Vita
di Piero della Francesca - Biografia e opere
Piero della
Francesca, nato Piero di Benedetto dei Franceschi il 12
settembre 1416/17, a Borgo San Sepolcro, oggi
Sansepolcro, nei
pressi di Arezzo, Repubblica di Firenze, morì il 12 ottobre
1492 nello stesso luogo. Fu un artista innovativo, incompreso
per i suoi contemporanei, a cui è stato riconosciuto, nel XX secolo,
il merito di aver contribuito con le sue opere e la sua
"modernità" al
Rinascimento. Il ciclo di affreschi La
leggenda della Vera Croce (1452-66) e il ritratto dittico
di Federico da Montefeltro, duca di Urbino, e della sua
consorte (1465) sono le sue opere più note. |
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La gioventù e la
formazione
I fatti documentati della vita di Piero della Francesca, che sono pochi,
permettono una ricostruzione ragionevolmente accurata della sua carriera e
dei suoi interessi, ma non un' esatta cronologia dei dipinti sopravvissuti.
Suo padre, Benedetto de' Franceschi, era apparentemente conciatore e
calzolaio, abbastanza prospero da far sì che suo figlio diventasse educato e
alfabetizzato in latino, sua madre era Romana di Pierino da Monterchi.
Non si sa nulla della formazione iniziale di Piero come pittore, anche se si
presume che egli sia stato istruito da maestri locali, a loro volta
influenzati dall'arte senese. Gli anni giovanili della formazione di Piero
nel paese natale si legano alla figura di un certo Antonio Anghiari
che nel 1430 ricevette la commissione per dipingere la Pala di San Francesco,
affidata sette anni dopo al pittore di
Cortona
Stefano di Giovanni di Consolo, meglio conosciuto come Sassetta.
Probabile quindi che al di là di una supposta influenza della cultura gotica
subita nella vicina
Siena,
la formazione del giovane Piero si inserisca all'interno delle
vicissitudini in atto a quel tempo a
Firenze.
Infatti, nel 1439 Piero lavorò come collaboratore di Domenico Veneziano
a Firenze, dove cominciò a fiorire lo stile del primo Rinascimento.
Firenze è attraversata da un fervente clima culturale artistico, Piero della
Francesca ha la possibilità di ammirare i grandi cantieri di Santa Croce e
Santa Maria Novella, e di confrontarsi con i suoi contemporanei, un
concentrato di geni come Masaccio, Donatello, Masolino, Domenico Veneziano,
Brunelleschi e Alberti. La notizia più attendibile riguardo alla collaborazione di Piero risulta
comunque da un documento del 1439 relativo al pagamento di Domenico
Venenziano per gli
affreschi eseguiti nell'ospedale di Santa Maria Nuova insieme a "Pietro
di Benedetto dal Borgo a San Sepolcro".
Probabilmente a Firenze studiò le statue di
Donatello e Luca della Robbia, gli edifici di
Filippo Brunelleschi e i dipinti di
Masaccio
e Fra Angelico, e avrebbe potuto leggere un trattato teorico sulla
pittura dell'umanista e architetto
Leon Battista Alberti.
Probabilmente condotto allo studio di questi artisti da Domenico
Veneziano, le cui opere dimostrano un'enfasi rinascimentale sul colore e
la luce come elementi di costruzione pittorica. Fu proprio questo contatto
con l'arte del primo Rinascimento fiorentino a gettare le fondamenta dello
stile di Piero.
Il ritorno a San Sepolcro e la
Pala della Misericordia
Tornato a Sansepolcro nel 1442, Piero fu eletto consigliere comunale. Tre
anni dopo la Confraternita della Misericordia gli commissionò un
polittico. L'altare della Misericordia mostra la sua predilezione per la
forma geometrica, lo studio approfondito compiuto prima e durante la
realizzazione. Lavorava abitualmente con lentezza, tanto che la pala della Misericordia
venne completata solo nel 1462.
Accingendosi a dipingere il Polittico della Misericordia, Piero si trovò di fronte a due realtà pittoriche opposte:
da una parte
la pala dell'Estasi di San Francesco del Sassetta, un dipinto
concepito ancora nello spirito di una religiosità pura e idealizzata,
raffigurata nell'immagine del santo assorto in contemplazione su
uno sfondo argenteo e rarefatto; dall'altra parte, la pala d'altare della
Chiesa del Carmine eseguita da Masaccio, opera che aveva posto in
termini "proporzionali" il tema dell'infinito.
Piero riesce a mediare le due posizioni: il dipinto del Polittico è ancora
in chiave medievale, con la maggior parte dello sfondo d'oro e la dimensione ridotta
delle figure umane e dei santi ai piedi della Madonna, ma lo sfondo in oro
diviene una fonte di luce che
definisce lo spazio secondo volumi precisi e proporzionali.
Ferrara, Bologna e Rimini
La vita personale dell'artista si divide intanto tra la calma di Sansepolcro e il contatto con la vita umanistica
del Rinascimento in centri artistici e intellettuali come
Ferrara
e
Rimini.
L’importanza storica di Piero della Francesca è stata soprattutto quella di
aver diffuso in centri diversi dell’Italia Centro settentrionale, ma poi
anche in senso più lato, le basi della cultura prospettica moderna
Fiorentina.
Intorno al 1448 Piero probabilmente lavorò al servizio del marchese
Lionello d'Este a Ferrara, dove potrebbe essere stato influenzato
dall'arte del nord Italia. Nel 1451, a Rimini, realizzò un affresco
affresco votivo di Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti
a San Sigismondo nella cappella di San Sigismondo. Allo stesso periodo
appartiene il Ritratto di Sigismondo Pandolfo Malatesta, oggi al
Louvre. Il ritratto del sovrano nelle due opere è molto simile e fu
probabilmente ispirato dall'effigie su una medaglia.
Fondamentale risulta l'influenza di Piero alla
corte di Ferrara e viceversa, l'artista viene influenzato nello sviluppo della sua arte.
Sembra infatti che in questo
periodo sia entrato in contatto con l'artista fiammingo Rogier van der
Weyden. L'interesse di Piero per la pittura fiamminga costituisce in
effetti una costante del suo lavoro, soprattutto la scelta della tecnica
della pittura a
olio quale tecnica più adatta a rendere la luce.
Anche a questo primo periodo formativo ante 1451 appartiene il Battesimo
di Cristo. Questo dipinto, probabilmente il pannello centrale per una
pala d'altare della Pieve di Sansepolcro, mostra gli elementi che
rimasero una costante nello stile di Piero fino alla sua morte. Il volume
vigoroso delle figure, la definizione spaziale e, soprattutto, l'inedito uso
del colore. I suoi sono dipinti luminosi, sembrano quasi "sbiancati",
in uno stile personale che cha ha tutti gli elementi del Rinascimento, ma
rimane uno
dei più originali di tutti i tempi.
Il periodo della
maturità e la "Leggenda della vera croce"
Lo stile maturo di Piero della Francesca si rivela negli affreschi dipinti
nel coro della Chiesa di San Francesco ad
Arezzo.
Le decorazioni erano state iniziate nel 1447 dall'anziano Bicci di
Lorenzo, morto nel 1452; Piero presumibilmente fu trattenuto per
completare i lavori poco dopo.
Il ciclo narrativo La leggenda della vera
croce fu completato entro il 1466. Gli affreschi che occupano la zona
del coro e che raffigurano la Leggenda della Croce sono divisi in
diversi riquadri. Nelle pareti laterali la suddivisione è in tre grandi zone
che si accordano alla narrazione. Nelle zone basse sono rappresentate due
battaglie. Nella seconda zona è raffigurata L'adorazione del
Legno e l'Incontro di Salomone con la regina di Saba; sulla
parete di fronte II ritrovamento delle tre croci e la Verifica
della vera Croce. Questo capolavoro si distingue per la sua semplicità e
immediatezza, per l'uso controllato della
prospettiva e l'aura di serenità che regna sull'opera, sono tutti elementi tipici dell'arte di
Piero.
Dello stesso periodo del ciclo aretino sono un affresco della
Maddalena nel
Duomo di
Arezzo, la Resurrezione nel Palazzo Comunale di
Sansepolcro e la Madonna del Parto nella Cappella del Cimitero
di Monterchi. Nel 1454 un cittadino di Sansepolcro, Agnolo di
Giovanni di Simone d'Angelo, commissionò per la Chiesa di Sant'Agostino
una pala d'altare che Piero, per sua caratteristica lentezza, completò
solo nel 1469. I pannelli superstiti della pala d'altare rivelano
l'interesse per la creazione di figure umane monumentali attraverso
l'uso scultoreo della linea e della luce.
Il soggiorno a Roma, Urbino
Nel 1459 Piero andò
Roma
per dipingere affreschi (ora distrutti) per papa Pio II in Vaticano. Il
San Luca della Chiesa di Santa Maria Maggiore, eseguito
contemporaneamente, fu probabilmente fatto da assistenti nello studio che
aveva stabilito a Roma. Più proficua fu la lunga associazione di Piero con
il conte Federico da Montefeltro (poi duca), la cui corte,
coltissima, era considerata "la luce dell'Italia". Alla fine del 1450 Piero
dipinse La Flagellazione di Cristo, la cui destinazione è ancora
dibattuta dagli studiosi.
Il famoso ritratto dittico del duca Federico e della sua consorte,
Battista Sforza, fu probabilmente iniziato per commemorare il loro
matrimonio nel 1465 (oggi si trova alla
Galleria
degli Uffizi a Firenze). I dipinti mostrano il rispetto di
Piero per il fatto visivo nei tratti del volto del Duca e negli
incantevoli sfondi paesaggistici, che indicano anche che Piero aveva
scoperto la pittura olandese. Il rovescio raffigura la coppia in un corteo
trionfale accompagnato dalle virtù.
Nel decennio tra il 1465 e il 1475 Piero si sposta ancora tra la regione
natale e la corte di Urbino. Ripetutamente i documenti di Borgo San Sepolcro
accennano alle cariche civili ricoperte dall'artista, per lo meno fino al
1474. Tra il 1465 e il 1470 Piero dipinge per il Convento di Sant'Antonio
delle Monache i grande Polittico di Sant'Antonio conservato a
Perugia nella Galleria Nazionale dell'Umbria, un'opera dove l'artista
sembra sperimentare al massimo l'interesse scientifico per le regole della
prospettiva e della matematica.
Ultimi anni
Gli ultimi due decenni della vita di Piero furono trascorsi a Sansepolcro,
dove le pitture, ormai perdute, furono commissionate dalle chiese locali nel
1474 e nel 1478. Dopo il 1474 si hanno pochissime notizie relativa
all'artista. In questi anni dipinge la Madonna di
Senigallia destinata alla Chiesa di Santa Maria delle Grazie nei pressi
di Senigallia e attualmente conservata presso la Galleria del
palazzo ducale. Ancora una volta in questo dipinto Piero offre una
versione del tutto particolare della focalizzazione ottica dei fiamminghi.
Difatti nel 1470 è attestata la presenza a Urbino di Giusto di Gand.
Come nel Dittico dei duchi d'Urbino la visione si equilibra con la
stessa nitidezza tra l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo, così
in quest'opera Piero dimostra di poter ridurre al proprio sistema
proporzionale l'incisività della visione fiamminga. Del resto non a caso
molti critici hanno fatto riferimento per quest'opera alla tavola dei
Coniugi
Arnolfini di
Van Eyck:
l'affinità scaturisce soprattutto dalla fisionomia "borghese" dell'ambiente
e dei personaggi.
La Sacra
conversazione
L'attività pittorica di Piero si conclude con un'opera che
è anche il suo capolavoro, la Sacra Conversazione, oggi alla
Pinacoteca di Brera. In questo caso ancora una volta Federico
da Montefeltro è il protagonista che appare come donatore
inginocchiato. La Sacra Conversazione era una pala d'altare destinata alla
Chiesa di San Bernardino (dove si trova anche il mausoleo dei duchi
di Urbino). Il Duca, la Madonna e suo figlio, e i santi che l'accompagnano
sono posti davanti all'abside di una magnifica chiesa. Il dipinto potrebbe essere stato un monumento alla contessa,
morta dopo aver dato alla luce il nono figlio della coppia e primo figlio
maschio.
Questa pala d'altare è una delle più compiute presentazioni
rinascimentali di forme nello spazio e ha esercitato una decisa influenza
sullo sviluppo di monumentali dipinti devozionali nell'arte del nord Italia
e soprattutto veneziana. Ma al di là dei contenuti, quest'opera si pone come
l'espressione più alta di quella ricerca per la perfezione assoluta voluta
da Piero nel binomio tra luce e geometria.
Nella sua vecchiaia Piero sembra aver abbandonato la pittura a favore di
obbiettivi diversi. Tra il 1474 e il 1482 scrisse un trattato sulla pittura,
De prospectiva pingendi, dedicato al suo patrono, il duca di Urbino.
Nella gamma di argomenti e metodo di organizzazione, il libro segue Leon
Battista Alberti e l'antico matematico greco Euclide. Il manoscritto
principale, a
Parma
(Biblioteca
Palatina), scritto a mano dall'artista stesso è da lui
illustrato con diagrammi sui problemi geometrici, proporzionali e
prospettici. Un secondo trattato, il De quinque corporibus regularibus
("Sui cinque corpi regolari"), scritto e illustrato qualche tempo dopo
nel
1482, segue Platone e Pitagora nel trattare la nozione di
proporzioni perfette. Del abaco invece è un opuscolo sulla matematica
applicata.
Il fascino di Piero per la geometria e la matematica è un corollario della
propria arte; il suo modo di esprimere teoricamente l'arte deve molto al suo
mentore Alberti ed è analogo a quello dell'allora giovane Leonardo da Vinci.
Un'affidabile tradizione del XVI secolo sosteneva che Piero era cieco negli
ultimi anni. Se è vero, questo deve essere avvenuto dopo il 1490 perché
molti autografi di quell'anno sopravvivono. Inoltre, le sue volontà
testamentarie dettate nel 1497 riferiscono del pittore come "un vecchio sano della mente e del corpo".
Piero non stabilì una tradizione duratura nel centro Italia, non fu così
seguito dagli allievi e non riuscì al suo tempo a creare una scuola di lunga
durata. Luca
Signorelli e il Perugino, presunti suoi allievi più importanti,
hanno seguito gli esempi di altri maestri. L'arte reticente di
Piero ebbe poca influenza sugli esperimenti dei suoi grandi contemporanei
fiorentini, ebbe grande fama per i suoi contributi scientifici. Nel 1497
viene descritto come "il monarca dei nostri tempi della pittura e
dell'architettura", e il grande genio del rinascimento; il
famoso artista e biografo
Giorgio Vasari lo loda molto, due generazioni dopo.
Nel XX secolo, la
carriera di Piero della Francesca è stata ricostruita e la sua posizione rivalutata, dando
il giusto credito sia alla scienza che alla poesia della sua arte.
Il 5 luglio del 1487 Piero della Francesca, detta al notaio ser
Lionardo di ser Mario Fedeli il suo testamento "in extremo aetatis
suae", ma ancora "sano di mente, d'intelletto e di corpo". Muore
cinque anni dopo, il 12 ottobre 1492, lo stesso giorno fatidico in cui, a
migliaia di chilometri di distanza Cristoforo Colombo gettava
l'ancora nel continente americano, scambiandolo per l'India.
Se non fosse stato per un funzionario della regina Vittoria, Sir Charles
Eastlake, probabilmente Piero della Francesca sarebbe rimasto uno
sconosciuto di successo, uno dei tanti tanti artisti a cui Giorgio Vasari,
artista, letterato e biografo famoso, ha dedicato delle pagine del suo “Le
vite?. Per nostra fortuna, a metà dell’ottocento, Charles Eastlake, primo
direttore della National Gallery di Londra, scovò un’opera di Piero della
Francesca “Il battesimo di Cristo?, abbandonato nella sagrestia del Duomo di
Sansepolcro, e lo portò in Inghilterra. Da questo evento parte la riscoperta
del pittore che torna ad incantare secoli dopo grazie alla luminosità chiara
della sua pittura.
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