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Vincent van Gogh, un pittore che dipingeva non solo con
colori ma con l'anima, ha trasformato la sua tormentata
esistenza in tele vibranti di passione, una passione
entrato, suo malgrado, in ognuno di noi. Ogni pennellata
racconta una storia, ogni tonalità un sentimento, facendoci
viaggiare nel profondo labirinto della sua mente. In un
mondo spesso sordo alle sue grida, Vincent ha trovato nella
tela il suo confidente più fidato, dando vita a opere che
risuonano attraverso il tempo, che si è fermato a quel
momento. Questa è la storia di un artista che ha trovato
nell'arte la sua salvezza, e nel suo tormento, la chiave
dell'immortalità.
Di Massimo
Serra per Informagiovani Italia
Introduzione
Van Gogh
è oggi una delle icone mondiali dell'arte. Questo, nonostante
le vicissitudini che avrebbero potuto relegare, il grande
artista che oggi conosciamo, nell'oblio destinato alla
maggior parte degli artisti e degli esseri umani. Morì
giovane, a 37 anni, per le conseguenze di un colpo di
pistola che si sparò al petto; era affetto da schizofrenia
e
forse anche da epilessia.
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Era escluso dalla maggior
parte delle altre persone che lo consideravano
"strano"; aveva cominciato tardi a
dipingere, dieci anni prima della sua morte, ma dipinse
a un ritmo frenetico quasi 900 opere di cui, purtroppo,
nella sua vita riuscì a venderne soltanto una.
Divenne l'altro
grande pittore adottivo di
Amsterdam,
dopo
Rembrandt.
Ma in realtà apparteneva a tanti luoghi, come
Arles, nel sud della Francia o
Parigi,
dove non si ambientò mai e tanti altri. Forse apparteneva a
un luogo segreto, che solo lui conosceva e poteva osservare.
Primi anni
Van
Gogh nacque il 30 marzo del 1853 a Groot Zundert, nel
Brabante settentrionale, a pochi chilometri dal confine
belga-olandese. Figlio di un pastore protestante Théodorus
Van Gogh e di Anne-Cornélie Carbentus,
aveva anche un fratello, Theo, che fu forse l'artefice della
sua carriera artistica (ma non dimentichiamo un personaggio
incredibile come
Pére Tanguy
e la futura moglie di Theo, Johanna Borger). Vincent
compì i suoi studi inizialmente nella scuola del suo villaggio,
poi come pensionante nel collegio Jean-Provily a Zevenbergen
e infine a Tilburg. Nel 1868 ritornò a Zundert. Nel 1869
a 16 anni, andò a L'Aja, dove
venne
assunto come commesso in un negozio di Goupil, uno dei
più grandi mercanti d'arte europei di quel tempo. In questo
modo, per circa sette anni, Van Gogh visse a contatto con la pittura,
spostandosi da
L'Aja
a Parigi, a
Londra.
Il 1° gennaio 1876, quando aveva 23 anni, venne
licenziato e iniziò a studiare con passione la Bibbia.
Vocazione religiosa e sensibilità sociale
La sua
inquietudine sfociò in un'accesa vocazione religiosa che lo
spinse a dedicarsi alla consolazione delle pene dei poveri.
In quell'anno il giovane Vincent, dopo un breve soggiorno a casa dei genitori
che si erano trasferiti a Etten, andò a
Bruxelles
e poi in Inghilterra. Qui a Ramsgate lavorò come maestro
di scuola ma venne presto licenziato. Dopo essere andato a trovare
la sorella Anna a Welwyn, svolse per pochi mesi l'attività
d'apostolato a Isleworth, come assistente di un predicatore
metodista.
Fu
in questo periodo passato in Inghilterra che Van Gogh ebbe i
primi contatti con la realtà operaia dell'epoca. Per
quattordici mesi studiò assiduamente per essere ammesso al
seminario ad
Amsterdam,
ma non ci riuscì. Nel luglio del 1878 si preparò per entrare
nella Scuola di evangelizzatori a Bruxelles, dove frequentò
un corso di tre mesi, ma in dicembre, senza aspettare la nomina,
partì per il Bacino del Borinage in Belgio, un bacino
carbonifero. un luogo duro dove, 70 anni dopo, sarebbero partiti molti
italiani, trovandovi in alcuni casi la morte. In questa
rude regione mineraria, il venticinquenne olandese era convinto
di poter trovare se stesso (nell'immagine sotto il quadro
Le Miniere di Carbone del Borinage del 1879 -
Museo di Van Gogh di
Amsterdam). Nel gennaio del 1879 venne nominato
evangelizzatore del Borinage. Questo fu un
momento
fondamentale nella sua vita. Qui si sentì libero di predicare
e mettere in pratica la sua religione, attiva e aderente alla
realtà di quella gente. I minatori non capirono tutto l'ardore
di questo giovane predicatore, ma capirono la sua bontà e la
sua disponibilità ad aiutarli in qualsiasi occasione.
In luglio
però gli venne revocata questa nomina, proprio perché si occupava
troppo degli altri, senza pensare alla propria salute. Fu qui
che Van Gogh capì realmente se stesso, e che l'ansia che perennemente
lo torturava non poteva essere saziata con la religione; aveva bisogno di una via attraverso la quale esprimersi.
Nel
1880 aveva realizzato, si rese conto, che tutto questo poteva realizzarsi solo
con la pittura.
La vocazione artistica
Van
Gogh scrisse di questa sua nuova vocazione artistica al fratello
Theo, il quale, ora impiegato alla sede centrale di Goupil &
Cie a Parigi, lo appoggiò e lo aiutò finanziariamente sino alla
morte. Van Gogh iniziò facendo disegni di minatori e copiando
disegni di Jean-François Millet, pittore che secondo
lui era il più moderno in assoluto. Il 15 ottobre dello
stesso anno lasciò
il Borinage e partì per Bruxelles. Alla fine del 1881
dopo un periodo trascorso con i genitori, si stabilì
a L'Aja, dove grazie all'aiuto di Theo poté dedicarsi completamente
alla pittura. Qui incontrò per la strada una giovane donna incinta,
già madre di una bambina abbandonata dal marito e quindi costretta
a fare di tutto per mantenersi. Vincent fece di lei la sua modella,
dando in questo modo a lei e ai suoi figli una casa e ciò di
cui sfamarsi. Con questa, donna di nome Sien, Vincent formò
una famiglia. Per due anni disegnò e fece solo acquerelli, poi
iniziò i quadri a olio.
Nel
settembre del 1883 Van Gogh lasciò Sien e L'Aja e si trasferì
per pochi mesi a Nieuw-Amsterdam nella provincia olandese
di Drenthe, per poi tornare ancora alla casa paterna
che adesso era a Nuenen. In questo periodo Van Gogh fu
particolarmente attratto da Millet, Honoré Daumier e
Gustave Courbet. Di Daumier egli amò la capacità di cogliere
il centro del proprio argomento, senza perdersi dietro altri
mille particolari; i lavori di Daumier (che era principalmente
un caricaturista) gli insegnarono come accentuare l'espressione
attraverso la deformazione realistica. Anche Millet fu importante
per la capacità di caricare e rendere reale l'espressione dei
personaggi. Di Coubert egli prese la capacità di usare i colori
in modo espressivo.
Con
gli insegnamenti acquisiti, nel 1885 dipinse I mangiatori
di patate, opera oggi custodita al Museo Van Gogh
di Amsterdam. In questa composizione si preoccupò di far
capire la dura vita di questi contadini, che raffigurati
mentre mangiano le patate al lume della lampada, mettendone
in evidenza le mani, le stesse con le quali hanno poco prima
zappato la terra.
Le teste dei contadini intorno alla tavola hanno lo
stesso risalto delle patate, polverose, non sbucciate.
Questo rappresentare
la vita dei contadini, al di fuori di ogni intenzione romantica,
era tipica della fine dell'Ottocento. Di questa opera si conoscono
due disegni, una litografia, un studio a gessetto nero e tre
quadri di cui quello della collezione di Vincent Willem Van
Gogh (1890–1978), nipote del pittore, è la versione finale.
Durante
questi anni di soggiorno a Nuenen, il pittore dipinse instancabilmente,
senza alcun riguardo per la salute, quasi come consapevole dei
pochi anni di vita che gli sarebbero restati. Visse solo per
la pittura, spinto dall'obbligo di lasciare al mondo, come ringraziamento,
qualche quadro che esprimesse sentimenti umani sinceri. In questo
modo egli realizzò almeno 185 tele e 250 disegni, cioè un quarto
di tutta la sua produzione. Molti di questi quadri furono dedicati
ai contadini, altri a paesaggi e a nature morte, animate però
dalle stesse passioni e dagli stessi ideali.
Nel 1886 Van Gogh
lasciò Nuenen. In città il clima era infatti diventavo un
po' pesante per lui, a seguito delle dicerie della paternità
attribuitagli per il figlio della contadina Gordina de
Groot, e a seguito del fatto che proprio per tale motivo
il parroco, un cattolico, aveva proibito ai parrocchiani di
posare per lui; per questo Vincent si ritrovò costretto a
dipingere solo nature morte. Fece quindi un breve viaggio ad
Amsterdam visitando il
Rijksmuseum
, aperto di recente.
Questa
visita gli permise di riscoprire i pittori olandesi
Frans
Hals e
Rembrandt.
Nel novembre del 1885 si trasferì ad
Anversa,
frequentando assiduamente le chiese e i musei della città, dove
scoprì le stampe giapponesi e ammirò il colorismo di Rubens.
Nella città belga si iscrive alla Scuola di Belle Arti, ma il suo carattere
difficile, insofferente verso l'autorità dei professori gli
impedisce di accedere ai corsi superiori, e viene addirittura
retrocesso al corso elementare: il 31 marzo l'accademia respinse
l'allievo Van Gogh ai corsi superiori perchè,
testualmente, "non sapeva
disegnare". Incapace di sopportare l'umiliazione di
studiare accanto a ragazzini di dodici anni, Vincent abbandona
la scuola e si reca a Parigi, ospite del fratello Théo, che
dirigeva la filiale della casa Goupil, una piccola galleria d'arte
sul boulevard Montmartre.
L'arrivo a Parigi
I
due anni trascorsi a Parigi furono anni di ricerca, d'inquietudine
e di orientamento. Il fratello Théo esponeva i maestri dell'Impressionismo,
ma anche opere di giovani ancora sconosciuti quali George
Seurat, Paul Signac, Toulouse-Lautrec,
Paul Gauguin e Émile Bernard. Entrò in contatto
anche con artisti importanti come Monet, Sisley,
Pisarro, Degas, Renoir,
Cézanne
con i quali il pittore intavolava talvolta lunghe ed estenuanti
discussioni teoriche sull'uso della luce e dei colori. Van Gogh
poté apprendere
da questi artisti, soprattutto da Seurat, le nuove teorie sulla scomposizione
prismatica dei colori. La buia pittura di Van Gogh, venne così
rischiarata dalle virtù della luce naturale. In questi anni
si dedicò in particolare alle nature morte, soprattutto fiori,
paesaggi di Montmartre e dei sobborghi urbani. Tutto ciò non
deve però far pensare che egli avesse dimenticato i suoi personaggi
dolorosi. Fu in questo periodo che Van Gogh frequentò
il
Negozio di Pére Tanguy
un eroe buono nella Storia dell'Arte. Un pacifico e rassicurante
signore in là con l'età, semi analfabeta, che ebbe il coraggio
di mettere in mostra nel suo negozietto quadri di strani pittori,
che nessuno voleva, nemmeno per pochi franchi. Tutti pittori,
come quelli citati prima, le cui opere, insieme a quelle di
Van Gogh, sono oggi le più costose e contese da musei e collezionisti
miliardari di tutto il mondo.
In
questi anni dipinse ventitré autoritratti nei quali i suoi
occhi fissi, la sua barba incolta, la pelle tirata e l'aria
selvaggia mostrano la stessa tensione che lo tormentò gli anni
precedenti e che mai lo abbandonò fino alla tragica morte. Unica
differenza con il passato furono i colori più chiari e puliti,
ma assolutamente nessuna idea positiva, nessuna finestra di
luce, che potesse servirgli per uscire dalla sua prigionia interiore. In questi
anni Van Gogh con Bernard, Gauguin, Toulouse-Lautrec e Anquetin
esposero anche nel Ristorante Au Tambourin. Questo gruppo
venne chiamato da Van Gogh i pittori del petit boulevard,
in contrapposizione con quello dei pittori del grande boulevard
(Sisley, Monet, Renoir, Degas ecc.). Ma la poetica dell'impressionismo,
fatta di un'arte superficiale intrisa di ottimismo, diede presto
fastidio a Van Gogh che così, nel 1888, lasciò Parigi e si
trasferì ad Arles, in
Provenza.
Soggiorno ad Arles
Egli
non dimenticò ciò che aveva imparato a Parigi, ma lo piegò e
plasmò secondo le proprie esigenze, arrivando a negarlo, se
necessario. Nel marzo e nell'aprile di quell'anno, Van Gogh,
dipinse una serie di frutteti in fiore e molti capolavori, tra
cui Il ponte di Langlois. Non bisogna dimenticare come
in questo periodo subisse l'influenza dall'arte giapponese
che già da anni lo affascinava. Le stampe giapponesi gli suggerirono
l'uso del colore limpido, unito e senza ombre e l'uso della
linea fluida e ondulata.
Nel
maggio del 1888 Van Gogh, affittò un'ala della casa gialla (così
chiamata per il colore della sua facciata) e lavorò a Saintes-Maries-de-la-Mer
e a Montmajour, inviando parecchi disegni al fratello.
Il 9 settembre disegnò in una serata, La terrazza di un caffè
di notte e ne inviò a Théo uno studio per farne un quadro.
Negli stessi giorni Van Gogh pensò di invitare a casa sua Gauguin
e poter così fondare un'associazione di artisti, un atelier
del Sud della Francia, per poter lavorare in gruppo.
Il 20 ottobre finalmente Gauguin arrivò ad Arles e Van
Gogh organizzò il lavoro e ogni giornata: i due artisti dipinsero
insieme, mangiarono insieme e insieme si divertirono. Gauguin
fece da maestro e Van Gogh lo seguì docilmente imparando da
lui
persino a disegnare senza il soggetto sotto gli occhi. Ma ben
presto la personalità di Gauguin diventò insopportabile e le
sue regole pesanti da seguire.
Il
rapporto iniziò a deteriorarsi sino al punto che il 24 dicembre
scoppiò una violenta lite tra i due. Il giorno dopo Gauguin
se ne andò e Van Gogh, dopo averlo seguito con un rasoio in
mano, tornò da solo a casa sua, si tagliò il lobo dell'orecchio
sinistro e poi andò a offrirlo a una ragazza del bordello alla
quale si era affezionato. Questo episodio venne interpretato
in molti modi, tra i quali sembrò il più veritiero quello che
assegnò all'atto il significato del cerimoniale delle corride,
dove il matador vittorioso taglia l'orecchio al toro abbattuto
e lo offre a una donna. Qui Van Gogh confuso dalla
lite e dalla partenza dell'amico, compì questo atto identificandosi
sia con il vincitore sia con lo sconfitto. Anni dopo, le
ricerche conclusero che in realtà fu Gauguin a tagliare
l'orecchio di Van Gogh con una spada. Il mattino seguente
all'incidente Va Gogh fu trovato dalla polizia, addormentato in casa sua. Tutto ciò
provocò nel pittore una crisi violenta e il 26 dicembre venne
portato all'ospedale e rinchiuso nella cella dei pazzi.
La violenta lite tra Van Gogh e Gauguin
Così scrisse quest'ultimo
tredici anni dopo nel suo scritto autobiografico Avant et
Aprés : "Mi venne l'idea di fargli un ritratto
mentre dipingeva la natura morta che tanto amava, i girasoli.
E quando l'ebbi finito mi disse: 'Sono proprio io, ma sono diventato
pazzo".
A riguardo, Van Gogh avrebbe scritto un anno dopo al fratello
Theo: "Da allora il mio volto si è [...] ben rasserenato,
ma sono proprio io, oltremodo affaticato e carico di tensione,
come ero a quel tempo...".
Gauguin
rappresentò, come si vede nel quadro mostrato in questa pagina,
l'amico pittore (ancora per poco amico) seduto davanti al cavalletto
mentre esegue una delle sue opere più famose, I Girasoli,
con i cinque girasoli in un vaso collocato su una sedia di paglia.
Sulla parete retrostante, è appeso un paesaggio; l'artista viene
dipinto con il naso schiacciato e con un occhio fisso, cosa
che fa pensare a uno 'squilibrato', mentre, con la mano a mezz'aria,
sembra studiare il gesto che da lì a poco apporrà sulla tela,
osservando il soggetto a occhi socchiusi. Pare che fosse proprio
questa l'espressione che Vincent assumeva quando esaminava un
dipinto, ma nei suoi molteplici autoritratti non vi è nulla
che ci prepari all'inquietante immagine raffigurata da Gauguin.
La testa appare quasi deforme, la
fronte
bassa è inclinata, il viso e il naso sono schiacciati, la
mascella protesa è irta di barba rossa; lo sguardo
suggerisce uno stato ipnotico. Gauguin sembra osservare il
suo modello dall'alto, come a sottintendere la propria
superiorità. Vincent si convinse che Gauguin, colui che
considerava il suo migliore amico, avesse voluto umiliarlo
evidenziando i suoi
difetti
artistici di pittore, così come quelli fisici e psicologici
di essere umano. Questo avveniva quattro giorni prima quel
fatidico 24 dicembre 1888, quando in un modo o nell'altro
Van Gogh perse una parte del lobo del suo orecchio. Il postino Roulin lo trovò a letto sanguinante e svenuto,
lo portò in ospedale, dove il pittore riuscì a riprendersi in
pochi giorni. Il 7 gennaio 1889 uscì dall'ospedale, dove però
vi tornò una seconda volta il 9 febbraio e una terza il 19 marzo.
La
salute mentale compromessa e i ricoveri
La sua saluta mentale
era compromessa, il suo stato e il
precedente con Gauguin spaventarono la popolazione di Arles.
Il sindaco della città raccolse 80 firme per una petizione
che ordinava alla polizia un nuovo ricovero coatto in ospedale.
Il 19 Marzo Vincent scrive a Theo: "Eccomi quindi qui per
lunghi giorni sotto chiavi e chiavistelli e guardiani in cella,
senza che sia provata e neppure provabile la mia colpa [...]puoi
capire come sia stata per me una mazzata in pieno, quando ho
visto che qui c'era gente tanto vile da mettersi tutta quanta
contro uno e per più malato[...] ad ogni modo se avevo ferito
me stesso, non avevo ferito nessun altro." Solo l'intervento
del suo amico Paul Signac gli permise di fare ritorno
alla "Casa Gialla" dove riprese il suo lavoro. Per la cronaca,
I Girasoli dipinti da Van Gogh e ripresi da Gauguin finirono
poi in Giappone dove andarono distrutti durante un bombardamento
americano a Yokoama nel 1945.
"I suoi sforzi non sono stati vani ma egli probabilmente
non vivrà abbastanza a lungo da vederne i frutti perché quando
la gente capirà quello che dice nei suoi quadri sarà troppo
tardi. È uno dei pittori più all'avanguardia ed è difficile
capirlo, perfino per me che lo conosco così intimamente. Le
sue idee spaziano in un campo così vasto che esaminando cos'è
umano e come uno dovrebbe guardare al mondo, esso deve prima
liberarsi da qualsiasi cosa remotamente legata a una convenzione
per capire quello che lui stava cercando di dire, ma sono
sicuro che in futuro sarà compreso. Il diffide è dire quando".
Lettera di Theo Van Gogh alla moglie Johanna sul fratello
Vincent 9-10 febbraio 1889
Nonostante
fosse debole e a tratti depresso, Vincent continuò a
dipingere. Portava ancora i segni della ferita all’orecchio
quando dipinse l'Autoritratto con l'orecchio tagliato
e l’Autoritratto con orecchio tagliato e pipa. L'8 maggio di propria volontà si recò all'asilo
per malati mentali Saint-Paul-de-Mausoled, nel comune di
Saint-Remy-de-Provance, dove rimase per circa un anno.
Nell'istituto, diretto dal dottor Peyron, Vincent godette
di una certa libertà e potè continuare a dipingere anche all'aperto,
accompagnato da un sorvegliante. In questo periodo
dipinse un centinaio di paesaggi, delle nature morte, dei
ritratti, gli ultimi suoi quattro autoritratti, dai quali
traspare la sua depressione, e circa un centinaio tra
disegni e acquerelli. Nascono qui i capolavori visionari
come Notte Stellata (Museo di Arte Moderna di New
York) , Ulivi con le Alpilles
sullo sfondo, Strada con Cipresso sotto il cielo (Rijksmuseum Kroller Muller di Otterlo).
Opere di una serie caratterizzata da una tensione grafica
estrema, che sottolinea il delirio emotivo con frenesia di
vortici, linee ondulate e fasci dinamici.
Van Gogh espresse la
sua emotività nella natura attraverso cipressi, grano arido
e secco, ulivi che si contorcono; la sua pennellata si spezza,
si arricciola e il colore acquista sempre più luminosità. Inoltre
fece una quarantina di imitazioni di Delacroix, Millet,
Daumier e Rembrandt.
A
fine anno dipinse Il parco dell'asilo. Nel febbraio del
1890 il suo senso di oppressione si concretizzò nel quadro
La ronda dei carcerati, dove la fila dei carcerati che
camminano in circolo, stretti e sorvegliati, ben esprime il
suo stato d'animo. Sempre di questo periodo è il bellissimo
Il Giardiniere, uno dei pochi dipinti di Van
Gogh oggi presenti in Italia, che si trova nella
Galleria Nazionale d'Arte
Moderna di Roma.
La sua condizione
mentale rimase stabile per un po' di tempo. Tuttavia, alla fine
del mese di luglio, a seguito di un viaggio ad Arles, subì una
grave ricaduta che durò un mese. Recuperò, solo per subire un'altra
ricaduta alla fine di dicembre 1889, e l'inizio di gennaio successivo
vide un'altra ricaduta. Fu in questo periodo che dipinse, l'Arlesiana,
uno dei ritratti a Madame Ginoux, che ora si trova sempre
alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma. Questa ultima
ricaduta, fu la sua più lunga e triste e durerà fino al marzo
1890.
Ritorno nel nord della Francia e soggiorno a Auvers
Il 17 maggio 1890 Van Gogh abbandonò l'ospedale psichiatrico
di Saint-Paul-de-Mausole presso Saint-Remy. Trascorse
tre giorni felici con il fratello Theo, a Parigi dove conobbe
la cognata, Johanna Bonger ed incontrò per prima volta
il nipotino nato da pochi mesi, che venne chiamato come
lui Vincent Willem. Van Gogh restò molto colpito e commosso
da questo gesto del fratello e di sua cognata, tanto che decise subito
di dipingere qualcosa di speciale per loro, I Mandorli in
fiore. In una lettera a sua madre del 20 febbraio 1890 scriveva:
"Ho iniziato subito una tela per il figlio di Theo, da appendere
nella loro camera da letto, una tela azzurro cielo... sulla
quale si stagliano grandi rami di fiori di mandorlo bianchi".
Dopo i tre giorni a Parigi Vincent andò a vivere a Auvers-sur-Oise,
un comune a 20 chilometri a nord della capitale, frequentato da artisti.
Si stabilisce prima all'albergo Saint-Aubin e poi al
caffè-pensione dei coniugi Ravoux nella piazza del municipio.
Ad Auvers venne curato dal dottor Gachet, che
Theo ha recentemente conosciuto e che sembra avere tutte le
carte in regola per alleviare le sofferenze psichiche di Vincent.
Oltre che specialista in malattie nervose infatti, Paul-Ferdinand
Gachet era una persona colta che aveva stretto amicizia con alcuni
pittori impressionisti in particolare con Cézanne, e
che
si dilettava egli stesso nella pittura.
In poco più di due mesi
egli dipinse settanta quadri: molti ritratti, nature morte,
paesaggi e gli ultimi capolavori quali il Ritratto del dottor
Gachet, il Municipio di Auvers, il Campo di grano
sotto il cielo in tempesta e, alla vigilia della sua morte,
il Campo di grano coi corvi, quasi un presagio. Quest'ultimo
quadro fu realizzato in modo sommario e impaziente: rapidi colpi
di pennello per il giallo del frumento, il nero dello stormo
di corvi buttato in fretta sul cielo.
Ad Auvers Van
Gogh trovò nuovi slanci nella sua produzione, realizzando nei
suoi due ultimi mesi di vita oltre ottanta dipinti, numero che
conferma la frenesia produttiva che accompagnerà l'artista nell'intero
arco della sua carriera. Inizialmente, il rapporto
tra Vincent e il dottor Gachet fu cordiale. Il medico divenne
amico del suo paziente e lo invitava a casa sua ogni domenica.
Vincent si mostrò ottimista, sicuro di guarire grazie alle
cure di Gachet: le opere di questo periodo confermano il suo
stato d'animo più sereno. Vi si nota il tentativo estremo di
una mente confusa di trovare regole agli eccessi delle
tele nate a Saint-Remy. Si avverte un desiderio di ricominciare,
con ordine e con tranquillità, un bisogno di dominare sentimenti
da esprimere sulla tela con chiarezza e armonia. Ciò vale sia
per i ritratti (come le due versioni del Ritratto del dottor
Gachet, il Ritratto di Marguerite Gachet al pianoforte,
Due bambini accigliati), che per i paesaggi (ad esempio
Strada con scalinata ad Auvers e figure) che per le nature
morte (come Vaso con malvarose).
Tragico epilogo
L'estremo
tentativo di trovare serenità tuttavia sembra non riuscire e
negli ultimi tempi Van Gogh stenta a soffocare un conflitto
interiore che urge e preme, alimentando contraddizioni formali,
come nella Chiesa di Auvers, in cui la grazia della composizione
stride con la violenza dei colori, o si rompe in una pennellata
convulsa e scomposta come in Campo di grano con volo di corvi. Vincent
era ormai preda di un demone interiore che lo possedeva
a intervalli sempre più ravvicinati. In luglio, alcuni problemi
familiari accrebbero il suo turbamento: Theo attraversava un periodo
di difficoltà economiche, la sua salute non era buona (morirà
pochi mesi dopo Vincent, il 25 gennaio del 1891) e anche il
nipotino non stava bene. Come non sentirsi sconvolto? Cosa ne
sarebbe stato di lui se il fratello sarebbe venuto a mancare? Viceversa, con
che coraggio poteva continuare a essere un peso morto nel bilancio
familiare di Theo? E Theo, del resto, perché avrebbe dovuto continuare
a sacrificarsi per lui, adesso che aveva la sua famiglia?
È bene sottolineare che queste potrebbero essere solo delle supposizioni. Ce ne furono
tantissime in seguito e fu uno dei casi più dibattuti della
storia dell'Arte, tutte quelle controversie, quegli aneddoti,
veri e veritieri che contribuiscono ad accrescere, suo malgrado,
anche nelle disgrazia, il mito e il valore di un artista e delle
sue opere.
Van
Gogh a tutte queste preoccupazioni aggiunse infine la delusione
di sapere che il fratello non avrebbe passato le sue vacanze estive
ad Auvers, come aveva promesso. Si sentì, probabilmente,
perso per sempre, senza alcuna via d'uscita. Il 27 luglio
uscì
per dipingere nei campi un'ultima volta. Al suo rientro dietro insistenza dei
coniugi Ravoux, titolari della locanda dove era alloggiato,
che si erano preoccupati del suo aspetto sofferente al suo
rientro, confessò di essersi
sparato un colpo di pistola al petto. Venne chiamato il dottor Gachet che informò subito Theo dell'accaduto. Il fratello si
precipitò al capezzale di Vincent ma il suo destino era segnato:
Van Gogh morì all'alba del 29 Luglio all'età di trentasette
anni. Addosso gli fu trovata una
lettera non finita, l'ultima indirizzata a Theo: "Vorrei
scriverti a proposito di tante cose, ma ne sento
l'inutilità. Nel mio lavoro, rischio la vita, e la mia ragione si è consumata
per metà".
Il
presunto suicidio presenta alcuni punti oscuri
Da
dove saltò fuori la pistola che il pittore aveva con se il 27
Luglio?
Dell'arma, peraltro mai ritrovata, le fonti non parlano. Due
le ipotesi: la prima sostiene che Van Gogh avesse comprato la
pisola a Pontoise; la seconda che gliela avesse data
il suo amico locandiere Ravoux quel tragico pomeriggio per scacciare i
corvi mentre dipingeva all'aperto, cosa che appare molto strana
da parte di Ravoux visto lo stato mentale del pittore. Quest'ultima
tesi, accetta come veritiera la testimonianza resa molti anni
dopo l'accaduto dalla figlia dello stesso Ravoux, Adeline
che all'epoca dei fatti era un'adolescente. Altra questione
insoluta resta anche il mancato ricovero di Vincent al vicino
ospedale di Pontoise, dove avrebbero potuto estrargli la pallottola
e fermare l'emorragia. Perché il dottor Gachet non prese provvedimenti
in questo senso? Lo fece perché davvero non c'era ormai più
niente da fare o invece perché non si rese conto della gravità
della situazione? Come non ricordare a questo proposito che
i rapporti tra Gachet e Vincent Van Gogh si erano
decisamente guastati negli ultimi tempi e che Vincent aveva
espresso seri dubbi circa la competenza del dottore, arrivando a scrivere a Theo,
attorno al 10 luglio 1890: "Credo che del dottor Gachet non
ci sia assolutamente da fidarsi."
Nonostante
la voglia che assale molti nello sperare che non si fosse trattato
di suicidio, di immaginarsi una vita in cui Vincent volesse
vivere, e di vedere in una luce di speranza nella vita di
Van Gogh anche in presenza della morte, una lettera scritta
l'1 di agosto, dopo il funerale, da Emile Bernard all’amico
Albert Aurier, sembra fugare ogni dubbio: "Il nostro
caro amico Vincent è morto 4 giorni fa. Devo avvertirti che
purtroppo si è ucciso. Domenica sera tornando dai dintorni di
Auvers si è appostato contro un covone nei pressi del muro dietro
al castello e si è rivolto una pistola contro se stesso. Per
la violenza dell’impatto (la pallottola gli si è conficcata
vicino al cuore) è caduto, si è rialzato, per ben tre volte,
prima di tornare all'albergo dove era alloggiato (Ravoux, place
de la Mairie), senza dire niente dell’accaduto. È poi morto
lunedì sera, fumando la sua pipa, rifiutando qualunque cura
e precisando di aver tentato il suicidio in piena e assoluta
lucidità. La prova è che, quando il dottor Gachet ha tentato
il possibile per salvarlo, lui ha detto: appena posso ci riproverò
ancora. Ma non si è potuto fare molto per salvarlo..." Qualcuno
obbietterà che Emile Bernard si presentò dopo che i tragici
fatti ebbero luogo. Si, anche questo è vero.
Adeline Ravoux,
la figlia
dell’albergatore, che all'epoca aveva 13 anni, nel 1954, all’età
di 77 anni rilasciò una bella e lunga intervista in cui
lasciò
un ricordo obbiettivo e accorato di Vincent Van Gogh. In particolare
riferisce: "Non era uso bere alcolici. Insisto su
questo punto. Il giorno del suicidio non era ubriaco come
da più parti sento dire". Poi aggiunse che la mattina dopo arrivarono
i gendarmi e alla domanda: "Cosa è successo?" rispose:
"Ho tentato di uccidermi." E quelli alla vista della
ferita chiesero ancora: "Perchè lo avete fatto?" lui rispose:"Il corpo
è mio e ne posso fare quello che voglio". Anche qui qualcuno
obbietterà che forse Adeline voleva proteggere la memoria del
padre. Supposizioni lecite, ma, scusando il gioco di parole,
sono prive di prove.
In una lettera alla
sorella Elisabeth, Theo parlò dei sentimenti di suo fratello
poco prima di morire: "Si, voleva morire. Quando mi sono
seduto al suo capezzale gli ho detto che avremmo cercato di
farlo stare meglio e che speravamo che si sarebbe ripreso e
che si sarebbe risparmiato questo tipo di disperazione. Allora
disse, "La tristezza durerà per sempre."
In una biografia
di Van Gogh del 2011 Steven Naifeh e Gregory White Smith
sostengono che Van Gogh non si sia suicidato ma che sia stato
colpito accidentalmente da un ragazzo che aveva "una
pistola mal funzionante". Naifeh e Smith sostengono che era
improbabile che Van Gogh si fosse ucciso, notando la disposizione
ottimista dei dipinti immediatamente precedenti la sua morte.
Inoltre, in una corrispondenza privata, Van Gogh descrisse il
suicidio come un peccato e un gesto immorale. Gli autori mettono
in discussione anche sia il fatto che Van Gogh avesse potuto percorrere
la distanza di chilometri tra il campo di grano e la locanda
dopo aver subito la ferita allo stomaco fatale, sia il fatto
che avesse ottenuto una pistola nonostante i suoi ben noti
problemi di salute mentale. Infine, perché il dipinto che l'artista
stava eseguendo poco prima dell'epilogo tragico, non è
mai stato trovato dalla polizia?
Naifeh e Smith hanno sviluppato una ipotesi alternativa al suicidio,
sostenendo che si possa essere trattato di un omicidio colposo
o di un incidente. Sostengono, per esempio, che il punto in cui
il proiettile è entrato nell'addome di Van Gogh ad angolo obliquo,
non è compatibile con un suicidio di quel tipo. Sostengono inoltre che Van Gogh
conoscesse i ragazzi che potrebbero avergli sparato accidentalmente,
forse per uno scherzo, uno dei quali aveva l'abitudine di indossare
un vestito da cowboy, ed era andato a bere con loro. Gli autori
contestano il fatto che lo storico dell'arte John Rewald visitò
realmente Auvers negli anni '30 del Novecento, avvalorando la
versione dei fatti che oggi tutti danno per buona. Naifeh e
Smith ipotizzano anche che dopo essere stato ferito a morte, Van Gogh
accolse di buon grado l'imminente morte e credeva che i ragazzi
gli avessero fatto un favore e citando le sue note parole in punto
di morte: "Non accusate nessuno ... sono
io che volevo uccidere me stesso."
Il Funerale di Vincent
Van Gogh
I
funerali di Van Gogh si svolsero il 30 luglio, il giorno dopo
la sua morte. Avendo commesso suicidio,
la locale parrocchia si rifiutò di celebrarlo
in chiesa. La funzione si tenne nella stessa locanda Ravoux
dove abitava e dove era spirato. La camera ardente venne
allestita a piano terra e la bara, posta sopra il biliardo,
venne ricoperta di girasoli freschi, sua pianta preferita. L'amico
di Van Gogh, il pittore Emile Bernard, su incarico di
Theo, arrivato da Parigi, mise alle pareti
i quadri rimasti nella camera di Vincent. In una lettera di
giovedì 31 luglio 1890 indirizzata ad Albert Aurier ne
descrisse esattamente 2: una copia dalla Pietà di Delacroix
e la La ronda dei carcerati di Gustave Dorè. Questo dimostra
che aveva in camera anche quadri realizzati a Saint Rémy, più
di due in base all’elenco redatto da Benoit Landais. Nel
quadro I Funerali di Van Gogh eseguito proprio da
Emile Bernard tre anni dopo, nel 1893, otto amici accompagnarono
il feretro durante il funerale, compresi Emile Bernard,
Andries Bonger e Père Tanguy. Ma erano presenti
anche altri artisti come Lauzet e Lucien Pizarro.
Alle tre del pomeriggio arrivò un carro funebre per portare
la bara al cimitero. I suoi amici percorsero in silenzio la
piccola strada in salita che portava al cimitero. Il dottor
Gachet provò a imbastire un discorso di commiato prima che
la bara fosse calata nella tomba, ma scoppiò a piangere e non
riuscì a continuare. Theo che era distrutto, sarebbe stato sepolto
nello stesso cimitero, accanto al fratello, solo pochi mesi
dopo. Terminato il funerale Theo cominciò a pianificare una
esibizione memoriale per il fratello appena scomparso. Affittò
un grande appartamento nel suo palazzo e chiese a Bernard di
aiutarlo.
Un libro di Benoit Landais L’Audace des Bandits,
uscito nel 1999 fa un elenco delle opere di Van Gogh di
proprietà del dottor Gachet: a 28 unità più una serie di
disegni, solo 2 di queste opere, a detta di Landais, furono
donate direttamente da Van Gogh al suo dottore, mentre 9 furono
prese direttamente dalle pareti della camera ardente, dove Emile
Bernard le aveva collocate su invito di Theo. Gli altri 17, a
parere di Landais, erano dei falsi concepiti da Gachet padre e figlio.
In parte furono venduti ad altri collezionisti, i rimanenti,
quelli di maggior pregio invece donati allo Stato francese.
Se queste accuse fossero fondate, si avrebbe un "quadro" della
figura di Gachet, quanto meno sinistra e opportunista.
Il
Mercato delle opere di Van Gogh
Il
mercato delle opere di Van Gogh negli ultimi decenni dell'Ottocento
riflette in gran parte la situazione del mercato delle opere
degli artisti impressionisti e dei pittori che non appartenevano
al gruppo dei "Salon" e delle accademie (che erano cioè al di
fuori dei circuiti delle pubbliche committenze). Tutto ciò durò
fino al novembre del '62 fino alla mostra del Salon des Refusés
del 1863, la contro-esposizione organizzata nel 1863 da Napoleone
III, per accogliere le opere degli artisti rifiutate dal Salone
"ufficiale", ovvero quello dell'Académie des beaux-arts
di Parigi. Il Salon des Refusés consentì ad artisti come
Edouard Manet con il suo Le déjeuner sur l'herbe
(la principale causa dello scandalo), Claude Monet,
Camille Pissarro ed altri di esporre le loro opere al
grande pubblico per la prima volta.
In
quell'epoca soprattutto a Parigi, per avere successo non occorreva
avere talento: bastava rispettare le regole e sottomettersi
ai principi accademici, che tenevano in ben maggiore considerazione
i soggetti dei dipinti che non il valore intrinseco dell'opera
d'arte. Chi non sottostava a questa trafila veniva semplicemente
ignorato dalle committenze pubbliche. Gli artisti di Montmartre
si dovettero affidare a mercanti e speculatori contribuendo
a dar vita a quello che sarebbe diventato il sistema moderno
del libero mercato delle opere d'arte. I primi acquirenti dei
quadri dei pittori al di fuori dei circuiti ufficiali furono
soprattutto commercianti, impiegati di banca o professionisti
e, tra questi ultime molti medici proprio come il dottor Gachet.
Era inoltre molto frequente nella Parigi degli ultimi decenni
dell'Ottocento trovare i quadri degli artisti "ribelli" (anche
di quelli destinati negli anni a diventare famosissimi e costosissimi)
appesi alle pareti di negozi e osterie. Si trattava di gesti
di generosità compiuti dai proprietari di quegli esercizi, i
quali, senza neanche sognarsi di esprimere una valutazione estetica
o commerciale, accettavano dipinti e disegni come pagamento
per i conti che gli artisti, quasi sempre squattrinati, non
riuscivano a saldare. In questo modo diventavano essi stesse
i nuovi "mercanti d'arte", in un mercato parallelo dove presumibilmente
i prezzi erano di gran lunga inferiori a quelli che si sentiva
richiedere nelle in gallerie d'arte come quella dove lavorava
Theo Van Gogh, la Goupil & Cie. Tra questi mercanti improvvisati,
o meglio mercanti per necessità, sono rimasti nella memoria
il pasticciere Eugéne Murer e il venditore di colori
di cui abbiamo già parlato Pere Tanguy, amico di innumerevoli
clienti della sua bottega. e tra questi anche di Van Gogh, che
lo ritrasse più volte nel corso dei 1887.
Fu
però il notaio Ambroise Vollard uno dei primi a capire
il grande valore delle opere dei nuovi artisti e fu lui a rilevare,
tra l'altro per una somma modesta dipinti che Theo van Gogh
morendo aveva lasciato alla casa d'arte Boussod & Vaiadon,
la maggior parte dei quali firmati dal fratello Vincent e da
Gauguin. Van Gogh durante la sua vita riuscì a vendere un solo
quadro, Il vigneto rosso, acquistato nel 1890 per quattrocento
franchi da Anne Boch. Ma sarà nel Novecento e in particolare
nel momento euforico a cavallo tra la fine degli anni Ottanta
e l'inizio degli anni Novanta che le opere di Van Gogh raggiungeranno
cifre vertiginose. Nel suo caso fece già sensazione la vendita
degli Iris dipinta a Saint-Rémy nel maggio del 1889,
venduta a New York nel 1987 per la cifra, senza precedenti per
un dipinto contemporaneo di 54 milioni di dollari, valore che
però oggi sarebbe più che triplicato secondo gli esperti (oggi
si trova al Getty Museum di Los Angeles). Il quadro fu
dipinto mentre Vincent Van Gogh viveva nell'ospedale per malattie
psichiatriche di Saint Paul-de-Mausole a Saint-Rémy-de-Provence
di cui abbiamo già parlato. Il primo proprietario delle Iris
fu Julien "Père" Tanguy, che aveva per così dire barattato
i colori e qualche pasto gratis con Van Gogh per il dipinto
(così come faceva con altri artisti che poi sarebbero diventati
molto famosi). Nel 1892 Tanguy vendette l'Iris per 600
franchi allo scrittore anarchico e critico d'arte Octave
Mirbeau, uno dei primi sostenitori di Van Gogh.
Il Ritratto di
Joseph Roulin (uno dei 20 ritratti che Van Gogh dipinse
a Roulin e la sua famiglia) il suo amico postino ad Arles fu
venduto nel 1988 per 58 milioni di dollari (oggi si trova al
M.O.M.A di New York)
Non
trascorrono neanche tre anni e nel maggio del 1990 un magnate
giapponese acquista un Ritratto del dottor Gachet (uno
dei due) per 82 milioni e mezzo di dollari (visto che c'era,
il giorno seguente pagherà altri 77 milioni per entrare in possesso
anche di un Mouline de la Galette di Renoir).
Raggiunte cifre del genere, importi anche di poco inferiori sembrano
meno significativi. Passa così quasi sotto silenzio, nel novembre
1998 la vendita a New York. la vendita dell'Autoritratto
senza barba del 1889 per 71 milioni e mezzo di dollari.
La stima con cui il dipinto era stato presentato alla vendita
non superava i due milioni e mezzo. Il quadro Les Alyscamps
des Aluscamps, del 1888, è stato venduto nel 2015 per
66 milioni di dollari.
La
Rivoluzione stilistica di Van Gogh
Vincent van Gogh è spesso menzionato come uno dei pittori
più innovativi e influenti dell'epoca post-impressionista.
Tuttavia, per comprendere appieno il suo impatto e la sua
rivoluzione stilistica, è fondamentale esplorare le radici
delle sue tecniche, la sua evoluzione come artista e le
innovazioni che ha introdotto nel mondo dell'arte. La
rivoluzione stilistica di Vincent van Gogh ha ridefinito ciò
che l'arte poteva essere e come poteva essere interpretata.
Ha dimostrato che l'arte non doveva essere una
rappresentazione letterale del mondo, ma poteva essere un
mezzo per esplorare e esprimere le emozioni più profonde
dell'artista. La sua audacia nel sperimentare con tecniche,
colori e forme ha lasciato un segno indelebile nel mondo
dell'arte, influenzando generazioni di artisti e ridefinendo
le convenzioni dell'espressione artistica.
Origini stilistiche
Come abbiamo visto Van Gogh iniziò la sua carriera artistica
influenzato dalle tradizioni artistiche olandesi. Le sue
prime opere erano spesso oscure, con palette ristrette e
rappresentazioni realistiche delle persone e dei paesaggi
dei Paesi Bassi. Tuttavia, anche in queste opere iniziali,
si potevano intravedere gli accenni della sua futura
rivoluzione stilistica, in particolare nel modo in cui usava
pennellate audaci e spesso visibili.
L'incontro con l'Impressionismo
Nel 1886, quando Vincent van Gogh decise di trasferirsi a
Parigi, la capitale artistica del mondo, non avrebbe potuto
immaginare quanto profondamente questo spostamento avrebbe
influenzato la sua carriera artistica. Entrare in contatto
con l'atmosfera elettrizzante di Parigi e immergersi nella
scena artistica contemporanea fu un'esperienza rigenerante
per lui.
L'Impressionismo, nato come reazione contro le convenzioni
accademiche dell'epoca, era all'apice della sua popolarità.
Questo movimento artistico si distingueva per la sua enfasi
sulla rappresentazione istantanea e sull'effimero, cercando
di catturare l'essenza di un momento attraverso la luce e il
colore. Invece di concentrarsi sui dettagli minuti, gli
impressionisti erano più interessati a catturare l'atmosfera
e l'impressione generale di una scena.
Van Gogh, avendo trascorso gran parte della sua carriera
artistica nelle campagne olandesi, fu immediatamente
affascinato da questa nuova corrente. La sua esplorazione
degli studi degli artisti impressionisti parigini gli
permise di osservare da vicino le loro tecniche
rivoluzionarie. Artisti come Claude Monet, con le sue
rappresentazioni vibranti di giardini e paesaggi, Edgar
Degas, noto per le sue scene di vita quotidiana e balletto,
e Camille Pissarro, con le sue vedute urbane, diventarono
fonti di ispirazione fondamentali per Van Gogh.
Sotto l'influenza di questi maestri, Van Gogh iniziò a
sperimentare con una palette cromatica più brillante e
audace. Abbandonò i toni scuri e terrosi delle sue opere
precedenti in favore di tonalità vivide e accese. Inoltre,
adottò pennellate più libere e spontanee, cercando di
catturare l'essenza di ciò che vedeva piuttosto che una
rappresentazione letterale.
Tuttavia, mentre molti artisti impressionisti si
concentravano sulla bellezza esteriore e sulla luce, Van
Gogh andava oltre. Integrava l'approccio impressionista con
la sua intensa emotività, creando opere che non solo
catturavano la luce e il colore, ma anche l'emozione e la
passione.
L'evoluzione verso il Post-Impressionismo
Mentre
l'Impressionismo aveva aperto una nuova frontiera nella
rappresentazione artistica, Vincent van Gogh non si
accontentò di rimanere all'interno dei suoi confini. La sua
natura instancabilmente curiosa e la sua incessante sete di
innovazione lo spinsero verso nuove direzioni artistiche,
culminando nella sua adozione e adattamento del
Post-Impressionismo.
Il Post-Impressionismo, come suggerisce il nome, è emerso
come una reazione e un'evoluzione dell'Impressionismo.
Mentre l'Impressionismo si concentrava sulla cattura
immediata della luce e del colore, il Post-Impressionismo si
spostò verso una rappresentazione più simbolica e astratta
della realtà. Gli artisti post-impressionisti cercavano di
esprimere il loro mondo interiore, le loro emozioni e
percezioni, piuttosto che limitarsi a rappresentare la
realtà esterna.
Van Gogh abbracciò pienamente questa filosofia artistica. La
sua interpretazione del Post-Impressionismo enfatizzava
l'uso del colore non solo per rappresentare oggetti o scene,
ma come mezzo per esprimere emozioni profonde. Le sue
pennellate divennero più audaci e meno legate alla realtà,
dando ai suoi dipinti una qualità quasi onirica.
"La Notte stellata" è un esempio emblematico di
questa evoluzione. Mentre un artista impressionista avrebbe
potuto dipingere il cielo stellato con precisione e
realismo, Van Gogh lo ha trasformato in un tumulto di colori
e forme. Il cielo in questo dipinto non è una semplice
rappresentazione della notte, ma un'espressione del
turbamento interiore dell'artista, dei suoi desideri, delle
sue paure e delle sue aspirazioni.
Inoltre, la scelta dei colori di Van Gogh non era mai
casuale. Ogni tonalità aveva un significato emotivo, e
l'artista le usava per comunicare sentimenti specifici. Ad
esempio, l'uso prevalente del blu in "La Notte stellata"
potrebbe essere interpretato come un riflesso della sua
solitudine e malinconia.
In conclusione, mentre Van Gogh fu profondamente influenzato
dall'Impressionismo, fu il suo passaggio al
Post-Impressionismo che definì realmente la sua carriera
unica e ineguagliabile. Attraverso questo stile, fu in grado
di comunicare le profondità della sua anima e di lasciare
un'impronta indelebile nel mondo dell'arte.
Tecnica e Pennellate
L'arte di Vincent van Gogh è subito riconoscibile, e una
delle ragioni principali è la sua tecnica unica di
pennellata. Mentre l'estetica dell'arte dell'epoca
vittoriana enfatizzava la precisione e la perfezione, Van
Gogh scelse una strada radicalmente diversa. La sua
pennellata era vigorosa, carica di energia, e divenne una
delle sue firme distintive.
A differenza di molti dei suoi contemporanei, Van Gogh non
aveva paura di mostrare le tracce del suo pennello. La
superficie dei suoi dipinti era spesso solcata da pennellate
spesse e audaci, che creavano un ritmo visivo e una texture
quasi tangibile. Questo stile di pennellata dava vita ai
suoi dipinti, rendendoli quasi tridimensionali, come se
stessero pulsando con vita propria.
Ma queste pennellate non erano solo estetiche. Erano, in
molti modi, una finestra sull'anima dell'artista. La
direzione, la pressione e il ritmo delle sue pennellate
variavano a seconda del suo stato d'animo. In dipinti come "Starry
Night", le pennellate vorticose e tempestose riflettono la
sua tumultuosa vita interiore e le sue battaglie personali.
In contrasto, in opere come "I girasoli", le pennellate sono
più strutturate e ritmiche, riflettendo forse un momento di
relativa serenità nella sua vita.
Al di là della pura estetica, le pennellate di Van Gogh
erano un mezzo di comunicazione. Trasmettevano emozioni, dal
tormento alla gioia, dalla disperazione alla speranza. In
molti modi, le sue pennellate erano come una lingua visiva,
permettendo all'osservatore di entrare in contatto con le
profondità del suo essere.
Nell'analizzare l'arte di Van Gogh, è impossibile separare
l'uomo dall'artista. Le sue pennellate, così come ogni
aspetto della sua arte, erano un riflesso diretto della sua
vita, dei suoi sentimenti e delle sue esperienze. E, anche
se ha affrontato molte sfide nella sua vita, la sua capacità
di trasmettere queste emozioni attraverso la sua arte è ciò
che lo rende uno degli artisti più amati e celebrati di
tutti i tempi.
Colori e Simbolismo
Vincent van Gogh aveva una relazione profonda e intima con i
colori. La sua tavolozza non era semplicemente un mezzo per
rappresentare il mondo esterno; era una finestra sul suo
mondo interiore, uno strumento attraverso il quale
comunicava le sue emozioni più profonde e i suoi pensieri
più intricati.
Nel panorama artistico dell'epoca, molti pittori tendevano a
utilizzare il colore in modo conservativo, attenendosi a una
rappresentazione realistica del mondo. Ma Van Gogh si
distaccò da questa tradizione. Per lui, il colore aveva un
potere che andava oltre la mera rappresentazione; aveva il
potere di evocare e comunicare emozioni.
Prendiamo, ad esempio, la sua iconica serie di girasoli. A
prima vista, si potrebbe vedere una rappresentazione fedele
di questi fiori luminosi. Ma c'è molto di più sotto la
superficie. Il giallo intenso e brillante che Van Gogh ha
scelto per i petali non è solo un tentativo di catturare la
loro luminosità naturale, ma è anche un riflesso del suo
stato d'animo e della sua visione del mondo. Il giallo, per
lui, era un colore che simboleggiava luce, speranza, gioia e
una profonda connessione con la natura. Questo colore
diventa quasi un personaggio a sé stante nei suoi dipinti,
raccontando una storia di rinascita, di vitalità e di
un'incessante ricerca di luce anche nei momenti più bui.
Ma il giallo non era l'unico colore con cui Van Gogh
giocava. Nei suoi paesaggi, i verdi erano spesso esagerati,
andando dai toni più chiari e freschi ai verdi più scuri e
intensi, a seconda delle emozioni che voleva evocare. Il
blu, come visto nel celebre "Notte stellata", era
usato per creare un senso di profondità e mistero, ma anche
di serenità e introspezione.
Il rosso, spesso presente nei suoi interni e nei ritratti,
poteva rappresentare passione, amore, ma anche conflitto e
tensione. Ogni colore nella tavolozza di Van Gogh era scelto
con cura, non solo per il suo valore estetico, ma anche per
il suo significato emotivo e simbolico.
Conclusione
La pittura di Van
Gogh nelle sue varie esplicitazioni è una tipica e drammatica
espressione del contrasto tra il mondo interno e il mondo esterno
dell'autore, tra spiritualità e realtà oggettiva. Pur estraneo
ai vari movimenti artistici ufficiali, le sua pittura può sicuramente
considerarsi come il primo e potente indizio della crisi che
portò l'arte alla pura espressione, indipendentemente da ogni
sua funzione rappresentativa, costituendo un grande esempio
per il movimento dei post-espressionisti e soprattutto dei Fauves
in Francia e per l'origine dell'espressionismo in Germania con
Max Liebermann.
Quello che è altrettanto certo è che l'arte di Van Gogh
si è incuneata nella quotidianità e nella cultura mondiale di
oggi, tanto da farne cultura, allo stesso tempo, elitaria e
di massa, dando per scontato, inconsciamente, che le sue opere
siano, in un certo senso, sempre esistite.
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Bibliografia
Lamberto
Vitali, Vincent van Gogh, Milano, 1952
Jan
Hulsker, Vincent and Theo van Gogh: a dual biography, Fuller
Publications, 1990
Giulio
Carlo Argan, Federica Ammiraglio, Vincent van Gogh, Milano,
2005
Steven Naifeh and Gregory White Smith: Van Gogh: the Life, Random
House, 2011
Ronald Pickvance: Van Gogh In Saint-Rémy and Auvers
Wouter Van Der Veen, Axel Ruger: Van Gogh in Auvers: His Last
Days, Monacelli Press, 2010
Bogomila Welsh-Ovcharov: Van Gogh in Provence and Auvers, Universe,
2008
Enrica
Crispino, Van Gogh, Giunti, 2010
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