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Conrad Schumann e il salto verso la libertà più famoso della Storia. Il
celebre scatto del 1961 immortalò la fuga rocambolesca di una giovane
recluta dalla Germania comunista: quell'immagine divenne il manifesto del
sogno di libertà di un'intera generazione.
Alle 04:00 pomeridiane del 15 agosto 1961, due giorni
dopo che il regime comunista della Repubblica
Democratica Tedesca (DDR) aveva cominciato, tra la
sorpresa generale e l'incredulità dei suoi stessi
commilitoni, a erigere il muro di
Berlino, ecco il salto più famoso della storia. Il muro
di Berlino avrebbe diviso per 29 anni la città, nessuno
poteva saperlo allora, ma il
giovane soldato, di 19 anni, Conrad Schumann (era
nato il 28 marzo 1942) saltò
il filo spinato posto al confine con Berlino Ovest,
diventando un simbolo di libertà grazie allo
scatto del fotografo Peter Leibing che lo
immortalò. |
|
"I miei nervi erano al punto di rottura",
ricordò successivamente Schumann in varie interviste.
"Avevo molta paura. Poi ho saltato ... in tre, quattro
secondi era tutto finito."
Il fotografo Peter Leibing, mescolandosi ai curiosi sul lato occidentale di
Bernauer Strasse catturò quello che venne universalmente chiamato il
"Leap of Freedom", il Salto della Speranza. Improvvisamente Schumann
divenne un eroe del mondo libero, e nella sua terra d'origine, un traditore
spregevole. Circa 2.100 soldati tedeschi dell'Est e poliziotti seguirono il
suo esempio fino alla caduta del
muro di Berlino.
"Benvenuto in Occidente", gridavano le persone radunate nella
parte occidentale di Bernauer Strasse. Il giovane soldato non era preparato
alla notorietà e all'adulazione. Al suo arrivo al centro di raccolta,
portato dalla polizia, disse semplicemente che gli era montata dentro una
forte rabbia quando aveva assistito al triste spettacolo di un bambino
tedesco orientale, trascinato brutalmente indietro dall'occidente, dalla
polizia dell'est. "Non volevo vivere rinchiuso" aggiunse ancora
frastornato dalla calca che aveva intorno che lo aveva già eletto, suo
malgrado a icona umana.
Anni dopo,
nell'ennesima intervista "All'uomo della foto del salto a
Berlino, hai presente? Quel soldato che saltava il filo spinato"
il suo ricordo, di quell'ormai lontano Ferragosto, era ancora nitido e pieno di
emozione. Ne parlava come di "un sogno", riviveva "l'angoscia, il
vuoto nella testa ossessionata da un solo pensiero, salvarsi, non morire lì,
correndo", un proiettile lo poteva raggiungere in un attimo e lui
lo sapeva bene. Tra i
fotogrammi impressi per sempre nella mente ricordava le facce incredule
dei suoi commilitoni e di chi assisteva alla scena dal lato occidentale, le
lacrime dell'arrivo, le pacche sulle spalle dei militari americani.
Dalla fotografia, che da allora divenne un simbolo universale di libertà,
riprodotta e riproposta milioni di volte tuttavia, non ricavò un soldo.
"Come mi hanno spiegato gli avvocati, io sono un personaggio storico,
l'immagine può essere pubblicata in tutto il mondo senza il mio consenso. Ma
nemmeno il fotografo è diventato ricco" si consolava. Non venne
neppure ricompensato, come ci si sarebbe forse aspettato, dalla sua nuova patria
all'Ovest. Un eroe avrebbe potuto essere importantissimo per la
macchina della propaganda occidentale, ma tutti i funzionari volevano da lui
informazioni che non possedeva. Schumann, secondo la stampa tedesca, fu
"spremuto come un limone" nei suoi interrogatori occidentali.
Non c'era da stupirsi
che il giovane eroe si sentisse confuso, non sentendosi a
proprio agio nel nuovo contesto, dove non conosceva nessuno e dove doveva
ricostruirsi una vita da capo. Andò un po' alla deriva nella sua nuova vita a
Berlino Ovest: cambiando lavoro frequentemente nei primi anni, trovando
difficoltà che non aveva immaginato e "l'estraneità da un mondo più
difficile" disse, tentando di consolandosi con l'alcool. Nonostante questo, mai,
neppure nei momenti più difficili della sua vita all'Ovest, Conrad Schumann
si era pentito della sua scelta: "Sono ancora orgoglioso di quello che ho
fatto - aveva detto in una lontana intervista al Corriere della Sera -
non c'era altra possibilità anche se ho corso un grande pericolo e ho
tagliato ogni ponte col mio passato: ho perso la famiglia, gli amici, il
lavoro, tutto". Era solo, a volte disperato, incompreso, ma aveva
resistito alle tante pressioni per fare ritorno, soprattutto aveva resistito
alle lettere dei suoi genitori che lo imploravano di rientrare: "Ho fatto
bene. Allora non lo sapevo, ma dopo la riunificazione ho scoperto che le
scrivevano sotto dettatura della Stasi". Ma forse la cosa più
triste per lui, fu che dalle sue parti, nella Sassonia dove era nato e cresciuto, il suo gesto
non era mai stato 'approvato'. "Ci sono parenti e vecchi amici che
ancora non mi vogliono parlare" disse una delle rare volte che tornò da
quelle parti dopo la caduta del Muro.
Solitario e depresso, il suo unico contatto umano con la sua famiglia
nell'Est era attraverso le lettere. Non aveva cambiato il suo nome né si
era dato alla clandestinità, e ora la Stasi, la polizia segreta orientale
tedesca, era sulle sue tracce. Rivolevano l'icona della Guerra Fredda
indietro, per i propri scopi. La famiglia scrisse molte lettere chiedendo a
Schumann di tornare a casa - tutto sarebbe andato bene. "Non mi sono mai
sentito libero fino al 9 novembre 1989 - giorno della caduta del Muro."
Dopo 10 anni passati a Berlino Ovest si trasferì in
Baviera dove si sentì più a casa che in Sassonia. Esitò sempre
anche a visitare la sua famiglia. Temeva una vendetta di ex dipendenti
dell'ex Ministero della Sicurezza di Stato della DDR (la cosiddetta
Stasi). Alla fine Schumann si sposò e si stabilì nel villaggio bavarese
di Kipfenberg, vicino a Ingolstadt, ebbe un figlio e lavorò
coscienziosamente sulla catena di montaggio dell'Audi per 27 anni. La foto
che lo ha fatto entrare nei libri di storia, Conrad Schumann la teneva
appesa al muro della stanza da pranzo, insieme a un'altra che lo ritraeva
accanto a Ronald e Nancy Reagan che volevano una foto al fianco
dell'uomo icona. I vicini a Kipfenberg lo descrivevano come un
uomo tranquillo e ritirato. La famiglia era abbastanza benestante; avevano
ereditato una casa dai suoceri. Poi, il 20 luglio del 1998, 37 anni dopo il
suo salto, un sabato, qualcosa è scattato tutto insieme nella sua testa.
Niente più speranze. Dopo un piccolo diverbio con la moglie, cose normali, Schumann
uscì da casa sua per andare da qualche parte. Dopo una breve corsa fino al bosco
vicino dove, poche ore
dopo,
venne ritrovato dalla stessa moglie appeso a un albero. Nessuna
lettera d'addio.
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