Tharros

Tharros l'antica città punico romana della Sardegna occidentale. Incastonata in una suggestiva penisola sul golfo di Oristano, Tharros ospitava un importante complesso religioso, abitazioni private, terme pubbliche e diverse necropoli. Un affascinante sito archeologico affacciato sul mare che non si può non visitare se vi trovate da queste parti.

 

Sulla punta del promontorio della Penisola del Sinis, a ridosso del mare sulla costa centro occidentale della Sardegna, sorge in posizione invidiabile l'antica città di Tharros, città da cui ha avuto origine Oristano, e che fu una delle più importanti città fenice nel mediterraneo, che si trovava lungo la rotta marinara dal Libano, terra d'origine della civiltà fenicia, verso occidente.

Del suo passato, prima punico e poi  romano restano importanti rovine che insieme a quelle di Nora, costituiscono l’unica testimonianza del periodo imperiale romano della Sardegna.

TharrosTharros fu abbandonata per le incursioni del mare dei pirati saraceni. Il sito archeologico fu scoperto da un archeologo inglese nel 1851 e fu una scoperta notevolissima. Le rovine sono in parte sprofondate in mare a seguito di un terremoto e si prolungano quindi nelle acque limpide del mediterraneo che guarda verso la Spagna. Tharros mostra oggi soprattutto la sua faccia romana: le abitazioni civili, le terme, le strade, l'acquedotto. Sono ancora visibili le strade lastricate, due grandi templi e il recinto sacro dove venivano deposte le urne cinerarie.

Purtroppo, Tharros fu saccheggiata nell'XI secolo e soprattutto nel XIX secolo. Testimoni dell'epoca, tra cui Honoré de Balzac nel XIX secolo, ricordano le migliaia di tesori scoperti e rubati dai saccheggiatori delle tombe. La fine di Tharros corrispose allo spostamento delle popolazioni dal mare all'entroterra, in posizioni più sicure dagli attacchi dei pirati saraceni. Fino a non troppo tempo fa i terreni affacciati sul mare erano considerati di scarso valore, anche per la malaria che imperversava sulle coste, ovviamente prima dell'inizio dello sviluppo turistico. Fino agli anni 60 in Sardegna era inimmaginabile pensare di arricchirsi vendendo terreni costieri! Vedi la voce Costa Smeralda.

Oggi è possibile passeggiare per le antiche vie romane e contemplare le rovine del tempio eretto sulle fondamenta di un luogo di culto cartaginese. Dal capitello dedicato a Minerva, Giunone e Giove, solo le sue fondamenta e la sommità di una colonna corinzia poggiante sulle colonne ricostruite, che rendono famoso il sito. È possibile riconoscere il foro e le terme. La torre che domina il sito fu costruita dagli spagnoli sulle rovine di un nuraghe, risale al XV secolo e offre una splendida vista sulla penisola.

Escursus storico del sito archeologico di Tharros

Abbandonata nel IX secolo a causa delle incursioni dei Saraceni, Tharros non è rimasta sepolta sotto un abitato moderno. Non per questo, tuttavia, le rovine dell'antica città si sono conservate nel modo migliore, dal momento che divennero ben presto cava di materiale da costruzione. A partire dagli anni Cinquanta, scavi su larga scala hanno portato alla luce gran parte dell'abitato ma, purtroppo, non sempre con i più rigorosi metodi scientifici, cosicché la lettura di molti edifici risulta assai ardua.

Il centro antico, che si trova all'estremità meridionale della penisola del Sinis, nel territorio del Comune di Cabras, si estende sulla penisoletta di Capo San. Marco, a cavallo del golfo interno di Oristano e del mare aperto, definiti localmente "Mare vivo" e "Mare morto" con riferimento alla maggiore tranquillità del golfo interno. La peculiare conformazione del capo, distinto da due brevi istmi di terraferma, forniva opportuni rilievi e facili cave, ben adatti a scali e a porto, per la facile difesa e l'agevole approdo dovuto alla favorevole linea di costa.

Arroccati sulle alture e anche sul capo sono stati individuati resti di preesistenze nuragiche, ascrivibili, nel caso della collinetta di Murru Mannu, la più settentrionale, all'età del Bronzo. Resti ceramici trovati durante gli scavi nel centro urbano punico parrebbero indicare, alle falde della collina della Torre spagnola di San Giovanni, un possibile abitato nuragico dell'età del Ferro precedente la fondazione fenicia (fine sec. IXinizi VIII a.C.). Questo, se non si voglia collegare il dato del ritrovamento di bronzi d'uso e figurati nuragici in tombe del centro feniciopunico (durante gli scavi dell'Ottocento) e pensare a elementi di scambio. Resti di un nuraghe sono segnalati da un capitano spagnolo nel XVI secolo e sono forse da individuarsi in alcuni massi di basalto alla base della Torre di S. Giovanni.

Un terzo nuraghe, il Baboe Cabitza,si trova sull'altopiano tabulare di Capo San Marco e resti di un'altra torre nuragica, ricordati nell'Ottocento, dovevano trovarsi alla base della punta del Capo in località s'Arenedda. Da questi siti, probabilmente più per carenza di ricerche che per effettiva loro assenza, non provengono però resti di cultura nuragica tali da fornirci incontrovertibili elementi cronologici. Il sito dovette comunque conoscere una frequentazione attorno agli inizi del I millennio come parrebbero indicare frammenti ceramici ciprioti rinvenuti sporadici negli scavi del tophet. La struttura urbanistica fenicio-punica si rileva tuttora anche nel tessuto posteriore di età romana: per l'assenza di un sistema viario perfettamente regolare; per la soluzione tipicamente semita della raccolta delle acque piovane con cisterne dalla tipica forma "a bagnarola"; per le tecniche edilizie, dal caratteristico muro "a telaio" e "a pseudotelaio" o ad opera isodoma di più elegante fattura; nonché per l'emergere di manufatti fenicio-punici o per l'approfondimento dello scavo a livelli preromani o per persistenze architettoniche, specie in contesti sacrali. Questi di fatto, insieme all'imponente cinta urbana e alle necropoli, rappresentano i più eminenti episodi testimonianti la fase feniciopunica.

Iniziando dalla collina di Murru Mannu, retrostante un sistema fortificato di cui si individuano un muro di contenimento di un ampio fossato, il muro di cinta urbano con due postierle riferibili a età punica si localizza il santuario dei sacrifici cruenti (tophet), scoperto nel 1962, scavato parzialmente nel l963 e oggetto di scavo regolare dal l974.

Ristrutturato già in età punica, con la costruzione di un piccolo sacello utilizzante cippi e altari delle fasi più antiche, e in quella romana (forse anche bizantina) con la fine del culto semitico, doveva presentarsi come un'ampia area a cielo aperto, utilizzante gli scoscendimenti delle lave basaltiche e i resti abbandonati del villaggio nuragico per la deposizione di successivi strati di urne e di cippi e stele, dalla fondazione del centro urbano sino al III secolo a.C.

L'area retrostante di raccordo con un quartiere sviluppatosi a partire dall'età ellenistica, doveva ospitare un altro santuario, individuato solo da elementi architettonici egittizzanti rinvenuti sulla strada romana sulle pendici del colle e, alla sommità, allo sbocco della seconda grande strada romana, parallela all'altra, un vasto complesso di ambienti di età imperiale, per pianta e presenza di un deposito di terrecotte figurate di Demetra ritenuto una persistenza punica.

Ai piedi del colle si estende un altro quartiere, ricco di edifici pubblici di età imperiale fra cui tre edifici termali, con riusi di età paleocristiana e bizantina a fini di culto e funerari nei due siti in prossimità del litorale. In esso sono stati scavati anche due templi, uno derivante dall'adattamento di un bancone roccioso (originaria roccia sacra semitica) come basamento di un sacello di forme architettoniche miste (ellenizzanti ed egittizzanti: prima metà III secolo a.C.), profondamente modificato da una ricostruzione in età romana attualmente non più visibile globalmente (tempio delle semicolonne doriche).

L'altro tempio a fianco del primo, presenta una vasta area a cielo aperto (tempio di tipo semitico), con pozzo e adattamento a porticato con mosaico di età imperiale al centro. Vi è poi, retrostante il porticato, un piedistallo ricavato dalla roccia della parete di fondo di cui si è supposta la funzione di sostegno per la statua o il betilo di culto. Un pozzo, in cui furono rinvenuti numerosi esemplari di vasi punici intatti completa significativamente il complesso. Presumibilmente la funzione sacra perdurò anche in età romana.

Ai limiti dell‘area scavata a metà degli anni Sessanta a metà costa della collina della Torre di San Giovanni che si affaccia sul sottostante complesso termale romano (detto localmente "Convento vecchio") e a cui, almeno in età romana, se non prima, doveva essere collegato da un'imponente scalinata di cui ancor oggi si individuano i muri di sostruzione, si trova un altro complesso sacro originariamente di grandi dimensioni, come mostra la gran quantità di resti architettonici, ora sparsi nelle vicinanze per le vicissitudini dello scavo, e i resti punici inglobati nella successiva costruzione romana.

Della fase tardopunica rimane un piccolo sacello, su alto basamento, composto di una semplice cella con altare a bancone, preceduta da due pilastri le cui aperture laterali sono state tamponate in età imperiale (forse III secolo) per dare unità con il vicino edificio. All'interno un piccolo bancone stuccato con cornice a gola egizia riconduce ai tipici moduli feniciopunici. Una breve scalinata dà accesso all'anticella e collega con l'ampio spazio antistante, delimitato dai resti del muro di cinta del santuario punico. Tale pertinenza, oltre che dal tipo architettonico e dalla tecnica edilizia, è suffragata dalle presenze di blocchi di spoglio con iscrizioni puniche di cui almeno una menzionante una divinità (probabilmente Tanit).

Sempre nel tratto urbano compreso negli scavi degli anni Sessanta è presente un altro manufatto punico di notevole interesse. Si tratta dei resti della cinta urbana che scendeva dalla sommità della collina della Torre di San Giovanni in Sinis in direzione dell'altro braccio che chiudeva l'altura di Murru Mannu. Se ne conserva un tratto dalla caratteristica linea spezzata detta tecnicamente "a cremagliera", già nota nel vicino Oriente, a cui si ascrive questo tratto di muro che comprende anche il basamento di una torre semicircolare e i caratteristici merli a sommità rotonda, orientali.

Le ampie necropoli, una a meridione (la più nota e la più anticamente oggetto di saccheggi dissennati, sulle pendici dell'altopiano tabulare di Capo San Marco) e la settentrionale, soffocata e in parte distrutta dallo sviluppo edilizio turistico del villaggio moderno di San Giovanni in Sinis, sono l'imponente testimonianza, con le loro tombe (a fossa semplice, a fossa scavata parallelepipeda, a camera sotterranea) dello sviluppo del centro urbano dal VII al IIIII secolo a.C.; gli stessi corredi, smembrati in varie collezioni pubbliche e private, documentano l'alto tenore di vita e le raffinate produzioni artigianali feniciopuniche.

Sull'estremità del Capo San Marco, in vista del moderno faro e sul limite di questo, affacciate sul mare aperto, non lontano dal nuraghe Baboe Cabitza, si trovano i resti di un piccolo edificio sacro in uso in età romana, ma per tecnica edilizia e tipo di pianta sicuramente dedicato a una divinità semitica, come mostra del resto il betilo femminile (pietra sacra indicante una dea) conservato nel Museo Nazionale di Cagliari e rinvenuto sul pavimento della cella interna durante lo scavo del 1958. Il piccolo santuario si compone di tre ambienti, seguendo l'antica tripartizione, in questo caso non in profondità, secondo una variante nota nella Sardegna feniciopunica.

La città romana si sovrappose al più antico centro punico e ne conservò, in gran parte, l'impianto urbanistico irregolare. Un tentativo di regolarizzazione, che risale all'epoca imperiale, si riconosce in alcune strade, grosso modo rettilinee e con direzione nordsud, intersecate da vie ortogonali, ampie e lastricate in basalto, queste strade sono convenzionalmente chiamate cordines e decumani. Si entrava nella città dalla Porta Cornensis. Il nome le fu attribuito dall'archeologo Giovanni Spano, che la individuò nel secolo scorso, perché fungeva da raccordo tra la strada d'accesso alla città e la litoranea occidentale nel tratto che collegava Tharros a Cornus.

Oggi, sulla spiaggia occidentale, nei pressi dell'ingresso agli scavi, si vedono i resti di una struttura in opus coementicium con paramento in opus vittatum pertinente a una porta a unico fornice, costruita verosimilmente alla fine del Il secolo.

Il Foro è stato localizzato, ipoteticamente, nel settore sudorientale della città; la supposizione sembra comprovata dalla vicinanza del porto, ora sommerso ma individuato, tramite la fotografia aerea, nell'area antistante le "Terme di Convento vecchio". Non è stata rinvenuta alcuna traccia della curia, della basilica e del Capitolium, normalmente connessi con il Foro. Nelle vicinanze sono stati invece portati in luce due edifici sacri che insistono su precedenti santuari punici: il "Tempio a pianta di tipo semitico" e il "Tempio punico monolitico" o "delle semicolonne doriche".

Terme del Convento Vecchio

Lungo la costa sudorientale, di fronte al porto, sorgeva un grande complesso termale denominato Terme di Convento vecchio. Questo complesso termale, oggi assai malridotto, doveva avere dimensioni notevoli. Dall'apodyterium (spogliatoio) si accedeva al frigidarium, una grande sala quadrangolare fornita di due vasche, una semicircolare sul lato settentrionale, l'altra quadrata sul lato occidentale. Si passava quindi ai tre calidarium, per ritornare, secondo un percorso anulare, al frigidarium attraverso una sala rettangolare (forse il tepidarium). Il frigidarium, al momento dello scavo, conservava ancora parte del pavimento in mosaico geometrico policromo, databile alla fine del Il secolo. Oggi questo mosaico è in pessimo stato di conservazione; meno precaria è la condizione dei mosaici a tessere bianche delle due vasche.

Alle spalle dell'area descritta, occupata prevalentemente da edifici pubblici, si sviluppavano i quartieri di abitazione che si estendevano, verso ovest, sino al declivio dell'acropoli, dove oggi si trova la Torre di San Giovanni. Le case erano di tipo semplice e modesto, costituite, in linea di massima, da poche stanze disposte intorno a un vano di disimpegno; in qualche caso si è notata la traccia di un piano superiore. Non sono state individuate abitazioni signorili del tipo noto a Cagliari (domus della cosiddetta Villa di Tigellio) e a Nora (Casa dell'Atrio tetrastilo).

Ai limiti del centro urbano antichi santuari punici continuarono a essere frequentati in epoca romana (Tempietto K a sud, Santuario di Demetra e Kore a nord). In età tardo antica, sulla costa sudorientale, a nord di un edificio termale sorse una basilica paleocristiana con il battistero. Si individua chiaramente il fonte battesimale, esagonale e fornito di tre gradini per facilitare l'immersione dei battezzandi. I due capitelli rovesciati, riutilizzati come basi, sono tutto quel che resta del colonnato che doveva sorreggere il baldacchino.

La città romana era fornita di un complesso sistema di approvvigionamento idrico. Un costellum acquae raccoglieva le acque convogliate dall'acquedotto e ne consentiva la distribuzione nella parte più bassa dell'abitato; pozzi e cisterne erano utilizzati soprattutto per i rifornimenti delle abitazioni private. Efficiente era anche la rete fognaria; al centro delle strade principali correvano grandi canali a sezione rettangolare con copertura piana che raccoglievano gli scarichi degli isolati convogliandoli verso il mare. La necropoli si estendeva da Capo San Marco fino alle mura meridionali. Tombe di epoca imperiale sono state rinvenute anche nell'area delle fortificazioni puniche settentrionali, evidentemente non più utilizzate; il fossato ha restituito infatti numerose tombe del tipo "a cupa", costituite cioè da un basamento rettangolare e copertura cilindrica.

Tempio a pianta di tipo semitico

Le strutture di questo tempio attualmente in luce appartengono al III secolo d.C. Si tratta di un edificio rettangolare, chiuso su tre lati da pareti scavate nella roccia e aperto sul lato orientale; suddiviso in due parti da un muro di blocchi in arenaria, inglobava originariamente, nella parte occidentale, un peristilio, trasformato successivamente in un vano quadrato con pavimento in mosaico. Quest'ultimo, ancora in situ ma in pessimo stato di conservazione, è policromo di tipo geometrico. La presenza di tre basi, forse di altari, addossate alle pareti scavate nella roccia e il ritrovamento di duecento vasi punici, rinvenuti in un pozzo ai margini dell'area mosaicata, suggerirono l'idea che si trattasse di un tempio semitico. Recentemente è stata avanzata l'ipotesi che esso fosse invece la sede di un collegio o di un sodalizio.

Tempio punico monolitico

Poco resta delle strutture romane di questo edificio, che risalgono alla fine della Repubblica o ai primi anni dell'Impero. Il santuario era costituito da un cortile, sul fondo del quale era un tempietto, forse prostilo di ordine dorico, costruito su un basamento quadrato che oggi si vede addossato al lato corto nordorientale dell'edificio punico. Alla fase romana appartiene la grande cisterna a pianta ellittica di tipo punico.

 

Come arrivare a Tharros

Insomma Tharros è un luogo assolutamente da non perdere durante un viaggio in questa parte della Sardegna. Da Oristano si raggiunge Cabras e si seguono le indicazioni stradali per "San Giovanni di Sinis" (12 km), sulla Strada Provinciale N°6. Seguire quindi le indicazioni stradali per entrare nella strada comunale che porta direttamente a "Tharros" (circa 1,5 km).

Orari

Il sito di Tharros è aperto dalle 9.00 alle 18.00 in aprile, maggio e ottobre; fino alle 19.00 in giugno, luglio e settembre; fino alle 20.00 in agosto; fino alle 17.00 nel resto dell'anno con chiusura il lunedì. Biglietto museo combinato + sito di Tharros + visita alla torre: 9 €. Tharros o tour da solo: 5 €. La torre può chiudere per la pausa pranzo, sarete avvisati alla biglietteria.

 

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