I
Giganti di Mont'e Prama sono una serie di imponenti statue in
pietra arenaria di guerrieri nuragici, uniche in Sardegna.
Risalenti all'VIII sec. a.C. sono oggi conservate nel Museo
Archeologico di Cabras.
In Sardegna ci sono storie di guerrieri, nuraghi e strane
cose. Ci sono luoghi misteriosi che dal passato più remoto sono
arrivati fino ai giorni nostri. Sono arcieri, pugili, sacerdoti.
Giganti. Si dice che la storia del Mediterraneo si stia
riscrivendo e potrebbe davvero essere così. Mont'e Prama
è la parola chiave: un appezzamento di terra arida del Sinis,
costa centro-occidentale dell'isola, e più precisamente nella
provincia di
Oristano.
Un luogo situato in posizione strategica, poco lontano da
un'altra zona archeologica di più recenti testimonianze (l'area
archeologica di Tharros). |
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A pochi chilometri dal mare e
da uno stagno (quello di Cabras), sono emerse delle
grandi statue di pietra (arenaria gessosa locale),
caratterizzate da inusuali occhi cerchiati e alte fino anche 2
metri e mezzo. Benchè si possa pensire in una qualche piccola
similitudine, il dato certo è che non si erano mai viste delle
sculture simili in Italia e in tutta l'aerea del Mediterraneo.
Grazie ad una squadra di archeologi e scienziati, dopo un lungo
sonno di quasi 2800 anni, stanno rivedendo la luce dei reperti a
dir poco straordinari.
Furono gli aratri dei contadini a mettere in luce quel che la
terra custodiva. Mont'e Prama in sardo significa 'monte
delle palme', piante che un tempo probabilmente fiorivano
spontanee in questa terra, e che poi hanno lasciato il posto a
coltivazioni più o meno intensive.
Frammenti di storia antica emergono ancora oggi, come non se
ne trovano di simili in tutto il Mediterraneo. La scoperta è
della metà degli anni '70 dello scorso secolo e ci vollero quasi
40 anni di scavi per far conoscere al mondo intero l'immenso
tesoro archeologico che la Sardegna custodiva: statue, riferite
oggi, come sacerdoti, guerrieri o pugilatori, la cui
caratteristica comune sono dei grandi occhi cerchiati. E ancora,
busti di arcieri, mezze gambe di titani, modelli di nuraghi e
molto di più. È ricca, l’isola del nono secolo avanti Cristo. E
potente.
La gente del posto era abituata a questi ritrovamenti, una
pigrizia culturale per molti versi inspiegabile. Nessuno ebbe
forse modo di chiedersi quale fosse il reale valore dei
frammenti rinvenuti. Fino a quando un contadino, durante una
semplice aratura del terreno, con la lama toccò inavvertitamente
qualcosa di veramente anomalo: una gigantesca testa di pietra.
Le voci iniziarono a girare e vennero chiamati gli esperti. Fu
grazie a due archeologi sardi dell’epoca, Giovanni
Lilliu ed Enrico Atzeni, (insieme ad Alessandro
Bedini, ispettore della soprintendenza) e successivamente
gli archeologi Carlo Tronchetti e Maria Luisa
Ferrarese Ceruti, che si diede il via alla alla più grande
ed enigmatica scoperta archeologica della Sardegna. La
risposta fu sicuramente tardiva e ci vollero ulteriori
danneggiamenti e una segnalazione alla stampa nazionale per
arrivare ad una degna attenzione mediatica. Al primo arco di
tempo degli scavi, tra alti e bassi, pause e riprese, hanno
anche collaborato Giuseppe Pau e Giuseppe Atzori,
e altri. Ad essi è legata la cronologia degli scavi: scavi
Atzori nel 1974, scavi Pau nel 1977, scavi Bedini
nel 1975, scavi Lilliu, Tore, Atzeni nel gennaio 1977,
scavi Ferrarese Ceruti-Tronchetti nel 1977.
Mont'e Prama oggi viene classificata come una delle più
importanti necropoli monumentali d'Italia e probabilmente
una delle più importanti della storia dell’antico Occidente.
Alla fine degli anni '70 in totale vennero rinvenuti 5.178
frammenti, di cui 15 teste, 27 busti, 176 frammenti di braccia,
143 frammenti di gambe, 784 frammenti di scudo. Essi trovarono
custodia a circa 115 km di distanza, a
Cagliari,
nel capoluogo isolano e più precisamente nel Museo
archeologico di Cagliari. I pezzi furono ritrovati
ammassati, sicuramente intenzionalmente spaccati già in età
antica; ammucchiati nei lastroni delle tombe e qua e là nel
terreno antistante.
Dopo quasi 40 anni, vennero ripresi i lavori di ricerca e
ricostruzione (i restaurati ebbero sede nel Centro di
Conservazione e Restauro di Li Punti, a Sassari),
e i frammenti ricomposti portarono la presenza di ben 38 statue,
e cioè cinque arcieri, quattro guerrieri, sedici pugilatori,
tredici modelli di nuraghe. Gli studi proseguirono nel dare una
precisa collazione cronologica e identità storica ai
ritrovamenti: XI - IX secolo a.C., e quindi tra le più antiche
di tutto il bacino del Mediterraneo. Si arrivò alla conclusione,
già avvalorata nei primi anni del ritrovamento, che il sito sia
una necropoli nuragica della prima Età del Ferro, fatta di
eminenti membri e ad includere in particolare un cosiddetto 'santuario-heroon',
in cui venivano onorati i defunti di particolare rango sociale.
Anche le sepolture indicano qualcosa di eccezionale: i sepolcri
sono scavati nel terreno, a pozzetto, con un diametro da 60 a 70
cm e una profondità dai 70 agli 80 cm, e sono di tipo
individuale, e non collettivo, ad inumazione singola in
posizione rannicchiata verticale, con la schiena ad est e il
viso ad ovest. Erano tombe coperte da lastroni quadrangolari di
arenaria gessosa. In una delle tombe, scavate in un secondo
momento, è stato reinvenuto un oggetto, una sorte di scarabeo
simil egittizzante, tuttavia ad oggi di incerta attribuzione.
Ulteriori scavi, a 40 anni dai primi, sono stati programmati
nel 2014 e riferiti come Scavi Zucca 2014 (da uno degli
archeologi responsabili della direzione scientifica, Raimondo
Zucca). Sono durati un anno. La novità di questi scavi è
legata alla all'uso di strumenti di ricerca moderni, in
particolare la prospezione dell'intera area con il 'georadar',
che ha portato ad una mappatura geofisica di un area di
oltre 6 ettari, portando alla luce ulteriori settori di scavo.
Quanto riportato dalla carta geofisica ha del stupefacente: non
solo allineamenti funerari, ma anche perimetri di quelli che
sembrerebbero edifici, probabilmente un grande santuario
nuragico a pianta articolata. D'altra parte, sul campo, i
risultati degli scavi del 2014 hanno prodotto il
rinvenimento di due aree immediatamente vicine alla campagna dei
primi scavi degli anni '70.
Videro la luce nuovi frammenti di statue, modelli di nuraghe
polilobato, due 'pugili' di nuova tipologia, frammenti di
statua-betilo, ceramiche. Il betilo, in particolare, è un
tipo di pietra ritrovato in alcuni sepolcri, e storicamente era
considerata come la pietra sacra per eccellenza. Considerando
che il restauro dei ritrovamenti degli ultimi scavi del 2014 è
solo agli inizi, possiamo qui disporre di alcune
caratteristiche generali e confronti stilistici delle statue:
volto triangolare dominato dallo schema a T, tipico dei
bronzetti sardi (con marcata arcata sopracciliare e naso
prorompente), e soprattutto l'elemento più distintivo con gli
occhi incavati nel volto e a doppio cerchio concentrico; la
bocca d'altro canto è resa quasi impercettibile, un breve solco
inciso, rettilineo o angolare. Si noteranno anche trecce ad
inquadrare il volto.
Le statue (che forse erano anche ravvivate da qualche pittura
di colore) riproducono tutte personaggi maschili e rappresentano
(il lotto degli scavi del 1979) chi il guerriero con spada e
scudo, chi l'arciere, chi il cosiddetto pugilatore (il gruppo
più numeroso, il cui nome è sicuramente improprio), a cui vanno
aggiunte (tra quelle già restaurate dall'indagine del 2014) due
statue di portatori di scudo con copricapo conico, lunghe trecce
ai lati del volto, calzari e alcuni oggetti ancora riferiti come
'misteriosi' (queste ultime due statue pare presentino degli
accostamenti con altri due bronzetti rinvenuti in un nuraghe nei
pressi di
Alghero (nuraghe Flumenlongu), nella costa
nord-occidentale della Sardegna, e nella necropoli etrusca di
Cavalupo di Vulci, nei pressi di
Viterbo.
Dagli ultimi scavi si è confermato il grande valore
storico-culturale dei ritrovamenti. In particolare, due statue
quasi integre introducono ad una iconografia ignota in
precedenza: quella del guerriero con il guanto armato e scudo
avvolgente al petto. Le pettinature simil celtiche, gli elmi con
le corna, gli scudi elaborati, i dettagli decorativi che
rimandano agli antichi siriani e mesopotamici... e poi volti,
vestiari e armi. Era questo il periodo dei Shardana (il popolo
del mare sardo), che viaggiava per il mondo allora conosciuto,
acquisendo innumerevoli conoscenze?
Questo si inserisce, ad oggi, come spesso riferito dagli
stessi studiosi, in un complicato puzzle, di cui su 1000 tessere
solo una decine sono state individuate e messe insieme. Quali
sono le funzioni e il significato di questi imponenti gruppi di
sculture? Il disegno finale è ancora tutto da scoprire.
Per visitare i Giganti di Monte Prama
Museo Civico "Giovanni Marongiu" – Cabras
Via Tharros, 121
Cabras (Oristano)
Tel +39 0783 290636
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