Dintorni
di San Gimignano
Visitata San Gimignano, uscendo dal
suo perimetro urbano si trovano subito davanti agli
occhi panorami di bellezza straordinaria: dalla
vallata dell’Elsa alla Montagnola senese, dal
poggio del Comune alle colline del Chianti.
Luoghi unici dove l’occhio si perde in paesaggi dai
profili dolci e sinuosi, con i colori argentei degli
ulivi e il verde di vigne e dove non mancano qua e
la solitari cipressi a rimarcare che della
Toscana più conosciuta si tratti. Non mancano
anche i colori scuri delle macchie e delle querce del
Cornocchio.
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Chiesette abbandonate con l’esodo dalle campagne, o chiese
ancora frequentare appaiono qua e là nella serena, sfumata
atmosfera che ritroviamo negli affreschi del Ghirlandaio
o di Benozzo Gozzoli; ruderi di castelli un tempo potenti
e superbi si alternano ad antiche fonti, — come quella di
Docciola sotto Casale — a fattorie fiorenti e industriose.
Le chiese sparse per la campagna di San Giminiano già
raggiungevano il numero di 41, quando il Papa Onorio III
elencava nella sua Bolla del 1220 i privilegi del Capitolo dei
Canonici e del Proposto.
Sono tutte chiese ad una sola navata, con piccoli campanili, in
materiali semplici, talvolta arricchite con le donazioni dei
donatori morti senza eredi o che pensavano di conquistarsi in
punto di morte la misericordia di Dio, beneficando la Chiesa in
terra: donazioni che potevano essere di case o terre, o anche
semplicemente di opere d’arte. Oggi gran parte di esse sono
chiuse e i pezzi più pregiati del loro corredo (dalle tavole
d’altare alle tele, talvolta agli affreschi, alle stoffe, quali
le pianete, i paliotti, i piviali alle carteglorie e alle
orificerie) sono stati trasferiti al Museo d’Arte Sacra o
al Museo Civico.
Sono testimonianze di tempi lontani, quando le chiese
costituivano parrocchie o priorie, che servivano ad una
popolazione agricola laboriosa e numerosa. Oggi, di molte non si
ricorda l’esistenza, di molte non si conosce che il nome, legato
quasi sempre a fatti d’arme o a vicende politiche.
Conventi nei dintorni di San Gimignano
Né mancarono i conventi: come il Convento di San Vittore,
in cui le monache benedettine rimasero dal 1075 al 1337, prima
di trasferirsi dentro le mura dove ancora si trovano nel
Monastero di San Girolamo; o come il Convento di Strada
che ospitò quasi ininterrottamente dal 1587 al 1918 i Padri
Cappuccini; o infine come il Convento di Monteoliveto.
Mantauto
San Lorenzo a Mantauto era l’antico feudo donato dal
vescovo di Volterra sul finire del XII secolo ai signori di
Monfagutolo, i quali, ai primordi del Comune, si fecero
cittadini di San Gimignano e vi eressero nella piazza della
Pieve — dove poi sorgerà la Torre del Comune — le loro case. La
chiesa, divenuta parrocchia avendo accolto nella sua
giurisdizione le chiese dei Fosci, di Renzano, Oiano e Monti, fu
una delle più potenti e ricche fra tutte le altre del contado.
Racciano
San Pietro nel castello di Ciuciano, avamposto sui
confini di San Gimignano, unita poi a San Michele a Ranza; o
San Bartolomeo a Ulignano, il cui popolo liberamente firmò
la soggezione a San Gimignano nel 1251; a sant’Ippolito a
Racciano — che fu la prima sede dei frati agostiniani per il
lascito di messer Brogi — a cui furono poi unite le chiese di
Pescille e Signano; o San Michele a Casale per la quale il
Salimbeni dipinse Lo sposalizio di Santa Caterina
d’Alessandria, tela che vediamo oggi in Sant’Agostino.
Monteoliveto
A sud-est di San Gimignano, sulla via che conduce al borgo di
Santa Lucia a Barbiano, troviamo la chiesa e ciò che resta del
Convento di Monteolivetano, edificato nel 1340 a spese di
Gualtiero Salvucci, proprietario di terre a Barbiano, che
volendo forse riconciliarsi con Dio e onorare la Vergine, fece
dedicare la chiesa a "Santa Maria di Monteoliveto".
Per altri lasciti — primo fra tutti quello di Antonio di ser
Salvi che, come si legge sul suo lastrone sepolcrale, fu
maestro di grammatica — e qui sepolto nel 1395 — il convento fu
ingrandito alla metà del XV secolo. I frati Olivetani che lo
abitavano fin dal 1340, registrarono nel 1776 una pessima
amministrazione dei beni appartenenti a questa chiesa, cosicché
in quell’anno il Convento fu soppresso e la chiesa fu annessa
alla Collegiata di San Gimignano, sotto la giurisdizione di un
unico Proposto.
La chiesa ha un portico a tre arcate e sulla lunetta della porta
esiste un affresco attribuito a pittore di San Gimignano
Vincenzo Tamagni (allievo di Giovanni Antonio Bazzi
detto il Sodoma, partecipò alla bottega di
Raffaello, con cui collaborò nelle
Logge Vaticane). La sua unica navata termina in un’abside
rettangolare ed ha il soffitto a volta. L’architettura ha subito
diversi interventi (nel 1698 e nel 1917 ad esempio) e le opere
di maggior pregio (l'Incoronazione della Vergine del
Pinturicchio, per citare la più celebre) sono oggi al Museo
Civico. Rimane qui, sull’altare a destra una tavola di
Sebastiano Mainardi che risale al ’400, e nel chiostro "di
linea brunelleschiana" del convento — oggi trasformato in villa
privata con parco — si trova ancora un affresco disegnato da
Benozzo Gozzoli, ma dipinto da qualche allievo della sua
scuola, dato che il lavoro appare non rifinito: esso rappresenta
Cristo in croce con la Madonna piangente ai suoi piedi, i
santi Giovanni e Girolamo e altri quattro santi, e porta la
data del 1466.
Cellole
Appartata, nel silenzio della campagna, si intravede fra le file
di cipressi, la facciata della Pieve romanica di Cellole,
chiesa trasferita qui nel 1190 dal luogo vicino dove ne era
sorta un’altra in tempi più remoti. Una delle più antiche chiese
del contado, dunque, con diritti su altre dieci parrocchie,
rimasta anche oggi legata alla Diocesi di Volterra e consacrata
soltanto nel 1237.
La chiesa, costruita in pietra, è in puro stile romanico, con
tre na-vatelle e le travature del soffitto a capriate. La
facciata ha una porta con architrave sostenuta da due pilastri
con bassorilievi; una bifora dà luce alla navata centrale,
mentre due finestre oblunghe si aprono sulle navatelle laterali.
L'abside di linea purissima è decorata con bellissimi
fregi a bassorilievi, ripetuti anche all’esterno. Le absidi
laterali sono spoglie di ornamenti, le colonne che sostengono i
dodici archi terminano con capitelli scolpiti: tre di esse
conservano tracce di antichi affreschi del XIII secolo.
Questa piccola chiesa è un esempio eccezionale della religiosità
che è raccoglimento e preghiera. La dolcezza del paesaggio
ispirò a
Giacomo Puccini
la musica per la sua "Suor Angelica".
Sotto Cellole, lungo la via provinciale, si trova la Fonte di
Santo Bartolo dove un tempo sorgeva il Lebbrosario affidato
alle cure del Santo stesso, e i cui ospiti potevano essere
accolti dentro le mura di San Gimignano solo nel rispetto delle
ferree leggi statutarie fissate già nel 1255: soltanto
incappucciati e con campanella al collo, potevano entrare entro
le porte esclusivamente nei giorni di martedì e di venerdì e per
tutta la Settimana Santa.
Pancole
A quattro chilometri da San Gimignano si trova un esempio di
devozione popolare espressa nella costituzione di un santuario
dedicato alla Madonna, il Santuario di Pancole, edificato
nel 1670 e divenuto Pieve nel 1788. La chiesa che ha un portico,
è a una sola navata a croce latina. Sopra, una cupola che, come
le volte, è sorretta da pilastri con cornicioni. La balaustra,
in marmo, separa la navata dal presbiterio, al centro del quale
sull’altar maggiore è collocata l’immagine della "Vergine che
allatta il figlio", ritenuta opera di Pier Francesco
Fiorentino.
Il santuario, fu innalzato in seguito all’apparizione della
Madonna l’anno 1668 — nel luogo dove giaceva l’immagine
ricoperta dalla sterpaglia — ad una pastorella di Pancole muta
dalla nascita e poverissima, che ebbe in quell’occasione per sé
il dono della parola e per la sua famiglia il dono di una madia
piena di pane. I miracoli che la Madonna compì per intercessione
divina giustificarono la richiesta popolare di dedicare
all’immagine miracolosa un tempio, alla cui consacrazione
intervennero oltre che una grande folla e autorità laiche ed
ecclesiastiche.
Ed è così che in ricordo di questa prima grande manifestazione
di devozione l’8 settembre, festa della Madonna, si celebra ogni
anno con una processione che parte dalla Collegiata di San
Gimignano, con particolari cerimonie religiose e — come in una
grande sagra paesana — anche con la fiera e i fuochi di
artificio, nel 1949, il tempio danneggiato nella seconda guerra
mondiale fu restaurato e riaperto al culto dei fedeli.
Ma non vanno dimenticate le ville e i castelli che rievocano
lotte sempre cruente, e ribellioni e spontanee dedizioni:
Castel Sangimignano, e i castelli di Monti, dei Fosci,
quello di Picchena, Montegabbro e Larniano e Citerna e San
Benedetto e Montalto, tutti sui confini, e via via distrutti di
cui rimangono, e non sempre, dei ruderi e fra i quali emerge per
importanza e per il fascino che ancora conserva l’antico
baluardo di Castelvecchio.
Castelvecchio
La storia di questo castello si intreccia con la storia
dell’espansione di San Gimignano. Esso come San Benedetto,
Casaglia e Cellole, rappresentò una delle quattro leghe in cui
fu diviso il contado, che comprendono una serie di ville e di
fortilizi minori. Castelvecchio era la punta avanzata verso
Volterra,
sul poggio del Cornocchio, difesa da mura di cinta dominate ad
intervalli dalle torri, che erano state costruite a proteggere
le abitazioni e la chiesa del feudo, i magazzini e le stanze dei
soldati. Originariamente appartenne al Vescovo di Volterra, ma
quando San Gimignano si dette nel 1199 un ordinamento comunale,
i suoi primi consoli stipularono con Castelvecchio un trattato
di alleanza e ne fecero l’avamposto delle loro rivendicazioni e
delle loro libertà per tutto il XIII e gran parte del XIV
secolo, finché la sua importanza diminuì a beneficio di quella
che si era creata per Castel Sangimignano, sulla via di più
diretta comunicazione fra Colle Val d’Elsa e Volterra.
Venuta a mancare la sua funzione strategica, a poco a poco il
Castello fu abbandonato e la zona si inselvatichì a tal punto
che solo oggi, per la appassionata opera di un gruppo di
cittadini "Gli amici di Castelvecchio" appoggiati dall’Archeoclub,
sta ritornando, nelle sue antiche strutture, alla luce. In gran
parte non sono che ruderi di mura, di torri, della antica
Chiesa di San Frediano, ma il particolare incantesimo che
emana da queste vestigia strappate alla macchia di querce e
di lecci, — che fu per San Gimignano anche la fonte di
approvvigionamento del legname e fra cui si sperava alla fine
del '200 di trovare anche l’argento, — per cui fiorirono
leggende di tradimenti e di diaboliche macchinazioni, val bene
una visita rievocativa di usanze lontane e di spregiudicate
ambizioni.
Se non altro, per sentire tra i ruderi del passato la cupa
atmosfera in cui si svolse la storia del feroce guerriero che
per conquistare il castello, non esitò a servirsi della figlia
del conte feudatario, la quale, coinvolta nell’insidioso
progetto, fece entrare il giovane nella stanza della torre, lo
aiutò a strappare dal braccio del padre addormentato il
bracciale a forma di serpente che garantiva — secondo la
leggenda — a chi lo avesse posseduto l’invincibilità: ma un
fulmine improvvisamente piombò sulla torre, la distrusse e pose
termine alla tragica vicenda di passione e di tradimento. La
leggenda racconta che il lamento della fanciulla dannata per
l’eternità echeggia fra i ruderi nelle notti senza luna.
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