Nel
2009 si è tenuto a Copenaghen il vertice sul clima con l'obiettivo di
raggiungere un accordo globale per la riduzione delle emissioni. Nonostante le
grandi aspettative, i risultati sono stati piuttosto deludenti. Ripercorriamo
cosa è emerso da questo importante summit.
Da
dicembre 2009, per due settimane, la capitale della Danimarca cambia nome,
Copenaghen diventa Hopenhagen. Lungi dall'essere uno scherzo, con il
destino il nuovo nome ha in comune unicamente un segno di speranza, quello che
tutti aspettiamo e che nelle parole del Primo Ministro danese (Lars Loekke
Rasmussen) risuonano più vere che mai: “ un'opportunità che il mondo non
può permettersi di perdere?. La stessa opportunità che oggi, all'alba di un
nuovo millennio, diventa più perentoria che mai, tale da assicurarsi appunto il
destino dell'intera umanità.
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A Copenaghen il 7 dicembre 2009 i
potenti di tutto il mondo si sono riuniti nella 15ª conferenza delle Nazioni
Unite sui cambiamenti climatici. Un vertice dalla portata enorme e
dai grandi numeri: 192 delegazioni, 15 mila posti (che si aspetta possano anche
triplicare) e 5000 giornalisti pronti a comunicare al mondo intero una delle più
grandi speranze di questo inizio secolo. Ecco il perché del nome 'Hopenhagen',
dall'inglese Hope, speranza. Due settimane di acute comunicazioni,
che si spera possano diventare intese e obiettivi per uno sforzo comune e, non
ultimi, per gli esempi da poter osservare.
Le principali aree di discussione a Copenaghen includono:
* Obiettivi per ridurre le
emissioni di gas a effetto serra (riduzione di CO2), in particolare da parte dei paesi sviluppati, per
contrastare i mutamenti climatici prodotti dall'uomo.
* Sostegno finanziario per la mitigazione e l'adattamento ai cambiamenti climatici da parte dei paesi
in via di sviluppo
* Schema sulle riserve di
carbonio, elemento della biosfera
in grado di assorbire anidride carbonica, volto a porre fine alla distruzione
delle foreste del mondo entro il 2030.
In
effetti sono molteplici i potenziali argomenti in discussione, non solo i target
di cui sopra, ma anche estrazione e stoccaggio del carbone,
biocarburanti, agricoltura sostenibile, foreste tropicali,
auto elettriche come la PHEV, l'auto ibrida elettrica plug-in
(già una realtà per esempio con la Toyota Prius, dal 2004 ad emissioni
zero).
Prima di
Copenaghen c'era Kyoto, luogo dell'omonimo Trattato internazionale
in materia ambientale, sottoscritto nel 1997 in
Giappone ed entrato in vigore nel 2005.
L'obiettivo comune? la riduzione del riscaldamento globale, l'obbligo per
gli anni 2008-2012 da parte dei paesi industrializzati di operare una
riduzione delle emissioni inquinanti (i cosiddetti gas serra) in una misura
non inferiore al 5% rispetto a quella registrate nel 1990. Gli Stati Uniti
d'America di George W Bush, responsabili di oltre il 36% del totale di
tali emissioni, non hanno mai aderito al protocollo di Kyoto, mentre paesi in
via di sviluppo o cosiddetti emergenti, come la Cina, il Brasile e l'India ne
furono esentati con la giustificazione della nuova crescita economica. All'Unione
Europea e al Giappone vennero concessi limiti differenti,
rispettivamente del 8% e del 6%.
Nello
specifico, quello che diventerà il nuovo protocollo di Copenaghen (in
sostituzione a Kyoto, che scade appunto nel 2012) si spera possa accomunare le
esigenze economiche di paesi industrializzati e di paesi emergenti con le
esigenze ambientali del pianeta terra e della sua popolazione complessiva. Un
accordo che possa prevedere un periodo molto più esteso del precedente e che
soprattutto possa vincolare paesi non presenti al precedente accordo. A questo
proposito più di un goal è già stato segnato, con la presenza a Copenaghen di
paesi come Stati Uniti d'America, India, Cina e Brasile.
Nel giorno di apertura del convegno di Copenaghen, la politica americana, con l'Agenzia
per la Protezione Ambientale (EPA), dichiara ufficialmente la pericolosità
dei gas serra per la salute umana.
Una
conferenza, quella danese, che per molti di noi si presenta con un linguaggio
forse troppo tecnico, fatta di personaggi lontani dalla nostra quotidianità e
con dati che per molti versi possono anche apparire incoerenti, se non
addirittura contraddittori, ma che tuttavia non può, e non deve, lasciare
indifferente il cittadino comune: colui che la mattina si muove per la
città in auto, andando a lavoro o ad accompagnare i propri figli a scuola, con
la consueta abitudine e una solita, viziata
inconsapevolezza alle tematiche ambientali. Parliamoci chiaro, quanti di noi
hanno solo la più piccola sensibilità di spegnere il motore della propria auto,
quando in attesa di anche soli pochi minuti? Quanti educano i propri figli ai
benefici di una bicicletta rispetto alla comodità e alla moda di un motorino?
Quanti di noi possiedono quella ancor poco conosciuta e misteriosa coscienza di
fare per bene la raccolta differenziata? Quanti, ancora una volta, educano con
sana severità i propri ragazzi a non gettare carta e company per strada? Ecco
perché Copenaghen, innanzi tutto, si deve arricchire di una nuova esigenza,
quella dell'accessibilità,
della sensibilizzazione non solo
dei governanti e dei potenti del mondo, ma anche del muratore di Avezzano o
dell'impiegato di Salerno e dei figli di costoro, che dovranno essere educati
alla cultura del rispetto e della protezione dell'ambiente.
Lo
spirito di Copenaghen deve andare oltre quello previsto nella sua agenda ed
arrivare dritto alle coscienze dell'attuale e della futura generazione. Saranno
giorni decisivi per il futuro del pianeta terra, quelli che vedranno
interloquire il presidente statunitense Barack Obama, il premier cinese
Wen Jibao, la cancelliera tedesca Angela Merkel, il premier
britannico Gordon Brown, il presidente brasiliano Ignacio Lula da
Silva e molti altri leader. Nel complesso come precisano alcuni media
italiani (qui nelle parole di Valerio Gualerzi per La Repubblica), vi sarà una “una
mobilitazione che al di là di quelli che saranno i risultati finali, da il segno
dell'importanza della posta in gioco?. Speriamo di raccoglierne il giusto
messaggio.
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