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Tra
il 1786 e il 1788 il celebre scrittore e poeta tedesco Johann
Wolfgang von Goethe intraprese un lungo viaggio in Italia che
segnerà profondamente la sua vita e la sua produzione artistica.
In questo articolo ripercorriamo le tappe di quel viaggio
fondamentale per la maturazione intellettuale e artistica di
Goethe.
Quando intraprese il suo
Viaggio in Italia (Italianische Reise)
Johann
Wolfgang von Goethe aveva da pochi giorni compiuto
trentasette anni, era già noto in Europa per il clamoroso
successo ottenuto col Werther e aveva raggiunto l'apice
del successo di una straordinaria carriera, diventando consigliere e ministro del duca Carlo
Augusto di
Weimar; inoltre lavorava a quel tempo alle
opere più significative della maturità, Ifigenia,
Wilhelm Meinster e Faust.
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Che cosa lo spinse a lasciare Karlsbad come un fuggiasco alle tre del mattino
del 4 settembre 1786, su una carrozza di posta diretta a
Ratisbona? Che cosa lo attira a questa avventura in Italia,
già vissuta nel sogno letterario di Mignon?
Con la limpida consapevolezza
che sempre lo accompagna anche nelle intuizioni più profonde,
Goethe lo scrive nella sua sosta di appena un giorno a
Trento, l'11 settembre 1786:
è il tentativo di riprendere interesse per il mondo, di
comprendere "se si possono ancora cancellar le rughe" che si
sono impresse nel suo animo. Rughe di tristezza, di assuefazione
al suo ambiente corretto e deprimente, a quel mondo dove tutto
appare in ordine nella triste assenza di una avventura. Tutto
questo andava ben oltre il programma dei nobili tedeschi o
anglosassoni, che affluivano verso un Sud neoclassico o
preromantico, nel cosiddetto Grand Tour. L'Italia per lui è un mito, ed
egli le si avvicina con la trepida prudenza con cui ci si
accosta a una
prova decisiva per la sua vita. Un presagio, presentimento o
anticipazione gli viene incontro prima di giungere in Italia:
sulla strade del Brennero incontra un povero arpista che gli
chiede di accogliere sulla sua carrozza la figlia bambina, con
la quale si reca alla fiera di
Bolzano dove si esibiranno
insieme, lui suonando l'arpa e le cantando. Così Mignon, che era
già creatura del Meister, prende corpo sull'allora polverosa strada
del Brennero. O è una creazione della sua fantasia? Con i poeti
non c'è mai da fidarsi.
D'altra parte
occorre
dire, ed è meglio dirlo subito, che in Viaggio in Italia non è
l'insieme degli appunti di viaggio che Goethe andava
raccogliendo giorno per giorno, anche nelle situazioni più
precarie, ma una rielaborazione di essi, racchiusa in un arco di
tempo poco di più di otto mesi, mentre il suo soggiorno in Italia
durò nella realtà circa due anni. Inoltre prende la forma del
romanzo epistolare, a Goethe già familiare dai tempi del
Werther. Ma soprattutto è frutto di una riflessione sul
viaggio stesso, sul senso che doveva avere nelle
intenzioni e che ebbe nella realtà.
Sempre nella breve sosta a
Trento Goethe scrive: "Qui mi trovo bene come se vi fossi nato e
cresciuto e ora tornassi da una spedizione in Groelandia o dalla
pesca alla balena." Ma questo presuppone l'esperienza di Roma e
Napoli e la scoperta di quella patria ideale che sarà per lui
l'Italia. Dove comincia l'Italia per Goethe? Dalle rive del
Garda forse, dai dolcissimi fichi di Torbole, dalle avventure e
disavventure: la mancanza di gabinetti nella locanda di Torbole
("A una mia domanda un servo risponde, indicandomi il cortile",
"Dove?", gli chiesi, "Dapertutto, dove vuole."),
l'arresto per
sospetto spionaggio da parte della polizia asburgica a
Malcesine, dove stava disegnando la rocca: "Il remare
poco giovava contro il prepotere del
vento e così dovemmo
approdare a Malcesine. Si tratta del primo villaggio veneziano
sulla costa orientale del lago di Garda ... Voglio sfruttare nel
miglior modo possibile questa fermata, soprattutto per
riprodurre il castello che giace vicino al lago ed è un bel
soggetto per un disegno. Oggi, passandovi davanti, ne avevo
fatto uno schizzo." Giunto nei pressi di
Rovereto al confine tra la germanità e
l'italianità disse: "Eccomi a Rovereto, punto divisorio della
lingua; più a nord si oscilla ancora fra il tedesco e
l'italiano. Qui per la prima volta ho trovato un postiglione
italiano autentico; il locandiere non parla tedesco, e io devo
porre alla prova le mie capacità linguistiche. Come sono
contento che questa lingua amata diventi ormai la lingua viva,
la lingua dell'uso!." Subito dopo fu la volta di
Verona, la meraviglia di fronte all'Arena, il primo monumento dell'antica che
vedeva.
Se
Vicenza lo conquista con le
sue architetture palladiane e sansoviniane e la campagna del
Brenta con lo splendore classicheggiante delle sue ville,
Venezia lo seduce soprattutto con la sua vita, quella
spicciola delle calli e dei mercati e quella più artefatta dei
teatri, dove la commedia dell'arte lo sorprende piacevolmente
con l'incisiva popolarità della maschere. A Venezia vede per
la prima volta il mare e non deve essere stata una visione da
poco per un poeta.
Se a Venezia si ferma quasi due
mesi, il viaggio da
Ferrara a
Roma, attraverso
Bologna e
Firenze
si compie in meno di due settimane. A Ferrara, visiterà la tomba
di Ludovico Ariosto ed il presunto luogo dove fu
prigioniero Torquato Tasso. Il 17 settembre si reca a
Cento, patria si uno dei suoi
pittori
preferiti
Guercino (vedere a tal proposito l'articolo sui due Guercino
dimenticati a
Lucca:
Chiesa Santa Maria Forisportam, tesoro dimenticato), dove il poeta sottolinea l'attaccamento degli
italiani alla propria patria.
Va detto che questo romanzo
epistolare fu dato alle stampe molto dopo, nel 1816, quindi
studiato e rielaborato, presumibilmente più volte. Il 18 notte è
a Bologna, dove vede la Santa Cecilia di
Raffaello,
rimanendone molto colpito dalla sua bellezza. A Bologna ammira
anche i dipinti
di Carracci e di Guido Reni (che ritroverà anche a
Roma), ma ahimè, davanti alla torre degli
asinelli "spettacolo abominevole", elabora una sua teoria per
spiegare come sia stata costruita, volutamente, inclinata. Non
riesce tuttavia a resistere ad ammirare il panorama dall'alta
dei suoi quasi 100 metri. Per
fortuna il suo itinerario non comprendeva
Pisa. A Firenze si
ferma, secondo le sue note, solo due ore vedendo di sfuggita
solo Duomo e Battistero e facendosi un giro
al Giardino
di Boboli; ad
Assisi abbandonate alla sua sinistra "con
disgusto, le enormi sovrapposizioni di chiese con campanili,
babilonicamente ammassate, sotto le quali riposa San Franscesco",
va a cercare Santa Maria sopra Minerva per vedere il tempio
classico.
La scarsa sensibilità di Goethe
e dei suoi contemporanei per il medioevo è universalmente nota,
ma che neppure nomini Giotto o Cimabue quasi ci si offende. E
leggiamo con un certo maligno piacere la brutta avventura che
gli capita nella campagna di Assisi con un gruppo di sbirri
papalini e come ne esca, non proprio eroicamente, affondando la
mano nella sua saccoccia ben provviste di monete di buona lega.
Il primo grande incontro con
l'Italia è a Roma, ed è soprattutto un incontro con l'atmosfera
romana, con un autunno che a lui, uomo del Nord, ricorda
l'estate, e siamo all'inizio di novembre; anche l'incontro con
gli oggetti di un'ammirazione prima percepita attraverso i
racconti, tra l'altro di suo padre, con le rovine dell'Appia
Antica, il
Colosseo, le ville, le gallerie. È la scoperta della
Salute di
Raffaello prima, degli affreschi di Michelangelo
e per lui un'autentica rivelazione, e al suo confronto sbiadisce
l'entusiasmo per i vari Carracci e Domenichino, che lo avevano
tanto colpito. Qui incontra il pittore tedesco Tischbein, che
dipinge Goethe, tra gli altri, il più celebre ritratto, quello
del poeta avvolto in un ampio mantello, seduto su una colonna
spezzata, sul più romantico degli sfondi. Tischbein gli sarà
compagno di viaggio fino a
Napoli. Poi sarà sostituito
dall'altro pittore tedesco, Kniep. Mentre porta a termine la
stesuta dell'Ifigenia, che spedisce agli amici in Germania per
averne un giudizio, si lascia conquistare dall'atmosfera romana
fino ad esserne quasi soprafatto: "Vivo qui in una serenità e
una calma che da tempo non avevo provato."
Ma la vera rivelazione è
Napoli, dove giunge verso la fine di febbraio. È vero che la
sistemazione alla locanda è difficoltosa e che il sole della
primavera precoce non è sufficiente a sconfiggere il freddo
nella stanza priva di stufa o camino. L'uomo del Nord scopre con
grande meraviglia l'uso del braciere, con le poche braci coperte
di cenere e il debole calore sufficiente appena a riscaldare le
mani intirizzite. Ma Goethe non si arrende: si compra un
cappotto da marinaio e se lo stringe alla vita con la corda con
cui erano legati i bagagli. Così abbigliato procede alla
conquista di Napoli "che si annunzia libera, allegra, vivace",
con la sua folla in continuo movimento, le belle strade
luminose, il mare, il chiaro di luna. La bellezza è tale che
Goethe non ha abbastanza occhi per guardare, tuttavia osserva
tutto con grande attenzione. L'escursone sul Vesuvio, spinta
sull'orlo del cratere in fase di stanca eruzione, fino al punto
in cui vapore e fumo tolgono il respiro, esalta in lui l'artista
e il naturalista insieme: raccoglie minerali, pietre laviche,
studia l'alternarsi della vegetazione sulle pendici del monte,
ma soprattutto è attratto da quell'"informe orribile ammassamento
che di continuo divora se stesso e dichiara guerra a ogni senso
del bello."
La vita di società tenta di
inghiottirlo negli splendidi palazzi pieni di opere d'arte: mai
come a Napoli l'arte gli appare frammista alla vita quotidiana,
frequenta principi e principesse, conosce tra gli altri Lord
Hamilton e la sua bellissima moglie, amante di Nelson.
Pompei
porta fino a lui un frammento di vita dell'antichità. Ma il
fascino maggiore sta nella vita cittadina, nella sfilata delle
carrozze eleganti in via Chiaia come nella folla di gente minuta
che si accalca sul molo. Pulcinella, ciarlatani, frittaioli.
Come non sorridere all'immagine
del solenne consigliere di corte Goethe incantato davanti ai
friggitori di pasta che vecchie
parrucche bionde dovrebbero
travestire da angeli per la festa di San Giuseppe? E se la sua
attenzione è attratta dalla bellezza naturale dell'ambiente, dal
lussureggiare di pini e oleandri, non gli sfugge le perfezione
dell'agricoltura, degli oliveti, vigneti e orti, curati come
giardini. Lo colpisce inoltre la straordinaria pulizia di
Napoli e domandandosi come facciano gli abitanti a tenere così
pulite le loro strade, ne scopre infine il segreto: tutte le
mattine prima dell'alba le vie della città si popolano di carretti
a mano e tirati da asini, i quali raccolgono la spazzatura che
durante il giorno la gente riversa sulle strade e la portano in
campagna per venderla ai contadini come concime per gli orti. Si
spiega così la pulizia di Napoli in tempi in cui i governi non
amministravano la nettezza urbana e la straordinaria fecondità
del territorio che produceva quegli splendidi ortaggi che aveva
modo di apprezzare. In Campania visiterà anche Ercolano,
Portici,
Caserta, Torre Annunziata, Pozzuoli,
Salerno e
Cava de'Tirreni, città da cui rimase particolarmente
affascinato.
In confronto a Napoli la
Sicilia, che pure riserva tesori classici, sarà per lui quasi
deludente. La decisione di recarsi in Sicilia è preceduta da una
lunga esitazione e il distacco da Napoli è doloroso,
come può
essere la rinuncia a un mondo che gli era apparso il più felice
possibile. Ma è un viaggio per viaggiare e andare in Sicilia gli
si prospetta come un dovere: "In questo viaggio imparo a
viaggiare. Ma imparerò a vivere?" Sbarca a Palermo il 2 di
aprile dopo cinque giorni di poco poetico mal di mare su una
corvetta pulita, accogliente e ben costruita ma che ha,
purtroppo, il difetto di essere un piccolo veliero in balia di
un instabile mare primaverile. E se
Palermo lo accoglie con un
chiaro di luna che ancora una volta lo sorprende e lo incanta,
la Sicilia si rivelerà, pur con tutto il suo abbaglio di arte
classica e interessi mineralogici e botanici, inferiore alle sue
aspettative.
Anche se Goethe non lo dice
apertamente, svaniscono anche le sue speranze di trovare in
Sicilia quella "Urpflanze" la pianta primigenia da cui tutte le
altre sarebbero derivate. Lo splendore della vita sociale
napoletana si riduce alle stravaganze dei signori, come il
Principe di Palagonia Don Francesco Ferdinando Gravina II
che descrisse come ''un signore allampanato, un vegliardo
solenne e grave, tutto azzimato ed incipriato...che trasforma le sue ville in mostre di
cattivo gusto": e l'accesso alle ville, che a Napoli era
spettacolo offerto agli occhi di tutti, qui è sottratto alla
vista da alti muri ininterrotti. La villa in questione era la
stupenda Villa Palagonia a
Bagheria,
detta la villa dei mostri per via delle statue riccamente
decorate che raffigurano vari personaggi mescolati con animali
fantastici e figure caricaturali.
Il "buon governo" che aveva
ammirato a Napoli, in Sicilia si trasforma nell'arbitrio dei
potenti, a cominciare dal governatore che risiede a
Messina, un
vecchio gretto e collerico, incapace di dominare i suoi attacchi
di bile. E quello che stupisce, nei confronti di Napoli, è
l'incredibile sudiciume delle strade, dove la spazzatura viene
deliberatamente lasciata giacere perché attutisca i soprassalti
delle carrozze dei signori durante il passeggio.
Ma se anche i templi di
Agrigento sono a suo giudizio inferiori a quelli
di Paestum, gli
rimane tuttavia negli occhi la primavera siciliana, gli
aranceti, le vallate coltivate a ortaggi, le grandi pianure
dell'interno seminate a grano. Ancora più gli rimane nel cuore
un'umanità che non è una popolazione come quella di Napoli, ma
un insieme di figure e figurette che assumono spesso le
dimensione dell'idilio: così la giovane donna che recandosi ai
campi dietro il suo asino continua a far girare il fuso con le
abilissime mani, o le fanciulle che in una casa di Girgenti
arrotolano i maccheroni di pasta appena fatti sulle dita
affusolate dando loro quella forma aggraziata e caratteristica
che tanto colpì il poeta. Il quale tra l'altro si rivela
attento ai sapori e alle tenerezze delle lattughe e delle paste
di grano con una capacità di intendere e giudicare che non
avremmo mai sospettato in un palato nordico avvezzo a ben
sostanziosi pasti. Nonostante tutto della Sicilia scrive: "L'Italia
senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in
Sicilia che si trova la chiave di tutto." Nell'isola
visiterà anche Segesta, Selinunte,
Caltanissetta,
Catania
e
Taormina.
D'altra parte Goethe era venuto
in Italia, alla fine della lettura di questo Viaggio ne abbiamo
la stessa certezza che ne ha lui, soprattutto imparare a vivere e
i multiformi sapori della povera cucina meridionale sono parte
della vita e hanno molto da insegnargli, forse tanto quanto i
tramonti al mare e l'arte del
Rinascimento o le rovine classiche
disseminate per l'Italia. Avrà impararato a vivere Goethe, in
Italia? È una domanda che non ha e non può avere risposta.
Certo, l'autore del Viaggio in Italia, è un Goethe nuovo per il
lettore, meno compassato e paludato e che, anche se ritratto
nella più romantica delle pose dall'amico Tischbein, sa
spogliarsi degli atteggiamenti romanticamente obbligati per
discutere di fichi e lattughe.
Nel suo secondo viaggio in
Italia nel 1790 il mondo, con la Rivoluzione Francese che
minacciava tutto l'ordine costituito europeo facendo tremare le
fondamenta dei palazzi aristocratici, e le certezze fino ad
allora accumulate era cambiate, lui stesso era cambiato e i suoi
occhi non riuscivano più a vedere le stesse cose. Scrisse quasi
svegliandosi da un sogno: "L'Italia è ancora come la lasciai,
ancora polvere sulle strade, | ancora truffe al forestiero, si
presenti come vuole. | Onestà tedesca ovunque cercherai invano,
| c'è vita e animazione qui, ma non ordine e disciplina; |
ognuno pensa per sé, è vano, dell'altro diffida, | e i capi
dello stato, pure loro, pensano solo per sé."
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