LA
FAMIGLIA D'ESTE A FERRARA
Dinastia principesca
dell'Italia padana le cui origini alto-medievali rimontano quasi sicuramente
alla famiglia degli
Obertenghi, di ascendenze longobarde.
L'effettivo capostipite della casata è da considerarsi tuttavia
Alberto Azzo II (circa 996-1097), signore del
castello di Calaone (Este), nel Padovano.
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A quasi un secolo dalla sua morte, Obizzo I
raccoglie nel 1184 l'eredità degli Adelardi di
Ferrara, anche dal punto di vista politico, poiché la famiglia degli Estensi
subentra loro nel ruolo di oppositori alla fazione ghibellina dei
Torelli.
Di
qui si giunge al pieno controllo della città con Azzo VII,
podestà poco oltre il 1240 (nel frattempo il fratello
Aldobrandino era stato addirittura privato del castello
avito dai Padovani), e con suo nipote, Obizzo II
(1247-93), fatto proclamare signore perpetuo di
Ferrara da un'assemblea popolare.
Il passaggio dalla dimensione della nobiltà feudale a quella
cittadina comporta anche la fine di un preminente ruolo
culturale tenuto dalla prima corte estense, e vivo fino alla
giovinezza di Azzo VII: quello di aver dato ospitalità nel
maniero padovano, a trovatori e giullari transalpini,
esponenti, come Aimeric de Peguilhan, dell'estrema
fase della poesia occitanica, prima che la crociata contro
gli Albigesi (1213) ne decretasse l'esaurimento. Dopo
alterne vicende, nel 1332 il papa concede agli Estensi il
vicariato, ma lungo tutto il secolo la casa non esprime
personalità di rilievo, fino a Niccolò III (nato nel 1383 e
al potere per quasi un cinquantennio, dal 1393 al 1441),
spregiudicato e circonfuso da un'aura di crudeltà disumana
(fa uccidere la seconda moglie, Parisina Malatesta, e
il figlio illegittimo Ugo - implicati in una relazione - per
favorire gli altri due bastardi avuti dalla relazione con
Stella dei Tolomei: Lionello e Borso ).
Alla
morte di Gian Galeazzo Visconti, nel 1402, l'Estense
cerca di approfittare della dissoluzione dello Stato
visconteo impadronendosi di
Reggio Emilia
e
Parma
(ma nel 1420 dovrà poi cedere la seconda a Filippo Maria
Visconti per non perdere la prima), e inizia quella
politica altalenante con i due maggiori potentati confinanti
- il
ducato di Milano e la Repubblica di Venezia - che
sarà poi tipica della dinastia. A Niccolò morto
improvvisamente a
Milano
nel 1441 (forse avvelenato) - succedono gli illegittimi
Lionello (fino al 1450) e quindi, per un ventennio,
Borso (1450-71), sotto i quali Ferrara inizia a
trasformarsi in uno dei maggiori e più splendidi centri del
Rinascimento,
in virtù di un rinsaldato legame tra esercizio del potere e
cultura, altamente fruttuoso per tutto il XVI secolo. Venuto
a mancare anche Borso, gli subentra il fratello legittimo
Ercole I (figlio della terza moglie di Niccolò Rizzarda
di Tommaso di Saluzzo) dal 1471 al 1505, che saprà guidare
con mano ferma lo Stato tra le prime, tragiche conseguenze
della spedizione di Carlo VIII di Francia in Italia
(1494), e nondimeno proseguire il mecenatismo dei fratelli.
A
Ercole subentra il figlio Alfonso I, che si trova a
governare in anni difficilissimi; lo Stato arriva al minimo
della sua estensione e per due volte rischia di scomparire,
prima sotto i colpi di papa Giulio II, del duca di
Urbino, dei Lucchesi, durante la guerra della
Lega di Cambrai; poi sotto quelli di Leone X al
tempo dello scontro tra
Francesco I e
Carlo V per la successione
imperiale alla morte di Massimiliano I (1519). In
quei frangenti il papa aveva infatti annesso allo Stato
della Chiesa le conquiste fatte dal nipote Lorenzo nel 1516
(ducato di Urbino, Parma, Piacenza e Reggio) e, garantendo
il suo appoggio a Carlo V nella lega del 1521, aveva
ottenuto dall'Imperatore anche la cessione di Ferrara. Con
il figlio di Alfonso, Ercole II, duca dal 1534 al
1559, e sollecito nel mantenersi neutrale tra Francia e
Impero, la casa d'Este conosce invece un venticinquennio di
pace, eccezion fatta per l'alleanza con papa Paolo IV
ed Enrico II di Francia contro Filippo II di
Spagna tra il 1556 e il 1558.
Alla
sua morte gli succede naturalmente il primogenito maschio
Alfonso II (nato nel 1533), quinto e ultimo duca di
Ferrara, Modena e Reggio dal 1559 al 1597. Con lui la corte
vive anche l'ultima e probabilmente la più fastosa delle sue
stagioni. Trascorre gran parte della sua giovinezza alla
corte francese di Enrico II, tornando in Italia per
sposarsi, nel 1558, con Lucrezia de' Medici, figlia
del granduca Cosimo I, e poi l'anno successivo per
assumere il comando del ducato ferrarese alla morte del
padre. L'ingresso della giovanissima moglie a Ferrara, il 27
febbraio 1560, dà l'avvio alla successione di feste,
giostre, mascherate carnevalesche, rappresentazioni
teatrali, per cui la città andò famosa.
Il
nuovo duca ama del resto circondarsi di un fasto degno di un
grande monarca (oltre trecento persone addette soltanto al
suo servizio personale; un'imponente quantità di uomini e
animali per la caccia; una nutrita guardia del corpo): ciò
che finirà - inevitabilmente - per esautorare, verso la fine
degli anni '70, le finanze del ducato. Ma il periodo di pace
diffusa, in Italia e in Europa, seguito al trattato di
Chateau-Cambrésis (1559) permette al duca di dedicare
tempo e risorse al mecenatismo e all'incremento culturale
tradizionali degli Estensi.
Tra i
molti letterati da lui protetti e accolti a corte (Giovan
Battista Guarini, Giovan Battista Pigna, Francesco Patrizi,
Pirro Ligorio ecc.), spicca l'inquieta personalità di
Torquato Tasso
(1544-1595), che a Ferrara si trasferì nel 1565, entrando
dapprima a servizio del cardinale Luigi d'Este,
fratello del duca (morto nel 1586), poi, dal 1572, dello
stesso Alfonso, che lo nominò l'anno seguente lettore di
Geometria e Sfera nello Studio ferrarese. Sempre nel 1573 il
poeta era stato tra i principali artefici di un'altra
celebre festa teatrale di corte, allorché il 31
luglio, nel palazzo dell'isoletta del Belvedere (trasformata
in giardino di delizie da Alfonso I, tra il 1514 e il 1516)
si rappresentò per la prima volta la sua favola pastorale in
cinque atti Aminta. Seguirono quindi gli anni più
tormentati del soggiorno ferrarese e della stessa vita di
Tasso, segnati dalle progressive segregazioni, a partire dal
1577, nel castello Estense; nel convento di San Francesco e
infine, dal 1579 al 1586 la quasi detenzione nell'ospedale
di Sant' Anna. Molti furono anche gli artisti e i musici
protetti dal duca, sebbene in assenza di nomi di grandi
rilievo. E speciale attenzione è dedicata anche
all'arricchimento della Biblioteca, per la quale
Alfonso ordinò che fossero ricercati tutti i libri
pubblicati dal momento dell'invenzione della stampa.
Un
problema tuttavia si fa sempre più assillante a corte, ed è
quello della successione, dato che il duca non sembra possa
avere figli. L'erede non verrà infatti né dalle tre mogli
legittime (Lucrezia, morta nel 1561; Barbara d'Austria,
figlia dell'imperatore Ferdinando I, sposata nel 1565 - fu
questa l'occasione per un'altra grandiosa festa, un
Trionfo d'Amore, cui assistette il giovane Tasso - e
morta nel 1572; Margherita Gonzaga, figlia di
Guglielmo duca di Mantova e Monferrato, sposata infine
nel 1579) n?da relazioni illegittime. Il fatto permetterà al
papato di rivendicare nuovamente il possesso di Ferrara,
anche sulla base delle prescrizioni contenute nella bolla
Prohibitio alienandi et infeudandi civitates et loca Sanctae
Romanae Ecclesiae, pubblicata da Pio V nel 1567, che
faceva divieto di infeudare i bastardi di proprietà della
Chiesa. A questo documento si sarebbero richiamati anche i
papi successivi,
Gregorio XIII, Gregorio XIV e da ultimo
Clemente VIII, irremovibile nel riconoscere come erede
del ducato
Cesare d'Este, figlio di un bastardo di Alfonso I,
Alfonso d'Este (1527-1587, sposatosi nel 1549 con Giulia
della Rovere, figlia di Francesco Maria duca di Urbino;
legittimato tuttavia nel 1532 dal cardinale Innocenzo
Cybo e l'anno successivo dallo stesso padre, che gli
aveva assegnato come appannaggio il feudo marchionale di
Montecchio, facendogli quindi ottenere l'investitura
imperiale).
Il più
giovane Estense era stato riconosciuto a sua volta come duca
di Modena e Reggio dall'imperatore Rodolfo II, nel
1594, dietro il pagamento dell'ingente somma di 400.000
scudi. Subito dopo la morte di Alfonso II è investito anche
del titolo di duca di Ferrara, ma qualche giorno dopo, a
Roma, il papa dichiara la devoluzione del ducato ai
possedimenti della Chiesa a causa dell'estinzione in linea
diretta della casata estense ("ob lineam finitam"), e
intima al nuovo duca, pena la scomunica, di adeguarsi a tale
risoluzione. Comminata l'interdizione religiosa il 23
dicembre 1597, il bigotto e pauroso Cesare, timoroso
altresì di un conflitto armato non meno che del diffuso
malcontento sociale, accetta di risolvere la questione per
via diplomatica.
Delega quindi a trattare con il legato pontificio Lucrezia d'Este,
sorella del defunto Alfonso II e duchessa d'Urbino, che, mossa forse da uno
spirito di vendetta nei confronti del fratello (il quale più di due decenni
prima le aveva fatto uccidere un amante), accetta incondizionatamente nella
capitolazione di Faenza
(13 gennaio 1598) la devoluzione del ducato e di tutta la
Romagna allo Stato della Chiesa. Finisce con quest'atto la signoria degli
Estensi su Ferrara, iniziata quattro secoli prima con Obizzo II. La corte si
trasferisce di lì a poco nella più piccola e disagiata
Modena,
con irreparabile diminuzione di prestigio e incidenza politica.
La
decadenza prosegue nel secolo successivo finché nella
seconda metà del Settecento i diritti della casa d'Este
passano all'Austria, in virtù del matrimonio tra
Ferdinando Carlo Antonio, figlio di
Francesco di Lorena e Maria Teresa d'Austria con
Maria Beatrice d'Este (15 ottobre 1771). La linea d'Austria-Este
si estingue nel 1875 con il figlio di Francesco IV,
Francesco V.
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