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Una donna
"Una donna"
è un romanzo autobiografico scritto da Sibilla Aleramo nel 1906, che
racconta la storia di una giovane donna che lotta per trovare la propria
identità e indipendenza in un mondo dominato dagli uomini. Il libro,
considerato un capolavoro del femminismo italiano, affronta tematiche
come la sessualità, la maternità, l'abuso e la violenza domestica. La
sua pubblicazione rappresentò un momento di grande scandalo per l'epoca,
essendo considerato un attacco diretto alla morale patriarcale e
conservatrice dell'Italia del tempo. Il romanzo ha avuto un enorme
impatto sulla cultura e la letteratura italiana, diventando un simbolo
della lotta per l'emancipazione delle donne.
Rina Faccio, in arte Sibilla Aleramo,
scrittrice e poetessa, fu una delle prime donne italiane del ‘900 a
rivendicare i suoi diritti e mai come oggi sarebbe importante rileggere
le sue parole e le sue convinzioni.
Una donna non è un diario, né un
romanzo, né un’autobiografia, ma potrebbe forse definirsi un "
esercizio
di autoanalisi" in forma letteraria, probabilmente una severa
riflessione sul proprio vissuto che Sibilla percorre a ritroso. La
protagonista, privilegiata per nascita, più colta e più ricca
delle sue coetanee, dopo un’infanzia serena si trasferisce con la
famiglia in un paesino del meridione. Qui abbandona gli studi, perché il
padre, libero pensatore e anticonformista, le offre un lavoro come
segretaria nella fabbrica che dirige. Questa decisione suscita
inevitabilmente molte critiche da parte della gente che non approva
l’atteggiamento di Sibilla anticonvenzionale e sprezzante
tra gli operai.
Si notano dunque fin dal principio di questa storia i
primi impulsi di audacia indipendente, da parte di Sibilla. Purtroppo
però questo periodo di estrema libertà non dura a lungo. Sua madre
conscia del mancato amore da parte del marito, tenta il suicidio,
sopravvive ma rimane vittima di una progressiva demenza. La madre
rappresenta da quel momento per Sibilla il paradigma femminile in
disfacimento, senza ombra di riscatto della propria debolezza, che
trova rifugio nel progressivo oblio della ragione. Contemporaneamente la
scoperta di una relazione extraconiugale tra il padre e un’ex operaia
conduce la protagonista a lasciarsi andare con un operaio che arriverà a
stuprarla, ritrovandosi poi, suo malgrado, invischiata nella logica del
matrimonio obbligato.
Da questo matrimonio, subito rivelatosi
tragicamente sbagliato, nasce il figlio, Walter che per dieci
anni sarà, a suo dire, l’unico vincolo che la tiene legata alla vita. Ma
il suo attaccamento per il figlio non basta a reprimere la sua
depressione, la solitudine e la repulsione per la cruda e animalesca
sessualità del marito. Tutte queste sensazioni la portano, in un momento
di sconforto, a tentare il suicidio.
Stava facendo la stessa fine della
madre. Inevitabilmente Sibilla comincia a colpevolizzarsi e a ricercare
la libertà, iniziando a concepire il matrimonio come la morte
spirituale di ogni donna che innesca una mostruosa catena che
da moglie sottomessa porta a cattiva madre, cattivo esempio per i figli
da educare. Sibilla sente il bisogno di affermarsi e proprio qui inizia
a germogliare l’idea di scrivere il suo libro in modo da dare esempio
alle donne e mostrare loro una via d’uscita ... voleva riformare la
coscienza dell’uomo e creare quella della donna.
I destini familiari la conducono a Roma dove,
giovane redattrice di una rivista velleitariamente femminista, diventa
ancora più cosciente che una donna deve poter esprimere anche al di
fuori della sua famiglia, la sua identità e conquistarsi una sua vita
indipendente e appagaante. Niente di più esatto.
Infine, Sibilla, ritorna al paese con il
marito colpito da una malattia venerea per le su continue relazioni
extra coniugali, prende la decisione della fuga verso Roma, lontana da
suo marito e purtroppo anche dalla sua unica ragione di vita, suo figlio
Walter. Sibilla sceglie così la via più dura e al tempo stesso
essenziale per sé stessa. Inoltre, e anche su questo non posso fare a
meno di darle ragione, secondo la protagonista, tutto questo dolore è
necessario perché ai nostri figli si deve trasmettere la dignità
prima di tutto e solo in questo modo essi possono comprendere come ci si
comporta con la propria moglie che prima di tutto è una donna.
Da quel momento in poi Sibilla riacquista
fiducia in se stessa, la sua dignità e il suo equilibrio mentale; trova
lavoro e decise di scrivere questo romanzo per far capire al figlio che
con la sua scelta non voleva abbandonarlo.
A decretare il successo e la straordinaria
modernità di Una donna, non fu solo l’inquieto e ardente
femminismo che traspira dalle sue parole, ma l’insanabile dicotomia
tra la maternità così sospirata e ardita e "
quelle membra che erano
uscite da me, io le pensava istintivamente animate dall’identico mio
soffio", e la decisione finale di abbandonare al ripudiato marito la
tanto amata creatura.
Questo libro è per me fonte di un’inesauribile
forza e determinazione per libeare tutte le donne che tuttora vivono in
ombra e per quelle che non credono di esserlo ma che in realtà non si
rendono conto di quanto siano messe da parte e inespresse.
Il vero motore della storia è nella scelta
finale di affrancamento, il bisogno quasi fisico di avere un’esistenza
appagante, che nulla deve spartire con il senso di semplice e doverosa
sopravvivenza. Trovo questo messaggio straordinariamente
contemporaneo, questo testo così sofferto ma al contempo così
autentico può supportarci per credere ancora e nonostante tutto, nelle
nostre capacità e nella nostra voglia di autodeterminazione e
autorealizzazione.
"
Ubbidisci al comando della tua coscienza,
rispetta sopra tutto la tua dignità, madre: sii forte, resisti lontana,
nella vita, lavorando, lottando. Consèrvati da lontano a noi; sapremo
valutare il tuo strazio d'oggi: risparmiaci lo spettacolo della tua
lenta disfatta qui, di questa agonia che senti inevitabile".
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Articolo di Valentina Calabrese per Informagiovani Italia
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