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Attivismo digitale
Cosa significa attivismo
digitale?
Funziona davvero? Come è nato? L'attivismo digitale si
realizza online attraverso appelli, petizioni, mail, campagne. L’attivismo digitale puro è semplicemente l’estensione
elettronica degli strumenti politici usati nella realtà. Ad esempio, il
volantino è sostituito dalla e-mail, la petizione digitale rappresenta
il banchetto di raccolta firma per le strade, i manifesti sono
riprodotti dai siti Web e poi ci sono le grandi chiamate a raccolta
fatte attraverso facebook, twitter, gruppi di discussione, post in blog
e forum. L’utilizzo delle tecnologie innovative e, in primo luogo, della
Rete Internet ha aperto un nuovo scenario per l’attivismo politico:
questi strumenti risultano più immediati, veloci e, per certi versi
efficaci, per le comunicazioni. Gli strumenti più utilizzati sono il
sito Web (i social network in particolare) e la e-mail.
Un po'
si storia, attivismo puro e disobbedienza civile
Analizzando lo strumento del sito, vale
la pena di citare la Rete Lilliput, nata nell'ormai lontano 1999,
composta da associazioni di stampo sociale unitesi con l'obiettivo
dell’integrazione e della collaborazione nelle esperienze locali per
combattere la disuguaglianza nel mondo. Dal sito, pur non aggiornato, è
possibile scaricare volantini pronti per l’uso, che possono essere
immediatamente usati per la propria iniziativa. Il sito è nato come
reale strumento per l’azione sul
territorio. L’e-mail poi rappresenta uno degli strumenti
essenziali in questo contesto. L’e-mail è uno strumento attivo mentre il
sito è passivo. Può essere utilizzata per la
realizzazione di campagne online, petizioni digitali (alla stregua
dell’invio massivo di comunicazioni cartacee), oppure per coordinarsi in
vista di una manifestazione. Vista la sua importanza e potenzialità, su
siti storici come Net Politics Training o
Netaction - in inglese, gran parte delle letture sono dedicate a
questo tema, con esempi materiali su come organizzarsi per lanciare
campagne e raggiungere i propri obiettivi. Altri strumenti sono la
chat e l’instant messenger, fondamentali per organizzare
manifestazioni ed eventi. Dietro queste azioni di norma c’è
un’organizzazione di massa che coordina il tutto e dà il via all’evento.
Così come quando si parla di contestazione e cortei telematici,
ossia il collegamento contemporaneo a uno stesso sito (il che può
generare seri problemi ai server e quindi in realtà è uno strumento
disobbedienza) e di defacement, ovvero operazioni
illegali di modifica della home di un sito. Infatti, come si evince, il limite tra
attivismo online puro e disobbedienza civile elettronica, detta anche
hacktivismo,
è molto sottile.
Altro strumento di
disobbedienza civile elettronica è la creazione di siti falsi,
cioè di siti completamente simili agli originali a meno dei contenuti o
di siti con un indirizzo Web simile all’originale ma con contenuti
polemici/critici. Il fine di questa azione è di far navigare
l’internauta sul sito fotocopia e farlo riflettere.La disobbedienza civile
elettronica è svolta attraverso una serie di azioni e di strumenti
elettronici (gli stessi dell’attivismo online, ma usati in maniera
diversa). La Rete è lo strumento per lanciare lotte ma diventa anche
l’arena delle stesse.
Un po’ di preistoria
Le origini dell'attivismo vanno ricondotte alle prime sperimentazioni
tecnologiche, quando ancora la Rete Internet non esisteva ed esistevano
solo i cosiddetti BBS (Bulletin Board System, sistemi che
attraverso un software permettevano a più utenti di collegarsi con la
rete telefonica, offrendo funzioni di condivisione dei file e
messaggistica). Il tutto poi era gestito da informatici appassionati.
Così iniziarono i primi tentativi di "comunicazione online" e di scambio
di messaggi, soprattutto la notte quando le tariffe erano più basse,
anche a scopo politico. Fu quindi creata la prima rete, Fidonet,
composta da migliaia di nodi BBS. Giorgio Rutigliano, nel 1984,
iniziò a gestire un BBS che poi si trasformò nel primo nodo Fidonet
italiano, collegato alle reti BBS internazionali. Poi fu l’avvento di
Internet, che fece calare la popolarità dei BBS ma permise la
creazione di nuovi metodi di comunicazione e di interazione. Ad oggi i
BBS possono essere consultati tramite i normali browser. Numerosi
attivisti telematici capirono subito le potenzialità della Rete e vi
trasferirono le proprie attività. A titolo di esempio ricordiamo alcuni
siti nati a metà degli anni ’90: Decoder, Peacelink,
Tactical Media Crew. Molte realtà politiche e sociali iniziarono a
utilizzare la Rete come mezzo di comunicazione e a rivendicare diritti
attraverso questa. Come dimostrano alcuni studi effettuati, da luogo
asociale e freddo, Internet è via via diventato uno strumento per
alimentare i dibattiti politici, per rappresentare anche coloro
che non avrebbero avuto altri modi per far sentire la propria voce, per
aggregare comunità anche molto distanti geograficamente ma con
uno stesso intento. Esempio significativo è quello dei dipendenti
dell’azienda francese Elf Exploitation Production che, nel 1999,
saputo che la metà del personale sarebbe stata licenziata, crearono un
sito Web dedicato alla circolazione delle informazioni, coinvolgendo
anche tutti i lavoratori all’estero, paralizzando la struttura
informatica dell’azienda e così inscenando un vero e proprio
sciopero virtuale (ma molto concreto ed efficace!). L’inizio
dell’uso di Internet per scopi esplicitamente politici si deve
però al movimento zapatista in Chiapas, nel 1994. Dopo la sua
nascita difatti, l’esercito fu contattato e sostenuto via e-mail da
tutto il mondo!
Data importante per l’attivismo online è il 1998 in cui
fu fondato il sito MoveOn: Democracy in Action, che si occupava
di inviare appelli via e-mail. Il primo riguardava l’impeachment
di Bill Clinton. MoveOn nel tempo è cresciuto molto, diventando una
grande organizzazione no profit americana e modello di attivismo
politico e civile online. I metodi usati sono molto simili a quelli
usati nel marketing; per questo spesso è considerata
un’associazione che promuove le cause civili alla stregua della vendita
di omogeneizzati! E poi tanti altri progetti, di vario genere. Basti
pensare alle iniziative digitali portate avanti dal Presidente Obama
che vede appunto in Internet un mezzo importante per garantire maggiore
trasparenza e sostegno al suo Governo. Oltre al sito della casa Bianca,
con i suoi forum e blog, dove è possibile esprimere le
proprie opinioni, ai comunicati online, anche via twitter, alla
pagina facebook, Obama ha deciso di pubblicare i suoi discorsi
radiofonici del sabato su YouTube e sul sito del Governo. Anche
in Italia i politici da tempo hanno scoperto Internet: nascono i
siti web ufficiali, i blog dove la classe politica ostenta la propria
opinione e magari si svolgono battaglie politiche virtuali, fan club,
canali Youtube, e social network (vedi Facebook) o comunità virtuali,
come Second Life. Se poi confrontiamo i sostenitori dei politici, ad
esempio su Facebook, potremmo fare anche qualche sondaggio! E leggendo i
messaggi lasciati sulle bacheche, capire forse cosa vuole la gente.
Confronto tra
attivismo tradizionale e online
Vi consigliamo di dare una lettura
all'interessante articolo Why the revolution will not be tweeted,
consigliato vivamente a chi vuole addentrarsi nella politica via Rete,
di Malcom Gladwell, in cui lo scrittore confronta l’attivismo
tradizionale e quello online, evidenziando i punti che differenziano i
due fenomeni. Principalmente l’attivismo tradizionale è
gerarchico e centralizzato mentre quello online è
decentralizzato e mirato a una protesta. Quindi il primo
risulta più efficace rispetto alle reti decentrate. D’altro canto
l’utilizzo dei social network aumenta la partecipazione anche se
a volte riduce la motivazione dell’adesione.
Critiche e
consensi sul fenomeno dell'attivismo online
Molti si stanno chiedendo se l’attivismo digitale funziona, alcuni hanno
coniato dei termini dispregiativi del fenomeno, come clicktivism,
per sottolineare il fatto che l’internauta non legge più gli appelli che
firma, cliccando e basta, dichiarando semplicemente di essere d’accordo
o in disaccordo. Altri termini negativi usati sono slaktivism,
dal legame di slacker, ossia lavativo, e activism, per marcare il fatto
che l’attivismo digitale è un modo svogliato e facilone per
essere in pace con la propria coscienza. Che senso ha allora tutto
questo in un momento in cui forse dovremmo cercare di cambiare le cose…
Ed è davvero così?
Come rendere l'attivismo digitale più impegnato, coinvolgente ed
efficace?
I più critici del fenomeno lo considerano un
profilo d eteriorato
di partecipazione civile. Micah White, analizzando il
fenomeno dalle pagine del Guardian, lo considera alla stregua di un
pasto cucinato da McDonald’s che sembra fatto con cura, ma in realtà è
privo di ingredienti nutritivi.
Per alcuni sembra che la voglia di cambiamento sociale non sia più
portata avanti dalla convinzione nelle ideologie, ma dal numero di
messaggi e-mail letti, post piaciuti, oppure dal numero di firme
ottenute in fondo a una pagina Web. Non è che ogni "mi piace"
concretizzi un passo verso il cambiamento della società... Inoltre le
organizzazioni che si occupano dei sondaggi online spesso non chiedono
nessun tipo di informazione ai propri membri ma solo di aderire o no a
quella campagna. La realizzazione di campagne non efficaci diffonde il
disinteresse politico e fa diminuire l’attenzione verso i
movimenti più autentici, generando una perdita di consensi e di adesione
a quelle organizzazioni che davvero vorrebbero far qualcosa. La domanda
è: l’esistenza del fenomeno
slaktivism non scoraggia in realtà coloro che in passato sarebbero stati
in prima linea per portare avanti le proprie idee con sit in,
dimostrazioni e quanto altro, spingendoli a sottoscrivere petizioni
online comodamente dalla propria poltrona di casa? 100 firme di questi
slaktivist valgono il lavoro di un attivista tradizionale? Qua sta il
dilemma. Certo il Web permette un grande coinvolgimento, ma questo
coinvolgimento è solo superficiale? Noi pensiamo che resti in
superficie chi comunque ci sarebbe restato... La tecnologia ha svolto un
importante ruolo di mobilitazione nella primavera araba ma certo perché
l'atmosfera era già propizia al cambiamento e i giovani disposti a
impegnarsi e addirittura sacrificare le loro vite. Ovvio, tanto Facebook
quanto Twitter possono essere strumenti eccellenti per annunciare
manifestazioni, raccogliere fondi, o postare link di video per
denunciare la brutalità della repressione, certamente però l'impegno
politico deve andare ben oltre, arrivando all'impegno in prima
persona e alla condivisione degli obiettivi e dei sogni con
persone in carne e ossa. La vera motivazione a rischiare, a
mettersi in gioco anche fisicamente, viene solo se si ha un rapporto
personale forte con gli altri già coinvolti nel movimento. L'attivismo
dei social media stimola, permette di organizzare, ma non crea la
motivazione. L'attivismo digitale non è fondato su legami forti tra
persone, si tratta di persone definite amici presenti nei profili a
centinaia, che certo non si frequentano, dei quali si hanno notizie
spesso banali, con i quali raramente si condivide un'autentica passione
e una reale motivazione a perseguirla. Gli intenti sono buoni, gli
entusiasmi magari alti, ma il tutto si esaurisce spesso in un click, che
tacita la coscienza fino a un certo punto. Dopotutto su Twitter si
seguono e si è seguiti da persone che non si sono mai conosciute, e su
Facebook si sta in contatto con persone delle quali si erano persi i
contatti (e forse un motivo c'era...). Del resto ci sono casi in cui
l'attivismo politico online permette di riuscire a raggiungere un fine
altrimenti irraggiungibile: l'elezione del primo presidente americano di
colore. La campagna politica di Barak Obama, finanziata
con minori fondi ma supportata da giovani e tecnologici talenti, ha
avuto esito sorprendente.
Una
riflessione conclusiva
Alla fine di tanto parlare e scrivere,
pensiamo di poter affermare che le idee e le persone continuano a
rappresentare la forza propulsiva per ogni cambiamento. L'uso dei social
media da soli non rappresenta l'unico strumento per una "rivoluzione".
Vince chi ha leader carismatici, gruppi locali preparati ed organizzati
e tante persone coinvolte e presenti con il cuore. Interconnessi certo,
organizzati e in grado di sfruttare tutti gli strumenti disponibili per
creare eventi, coinvolgere tutti (anche i non connessi), incontrarsi di
persona, insieme incidere sulla realtà. Molto importante è allargare la
partecipazione a tutti, anche a chi non è connesso, poiché spesso
l'attivismo digitale rimane riservato ad alcuni, più colti, tecnologici
e dotati di infrastrutture tecnologiche in grado di supportarli.
Sicuramente uno dei problemi è anche il cosidetto
Digital divide
che gli attivisti telematici stanno combattendo per garantire un accesso
alla Rete senza limiti da parte di tutti.
L'attivismo digitale
dei paesi repressivi
Una riflessione infine sul fatto che anche i
governi repressivi hanno a loro volta a disposizione questi
strumenti: la Russia e la Cina sono due esempi di governi
che sono riusciti ad addomesticare Internet, servendosene per i
loro obiettivi (propaganda governativa, cyber attacchi a danno degli
editori indipendenti, controllo online infiltrandosi nella rete per
citare alcune pratiche diffuse).
Attivismo digitale culturale
Per concludere segnaliamo il libro
Networking, la Rete come arte, di Tatiana Bazzichelli, che
analizza la Rete e questi fenomeni da un punto di
vista diverso: da quello artistico. Con l’avvento di Internet l’arte
è diventata una attività sociale, i momenti di produzione e fruizione si
sono uniti. La realizzazione di reti, l’interazione propria di Internet,
la condivisione e la cooperazione possono essere viste come forme
artistiche… Il libro analizza le tecnologie innovative dal punto di
vista creativo, tenendo conto sia degli aspetti sociali ma soprattutto
dell’aspetto culturale che hanno generato. Attraverso la Rete si possono
intessere nuove relazioni artistiche, apprendere nuovi significati
attraverso lo svolgimento e la partecipazione ad attività trasversali.
La scrittrice analizza la Rete sotto due punti di vista: lato storico
addentrandosi nella net-art e nei new media art, il che le ha fatto
fondare il progetto Activism-Hacking-Artivism (AHA) di attivismo
artistico (e la relativa mailing list); e lato partecipativo proprio
della Rete che ha permesso la diffusione della cultura dell’attivismo
digitale… Quindi attivismo digitale non solo politico, ma anche
culturale!
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