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Storia di Cagliari
Cagliari, nel suo
lungo cammino è stata la città egemone della Sardegna e,
data la sua posizione geografica, ha rappresentato la soglia
d'ingresso nell'isola aprendosi ai commerci e favorendo la
pur asfittica economia locale. Il grande golfo che
racchiudeva, allora come oggi la città è stato testimone di
numerosi fatti, positivi e negativi, che hanno forgiato i
suoi abitanti abituandoli ai buoni eventi e, soprattutto, a
quelli cattivi, plasmandone il carattere e rendendolo
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Il nome, che vogliamo immaginare attribuito dai suoi primi frequentatori semiti,
Karali, significava "città di Dio da "Qart" città e "El" Dio e vanta la stessa
nobile semantica di Cartagine (Qart-Adasht=cittànuova) di cui probabilmente fu
coeva; chiamata anche Karales o Carales alla latina, con attribuzione del
plurale di cui anche grandi città greche si sono fregiate e segno palese di una
area metropolitana, formata cioè da vari nuclei distinti.
La dislocazione geografica del sito e la sua felice posizione a sud della
più grande e
più fertile pianura sarda, hanno contribuito a fare di Cagliari un centro
mercantile, la cui importanza è andata crescendo col tempo, ma che ha anche
suscitato le mire di quei popoli che volevano controllare l'isola e che non
potevano prescindere dal possederne il cuore pulsante. Testimonianze remote che ci riportano al neolitico antico (6000-4000 a.C.), sono
emerse in vari siti oggi ormai completamente urbanizzati.
Altri reperti risalenti al neolitico medio ( 4000 a.C. circa) sono stati
ritrovati nella collina di S. Elia e di S. Bartolomeo così come nel promontorio
della Sella Del Diavolo e nella grotta dei Colombi.
Quegli antichi abitanti amavano stare vicino al mare dal quale traevano il
necessario per la loro semplice vita, costruivano delle ceramiche grezze e
usavano armi litiche e d'osso, praticavano la pesca, marina e lagunare, non
disdegnavano la caccia che doveva essere abbondante in quell'ambiente denso di
vegetazione.
Le lagune, sono sempre state per Cagliari il tratto distintivo, residuo di
mutamenti quaternari, hanno contribuito a rendere l'ambiente ameno e a favorire
insediamenti umani in luoghi facilmente difendibili ed hanno sempre
caratterizzato l'area cagliaritano e sono sempre state la calamita naturale che
ha attirato le genti.
Sulle loro sponde si sono stanziati popoli del neolitico medio creando circa
4000 anni fa, villaggi dediti alla pesca
così come ci hanno testimoniato le stazioni all'aperto di S. Gemiliano a Sestu e
su Coddu a Selargius.
La collina di Monte Claro, ora nel pieno centro urbano della città ci ha restituito
reperti ascrivibili all'età calcolitica (del rame 2000 a.C.) che gli studiosi
hanno compreso in una cultura che da quel sito prende il nome. Le tombe scoperte
ci hanno rivelato la religiosità di quelle genti volte al raggiungimento della
vita ultraterrena, segno di una evoluzione del pensiero che contraddistingue
popoli intellettualmente dinamici.
I vasi ritrovati mostrano nella loro fattura la modernità acquisita con
caratteristiche impressioni lineari.
La cultura di Monte Claro fu essenzialmente di pianura, disdegnando le zone più
elevate dell'isola, quindi agricola come vocazione e volta alla difesa da non
identificati nemici che dall'esterno minacciavano la sua integrità
Del periodo nuragico, Cagliari non serba nulla, ciò non per mancanza di
frequentazioni, ma per le distruzioni e i riutilizzi che il susseguirsi degli
stanziamenti antropici hanno causato; ?impensabile che il luogo dove abbondano
le colline e gli specchi d'acqua non sia stato colonizzato da quel popolo che ci
ha lasciato dei segni inconfutabili della sua presenza in siti non lontani e
tutti nel golfo e nelle sue vicinanze.
Il nuraghe ora cementato per adattamenti bellici nella località de "Is
Mortorius", i nuraghi in territorio di Sarroch e la tomba dei giganti de "sa
Domu e S'Orku" ol-tre il nuraghe complesso di Nanni Arrù in territorio di
Quartucciu; il pozzo sacro di Cuccuru Nuraxi a Settimo San Pietro.
Sono testimonianze che dimostrano la presenza nuragica e che solo le distruzioni
tipiche dei centri demograficamente consistenti hanno cancellato dal sito
cagliaritano.
Dai Fenici ai Romani
Il primo scalo fenicio, forse improvvisato, fu scelto sulle
sponde della laguna di Santa Gilla che allora, (X - IX sec. a.C.) era navigabile
e facilmente difendibile e diventò pian piano un approdo stabile che nei secoli
si rese autonomo diventando un centro urbano con i servizi essenziali per
assolvere il compito di rifornimento e scambio di mercanzie.
Con l'arrivo dei cartaginesi nel 509 a.C. l'insediamento
assunse le sembianze di vera e propria città dipendente da Cartagine con
funzionari punici che amministravano le finanze e la giustizia, dopo un primo
antagonismo con Nora, Karalis ebbe il sopravvento diventando centro politico di
tutta la Sardegna cartaginese.
Il Governo e le istituzioni ebbero la residenza nella città e
la progressiva immigrazione di soldati, funzionari, deportati, contribuirono
alla sua semitizzazione, al contrario delle zone interne dell'isola dove la
diffusione della lingua e tradizioni puniche fu molto
più lenta. Una sorta di diversificazione quindi, in confronto al resto della
Sardegna che fece di Karalis un porto aperto alle nuove tecniche ed a nuovi
pensieri che le diedero l'impronta di città composita primo passo verso quel
mondo globale, di cui tanto oggi si parla. Con l'arrivo dei
romani nel 238 a.C. Caralis si trasformò ulteriormente diventando un vero centro
urbano con servizi pubblici, foro, acquedotti, terme; la vocazione di pianura
tipica del periodo punico, fu lentamente abbandonata, con la costruzione di
abitazioni nei dolci pendii che coronano ancora oggi la città
Diventata vero centro e capitale dell'isola, ebbe la fortuna di parteggiare per
Cesare ricevendo come premio l'onore di salire al rango di "Municipium" con la
conseguente cittadinanza romana per i suoi abitanti.
Tutto intorno il popolo isolano tentava la rivolta, mentre la città velocemente
latinizzata, mostrava la sua capacità di assimilare le nuove culture facendole
sue e fondendole con le vecchie tradizioni per crearne una nuova; questa è stata
e, forse lo è ancora, la forza di Cagliari che plasma e modella a suo favore
tutto ciò che sembra minacciarla.
Il latifondo romano, la eccessiva fiscalità forse portarono
ulteriore ricchezza alla città che diventava sempre
più commerciale lucrando probabilmente, sulle sventure altrui, crescendo con
l'immigrazione di masse di diseredati che cercavano una vita migliore ma che
finivano nella più classica emarginazione preda di ricchi e potenti che li
sfruttavano in tutti i modi.
CAGLIARI ROMANA
Quando nel 238 a.C. i Romani si impossessarono della
Sardegna, la città egemone era Nora.
Questa cittàfondata dai fenici, per la sua posizione più favorevole, poiché
sulla rotta della navi che sostavano per poi continuare verso la penisola
iberica, e per la sua maggiore vicinanza all'Africa Punica, assurse ad
importanza commerciale e politica che la fecero diventare quasi una città stato.
Nora però sorgeva in un golfo formato da un promontorio e alle sue spalle aspre
zone montane dove i nuragici facilmente si potevano nascondere e colpire, questa
esigenza di difesa oltre che al sito
più favorevole, portò pian piano i Romani a decentrarsi nella non lontana
Caralis. La città di allora doveva estendersi nel lato Orientale dello stagno di S.Gilla,
con un porto interno con acque calme, facilmente difendibile e con un entroterra
pianeggiante e quindi facilmente controllabile.
La corona dei colli che circondava la città oltre ad essere osservatori naturali
costituivano una barriera naturale per eventuali attacchi da Nord Nord/Ovest. Il
lato orientale era protetto dalla laguna di Molentargius controllata a vista dal
promontorio di Sant'Elia.
Oltre a questi motivi geografici e naturali, l'entroterra pianeggiante ed adatto
alla coltivazione del grano fecero la fortuna di Cagliari che da borgo diventò
vera città con porto ed economia commerciale. Con l'arrivo di nobili romani decaduti o trasferiti per punizione in questa
remota provincia isolana la vecchia città fenicio Punica mutò radicalmente
aspetto.
Il vecchio sito presso Santa Gilla si trasformò essenzialmente in quartiere povero
e popolato da sbandati e portuali, mentre i nuovi signori costruirono le loro
dimore autonome e sfarzose in zone leggermente elevate e decentrate (Via
Tigellio, C.so Vittorio Emanuele, V.le Merello Etc.).
Il centro nevralgico delle città Romane - il Foro - sembra essere individuato
con la piazza del Carmine, nelle cui vicinanze sorgevano le case del ceto
borghese e dei piccoli commercianti.
Le terme, altro edificio sempre presente nelle città romane, potevano essere
ubicate tra la via Sassari ed il Largo Carlo Felice, ciò si può facilmente
intuire con la scoperta di canali scavati nel calcare e di cisterne nelle zona
di Via Ospedale.
Le ingegnose canalizzazioni portavano l'acqua piovana a convergere in cisterne.
Veri e propri serbatoi, dai quali all'occorrenza, forse tramite opportune chiuse
si faceva defluire l'acqua e giungere a destinazione.
E assai probabile che un altro sito dove sorgevano i depositi del grano, si
trovasse in un luogo facilmente raggiungibile dall'entroterra e vicino al porto
per il suo carico nelle navi. Alcuni identificano questo sito fra la via Nuoro e
viale Regina Margherita; se la localizzazione fosse esatta potremmo facilmente
dedurre che al porto Fenicio-Punico lentamente si affiancò un altro approdo
essenzialmente commerciale, localizzato nella zona di viale Diaz. Il mare a quei
tempi raggiungeva la zona dove inizia la scalinata di Bonaria e con una linea
più o meno regolare giungeva fino alla Via Crispi, lambendo la Piazza del
Carmine.
Poichè quella zona era in pendenza e scoscesa (notare la pendenza del Largo
Carlo Felice) non era possibile creare un approdo che desse funzionalità e
riparo.
Intanto il vecchio centro con annesso approdo di S. Gilla diventò probabilmente,
con il passare del tempo, un porto militare. Ritornando alla teorizzata zona
portuale civile, si può facilmente intuire che dato gli scambi ed i commerci
diventò una seconda Cagliari, collegata al centro da una supposta strada
costiera. Questo giustificherebbe l'uso della necropoli di Bonaria lontana dal
foro ma vicino al nuovo centro portuale commerciale della Via Nuoro, il continuo
arrivo di militari, le varie campagne per reprimere gli insorti, la lotta contro
i barbari/autoctoni delle montagne, creavano nella città problemi di alloggio e
sussistenza.
Non possiamo non pensare che non esistesse un luogo dove le legioni appena
sbarcate, venissero acquartierate, e dove i militari locali risiedessero per
difendere la città e il suo entroterra con le sue colture estensive. una vera
acropoli, siamo certi, doveva esistere, posta in posizione elevata per
controllare e difendersi, a ridosso della città per meglio proteggerla. Questo
luogo potrebbe essere il colle di Castello, la costruzione dell'Anfiteatro,
scavato interamente nella roccia, può attestare questa ipotesi.
Infatti questo luogo serviva oltre alla cittadinanza anche ai militari che si
svagavano nei periodi di riposo. Quindi la dislocazione dell'anfiteatro fu
opportunamente scelta nelle vicinanze del (Castrum) che per ovvie ragioni di
sicurezza dava ricovero anche ai gladiatori sempre turbolenti e pronti alla
rivolta.
Perchè poi costruire l'anfiteatro scavandolo nel calcare mentre sarebbe stato
più facile edificarlo con i classici mattoni? Indubbiamente
resisteva nella Cagliari il substrato Cartaginese, che fu trasformato solo col
passare dei secoli ed il modo di costruire le abitazioni, come constatato nella
casa detta di "Tigellio", ci fornisce una prova che la tecnica muraria punica
detta a telaio era un auge fino al III secolo, anche lo sfruttamento delle
necropoli già puniche come Tuvixeddu è un'altra prova della persistenza punica
ma è anche vero che Caralis fu una delle prime città completamente latinizzate,
a causa dei commerci e del continuo arrivo di funzionari romani la parlata
latina diventò l'idioma ufficiale
così come le tradizioni e gli usi.
Ciò probabilmente, non si può dire per l'interno legato ancora a tradizioni
tribali.
Nella Cagliari latina traspare un forte contrasto tra ceti ricchi e poveri, la
lussuosità delle case dei nobili, mercanti e funzionari pubblici si
contrapponeva alla povertà delle abitazioni popolari, dislocate in borghi fuori
dal recinto metropolitano, forse da questi borghi nacquero in seguito i "paesi"
che attualmente formano l'Hinterland cagliaritano.
Ritrovamenti fortuiti nella zona di Piazza del Carmine hanno portato alla luce
statue marmoree di indubbio pregio, le quali abbellivano case e vie.
Sotto il punto di vista religioso Cagliari ebbe una libertà di culto che le
permise di soppiantare, col tempo, le credenze religiose Puniche con quelle
romane.
I Romani, è notorio, applicavano la tolleranza religiosa, fin quando questa non
cozzava con i loro interessi. Le necropoli Puniche diventarono luoghi sacri, e
templi di Baal o Babay furono rispettati anzi ristrutturati e lasciati al culto.
I tephatim- luoghi sacri fenicio/punico, vennero protetti e preservati così che
i fragili vasi fittici, contenenti le ceneri, a centinaia sono stati ritrovati.
La massiccia immigrazione di genti latine compì poi il miracolo della pacifica
romanizzazione. Il cristianesimo fece i primi passi timidamente, forse
attraverso i deportati, e solo alla fine del II secolo d.C. si sa che i sardi
per carattere non sono inclini alle innovazioni, così forse, fu in un primo
tempo anche per la nuova religione. Tuttavia nel III secolo i cagliaritani
incominciarono, in luoghi improvvisati, a riunirsi per praticare la nuova
religione che tutto sommato coincideva con i desideri di un popolo vessato.
L'amore, la pace, la libertà erano vocaboli ormai sconosciuti a una città che
aveva perso ogni tradizione storica e che seguiva il carro del dominatore
senza sollevare la testa.
Il cristianesimo, forse, diede quello scossone che stimolò il popolo a meglio
sopportare i soprusi, ed avere una speranza per il futuro, anche se
extraterreno.
Tutto ciò portò ai primi martiri sardi, dei quali abbiamo scarse notizie, ma che
crediamo non rimasero isolati.
I VANDALI
Nel 456 d.C. i Vandali si impadronirono di Caralis e di parte
della Sardegna. I vandali erano erano un popolo di stirpe Germanica e di religione ariana (rifiuto della natura
Divina di cristo) che scese dal nord passando per la penisola Iberica
impadronendosi della provincia romana d'Africa.
I Vandali si dedicarono a scorrerie nel Mediterraneo insidiando e depredando le
coste Italiane.
I Vandali spedirono in esilio nell'isola numerosi Vescovi e
religiosi africani, grazie a queste immigrazioni dall'Africa, Caralis divento in
breve tempo il centro dove si discuteva di teologia e di fede.
In città ha ospitato anche San Fulgenzio che portò con sé le reliquie di San
Agostino Vescovo di Ruspe, morto durante l'attacco vandalico alla città
San Fulgenzio trascorse il suo esilio nella zona dove oggi sorge la Basilica di
San Saturno, probabilmente fu proprio lui che s'iniziò la costruzione (la
basilica fu completata molto
più tardi, verso l'anno 1089, ad opera di Vittorini di Marsiglia, in periodo
giudicale)
I BIZANTINI
Chiamati in aiuto dal Governatore Vandalo della Sardegna,
Goda, che si era auto proclamato Re dell'isola, nel 534 i Bizantini dopo aver
sconfitto i Vandali si impadronirono di Caralis e delle
più importanti città della Sardegna imponendo il loro dominio.
Giustiniano, aveva deciso di riconquistare l'ex occidente romano per restaurare
il vecchio impero, la Sardegna era quindi indispensabile per poter controllare
il Mediterraneo.
Essa faceva parte della prefettura d'Africa, con capitale Cartagine, a Caralis
risiedeva il Preside mentre il Dux, comandante dell'esercito, si stabil'a Forum
Traiani (Fordongianus). Forse nel 718, Cagliari subì la prima
incursione Musulmana che provocò il panico nella popolazione. I seguaci di
Maometto distrussero e incendiarono la città portando con se un ricco bottino
oltre che numerosi schiavi. Iniziava dal quel giorno l'abbandono della città che
si concretizzo più tardi quando Santa Igia sostituì la Caralis romana che andò
completamente in rovina.
Cagliari fu oggetto di numerose e tragiche incursioni da parte dell'Islam; i
Bizantini, a causa del blocco del Mediterraneo controllato dalle navi Musulmane,
rimasero isolati e lo Judex residente nella città non ebbe più ordini ne
contatti con Bisanzio e iniziò ad amministrare autonomamente il suo territorio,
così come fecero gli altri funzionari da lui designati a controllare altre zone
dell'isola i quali in un primo tempo riconoscevano la sua autorità ma poi si
resero indipendenti. Iniziò così il periodo giudicale con l'isola divisa in
quattro regni autonomi: Calaris (trasformazione di Calari), Arborea, Torres,
Gallura.
Nasce il Giudicato
Sotto i colpi dell'Islam i bizantini si indebolirono sempre
più il Mediterraneo controllato dalle navi musulmane non permise alla Sardegna
di ricevere rinforzi o altro genere di aiuti e Caralis si dette una economia
autarchica, di sopravvivenza, fino a quando fu completamente abbandonata e come
per incanto nacque il giudicato, che portò il nome della vecchia città
trasformato per metatesi in Calari.
Sulla nascita di questa entità giuridica, chiamata malamente giudicato ma in
realt?vero regno perfetto in quanto autonomo nelle trattative internazionali e
sovrano poich?non riconosceva nessuno al di sopra di s? si sono fatte numerose
ipotesi, non supportate da prove che non possiamo trattare in questa sede, per
non rischiare di essere superficiali, ci basti constatarne la nascita e
conoscerne la mirabile organizzazione imperniata sulle curatorie, veri e propri
gioielli amministrativi, assimilabili alle odierne province, dalle quali
proveniva un delegato, nominato da una assemblea semidemocratica, con funzioni
di rappresentante locale nella Corona De Logu (Parlamento) deputata alla
designazione del Giudice. S. Igia, erede come detto di
Caralis, fu dal 900 d.C. circa capoluogo del regno di Calari fino alla sua
di-struzione, avvenuta nel 1258 ad opera di una coalizione formata da pisani e
sardi degli altri giudicati (Arborea-Gallura) e da truppe signorili dei Doria e
dei Ma-laspina oltre dei Gherardesca.
Nel 1216 il giudice calaritano Barisone, con-cesse ai pisani la costruzione di
una rocca fortifi-cata nella collina oggi chiamata "Castello", a cui fu dato il
nome di "Castrum Calari" quella fortezza sopravvisse alla distruzione di S. Igia
e ne diventò l'erede a tutti gli effetti, diventando pisana fino al 1324, quando
fu incamerata dagli aragonesi, nonostante concessa in feudo agli stessi pisani
fino al 1326, anno in cui lasciarono per sempre la città e l'isola.
Il Giudicato di Calari
Il giudicato o regno di Cagliari si form?alla fine del nono
secolo e le sue origini sono avvolte nel mistero.
È probabile che a causa delle incursioni musulmane ed il controllo del
mediterraneo da parte delle flotte islamiche, i bizantini che dominavano la
Sardegna, non ebbero più contatti con la madrepatria e, abbandonati a se stessi,
instaurarono la carica unica dello Iudex Provinciae che risiedeva a Cagliari e
che assumeva i poteri civili e militari. Si suppone che lo
Judex, per controllare il territorio sardo, fu costretto a nominare dei
funzionari e spedirli nelle zone in cui l'isola fu divisa, Gallura, Logudoro e
Arborea, per meglio affrontare il pericolo musulmano.
Con il passare del tempo questi funzionari si resero autonomi dal loro superiore
e si proclamarono a loro volta Judex del loro territorio diventando
indipendenti a tutti gli effetti.
Nacquero così tra l'850 e l'864 i quattro giudicati sardi che si possono
considerare veri regni sovrani e perfetti al capo dei quali stava il Giudice.
I Giudicati di Logudoro , Gallura, Arborea, Calaris furono divisi in Curatorie,
territori paragonabili alle attuali province, governate da un Curatore di
nomina regia; ogni Curatoria era formata dai centri abitati (Biddas) governata
dal Maiore de Villa nominato dal Curatore.
S. Igia fu capitale del Giudicato di Calari (nome formatosi per metatesi dal
latino Caralis), anche se nel medioevo le corti erano itineranti ed il sovrano
risiedeva raramente nel suo capoluogo, gli abitanti complessivi del neonato
stato chiamato anche Pluminus per i fiumi che l'attraversavano, erano circa
centomila mentre il territorio si estendeva nel sud dell'isola per 8000 kmq.
I Giudici
I giudici di Calari aggiunsero al proprio nome, alternativamente, l'appellativo
Salusio e Torchitorio; non se ne conoscono i motivi.
Mariano Salusio - L. Gunale: primo giudice noto.
Orzocco Torchitorio - L. Gunale (1058): forse affrontò intromissioni del Regno
di Arborea.
Costantino Salusio II - L. Gunale (1084).
Mariano Torchitorio II - L. Gunale (1090).
Costantino Salusio III - L. Gunale (1130): morì senza figli; si estinse con lui
la casata. La figlia di Costantino Salusio III di cui non si conosce il nome
sposò Pietro di Lacon Gunale figlio minore del Re di Torres Gonnario e gli
trasferì il titolo.
Pietro Torchitorio III - L. Gunale di Torres (1163-1188): fu costretto a
rifugiarsi presso il fratello Giudice di Torres Barisone II, da un complotto
ordito dal giudice di Arborea Barisone, che appoggiò un pretendente al Regno di
Calari sconosciuto. I fratelli, per vendicarsi, attaccarono il Giudicato di
Arborea, in assenza del sovrano.
Si accordò probabilmente con i genovesi, per riprendere il suo regno, ai quali
concesse il monopolio del commercio nel territorio giudicale ma i pisani,
per non perdere i loro interessi ed i loro commerci, lo attaccarono
costringendolo a scappare e rifugiarsi nel Logudoro dove morì nel 1188 (circa).
Non avendo eredi diretti, la Corona De Logu, intronizzò il figlio di sua cognata
Giorgia sposata al marchese di Massa Oberto Obertenghi: Guglielmo.
Guglielmo I Salusio IV - Lacon Massa (1188-1214): fu un sovrano che fece
dell'azione il suo sistema di vita. Sicuro e deciso pensò di fare di Calari il
Regno egemone della Sardegna.
Nel 1194 assalì il Giudicato di Torres portandovi terrore e distruzione
arrivando a espugnare il castello del Goceano dove catturò la moglie del Giudice
logudorese Costantino II, dopo averla violentata la condusse prigioniera a
S.Igia, dove morì per l'onta e per gli stenti. L'anno dopo attaccò l'Arborea
battendo l'esercito giudicale e puntando su Oristano, espugnandola e compiendo
ogni sorta di angherie.
Costrinse gli arborensi a riconoscerlo loro sovrano, annettendo al regno
calaritano parte della Marmilla ed altre ville di confine.
Non pago, penetrò anche in Gallura, forse per impadronirsene data la mancanza di
un re di diritto, era giudicessa di fatto Elena, in attesa di cedere il
titolo ad un marito.
Guglielmo ebbe tre figlie femmine dalle sue due moglie Adelasia Malaspina e
Guisiana di Borgundione che, come era d'uso in quei tempi sposò a dei
personaggi che potevano rendere più potente ed autorevole la sua famiglia.
Benedetta: sposò Barisone de Lacon Serra, figlio del Re di Arborea Pietro I.
Agnese: sposò Mariano II di Torres.
Preziosa: sposò Ugone I di Bas Serra Giudice di Arborea.
Quando Guglielmo I morì nel 1214, finì la dinastia dei Lacon-Massa ed il titolo
passò al genero, marito di Benedetta.
Barisone Torchitorio IV - Lacon-Serra (1214-1217): non ebbe tempo sufficiente
per regnare, morì nel 1217, lasciando un figlio, Guglielmo, di pochi mesi. La
Corona de Logu intronizzò Guglielmo, fino alla maggiore età assunse compiti di
reggente la madre Benedetta che diventò Giudicessa di fatto.
Benedetta ebbe altri mariti, Lamberto Visconti, Enrico di Capraia, Rinaldo
Glandi, che probabilmente governarono dietro le quinte imponendo le loro
volontà.
Lamberto Visconti nel 1216 prima di sposare Benedetta, ottenne da Barisone e
dalla sua stessa futura moglie l'autorizzazione alla costruzione di una rocca,
nella collina che oggi chiamiamo Castello, per conto dei mercanti pisani che
insediandovisi potevano controllare e difendere meglio i loro traffici. Il
nuovo borgo fortificato fu chiamato Castel di Castro, primo nucleo della città
di Cagliari attuale.
Nel 1232 morì Benedetta e solo dopo 3 anni nel 1235 governò effettivamente
Guglielmo Salusio V, che morì nel 1250 (data non certa).
Giovanni Torchitorio V chiamato Chiano (1250-1256): si mostrò filogenovese e,
temendo la crescente arroganza dei pisani e le loro ingerenze nel regno, nel
1256 chiamò i genovesi favorendone l'insediamento nella rocca di Castel di
Castro ed espellendo nello stesso tempo i pisani. Per questa sua posizione
filogenovese fu ucciso nella città di S. Igia per mano di sicari pisani.
Salì al trono il cugino primo Guglielmo.
Guglielmo Salusio VI (1256-1258): continuò con l'essere alleato dei genovesi,
che favorì in tutti i modi, giungendo a cacciare i pochi pisani residenti nella
rocca di castello.
I pisani cercarono aiuto presso gli altri giudici sardi e, forse, con la
promessa di nuovi territori, ne ebbero l'adesione formando un formidabile
esercito completato dalla loro stessa flotta.
Nel 1258 assalirono Castel di Castro espugnandolo e assediarono S. Igia che si
arrese impotente perchè senza aiuti genovesi e senza rifornimenti. La città
fu completamente distrutta, i suoi abitanti si dispersero rifugiandosi
nell'interno.
S. Igia aveva convissuto con Castel di Castro per 42 anni e da tanti secoli
rimane nell'oblio nascosta dai palazzi edificati sopra le sue rovine.
Si concluse così la lunga storia del Giudicato di Calari, il suo territorio fu
diviso in tre parti assegnate come segue:
- la zona Nord Orientale al giudicato di Gallura.
- la zona settentrionale al giudicato di Arborea.
il Sulcis e l'Iglesiente a Gherardo e Ugolino della Gherardesca di Donoratico;
evidentemente anche loro avevano partecipato con propri armati all'assalto del
giudicato, Pisa invece prese possesso di Castel di Castro con le sue dipendenze.
Il Giudicato di Calari
S. Igia
Nel 700 d.C. i musulmani fecero la loro prima apparizione
nelle coste sarde e fu il terrore.
La loro fama di predoni spietati si diffuse in tutta l'isola creando
un'atmosfera di insicurezza e paura. Una prima conseguenza fu lo spopolamento
delle città costiere che col passare dei secoli furono completamente
abbandonate. Anche la Caralis Bizantina subì la stessa sorte con un trasferimento
graduale ma definitivo della popolazione nei pressi dello stagno di S. Gilla.
Fu così che la Caralis fenicio-punica fu completamente
abbandonata e cadde in assoluta rovina. L'abbandono di Caralis non fu però
causato solo dal pericolo delle invasioni arabe, la città bizantina si era
modificata rispetto a quella romana, prediligendo la zona occidentale e
all'indomani della cacciata dei vandali, i bizantini pensarono di stanziarsi
definitivamente nell'isola con dei presidi militari stabili e con porti dove le
navi non corressero pericoli.
A Caralis i bizantini sfruttarono il vecchio Porto fenicio, facendo attraccare
navi nello stagno, protetto dall'imboccatura-strettoia, facilmente difendibile.
Fu
così che pian piano quel sito fu ripopolato fin quando diventò vera città con
l'immigrazione degli abitanti della Calaris romana.
Lentamente dal 700 al 900 d.C. S. Igia si ingrandì e diventò un centro
urbano, protetto da un castello con cattedrale e possenti mura.
La città si estendeva dalla Via S. Paolo al Viale Monastir comprendendo le
odierne Vie Garigliano e Simeto e si trovava esattamente compresa nella
direttrice Monte S. Michele-Sa Illetta.
Forse Santa Igia si consoli d'grazie al materiale a disposizione delle rovine
fenicie, fu così che furono distrutte completamente le testimonianze ancora
esistenti del tophet e forse del primo approdo fenicio.
Possiamo immaginare Santa Igia con un tessuto urbano simile al posteriore Castrum
Calari, viuzze strette con abitazioni civili che, una accanto all'altra,
lasciavano pochi spazi, mura possenti dominate da alte torri davano l'illusione
di sicurezza agli abitanti.
La città ad iniziare dall'VIII secolo, fu inizialmente residenza dei più
abbienti, che come ?intuibile, avevano molto da perdere da eventuali attacchi
musulmani, al contrario dei poveri che potevano perdere solo la vita.
Il porto lagunare costituì il vero polmone della città infatti l'unico
collegamento con i dominatori di turno avveniva tramite il mare e da li
bizantini portavano ad oriente ciò che sotto forma di tributi depredavano.
A Santa Igia risiedeva il rappresentate bizantino che amministrava la Sardegna e
che, dopo le prime incursioni arabe, aveva assunto anche i poteri militari.
Diciamo S. Igia, intendendo il Castello e la Fortificazione bizantina che
costituì il primo nucleo ed embrione della città che probabilmente fu eretto a
partire dal VII secolo.
Intanto gli arabi si fecero talmente forti da troncare tutti i contatti con
l'oriente. La Sardegna fu abbandonata a se stessa e lo Iudex provincie sardo,
per meglio controllare il territorio, divise l'isola in Partes
affidandole a propri luogotenenti chiamati Lociservatores con funzioni
militari e civili.
Fu
cosìche Torres-Arborea Gallura e Caralis diventarono le quattro Partes
della Sardegna, il luogotenente di ogni parte pur obbedendo allo Iudex
di Carali, pian piano diventò onnipotente nella propria zona. Col passare del
tempo, i Lociservatores diventarono judex delle loro parte, rendendosi
indipendenti dallo judex di Caralis. Purtroppo nessuna fonte storica ci ha
riportato notizie sul come questa indipendenza si concretizzò ma non pensiamo
che questa avvenne pacificamente.
La Sardegna alla fine del IX secolo si trovò così divisa in quattro giudicati
(Da judex), che sarebbe più giusto chiamare regni.
A questo punto la parte di Carali di Latina memoria divento Calari
perdendo l'originale radice Car, forse per ragioni di pronuncia o per metatesi.
Con l'indipendenza da Bisanzio il Regno di Calari o Pluminus (fai fiumi che
l'attraversavano) si consolido autonomamente, dando notevole impulso a S. Igia
che ne divent?la capitale.
l'antagonismo fra i 4 regni sardi diventò sempre più marcato, forse per paura
che ognuno volesse impadronirsi del territorio dell'altro.
Si ebbero così dei confini rigidi ed insuperabili che portarono i regni sardi ad
avere rapporti più con gli stranieri che tra se stessi. S. Igia intanto divenne
una vera e propria città medioevale, calamitando popolazioni dall'interno che
non trovarono però spazi dentro la cinta urbana e costrette a vivere ai margini
della stessa zona (Via S.Avendrace); forse risale a quel periodo l'uso del
cimitero di S. Michele (fuori le mura) per le sepolture.
S. Igia non si può considerare la prosecuzione della Cagliari punica romana ma
una nuova città che nulla aveva in comune con l'altra.
Dire che la corte del regno o giudicato di Calari risiedeva a S. Igia è giusto
fino ad un certo punto, nel Medioevo infatti le corti erano itineranti e per
questo motivo passavano la maggior parte del tempo fuori dalla città capitale.
Nel 1216 il Giudice di Calari concesse ai pisani di costruire una zona
fortificata nel vecchio sito dove sorgeva l'acropoli punica, nel colle di
castello; nacque
cos Castrum Calari, che ebbe vita comune con S. Igia per una quarantina d'anni.
Il gioco delle alleanze fu però fatale al giudicato di Calari e alla sua
capitale, nel 1258 infatti, una coalizione degli altri tre giudicati sardi e del
comune di Pisa l'assalì in quanto filogenovese e la distrusse completamente così
cessò da quel momento il giudicato ed i pisani si reinsediarono nella città
fortificata di Castrum Calari da cui erano stati cacciati.
Santa Igia cosìcome Caralis scomparve per sempre, ora giace sotto costruzioni
della Cagliari moderna e i ruderi che nel corso degli anni sono emersi sono
stati frettolosamente ricoperti.
l'unico sito che potrebbe chiarire il periodo di vera indipendenza dell'isola,
fornendo dei reperti preziosi, è stato sacrificato nell'altare della
urbanizzazione.
La Cagliari attuale dunque è la Castrum Calari pisana che ingranditasi ha
assorbito il sito antico della Calaris fenicio-punica e di S. Igia; tre città
diverse che per?hanno in comune il territorio, le tradizioni e il passato.
I PISANI A CAGLIARI 1258 - 1324
Con l'acquisizione di Castel di Calari e la terza parte del
territorio ex giudicale, che diventa vero possedimento d'oltremare pisano, la
Gallura, i toscani diventano dominatori di gran parte della Sardegna,
considerata anche l'influenza sui Gherardesca che governano il Cixerri e il
Sulcis.
La Rocca di Castello (Castrum Calari o Castel di Calari) era governata da due
castellani di nomina annuale che si avvalevano di un consiglio di anziani in
rappresentanza del popolo diviso in compagnie a seconda delle attività
commerciali o artigianali esercitate. La vita della Rocca era disciplinata da un
codice di leggi chiamato "Breve".
Nel 1297, Papa Bonifacio VIII, per risolvere la guerra (Del
Vespro) scoppiata in Sicilia tra Aragonesi e Angioini sostenuti dalla Chiesa,
form?il "Regno di Sardegna e Corsica" concedendolo agli Iberici che avrebbero
rinunciato alla Sicilia.
Il Papa aveva quindi dato il suo consenso alla conquista dell'isola, in pratica
una "licenza di invadere".
I pisani si prepararono all'imminente ed inevitabile arrivo degli iberici,
fortificando la Rocca e costruendo te possenti torri (1305-1307) e fortificando
anche il colle di San Michele in considerazione della sua posizione strategica.
Dai Pisani agli Aragonesi
D'Aragona Giacomo II concedendogli il titolo di fatto che il
re iberico avrebbe dovuto concretizzare con la conquista reale del territorio.
I pisani nell'attesa dell'inevitabile arrivo degli aragonesi, fortificarono
ulteriormente il Castrum con l'erezione tra il 1305 e il 1307 delle torri di
S.Pancrazio, dell'Elefante e dell'Aquila (oggi non
più esistente) costruendo anche una serie di difese minori.
Ciò non bastò poiché nel 1326 furono costretti ad abbandonare
la rocca e concederla agli aragonesi che si insediarono cercando di iberizzare
al massimo le istituzioni e la rocca stessa, costringendo i sardi ad uscire
dalle mura al suono di una tromba.
Con gli aragonesi arrivarono in città e nell'isola uno stuolo
di signori che ebbero dei territori in feudo iniziando il lungo periodo di
vessazioni che si concluder?nel 1838 con l'abolizione del sistema feudale. Gli
aragonesi fecero della rocca la residenza del governatore e poi del viceré e le
zone limitrofe fuori le mura furono destinate ai locali, nacquero
così i quartieri di Stampace e Villanova mentre quello di Marina fu rinforzato
con nuove mura e adibito a deposito e primo accoglimento per le mercanzie
sbarcate dalle navi, il porto fu cinto da una palizzata il cui accesso veniva
chiuso con robuste catene. S. Igia e le rovine di Karalis
romana servirono intanto da cava fornendo materiali di ogni tipo per la
edificazione di sempre nuove case di cui il Castrum e le sue appendici avevano
bisogno.
La cittadella fortificata vide pian piano formarsi una valida classe di
artigiani che ben presto si affermarono in tutta l'isola; Castel di Calari
intanto, dopo la sconfitta e la caduta del giudicato di Arborea nel 1420,
divent? a tutti gli effetti 'Capitale' dell'isola iniziando quel ruolo che
ancora oggi interpreta di cittàmercantile e di porto della Sardegna.
Numerosi ebrei si stanziarono nel colle dedicandosi ai commerci di cui erano
maestri; la zona tra via S. Croce e via Fiume fu la loro residenza dove sorgeva
una sinagoga di cui ora non resta traccia.
Con l'avvento degli spagnoli alla fine del XIV secolo e la ventata di ortodossia
cristiana essi furono scacciati e la sinagoga distrutta, al suo posto eretta la
basilica di S. Croce quasi a volerne cancellare anche il ricordo.
Cagliari e gli Spagnoli
Con gli spagnoli Castrum Calari fu chiamata Castel De Caller
e poi solo Caller, fu un periodo nel quale il dispotismo dei feudatari diventò
sopruso ed il popolo non ebbe forse, neanche la forza di reagire, mentre i
signori ed i ricchi locali facevano a gara per conquistare impieghi di prestigio
o favori da parte dei governanti.
Il parlamento sardo di stanza nella città era formato da tre bracci chiamati
Stamenti che avevano il compito di fissare il donativo al re e si riunivano di
norma ogni 10 anni; per quel periodo era una istituzione di "alta democrazia",
che purtroppo nulla poteva fare per lenire i bisogni del popolo.
Il desiderio di ottenere incarichi pubblici da parte dei
signori sardi fu la causa che scatenò gli assassini del marchese di Castelvè del
viceré Camarassa nel 1668, ma la Massa rimase estranea all'episodio non avendo
nulla da ottenere.
La cittài ntanto andava assumendo una fisionomia nettamente spagnola e le
tradizioni iberiche, il modo di costruire, la lingua ebbero il sopravvento
impregnando e modificando la cultura autoctona, i quartieri fuori le mura
andavano riempiendosi di immigrati che cercavano nella città una vita con meno
stenti e lontano dalle vessazioni feudali dell'interno dell'isola.
I Piemontesi
Nel 1700, con la morte del re spagnolo Carlo II e la lotta
per la successione tra Carlo D'Asburgo e Filippo di Borbone la Sardegna diventò
Asburgica e Cagliari fu testimone del passaggio agli austriaci insediatisi nel
1708 grazie ad un bombardamento della flotta Anglo-Olandese sulla città che si
arrese. Il breve governo filoasburgico della città e dell'isola portò altre
tasse, necessarie per le crescenti spese belliche, mentre Filippo V di Borbone
riportò alcune significative vittorie e fu favorito dalla morte dell'imperatore
Giuseppe I fratello di Carlo III.
Carlo diventò infatti imperatore col nome di Carlo VI, ciò
impensierì le potenze europee che prevedevano un suo pericoloso strapotere
e preferirono riconoscere re di Spagna Filippo V in cambio del Regno di
Sicilia da cedere ai duchi di Savoia e di Gibilterra e Minorca agli
inglesi. Tutto ciò fu perfezionato con la pace di Utrecht nel 1713. Cagliari
intanto stava a guardare e assistette con meraviglia al ritorno imprevisto
degli spagnoli che nel 1717 sbarcarono un contingente di 8500 fanti in
territorio di Quartu e, attestatisi a monte Urpinu, cannoneggiarono la
città costringendo gli Asburgici ad arrendersi. Il colpo di mano spagnolo,
violando palesemente gli accordi internazionali, era stato ispirato dal
cardinale Alberoni, stretto consigliere della moglie di Filippo V,
Elisabetta Farnese.
Le potenze europee, ora riunite in una quadruplice alleanza,
decisero con l'accordo di Londra di restituire la Sardegna a Carlo VI il
quale ottenne di scambiarlo con la Sicilia gi?dei Savoia, per avere una
continuità con i territori napoletani gi?sotto il suo dominio.
Il 16 luglio 1720 a bordo di una nave inglese arrivò a Cagliari il primo Vicerè
Piemontese, Guglielmo Pallavicino Barone di S. Remy, inaugurando una lunga serie
di funzionari.
Cagliari fu, ancora una volta, al centro delle vicende che interessarono la
Sardegna e ne sub?i risvolti negativi, poiché fu sempre la prima ad assistere
ai "cambi di guardia" e ricevere suo malgrado i nuovi governanti di turno.
Cagliari dopo quattro secoli di cultura iberica entrò
definitivamente nell'orbita italiana, diventando inconsapevolmente la
prima capitale storica del futuro regno d'Italia.
I piemontesi non cambiarono nulla, lasciando inalterati sia i diritti che le
prerogative feudali e, nonostante la corona finalmente acquisita, i Savoia
evitarono la visita dell'isola fino a quando furono costretti a fuggire dal
Piemonte caduto in mano ai francesi di Napoleone nel 1799.
Cagliari, vide nuovi funzionari, nuovi nobili e nuovi edifici di gusto tutto
piemontese e cercò di adattarsi, senza per?rinunciare alle proprie tradizioni,
alla lingua e alla dignità.
Con la rivoluzione francese e il tentativo di esportazione
delle nuove idee giacobine, una flotta francese apparve nel 1793 nel golfo
di Cagliari sbarcando un forte contingente che però fu respinto,
inspiegabilmente, dagli stessi miliziani sardi arruolati dai signori, che
avrebbero dovuto accogliere i Francesi come liberatori.
Sperando di ottenere qualcosa da quel comportamento leale verso i governanti
piemontesi, alcuni signori locali tentarono di ottenere delle concessioni tra
le quali la riunione degli Stamenti almeno ogni dieci anni e la possibilità di
accesso per i sardi a cariche pubbliche.
Se si pensa che il parlamento formato da tre bracci o
Stamenti aveva solo il "dovere" di confermare il donativo al Re, possiamo
dedurre come la richiesta fosse banale e non certo rivoluzionaria. Con
ci?il sovrano sabaudo evitò di ricevere la delegazione recatasi a Torino
che rimase in attesa per mesi provocando la reazione di alcuni notabili
che decisero l'insurrezione che in breve portò alla cacciata di
tutti i piemontesi dall'isola, il 29 aprile 1794;
quel giorno, di recente ?stato proclamato festa regionale col nome de "Sa Die
De Sa Sardigna".
Intanto nel 1799, come già accennato, arrivarono a Cagliari
la corte ed il sovrano e la provincialità della città sembrò venire meno,
ma le cose non cambiarono anzi nuove tasse furono imposte per sostenere le
spese della corte non avvezza certo al risparmio.
Nel 1812, una nuova sommossa, la congiura di Palabanda, scoppiò a
Cagliari proprio per la fame e la grande carestia e fu soffocata nel
sangue.
Finalmente nel 1838, dopo 514 anni, con disposizione del re Carlo Alberto fu
abolito il feudalesimo e nel 1847 anche il parlamento sardo, si ebbe così la
fusione con un unico parlamento a Torino e naturalmente cessò la carica di
Viceré il regno di Sardegna passava da stato composto a stato unitario
senza null'altro mutare.
Intanto il fervore dell'unificazione pervadeva grandi uomini e forse anche il
popolo, con le guerre per l'indipendenza si arrivò al 1861 quando il parlamento
sardo riunito, formato dai rappresentanti di tutti gli stati annessi al regno di
Sardegna espresse la volontà di formare il "Regno d'Italia" di cui Vittorio
Emanuele II, senza cambiare l'ordinale ne diventò il primo sovrano.
Cagliari nell'Italia unita
All'indomani della proclamazione del Regno d'Italia la
Sardegna fu divisa in due province, Sassari e Cagliari, controllate da un
Prefetto; le province furono divise in circondari.
Quella di Cagliari comprendeva i seguenti circondari: Cagliari,
Iglesias, Oristano e Lanusei con quattrocentomila abitanti circa ed un totale di
260 comuni.
Furono anni pessimi per la città con gli interessi del governo centrale
tutti rivolti al consolidamento dello stato e a conquistare prestigio e
popolarità nell'ambito delle grandi potenze di allora.
I deputati sardi cercarono invano di porre il "Problema Sardegna" che ormai
non poteva più essere trascurato; cercando di ottenere dal governo Ricasoli,
lavoro, strade, mezzi pubblici e strutture basilari quali ospedali e scuole.
L'unica risposta fu la creazione di una commissione che doveva indagare sul da
farsi, ma che si concluse con un lungo rapporto che rimase a testimoniare
l'impotenza dello stato che era a " tutt'altre faccende affaccendato ". Con la
conquista di Roma nel 1870 e la sua proclamazione a " Capitale d'Italia ",
Cagliari lasci?ogni speranza di aiuti pubblici assistendo alla emorragia
finanziaria che lo stato sopportava pur di creare una capitale che doveva dare
ai Savoia una sede consona alle loro ambizioni. Cagliari sede
del prefetto, languiva tra la mancanza di lavoro e l'estrema povertà della
gente che cercava di sbarcare il lunario inventando i lavori
più disparati, mentre nell'urbe affluivano tutte le risorse italiane insieme a
immigrati di tutte le regioni che fecero diventare quella piccola città una
grande caotica e disordinata capitale che cancellava per sempre la tradizione
storica per assurgere a centro politico e concentrazione di pubblici dipendenti,
ambasciatori, sede di grandi imprese e di tutti i comandi militari, delle grandi
banche che lucrarono a dismisura con i flussi di capitali pubblici che
trasformarono la città eterna in una metropoli, capitale di uno stato ancora in
gestazione, ma insicuro e instabile economicamente volto più agli aspetti
esteriori che all'affrontare i problemi del neonata nazione unita.
Con l'inaugurazione nel 1906 del Palazzo Civico nella via Roma, Cagliari
abbandonò quel mondo ristretto che per secoli era stato Castello e inizi?la sua
avanzata verso la pianura che la circondava, ma in quello stesso anno, le
tensioni sociali e gli alti prezzi dei generi alimentari portarono il popolo a
una cruenta dimostrazione che per quattro giorni terrorizzò la città e che si
concluse con una sparatoria che causò morti e feriti dopo la quale il Governo
nazionale inviò un forte contingente di militari e numerose unità della marina
militare.
I "Signori" e gli alti funzionari non abbandonarono subito la
città alta, anzi in un primo periodo, con la fuga dei popolani, solo la
casta alta risiedeva entro le mura, mentre Marina rimaneva prigioniera
degli altri quartieri, che si svilupparono intorno.
Stampace, in pochi anni, si congiungeva col borgo di S. Avendrace, Villanova
avanzava inarrestabile verso lo Stagno di Molentargius e con l'avamposto della
zona popolare di "Su Baroni" (via Tuveri) sfiorava il selvaggio M. Urpinu.
La via Roma, diventò il salotto buono della città con negozi bar e caffè la
passeggiata classica, dove convergevano dalla periferia i cittadini per mostrare
il nuovo abito e per osservare quello degli altri.
Si conoscevano quasi tutti tra loro, i cagliaritani, essendo ancora pochi, con
la città che appariva un grosso "Paesone"; i Pirresi, i Quartesi ed i Selargini,
appartenevano allora ad un altro mondo e si distin-guevano facilmente quando
scendevano in cittàper passeggiare o fare acquisti.
Impresa non di poco conto arrivare a Cagliari dai paesi vicini con le tramvie
del Campidano che avevano una fermata principale proprio dove ora sorge La
Rinascente.
Lo scrittore David Herbert Lawrence nel suo libro "Mare e Sardegna" scritto dopo
il viaggio nell'isola compiuto nel gennaio del 1921, ci fornisce una descrizione
realistica di Cagliari e dei suoi cittadini.
"Avevamo attraversato la strada verso il Café Roma, e trovato un tavolo sul
marciapiede, tra la folla. Subito, avemmo il nostro Tè La serata era fredda,
c'era ghiaccio nel vento. Ma la folla continuava a ondeggiare, avanti e
indietro, avanti e indietro, lentamente. Ai tavolini c'erano soprattutto uomini,
seduti a bere caffè o Vermouth o acqua vitae, tutto così familiare e semplice,
senza il moderno impaccio. C'era una certa robustezza di spirito, piacevole,
naturale e un che di disinvoltura feudale. Poi arrivò una famiglia, con bambini
e governante in costume tradizionale. Sedettero tutti insieme a un tavolo,
perfettamente a loro agio, gli uni con gli altri, anche se la stupenda
governante sembrava seduta in fondo al tavolo, da serva."
E continua: "La folla ?dall'altra parte della strada, sotto gli alberi vicino
al mare. Dal nostro lato, passeggiano solo i pedoni occasionali. E vedo il mio
primo contadino in costume. È un bell'uomo, anziano, diritto, splendido nel suo
costume bianco e nero. Ha la sua camicia bianca con le maniche arricciate e lo
stretto corpetto nero di folto panno locale, corto. Da qui spunta fuori un
gonnellino arricchito dello stesso panno nero di cui una fascia passa tra le
gambe tra i larghi mutandoni di Lino grezzo."
Una istantanea letteraria che ci dipinge un quadro realistico del tempo; questa
è la cronaca di Lawrence nonostante la sua velata vena sarcastica, del
nordico che dipinge usi e costumi a lui estranei, e forse li ammira, ma
non li comprende, considerandoli oltre che provinciali, molto paesani.
Quella era la Cagliari dove esprimersi in dialetto era la norma, dove
bastava la passeggiata domenicale nella via Roma per appagare il desiderio
di "Fare qualche cosa".
I lampioni a gas che rendevano il buio tremolante e insolito; lo sferragliare
delle ruote dei carri e l'urlo dei venditori ambulanti per attirare i
compratori; una Cagliari diversa, forse arretrata, ma depositaria di valori che
oggi vorremmo riscoprire, per ritornare a quella semplicità che si esprimeva con
l'assenza del "Moderno impaccio" come descritto da Lawrence.
Certo, era una Cagliari povera dove il pollo la domenica era un miracolo, dove
si lavorava 12 ore, dall'alba al tramonto, dove il fidanzatino usciva con la
propria amata, scortato dalla futura cognata. Altri tempi,
altri usi, altri modi di vita, altra città. Il modernismo però avanzava
inesorabilmente bussando alle porte della semplicità che, si sa, è figlia della
tradizione. Se modernità vuol dire anche rinunciare al proprio passato e
abbandonare il consueto modo di vivere; questo successe negli anni
trenta-quaranta.
La luce elettrica, le prime auto che circolavano in città le radio di
dimensioni gigantesche che troneggiavano in molti bar perchè dato il prezzo non
erano accessibili ai più. Le adunate fasciste, con moltitudini
di ragazzi e ragazze vestiti con le divise imposte dal potere; così la
città piano, piano, entrò nel presente italiano, scordando la propria
parlata, i propri costumi.
I teatri, Margherita e Civico, diventarono luogo d'incontro della classe
più agiata, mentre i poveri, che rimanevano maggioranza, si accontentavano dei
cinematografi dei quali molti all'aperto.
Le estati si passavano a "La Playa" unica e vera spiaggia frequentata, con
stabilimenti balneari e posti di ritrovo, il Poetto invece timidamente faceva i
primi passi.
Intanto il cemento aveva raggiunto l'odierna piazza Garibaldi, il palazzo Incis
veniva inaugurato negli anni 30, in quella piazza Galilei circondata da campi
incolti.
La scuola elementare "Riva" diede alla piazza Garibaldi un aspetto importante,
data la sua moderna im-ponenza e animazione con le centinaia di scolari che
quotidianamente vi affluivano.
Erano anni in cui la malaria imperversava, così come il tifo e le enterocoliti;
ma si tirava avanti nonostante tutto; senza analisi e antibiotici; senza
"Marcare visita" perchè nessuno pagava quando si era assenti dal posto di
lavoro..
In quegli anni iniziarono le costruzioni a "Macchia d'olio" senza un piano
regolatore e senza nessuna programmazione della città del futuro.
Dalla II guerra mondiale alla autonomia regionale
La II guerra mondiale era alle porte, stavano per arrivare
morte e distruzione e Cagliari, subito dopo sarebbe diventata un'altra città con
la ricostruzione e la creazione della Regione Autonoma.
I disastri causati dalla guerra erano visibili fino a poco tempo fa a chi,
arrivando con la nave in porto, guardasse oltre la banchina, dove stavano in
bella evidenza i ruderi del palazzo sventrato prospiciente.
Furono distrutti o danneggiati, il teatro Civico, la chiesa di S.Anna,
S.Caterina, S. Domenico, il cinema Eden Roch (angolo viale Regina Margherita-
via XX Settembre), il palazzo Villamarina, il bastione S.Remy e tante altre
costruzioni.
Erano anni duri, quelli dopo la guerra, quando i cagliaritani
rientrarono nelle proprie case dopo aver "sfollato" nei paesi dell'interno.
La città dopo i primi bombardamenti era stata completamente abbandonata, vi
giravano solo i carabinieri per arginare la piaga dei furti.
Tanta gente fu depredata di tutto, tanta altra gente si arricchì
improvvisamente, erano gli anni del mercato nero e dell'autarchia che
costringeva a produrre tutto ci?che non si poteva importare.
Surrogato del caffè pane nero, tacchi delle scarpe in sughero, abiti rivoltati
chissà quante volte, ma si sopravviveva e ci?bastava.
Chi oggi passeggia in città o nelle sue vicinanze, non può che sorridere,
notando i fortini in cemento che il regime costruì per difenderci dall'eventuale
sbarco alleato. Per fortuna lo sbarco ?avvenuto in Sicilia, altrimenti la nostra
città sarebbe stata ridotta ad un cumulo di macerie.
Arrivarono gli americani, con il loro benessere, la loro ricchezza, le loro
sigarette, il loro cioccolato. Le ronde militari controllavano la città
cercavano di contrastare la prostituzione, primo mestiere del mondo e unico modo
per sbarcare il lunario.
Molte nostre concittadine si sposarono con gli statunitensi e si trasferirono
negli USA abbandonando le miserie locali; arrivarono i capi di vestiario usati
"Sa Robba Americana" ed in breve tempo ognuno ebbe di che vestirsi.
Ma l'opera più importante di quegli anni fu la lotta alla malaria.
Gli americani, con la sede proprio nel caseggiato Riva iniziarono una campagna
massiccia contro la zanzara anofele responsabile della malattia; e con il famoso
DDT irrorarono case, fogne, stagni, paludi, fiumi e tutto ci?che poteva
nascondere quel pericoloso insetto.
Fu una vittoria netta, la malaria gradualmente scomparve dall'isola alla faccia
dei cartaginesi che 24 secoli prima l'avevano "generosamente" importata.
Arrivò dopo breve tempo l'autonomia regionale e la speranza per un futuro più
roseo e proficuo.
Cagliari, in quegli anni era in condizioni disastrose, le profonde ferite ed i
segni tangibili delle grandi distruzioni che i bombardamenti le avevano causato
erano evidenti e caratterizzavano l'aspetto della città con palazzi sventrati,
macerie che ostruivano strade e piazze, linee elettriche distrutte, tubazioni
dell'acqua interrotte; uno scenario apocalittico che avrebbe scoraggiato anche
il più grande ottimista.
Nel 1944, con un regio decreto fu istituito "L'alto Commissariato italiano della
Sardegna", con compiti di direzione e coordinamento tra il governo nazionale e
le istituzioni pubbliche locali, con lo scopo di rendere efficaci gli interventi
per combattere la terribile crisi economica e l'arretratezza generale
dell'isola. Il 2 giugno del 1946, i cagliaritani come tutti
gli italiani, votarono per il referendum istituzionale che doveva scegliere tra
monarchia e repubblica, come ?noto vinse la repubblica nonostante la Sardegna si
fosse espressa per la monarchia.
Intanto la fondazione Rockefeller con un gigantesco sforzo finanziario,
attraverso l'ERLAAS (Ente Regionale per la Lotta Anti-Anofelica in Sardegna),
riesce a sconfiggere la malaria dopo aver irrorato tutto il territorio
dell'isola e le abitazioni con il D.D.T., era il 1950.
La Sardegna il 26 febbraio 1948, era diventata regione a Statuto speciale, non
senza critiche da parte di politici sardi che ritenevano lo statuto inferiore a
quanto richiesto e insufficiente per risolvere la endemica situazione di
sottosviluppo dell'isola.
Cagliari diventò ufficialmente capoluogo della regione autonoma e una febbre di
costruzione e ricostruzione ben presto la pervase innescando il fenomeno
dell'urbanesimo, con l'immigrazione di numerose famiglie dall'interno che
cercavano a Cagliari lavoro e vita dignitosa.
I quartesi diventarono gli impresari edili
più quotati e ottennero la maggior parte degli appalti e delle costruzioni
pubbliche e private.
La ricostruzione del dopo guerra a
Cagliari
Alla fine degli anni cinquanta la città si allargava in modo
inarrestabile; i nuovi quartieri sorgevano come funghi.
San Benedetto diventò il quartiere nuovo per eccellenza con palazzoni e
negozi, non si pensò però ne' al verde pubblico ne' ai parcheggi; Monte Urpinu
fu raggiunto dal cemento e perse le caratteristiche di oasi verde e selvaggia;
S.Alenixedda nacque improvvisa assorbendo pinete vigne e oliveti; Genneruxi, sfidando
le zanzare ormai non
più nocive, avanzò con le sue costruzioni verso V.le Marconi.
I quartieri storici iniziarono il loro declino; in Castello si ebbe
un determinante cambio dei residenti in quanto i ricchi, i nobili e
l'alta borghesia che ancora vi risiedevano si trasferirono nei nuovi quartieri
più confortevoli, mentre le classi più povere e gli immigrati presero possesso
delle abitazioni malsane e in forte degrado resesi disponibili, con canoni
di locazioni veramente a buon mercato.
L'avvento della televisione nel 1954 causò nuovi fenomeni sociali: le
famiglie si riunivano presso amici o parenti per seguire i programmi più noti
come "Il Musichiere" o "Lascia o Raddoppia".
Cagliari andava sempre
più assumendo le caratteristiche di città commerciale, attirando persone in
cerca di fortuna e di affari.
Arrivarono tra gli altri, napoletani, siciliani, pugliesi che in breve
si affermarono come imprenditori commerciali, dando lavoro ai locali e
creando solide aziende delle quali molte oggi sopravvivono.
C'era bisogno di tutto e tutto si comprava, il consumismo faceva girare
il danaro dando a molti opportunità di ricchezza mentre altri erano costretti
a cercare il pane all'estero o vivere in condizioni di povertà e degrado da
terzo mondo.
Fino agli anni '60 alcune famiglie occupavano gli anfratti
dell'anfiteatro, altre erano ospitate nei "ghetti popolari" che allora si
chiamavano "Is Prazzas" ed erano costituiti da abitazioni fatiscenti con servizi
in comune e fontanella d'acqua esterna per tutta la comunità una di queste
"residenze" aveva gli ingressi nella Via Garibaldi e occupava l'area della
odierna Via Vittorio Emanuele Orlando. Subito dopo il 1960, i
giovani oltre alle passeggiate "in cricca" nella Via Dante o nella Via
Roma, scoprirono il ballo e si organizzarono in "Club" trasformando
magazzini, garages, depositi, in mini-discoteche dove passavano le serate
danzando o ascoltando i 45 giri.
Un vero fenomeno di costume che forgiò tanti adolescenti e che fece abbandonare
e dimenticare i giochi all'aperto fino ad allora praticati come, la trottola,
la cerbottana, la corsa ciclistica con i tappi di bottiglia,
prontus-quaddus-prontus e pincaro.
Ma un grande pericolo era in agguato anche nella nostra città
la droga, che irruppe improvvisa e repentina turbando il vivere sereno di
decine di famiglie.
Gli studenti, iniziarono ad interessarsi dei problemi mondiali e iniziarono i
grandi scioperi nelle scuole superiori; i giovani diventarono in quegli anni
parte attiva della società con le loro idee e i loro principi cercando giustizia
sociale e un futuro migliore.
Nel 1970, un giorno che i cagliaritani difficilmente scorderanno, e con loro
tutti i sardi: il Cagliari di "Gigirriva" vince lo scudetto. I festeggiamenti
che seguirono videro persone di tutte le età che gioivano e piangevano
accomunate da una soddisfazione che solo lo sport può dare.
La città rimase bloccata per molte ore; cortei di auto, fiaccolate, balli
improvvisati e la statua di Carlo Felice vestita con drappi rossoblu e con
l'immancabile scudetto sul braccio proteso.
Intanto il benessere lentamente aveva raggiunto tutte le classi sociali e le
famiglie possedevano auto, frigorifero, lavatrice e televisione.
A metà degli anni '70 l'inflazione, a livelli altissimi, inizi?a indebolire gli
stipendi ed i salari; i grandi investimenti pubblici ed il tentativo di
industrializzazione iniziarono a dimostrarsi fallimentari; tante aziende
chiudevano, tanti lavoratori perdevano il posto e i giovani non
trovavano lavoro, la crisi mostrava i primi segni e la struttura economica della
città iniziò a sfaldassi.
Chi si era stabilito a Cagliari per godere di fondi pubblici per impiantare
stabilimenti, finiti i finanziamenti, lasciò la città e rientrò nella penisola;
altri chiusero le attività per mancanza di ordinativi e per crisi di liquidità
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