro.
Sulla parete sud è il più severo monumento funebre del mecenate Domenico
Bertini, (importantissimo diplomatico lucchese e pontificio e mecenate
anche della cattedrale) anch'esso di singolare interesse (1479).
Per dirvi quanto fosse importante Bertini come mecenate, secondo alcuni
studiosi si deve attribuire a lui, anche la preziosa pala conservata in
San Jacopo di Gallicano, paese natale del committente che lo stesso
avrebbe ordinato al suo coetaneo Luca della Robbia in epoca
imprecisata.
Negli anni immediatamente precedenti Civitali scolpì i due bellissimi angeli
adoranti che si trovano nella adiacente Cappella del Sacramento: facevano
parte di un altare andato purtroppo smembrato (il ciborio è probabilmente
da identificarsi con quello, firmato, del
Victoria and Albert
Museum di
Londra).
Infine, in cima alla navata, il grande dossale dell'altare di San Regolo
del 1484 (per dossale si intende un oggetto artistico destinato alla parte
posteriore dell'altare).
Sull'altare maggiore è stato sistemato un trittico del XIV secolo su fondo
oro Madonna fra angeli e Santi. Traversato il presbiterio, si raggiunge la
navata sinistra, nella cui testata si trova l'altare della Libertà, eseguito
dal Giambologna nel tra il 1577 e il 1579. Dello stesso artista
dovrebbe essere anche la bella e notissima statua centrale del Cristo risorto, mentre
ad aiuti sono da attribuire quelle laterali dei Santi protettori Pietro e
Paolino.
Nella predella è scolpita in bassissimo rilievo una veduta di Lucca
cinquecentesca con la nuova cinta di mura. L'altare fu voluto dai lucchesi
per celebrare la libertà recuperata nel 1369 e poi costan-temente mantenuta.
Nella adiacente Cappella del Santuario è custodita una bellissima pala d'altare
di Fra Bartolomeo (insieme a Mariotto Albertinelli), raffigurante la
Madonna col Bambino tra i santi Stefano e Giovanni Battista,
realizzato con tecnica a olio su tavola nel 1509, misura 165 x 152 cm, con due angeli reggicorona e un altro che suona il liuto ai piedi del
trono. Il dipinto, firmato e datato 1509, rivela nei toni caldi del colore
il manifestarsi dell'influsso veneto sulla formazione del pittore fiorentino
(aveva da poco soggiornato a Venezia per aggiornare il proprio stile sulle
novità veneziane di
Giovanni Bellini e Giorgione).
Molti disegni preparatori di quest'opera si trovano in musei quali gli
Uffizi, il
Louvre e
Weimar.
Sempre all'interno della Sacrestia,
si ammirano una tempera su tavola, del XII secolo (Cristo crocifisso tra
Maria
e Giovanni dolenti, con scene della Passione) ed il Polittico Madonna
col Bambino e i santi Agnello, Regolo, Antonio abate e Riccardo di
Francesco d'Andrea
Anguilla del XV secolo (tempera su tavola), di questo artista si veda
anche un altro polittico nella Cappella del SS.mo Sacramento, la Madonna col Bambino e i Ss.
Nicola, Biagio, Antonio Abate e Valeriano, inizio XV secolo.
Dal lato opposto alla sacrestia, a metà della navata sinistra sorge il tempietto ottagonale, elegante opera
di Matteo Civitali (1484), che custodisce il celebre Crocifisso ligneo noto
come "Volto Santo" o anche "Santa Croce",
da oltre 1000 anni
l'icona più sacra e
preziosa di
Lucca, oggetto di venerazione e
fulcro della vita spirituale locale. Il
13 settembre si celebra la
Luminara di Santa Croce,
una processione religiosa, la cui storia va
indietro di tanti secoli, durante la quale si rende
omaggio a questo volto ligneo di cristo, protettore dei lucchesi.
Abbiamo dedicato un lungo articolo a parte, che vi
invitiamo a leggere sul
Volto Santo.
Nell'altare prospiciente la Cappella del Volto Santo
si trova la tela Presentazione di Maria
al tempio di Alessandro Allori detto il Bronzino, firmata e datata 1598. Al
termine della navata, sul muro interno della facciata, si vede un affresco
del 1482 circa di Cosimo Rosselli che narra
episodi della leggenda del Volto Santo.
Un'icona di Lucca:
Ilaria
Poco oltre,
custodita nella sacrestia laterale, si trova il
Monumento funebre a
Ilaria del Carretto,
di
Jacopo della
Quercia (1408), una delle opere scultoree più importanti
del patrimonio artistico italiano. Molto amata dal critico d'arte Sgarbi, la
scultura è davvero incredibilmente bella. Un senso
si pace e di commozione invade chi la ammira nel
silenzio della chiesa.
Ma chi era Ilaria del Carretto?
Ilaria del
Carretto fu la sposa di
Paolo
Guinigi, forse all’epoca l’uomo più
ricco d’Europa. Di lei si diceva che era bellissima,
ben educata e di buona dote. Finì in sposa al
signore di Lucca per motivi politici, ma poi fu
davvero amata dal Guinigi e dai lucchesi. Aveva solo
26 anni quando morì, nel 1405, dando alla luce una
figlia, di nome anch’essa Ilaria. Il Guinigi era un
uomo di potere e di cultura, capiva l’arte e ne
riconosceva il valore. Per questo volle continuare a
manifestare il proprio amore e il proprio potere,
commissionando per la moglie una tomba non comune in
Italia, e ponendo tale tomba in una posizione
anomala, all’interno del Duomo della sua città, a
ricordare per sempre ai lucchesi il potere della
famiglia Guinigi. Andava a crearsi di fatto una
cappella signorile nel transetto della chiesa. La
scultura per Ilaria fu realizzata pochi anni dopo la
morte, da Jacopo della Quercia e ancora oggi
è in grado di commuovere chi la osserva: sul volto
della giovane donna nessuna sofferenza è rimasta,
non sembra la morte ad essere rappresentata, ma un
sonno sereno.
Il
piccolo cane ai piedi della giovane pare
guardare a lei supplicando nuove carezze; non
accetta l’evento, non è in grado di interpretarlo.
Non abbiamo elementi per capire se il cane sia o
meno esistito; pare infatti rappresentare un simbolo
di fedeltà coniugale, come si usava all’epoca,
soprattutto nelle corti del nord Europa, con le
quali le signorie toscane erano ben in contatto. Da
un punto di vista artistico, la posizione del cane,
porta lo spettatore ad uno sguardo di prospettiva
più ampio e profondo verso il volto della donna.
Recenti studi hanno stabilito che Ilaria del
Carretto in questa magnifica tomba non è mai stata
sepolta. Le sue spoglie mortali furono seppellite
nella Cappella di Santa Lucia, nel complesso
della
Chiesa San
Francesco, sempre a Lucca.
Molti hanno scritto nei secoli sul Monumento Funebre
a Ilaria del Carretto, da
Vasari
a
D'Annunzio, ma si deve al famoso
critico d’arte John Ruskin, si deve la grande
fama del monumento a livello internazionale. Ruskin
non mancò di tornare a Lucca a fare visita alla sua
"Ilaria", di cui dipinse anche quattro splendidi
acquarelli. Così scrisse dopo la prima volta al
cospetto della scultura:
"Ella giace su un semplice cuscino, con un
cagnolino ai piedi. La veste di foggia medievale è
assai modesta, attillata alle maniche e chiusa al
collo, le ricade sul petto a fitte larghe. Il capo è
cinto da una fascia con tre fiori a forma di stella
e i capelli sono acconciati alla maniera di
Maddalena, con una ondulazione che si nota appena là
dove sfiorano le guance. Le braccia sono adagiate
dolcemente sul corpo e le mani si congiungono
nell’atto di abbassarsi. Il morbido drappeggio
scende fino ai piedi, quasi celando il cane."
Da lì in poi Ilaria sarebbe sempre rimasta nel cuore
del grande critico, quasi un innamoramento durato
tutta la vita. 30 anni dopo difatti scrisse:
"Devo fermarmi un attimo con il pensiero alla
tomba di Ilaria del Carretto e a quanto
precocemente, allora, ebbi la certezza che da quel
momento sarebbe stata per me il modello supremo."
Una curiosità: Perché il naso di Ilaria è
consumato?
Secondo la tradizione popolare, baciare il naso
della scultura di Ilaria portava fortuna per le
signorine che ambivano a maritarsi.
di M. Serra per Informagiovani Italia
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