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Giacomo
Leopardi - Biografia e opere
Giacomo Leopardi, nato il 29 giugno 1798 a
Recanati
(oggi nelle Marche e nell'allora Stato Pontificio), è stato
poeta, scrittore, filosofo e filologo ed è ritenuto uno dei maggiori
rappresentati della letteratura, capace di regalare una carica poetica
straordinaria ed un gusto artistico, che vanno oltre il tempo. La lettura
delle sue opere è ancora oggi essenziale, e non solo per lo studente che si
appresta a studiarne metrica linguistica e struttura filosofica, ma anche
per coloro che si apprestano anche solo ad una semplice lettura poetica,
cercando di dar forma, nella personificazione, ad un sentimento proprio. |
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Il pensiero
leopardiano, concentrato sull'aspetto poetico dell'esistenza,
nel tentativo di ricercarne una forma concreta. Cresciuto in una
famiglia nobile (i genitori erano inoltre tra loro cugini), primo di
dieci figli, amante del sapere, della letteratura e delle scienze,
ebbe modo di studiare nella ben fornita biblioteca del padre, che
presto diventerà il centro del suo mondo erudito, il luogo
all'interno del quale sin dall'infanzia potrà iniziare l'arte
compositiva, apprezzare i pensieri di nuove correnti filosofiche
come l'Illuminismo, e occuparsi degli studi e della traduzione di
opere classiche.
Il sapere del giovane Leopardi viene descritto come
'straordinario. Ebbe un'educazione improntata alla scuola gesuita
(i suoi precettori furono degli ecclesiastici, il gesuita don
Giuseppe Torres e l'abate don Sebastiano Sanchini), per
poi concentrarsi sempre più in uno studio più personale, grazie alle
biblioteche recanatesi, incluse quelle di famiglia. Nella
biblioteca paterna passò "sette anni di studio" intensissimi e con
tanto di orgoglio dello stesso padre, il conte Monaldo
(filosofo e di idee controrivoluzionarie), che organizzava delle
vere e proprie accademie per far conoscere a tutti le doti di un
figlio così erudito. La madre, Adelaide Antici, figlia di
nobili marchesi, e sposata dal padre contro il volere dei genitori
di lui, per vecchi rancori di famiglia, fu uno dei principali motivi
della triste sofferenza interiore del giovane Leopardi e viene da
lui descritta – non con senza qualche dubbio di esagerata analisi,
come ritengono alcuni critici – come una donna severa,
ossessivamente religiosa, legata alle convenzioni sociali e
diligente nella gestione del patrimonio di famiglia, un po'
depauperato da erronee spese da parte del padre: "donna
saldissima ed esattissima nella credenza cristiana e negli esercizi
della religione... [che] trovandosi più volte in pericolo di perdere
i suoi figli [in giovane] età, non pregava Dio perché li facesse
morire, perché la religione non lo permette, ma gioiva
cordialmente... [che] considerava la bellezza come una vera
disgrazia, e vedendo i suoi figli brutti e deformi ne ringraziava
Iddio... una donna che aveva sortito dalla natura un carattere
sensibilissimo ed era stata così ridotta dalla sola religione".
All'età di 10 anni il piccolo Leopardi già possedeva
una scrittura e una composizione metrica straordinaria, potendo
anche leggere e scrivere in latino; a 12 anni iniziò gli studi in
filosofia e scrisse le 'Dissertazioni filosofiche'
(tra cui nel 1811, Dissertazione sopra l'anima delle bestie),
su argomenti di morale, logica, fisica e filosofia. A 16 anni
conosceva diverse lingue, il greco, e in misura minore,
l'ebraico, il francese, l'inglese, lo spagnolo e il tedesco, e un
po' di sanscrito. Nello stesso anno, il 1814, l'abate educatore, don
Sanchini, ritenne di dover interrompere i suoi insegnamenti, in
quanto il giovane 'ormai ne sapeva più di lui'. A 17 anni, gli studi
filosofici gli diedero una certa sicurezza letteraria, iniziata con
i cosiddetti 'scritti puerili', che aveva comunque già espresso anni
prima, con la 'prima composizione poetica', La morte di Ettore
(1809). Bastarono pochi anni al giovane Leopardi per proiettarsi in
una composizione molto più matura, quale non fosse quella di
giovanile espressione, come accadde per esempio per Storia
dell'astronomia (1813), Saggio sopra gli errori popolari
degli antichi (1815), tra le altre. Da qui si può già catturare
una prima vera consapevole novità della 'poesia leopardiana',
capace di passare da una struttura poetica tradizionale ad una forma
nuova, irripetibile nella poesia italiana, i cosiddetti 'idilli':
questi sono costituiti da uno stile "vago" e "indefinito", che egli
stesso definì come componimenti che esprimono "situazioni,
affezioni, avventure storiche del mio animo". Tra il 1815 e
il 1816 avvenne un primo importante cambiamento nel giovane
Leopardi. Una profonda crisi spirituale lo attanagliava, dovuta
anche ai dolori del fisico, di cui soffriva da un po' di tempo. Con
la lettura di classici, come le opere di
Goethe
(I dolori del giovane Werther) o di Lord Byron, il
giovane iniziò a diventare sempre più consapevole delle ristrettezze
e dei condizionamenti dei suoi genitori e della famiglia tutta, e in
generale dell'intera vita recanatese. Ciò lo porterà a mettere da
parte lo studio erudito e a concentrarsi nella riflessione
e composizione poetica.
Leopardi trascorse adolescenza e giovinezza quasi sempre
chiuso all'interno delle quattro mura domestiche e, per quanto
retrivo agli entusiasmi esterni, ai quali si sentì in qualche modo
attratto, intensificò da prima gli studi, potendo così contare su
una mole di sapienza ben rara per la sua giovane età, per poi
organizzare un vero e proprio tentativo di 'evasione' da quel suo
piatto mondo. Mai prima di allora, poco più che ventenne, si rese
consapevole di essere aggravato da un peso dell'animo, che
diventava man mano sempre più insopportabile. Una condizione la sua,
che avvertiva densa di infelicità e che ne aumentava la
consapevolezza di necessari cambiamenti. La sua, sin dal
piccolo, fu una vita di sofferenze fisiche. A 16 anni, fu colpito
dalla scogliosi, probabilmente esacerbata da scorrette
posizioni nello scrittoio durante l'intensa attività di studio; si
aggiunsero quindi problemi di carattere respiratorio (asma e
tosse), cardiaco e gastrointestinale, sfociati nel tempo in
ulteriori problemi di tipo neurologico e di stanchezza cronica
e non ultimi di depressione. Soffriva molto probabilmente di
una sindrome reumatica autoimmune, con il fisico che qualche
anno più tardi si aggravò anche per dei seri problemi alla vista.
La 'sofferenza' del giovane Leopardi, deriva proprio dal suo
ambiente, da quel 'natio borgo selvaggio', che gli diventava
sempre più opprimente. Se da una parte la famiglia fu capace di
dargli così tanto sapere, dall'altra fu anche abile nel reprimerne
il suo entusiasmo vitale, sia fisico che psichico.
Nel 1817 ebbe inizio l'amicizia per corrispondenza con lo
scrittore italiano Pietro Giordani (l'unica persona che
riesce a comprenderlo, disse), che durerà per tutta la vita, e al
quale esprime un primo, chiaro, desiderio di voler allontanarsi da
quel luogo in cui "unico divertimento … è lo studio: unico
divertimento è quello che mi ammazza: tutto il resto è noia".
Nel dicembre dello stesso anno, conobbe Geltrude Cassi Lazzari,
una sua cugina paterna e per la quale iniziò a provare un amore
platonico. L'opera "Il primo amore" nei suoi Canti,
prende ispirazione da questo periodo. Nell'estate del 1819 progettò
la fuga da casa, ma fallì in quanto scoperto dal padre. Da questa
infelice esperienza seguì un periodo di depressione e l'inizio di
quelle riflessioni sulla vanità delle speranze e
l'ineluttabilità del dolore, che trovarono espressione nelle
composizioni poetiche dei canti e dei suoi 'Idilli', da
lui stessi descritti come delle "situazioni, affezioni, avventure
storiche del mio animo".
Quell'anno, il 1817, continua ad essere un anno importante per
il Leopardi, anche rispetto al suo mondo letterario, su cui si
concentra tutta la sua vita. In questo periodo, e fino a qualche
anno dopo, si rinvigorisce in lui, la sua posizione contro il
Romanticismo, già iniziata da qualche tempo con il dibattito tra
classicisti e romantici nel periodico letterario Biblioteca
Italiana, affermando la superiorità dell'immaginario classico su
quello romantico. Nello stesso anno iniziò a raccogliere degli
appunti destinati ad una delle sue più importanti opere, lo
Zibaldone, al quale lavorò intensamente fino al 1832. Le sue
opere più famose arrivano nel 1819, con i suoi primi 'idilli'
(anche noti come 'piccoli idilli'), tra cui "L'Infinito"
("Sempre caro mi fu quest'ermo colle. E questa siepe, che da
tanta parte – Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude"...),
La sera del dì di festa (o La sera del giorno
festivo), Alla luna (o La ricordanza),
La vita solitaria, Il sogno, Lo
spavento notturno, tutte opere con cui Leopardi manifesta i
maggiori rimpianti della sua giovinezza, affermando la sua idea di 'volubilità
della felicità'.
Nell'inverno del 1822 riuscì ad ottenere il benestare del
padre per 'uscire dalla sua prigione', e recarsi da uno zio
materno, a
Roma,
dove rimase per svariati mesi, fino alla primavera successiva. Non
fu amore a prima vista per quella città, che al contrario di come
l'aveva immaginata dai libri, appariva sporca e corrotta; fu però
l'inizio di un primo grande momento creativo, componendo, insieme
alle sue 'escursioni' giornaliere nello Zibaldone, anche le
Operette morali (1824), dei dialoghi filosofici. Ritornò a
Recanati deluso dalla sua esperienza romana, pensando che dopotutto
il mondo al di fuori della sua città natia non era come quello tanto
sperato. Nei due anni successivi, fece una serie di viaggi, anche
grazie al piccolo stipendio da editorialista e traduttore che si
guadagnava dall'editore Stella. Viaggio da prima a
Milano
(1825), quindi a
Bologna
(1826), a
Firenze
(1827), dove conobbe diversi altri letterati appartenenti al
circolo Vieusseux, ancora oggi un importante punto d'incontro
letterario, situato in Piazza degli Strozzi, e a
Pisa
(1827 e 1828). Da qui, una volta rientrato a Recanati, tra il 1828
ed il 1829, vi fu un altro nuovo 'periodo' letterario,
quello dei 'Secondi o Grandi idilli': rientrano in questo
periodo le famose opere A Silvia (1828), La quiete dopo
la tempesta (1829), Il sabato del villaggio (1829), Il
passero solitario (1829-30), Canto notturno di un pastore
errante dell'Asia (1829-30).
Nel 1830 Leopardi ritornò a Firenze, anche grazie
all'intervento dei suoi "amici di Toscana", tra cui in particolare
Giacomo Colletta, che morirà da lì a breve. A Firenze, nel
1831, divenne socio dell'Accademia della Crusca, ancora oggi
una delle più prestigiose istituzioni linguistiche italiane. Il
periodo fiorentino fu carico di attività sociali e letterarie, tra
il tentativo di realizzare un giornale (che mai andò in porto) e la
partecipazioni a diversi convegni liberali, in uno dei quali conobbe
Antonio Ranieri, futuro senatore del Regno d'Italia, che
diventerà uno dei suoi amici più stretti. Per questi suoi legami e
per le idee liberali che maturarono in lui, venne eletto alla
carica di deputato dell'assemblea del governo provvisorio di
Bologna, che tuttavia non fece mai in tempo ad attendere per la
immediata nuova restaurazione del governo pontificio da parte degli
austriaci. Lo stesso anno, prese la drastica decisione di non
rientrare mai più a Recanati, nonostante gli venisse corrisposto
un assegno mensile da parte dei genitori, comunque accettato con
riluttanza. Sempre a Firenze, conobbe Fanny Targioni Tozzetti,
una nobildonna (sposata con il medico e botanico Antonio Targioni
Tozzetti), per la quale il Leopardi provò una forte passione
amorosa, non corrisposta. Fanny, all'epoca, era conosciuta per
essere una donna molto bella e vera protagonista del salotto
letterario di via Ghibellina. Il sentimento nei confronti della
donna si concluse in una ennesima delusione, ispirandogli le poesie
del cosiddetto Ciclo di Aspasia ed esacerbando in lui
il consueto disagio di vivere, per la perdita dell'illusione
dell'amore ("l'inganno estremo", come lo definì).
Nel 1833 Leopardi si trasferì a
Napoli,
presso l'amico Antonio Ranieri. Nella città partenopea, egli sperò
di ottenere giovamento dal clima mite e mediterraneo, e scrisse le
ultime opere: tre le altre, Pensieri (1831-35), una
raccolta di 111 considerazioni nata riprendendo molti appunti già
scritti nello Zibaldone, e i suoi ultimi Canti,
Dialogo di Tristano e di un amico, La Ginestra
(o il Fiore del deserto), che potrà essere letta solo
postuma per via dei controlli da parte della polizia borbonica,
Il tramonto della luna, e le ottave satiriche dei
Paralipomeni della Batracomiomachia (scritti anch'essi sotto
i regimi borbonico e austroungarico e i tentativi insurrezionali e
dove infatti racconta di "topi (liberali), sconfitti dalle rane
(pontifici) e dai granchi (austriaci), che eleggono un re …", a
cui lavorò fino agli ultimi giorni della sua vita, quando ormai
morente, veniva aiutato dall'amico Ranieri.
Giacomo Leopardi morì a Napoli il 14 giugno 1837, a
trentanove anni. Probabilmente rimase vittima di una pericardite o
una idropisia polmonare, forse accelerata da una forma fulminante
di colera, quando la città venne investita da un'epidemia che
farà oltre trentamila morti. A questo stava probabilmente cercando
di sfuggire, avendo programmato la partenza verso Villa Ferrigni
a Torre del Greco. La sua salute risultava già da tempo
compromessa, e non fu sicuramente aiutato da uno stile di vita che
contravveniva alle prescrizioni dei medici, essendo anche indisposto
dai troppi dolci e dai troppi caffè che prendeva. Poco prima, ormai
morente, venne assistito dalle amorevoli cure di Paolina Ranieri,
sorella del fidato amico, e dallo stesso Antonio. Il desiderio,
lievemente manifestato in alcuni suoi scritti, di riconciliarsi con
il padre rimase vano. Le sue spoglie non furono gettate in una fossa
comune, come obbligati dalle norme igieniche in caso di epidemia, ma
grazie all'intervento dell'amico, vennero inumate nella chiesa di
San Vitale Martire (chiesa del Buon Pastore), presso
Fuorigrotta. Un secolo dopo, nel 1939, i resti furono spostati
nella tomba del Parco Vergiliano a Piedigrotta, oggi
monumento nazionale e anche sede della tomba di Virgilio.
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