Il furto della Gioconda, la Monna Lisa

Sei qui: Aneddoti, curiosità e pillole di Storia  > Cosa vedere a Parigi > Museo del Louvre >

La storia del più celebre furto d'arte della storia: il 21 agosto 1911 la Gioconda di Leonardo da Vinci scompare dal Louvre di Parigi. Dietro il colpo non c'è un abile ladro, ma un semplice imbianchino italiano. Il dipinto tornerà al museo solo due anni dopo, tra rocambolesche peripezie. Ripercorriamo insieme i dettagli di questo eclatante caso che rese il capolavoro di Leonardo ancor più famoso nel mondo.. 

 

di Massimo Serra per Informagiovani-italia.com

Indice

Introduzione

Pagina della Domenica del Corriere dedicata al furtoLa storia dell'arte è costellata di opere straordinarie che hanno catturato l'immaginazione e l'ammirazione di generazioni. Tra queste, la Gioconda, più comunemente conosciuta come Monna Lisa, occupa un posto di primaria importanza. Questo ritratto, opera del genio rinascimentale Leonardo da Vinci, è diventato uno dei simboli universali dell'arte, riconosciuto e ammirato in ogni angolo del mondo. Ma oltre alla sua bellezza intrinseca e al mistero del suo enigmatico sorriso, la Gioconda è anche avvolta in un velo di mistero legato a un evento storico che ha scosso il mondo dell'arte: il suo audace furto dal Louvre nel 1911.

Il Louvre, situato nel cuore di Parigi, è uno dei musei più grandi e importanti del mondo. Ospita una collezione inestimabile di opere d'arte che spazia dall'antichità alla modernità. Eppure, tra tutte queste opere, la Gioconda ha sempre avuto un posto speciale, divenendo per molti, nel corso dei decenni, il motivo principale per cui le persone visitavano il grande museo (non ce ne vogliano gli altri innumerevoli capolavori). Un'opera universalmente nata, non solo per la sua qualità artistica, ma anche per la sua affascinante storia. Il dipinto ha attraversato secoli, testimone di rivoluzioni, guerre e cambiamenti culturali. Eppure, nonostante tutto ciò, nulla avrebbe potuto preparare il mondo per la notizia che avrebbe scosso Parigi e l'intera comunità artistica quella fatidica mattina del 21 agosto 1911: la Gioconda era sparita.

Il furto della Gioconda non fu solo un crimine audace, ma rappresentò anche un affronto alla cultura e alla storia. La sparizione di un'opera d'arte di tale calibro era inimmaginabile. La Gioconda era più di un semplice dipinto, era un simbolo del Rinascimento, dell'ingegno umano, della creatività e dell'innovazione. Il fatto che potesse essere rubato in pieno giorno, da uno dei musei più prestigiosi del mondo, sollevò interrogativi sulla sicurezza dei nostri tesori culturali e sulla loro vulnerabilità. E mentre Parigi e l'intera Francia andarono in subbuglio, la domanda che tutti si posero era: chi avrebbe potuto compiere un tale atto e perché?

Le teorie sul furto proliferavano. Alcuni sospettavano potenze straniere, mentre altri puntavano il dito su artisti anarchici. L'indagine divenne rapidamente un intrigo internazionale, coinvolgendo detective, giornalisti e addirittura occultisti. La caccia alla Gioconda divenne una corsa contro il tempo e una vera e propria ossessione.

L'origine della Gioconda

Caricatura della Gioconda di quei giorniLa Gioconda è da sempre una donna con espressione pensosa e un delicato, appena accennato sorriso, spesso interpretato come enigmatico o criptico. Nessuna altra opera al mondo ha avuto una tale popolarità ed è stata riprodotta così tanto. Il dipinto, di per sé non molto grande (77x54 cm), fu eseguito ad olio, su legno di pioppo. L'identità della Gioconda, anche se non certa, pare riconducibile a Monna Lisa Gherardini, donna della piccola nobiltà rurale fiorentina, seconda moglie del facoltoso mercante Francesco Bartolomeo del Giocondo (da cui il nome di "Gioconda"). Il dipinto venne commissionato a Leonardo proprio da Bartolomeo del Giocondo tra il 1502 e il 1503. Leonardo dipinse la Gioconda probabilmente a Firenze, quando era alloggiato nelle case accanto a Palazzo Gondi (oggi distrutte) vicino Piazza della Signoria.

Francesco di Bartolomeo del Giocondo e sua moglio non avrebbero mai visto l'opera finita. Nel 1507 Leonardo la trasportò a Milano e continuò a perfezionarla fino al 1513. Alla fine, il dipinto non fu mai consegnato al mercante e a sua moglie.

Anzi, Leonardo portò il dipinto con sé in Francia dall'Italia nel 1516, quando Francesco I lo invitò a lavorare ad Amboise vicino alla sua residenza, ospitando nel vicino Castello di Clos-Lucé. Qui, il re francese gli comprò vari quadri tra cui la Gioconda; di conseguenza essa è legittimamente proprietà dello Stato francese. Dopo la sua morte, il ritratto divenne parte del patrimonio artistico reale francese e fu spostato in diverse residenze regali prima di trovare posto nel museo iconico della rivoluzione, il Louvre, senza suscitare grandi clamori.

Il dipinto inizialmente fu per diverso tempo nel castello di Fontainebleau, quindi seguì i regnanti di Francia nella reggia di Versailles. Dopo la Rivoluzione Francese venne portato al Louvre. Napoleone lo fece addirittura mettere nella sua camera da letto  al palazzo delle Tuileries, ma poi tornò al Louvre. Durante la guerra franco-prussiana (1870-1871), venne tolto dal Louvre e nascosto.  Leggi l'articolo sugli altri Capolavori del Louvre.

Ci sono state altre ipotesi suell'identità della Gioconda, alcune da giallo storico, tra queste quella che vuole che Leonardo abbia composto un autoritratto dove si è auto-raffigurato in versione femminile. Secondo un ipotesi più recente la Gioconda potrebbe raffigurare Bianca Sforza (già Dama con l'Ermellino di un altro famoso quadro di Leonardo che si trova ora al Castello di Wawel a Cracovia), primogenita del duca di Milano Ludovico Maria Sforza, conosciuto come Ludovico il Moro, morta avvelenata (altro mistero) nel 1496 e conosciuta da Leonardo durante il suo soggiorno milanese.

Su queste e su altre ipotesi vi rimandiamo all'ampio articolo dedicato alla Gioconda.

Il furto rocambolesco della Gioconda

Chiamatemi solo se rubano la Gioconda, disse il direttore del Louvre scherzando prima di andare in vacanza in quella afosa estate del 1911. Poco più di un secolo e un decennio fa, per l'esattezza il 21 agosto 1911, venne rubato dal Museo del Louvre di Parigi, il quadro più famoso di tutti i tempi, la Gioconda di Leonardo da Vinci. Il furto non fu opera di un Arsenio Lupin o, come si era pensato, di una potenza straniera (come la Germania) o di qualche artista anarchico (come il poeta Appolinaire ingiustamente accusato, o il suo amico Pablo Picasso, che finse di non conoscerlo per evitare problemi con la giustizia, o della boutade di Gabriele D'Annunzio che giurava che fosse a casa sua), ma di un imbianchino italiano di nome Vincenzo Peruggia.

Parete vuota dopo il furto della GiocondaLa fama del dipinto è cresciuta poi a dismisura in seguito a questa singolare vicenda: la mattina del 22 agosto 1911 il discretto pittore francese Louis Béroud (oggi al Louvre e in altri musei parigini sono esposte alcune delle sue opere) si era recato di buon’ora al Louvre, chiuso al pubblico come ogni lunedì, per svolgere il suo lavoro da copista. Aveva intenzione di ritrarre proprio la Gioconda. Ma giunto davanti alla parete si accorse che il quadro non c’era. Davanti a lui il muro era vuoto e il dipinto sparito.

Un resoconto di quei momenti cruciali ci è stato fornito da un pezzo apparso sul quotidiano "Le Figaro", datato 23 agosto. Inizialmente, il brigadiere Poupardin, avvisato da Béroud, aveva ipotizzato che la Gioconda fosse stata trasferita allo studio fotografico Braun, che lavorava con il Louvre e che aveva il permesso di spostare opere d'arte per le sessioni fotografiche. Tuttavia, una volta verificato che il dipinto non era presente nello studio lo shock fu assoluto. Ciò che rimaneva del capolavoro erano soltanto la cornice e il vetro, lasciati indietro dal malintenzionato all'interno del museo. Immediatamente, le gallerie furono sgomberate, le entrate del museo sigillate, e tutto il personale fu chiamato per una serie di interrogatori preliminari.

Era la prima volta che un capolavoro veniva sottratto in maniera così audace da un museo: un furto che avrebbe fatto storia. La polizia parigini si mobilitò rapidamente, interrogando chiunque avesse avuto accesso al Louvre durante recenti lavori di restauro, ma ogni pista si rivelava un vicolo cieco. L'attenzione si concentrò temporaneamente su un team di lavoratori che, il giorno prima (quando il museo era chiuso al pubblico), erano stati notati vicino al dipinto, ma anche questi ultimi risultarono completamente estranei all'accaduto.

L'attuazione del piano di Peruggia

Vincenzo PeruggiaCome già scritto, il 21 agosto 1911 Vincenzo Puruggia, che lavorava, e aveva lavorato, al Louvre, dove aveva partecipato ai lavori per la sistemazione della teca dove era custodita la Gioconda, mise in moto il suo piano.  Conosceva bene le abitudini del personale del museo e le possibili vie di fuga. Vie di fuga che non usò affatto. Era talmente improbabile come ladro, che dopo aver portato fuori il dipinto nascosto sotto il cappotto, nessuno pensò a lui. Anche se più tardi venne dichiarato mentalmente disturbato, non era affatto stupido. Il giorno prima del furto del secolo, per dotarsi di un alibi convincente, Peruggia aveva organizzato una serata in un caffè con i suoi amici italiani, facendo molto tardi, fingendosi addirittura ubriaco e facendosi fare anche una multa per schiamazzi notturni. L'indomani, poco dopo le sette del mattino,  uscì di casa senza farsi notare da nessuno, entrò al Louvre riuscendo ad evitare di farsi vedere dal custode (perennemente addormentato) e si diresse verso il Salon Carrè dov'era custodita la Gioconda in quel periodo (ora si trova nella Sala degli Stati), staccò il quadro dalla cornice e se lo infilò dentro il giubbotto. Dopo pochi minuti l’imbianchino italiano era di nuovo nell'appartamento che condivideva con il cugino, nascose il dipinto sotto il tavolo di cucina e si rimise a letto facendo finta di non essersene mai andato.

Poco dopo, alle nove in punto Peruggia uscì nuovamente dal suo appartamento, facendosi notare dalla portinaia (alla quale disse che doveva andare di fretta al lavoro perché la sera prima aveva alzato troppo il gomito e si era svegliato tardi). Una volta arrivato al Louvre si trovò di fronte al caos più totale. La notizia del furto del capolavoro di Francia aveva già fatto il giro della città, presto si sarebbe saputo in ogni dove.

La polizia però brancolava nel buio; alcuni dicevano che la colpa della "sparizione" era da attribuire ai tedeschi (con i quali, come al solito, i francesi non erano in buoni rapporti), contro i quali pochi anni dopo sarebbero entrati in guerra; altri pensavano fosse stato un folle o magari un maniaco. La vicenda ebbe anche dei risvolti comici quando si venne a sapere che il sottosegretario alla Belle Arti, il giorno prima del furto, nell'atto di partire per le vacanze, si era raccomandato così ai suoi uomini con questa frase passata alla storia: "non chiamatemi a meno che il Louvre non prenda fuoco o la Gioconda venga rubata". Il paradosso venne raggiunto quando lo stesso Prefetto di Parigi andò a perquisire la casa dove abitava il Peruggia (pratica usata per tutte le persone che lavoravano al Louvre), ed oltre a non trovare nessun indizio firmò il verbale della perquisizione sul tavolo dove era custodito il quadro.

I sospetti

La notte si consuma dolcemente
Sereno alfine m'addormento.
I tuoi occhi che vegliano il tuo amante
Non sono forse, mia bella indocile,
Le nostre stelle del firmamento?

Queste ultime sono alcune strofe di una poesia del poeta Guillaume Apollinaire, l'artista che il 7 settembre venne arrestato perché sospettato del furto del quadro. Il sospetto scaturiva da una invettiva del poeta contro l'arte del passato. Egli difatti aveva anche dichiarato di voler distruggere i capolavori di tutti i musei per far posto all'arte nuova. Ma il prefetto di Parigi, dopo essersi fatto scappare il dipinto sotto il naso, prese un altro clamoroso granchio. Infatti l'arresto di Appolinaire (nato a Roma da padre italo svizzero e da madre polacca) si basava in realtà su una calunnia da parte del suo ex amante Honoré Géri Pieret, che lo accusò per vendicarsi di essere stato lasciato, di aver ricettato alcune statuette antiche rubate dal museo. Le statuette, erano state realmente trafugate, ma con la Gioconda il poeta non c'entrava niente.

Le statuette fenice finirono poi nelle mani di un amico di Appolinaire, un giovane Pablo Picasso, che poi cercò di sbarazzarsi della refurtiva dichiarando anche di non avere mai conosciuto il poeta. Finita la bufera iniziale Picasso ripensò in seguito in modo divertente a tutta questa storia coniando per gli amici una famosa battuta "Amici, vado al Louvre, serve qualcosa?". Insomma, tutta la faccenda stava diventando una tragicommedia. Dopo lo scandalo e gli 8 giorni di prigione Apollinaire volle dimostrare di essere un vero patriota francese (anche se, come diceva il suo amico De Chirico, si sentiva anche molto italiano e amasse il Bel Paese). Di li a poco scoppiò la Prima Guerra Mondiale, il poeta si arruolò volontario prestando servizio come ufficiale di fanteria e, nel 1916, ricevette una grave ferita da schegge alla tempia, dalla quale non si sarebbe mai ripreso completamente. Indebolito dalla guerra, morì all'età di 38 anni il 9 novembre 1918 di influenza spagnola del 1918. A causa del suo servizio militare per tutta la durata della guerra, fu dichiarato "Morto per la Francia" (Mort pour la France) dal governo francese e fu sepolto nel cimitero di Père Lachaise, a Parigi.

 

Intanto il vero autore del furto...

Intanto al Louvre due nuovi protagonisti si erano affacciati al mondo dell'arte, spinti involontariamente dal furto della Monna Lisa.: il chiodo a cui era appesa la Gioconda, e lo stesso spazio vuoto dove si trovava il quadro, i quali erano divenuti essi stessi, opere d'arte, visti e ammirati in modo sacrale da migliaia di persone, molte delle quali non avevano mai visto il dipinto di Leonardo. Questa circostanza fu fonte di ispirazione di molti altri pittori tra cui Braque e in seguito Duchamp. Tra le persone di ogni ceto sociale e di ogni nazionalità in fila per veder il vuoto spazio dove prima stava la Monna Lisa, ci furono Max Brod e Franz Kafka in vacanza in Francia.

Intanto tutta Parigi, e tutta la Francia, venivano messe sottosopra alla ricerca del quadro più famoso del mondo. La notizia del furto riempì le pagine dei giornali francesi con titoli come "Inimmaginabile", "Spaventoso", "Gli autori dei romanzi polizieschi indietreggerebbero di fronte a un fatto così irreale". Per trovare il dipinto si ricorse anche a famosi veggenti e occultisti.

Il vero autore del furto della Gioconda, Vincenzo Peruggia, custodì il dipinto per 28 mesi  dentro una valigia di cartone, nascosta sotto il letto di una misera pensione di Parigi. Quando si chiudeva a chiave nella sua piccola stanza e tirava fuori dalla valigia di cartone la Monna Lisa, guardandola alla luce di una candela o alla luce del tramonto, si sentiva l'uomo più ricco (e forse più felice) del mondo.

Nel 1913, Peruggia decise di riportare la Gioconda in Italia. Imballò il dipinto in una valigia di cartone e attraversò la frontiera senza problemi. Le cronache sostengono che le autorità doganali non controllarono la sua valigia, e così il famoso dipinto fu trasportato illegalmente attraverso la frontiera. Il "ladro imbianchino" tornò nel suo paese d'origine, Luino, con la seria intenzione di "restituire" il quadro all'Italia, poiché pensava erroneamente che fosse stato "rubato" nel nostro paese e al nostro paese durante il periodo napoleonico. In realtà, come abbiamo visto, la Gioconda era stata regolarmente acquistata dal re di Francia nel 1517, Francesco I, protettore di Leonardo da Vinci, per l'allora astronomica cifra di 4000 scudi d'oro.

La Gioconda finisce a Firenze

Sempre nel 1913 Peruggia, in difficoltà economiche, si recò a Firenze per provare a rivendere il quadro. Si mosse alla ricerca di un commerciante d'arte, rivolgendosi infine all'antiquario fiorentino Alfredo Geri a cui spedì una lettera firmata "Leonardo V" in cui scrive "Il quadro (la Gioconda ndr) è nelle mie mani, appartiene all'Italia perché Leonardo è italiano". Nella stessa lettera chiedeva 500 mila lire per le spese sostenute. Aveva un senso dell'umorismo tutto suo, non c'è che dire! L'antiquario Geri, incredulo ma incuriosito fissò un appuntamento con il Peruggia all'Hotel Tripoli (che poi manco a dirlo diventò Hotel Gioconda), e chiamò come testimone anche l'allora direttore del museo degli Uffizi, Giovanni Poggi. I due non credendo quasi ai loro occhi si ritrovarono davanti il capolavoro di Leonardo, quello che tutte le polizie del mondo stavano ancora cercando. I due, con un pretesto, si fecero consegnare il dipinto chiedendo al Peruggia di avere tempo per analizzarlo. Peruggia approfittò allora per farsi quello che sarebbe diventato un ultimo giro la città; poco dopo infatti, furono avvertite le autorità, e venne l'imbianchino venne individuato e arrestato.

Epilogo, giro d'Italia della Gioconda e riconsegna alla Francia

Il processo, che vedeva gran parte dell'opinione pubblica italiana a favore del Peruggia, si svolse il 4 e 5 giugno 1913 presso il Tribunale di Firenze, di fronte alla stampa internazionale. Con un pretesto si cercò di avvalorare l'infermità mentale dell'imputato, che per fortuna non passò (sarebbe finito in manicomio). Il medico psichiatra del tribunale che voleva avvalorare l'infermità pose al Peruggia un indovinello : "Su un albero ci sono quattro uccelli. Se un cacciatore spara ad uno di essi, quanti ne rimangono sull'albero? - Quattro! - rispose Peruggia. - Nessuno, tutti volano via!- tuonò il medico." La pena fu in definitiva abbastanza lieve, anno e quindici giorni di prigione, che vennero poi ridotti a 7 mesi e 4 giorni nel carcere ex monastero, delle Murate a Firenze, oggi trasformato in un popolare centro culturale.

La Gioconda esposta a FirenzeFinito il processo l'Italia era pronta a restituire la Gioconda alla Francia, ma non prima di esporla, per una specie di tournee di addio. Il quadro venne esposto prima agli Uffizi di Firenze, poi a Roma, all'ambasciata di Francia a Palazzo Farnese e poi alla Galleria Borghese. Rientrato in Francia il quadro venne accolto con tutti gli onori dal Presidente francese e da tutto il Governo.

All'uscita dal carcere delle Murate a Firenze, il 31 Luglio 1914, interrogato da una folla di giornalisti che lo aspettavano, l'imbianchino più famoso del mondo disse: "Vedano, ho avuto intenzione di riportare in patria il dipinto di Leonardo senza alcuno scopo interessato. Centamente se avessi immaginato quale accoglienza mi si preparava mi sarei guardato bene dal venire fin qui! Io avrei potuto tenere presso di me il dipinto, oppure, se fossi stato un ladro o uno speculatore, non mi sarebbero mancati i mezzi per venderlo all'estero. Però mi sembrava giusto aspettare una ricompensa che non fosse quella del carcere! Tutti hanno guadagnato più di me: l'antiquario Geri, il Governo e anche la stampa di tutto il mondo ed io ho guadagnato otto mesi di carcere...Oggi mi trovo privo di lavoro e, quello che è peggio, senza un soldo." Senza dubbio il furto di Peruggia contribuì al mito della Gioconda e a renderla ancora più riconosciuta a livello mondiale.

Scarcerato, Peruggia, che nel frattempo era diventato una specie di star che firmava cartoline della Gioconda, partecipò alla Prima guerra mondiale e, dopo Caporetto, finì in un campo di prigionia austriaco. Terminata la guerra emigrò nuovamente in Francia, si sposò, ebbe tre figli e aprì un negozio di vernici nell'Alta Savoia. Morì in Francia a Parigi nel 1925, nella stessa città dove il furto più celebre della storia dell'arte aveva avuto luogo. Aveva un documento falso, era l'8 ottobre giorno del suo 44 esimo compleanno. Fu sepolto nel cimitero di Saint Maur des Fosses, periferia a sud est di Parigi. La sua unica figlia, Celestina Peruggia, morta nel marzo del 2011, ricordava come in paese da piccola la chiamassero manco a dirlo "Giocondina".

 

Bibliografia

  1. Paolo Galluzzi, I ricordi di Leonardo da Vinci, Pacini Editore, 2015
  2. Donald Sassoon, Leonardo e la Monna Lisa. La storia di un capolavoro, Einaudi, 2020
  3. Giulia Beatrice Martini, Il volto segreto di Leonardo. Mito e storia della Gioconda, Mondadori, 2006
  4. Salvatore Settis, La Gioconda, Einaudi, 2005
  5. Mariolina Olivari, La Gioconda di Leonardo e il suo furto, Giunti, 1999
  6. Dan Brown, Il codice da Vinci, Mondadori, 2004
  7. Luca Landucci, A Firenze ai tempi di Leonardo: diario autobiografico, Nardini, 1992
  8. Serge Bramly, Leonardo: il romanzo di un genio, Mondadori, 2009
  9. Scotti, R. A. (2009). Vanished Smile: The Mysterious Theft of the Mona Lisa. New York: Knopf.
  10. Kurkjian, S. (2010). Master Thieves: The Boston Gangsters Who Pulled Off the World's Greatest Art Heist. New York: PublicAffairs.
  11. Hoobler, D., & Hoobler, T. (2009). The Crimes of Paris: A True Story of Murder, Theft, and Detection. New York: Little, Brown and Co.
  12. Dolnick, E. (2005). The Rescue Artist: A True Story of Art, Thieves, and the Hunt for a Missing Masterpiece. New York: HarperCollins.
  13. Boser, U. (2008). The Gardner Heist: The True Story of the World's Largest Unsolved Art Theft. New York: Collins.
  14. Amore, A. M., & Mashberg, T. (2011). Stealing Rembrandts: The Untold Stories of Notorious Art Heists. New York: Palgrave Macmillan.
  15. Charney, N. (2015). The Art of Forgery: The Minds, Motives and Methods of the Master Forgers. London: Phaidon.
  16. Wittman, R., & Shiffman, J. (2010). Priceless: How I Went Undercover to Rescue the World's Stolen Treasures. New York: Crown.

 

 

Copyright © Informagiovani-italia.com. La riproduzione totale o parziale, in qualunque forma, su qualsiasi supporto e con qualunque mezzo è proibita senza autorizzazione scritta.

Se questa pagina ti è piaciuta e ti è stata utile offrici un caffè (ma non ci offendiamo se ci offri una pizza :) ), così ci aiuterai ad andare avanti per quanto possiamo e a scrivere e offrire la prossima guida gratuitamente.:  Paypal

 
FacebookTwitterYoutubeScrivi a Informagiovani Italia