Arborea nasce nel 1928 come
"Villaggio Mussolini", per poi diventare "Mussolinia di Sardegna", e infine,
dopo la caduta del fascismo gli viene dato il suo nome odierno (in ricordo
del glorioso giudicato Arborense). Bisogna tornare indietro a poco più di 20
anni prima della sua nascita, per capire come tutto ebbe inizio…
Nei
primi del '900 l'estesa area che comprendeva il Campidano di Oristano, con a
nord lo stagno di Santa Giusta, a est il monte Arci, a ovest il golfo di
Oristano e a sud lo stagno di San Giovanni, risultava ancora dissestata.
Un'immensa zona paludosa che determinava una situazione, sia per quanto
riguarda l'economia, che per un discorso igienico-sanitario, alquanto
disastrosa. L'area in cui sorge oggi Arborea faceva parte dei comuni di
Terralba, Marrubiu, Mogoro e Uras, ed era lì vi percorreva il rio Mogoro, il
quale arrivava dal monte Arci per finire la sua "corsa", devastando (nelle
stagioni invernali) tutto quello che c'era intorno, nel grande stagno di
Sassu (che si estendeva per più di 2000 ettari). Durante i mesi estivi la
"furia" del rio Mogoro si placava, lasciando nel territorio grandi distese
paludose, dove, proliferavano zanzare portatrici di malaria, la piaga
devastante di quell'area della Sardegna.
La parte costiera che andava da S'Ena Arrubia a Marceddi; particolarmente
sabbiosa e piena quasi ed esclusivamente di erbe palustri, era utilizzata da
pochi pastori con pecore e maiali (gli unici capi di allevamento che
potevano sopravvivere in tali condizioni precarie), i quali sostavano in
capanne di fortuna per ripararsi. In quella che era denominata "Piana di
Terralba", dove il terreno era sabbioso e calcareo, non pareva possibile che
vi potesse crescesse alcuna coltura, visto i forti venti di maestrale e
scirocco, gli inverni miti (dove si concentravano le uniche piogge annuali)
e le estati torride. Si riusciva infatti solo a sfruttare un quarto dei
terreni con vigne e alberi da frutto, lasciando il resto a stagni e paludi,
che erano sì inagibili, ma avevano sicuramente un potenziale molto fertile.
La bonifica
Nel
1908 viene presentato dall'ingegnere milanese, Angelo Omodeo, il
progetto per la costruzione di una diga sul fiume Tirso (diga di
Santa Chiara), la quale vedrà l'inizio della sua costruzione nel 1918 per
finire nel 1924. Il progetto della diga fu ideato, oltre che per la
distribuzione di energia elettrica, per evitare le regolari piene invernali,
le quali portavano a disastrose inondazioni. Con la costruzione di una diga
poi, si sarebbero potute irrigare e rendere produttive le pianure con gli
acquitrini prosciugati, e infine avrebbe preso vita l'allevamento zootecnico
e pertanto la produzione lattiero-casearia. Nel 1911, con l'incarico della
Banca Commerciale Italiana e della società Bastogi fu costituita prima la
Società Elettrica Sarda, poi pochi anni dopo arriverà la Imprese
Idrauliche ed Elettriche del Tirso, e infine, nel 1918 la Società Bonifiche
Sarde. La SBS (Società Bonifiche Sarde) aveva come amministratore delegato
l'ingegnere vicentino, Giulio Dolcetta, e il suo scopo era quello di
provvedere alla bonifica idraulica ed agraria delle terre sarde, e cosa più
importante, alla bonifica del territorio che include quella che oggi è
Arborea.
Sotto la direzione dell'ingegnere Dionigi Scano, si iniziò col
prosciugamento dello stagno di Sassu e degli acquitrini. Per contenere le
piene e procurare l'acqua utile per l'irrigazione, fu edificato un canale
diversivo lungo 11 chilometri. Il rio Mogoro venne deviato tramite un bacino
regolatore, il quale venne indirizzato nello stagno di San Giovanni (nella
zona di Marceddi). Giulio Dolcetta reperì la manovalanza, e da tutta la
Sardegna arrivarono migliaia di operai, che anche se con grande fatica e
rischiando ogni giorno di prendere la malaria, avevano la certezza di un
guadagno sicuro, vista l'immensa mole di lavoro che si prospettava da lì per
gli anni a venire.
Più
in là negli anni, con l'idrovora del Sassu e l'idrovora di Luri (progettate
dall'ingegnere Flavio Scano, figlio di Dionigi, il quale porterà più avanti
delle modifiche) accelerarono i lavori di prosciugamento di alcune zone
paludose più basse, e avrebbero fatto sì che potesse arrivare l'acqua per
irrigare i campi durante l'estate. Ormai la strada era già stata spianata
grazie alle dighe del Tirso e del rio Mogoro, e ai tanti operai che avevano
contribuito a creare una vastissima area dove una nuova vita avrebbe avuto
inizio. I lavori di bonifica procedevano a grande velocità, e nel 1922 venne
costruita l'arteria di strade che portava alle varie aziende, le quali
aspettavano solo di essere abitate. Le strade erano (e lo sono tutt'oggi)
contrassegnate da un numero progressivo: da 0 a 29. Le strade dispari erano
sterrate (a parte quella numero 3 che porta all'idrovora di Luri), in
quanto servivano per il transito del bestiame e dei carri, mentre quelle
pari erano asfaltate. Furono create e collegate all'arteria stradale sei
grandi aziende: Tanca Marchese, S'Ungroni, Alabirdis,
Pompongias, Linnas e Torrevecchia. Queste aziende erano
collegate con l'arteria stradale a poderi più piccoli, i quali vennero
affidati a singole famiglie. Le case coloniche dei poderi avevano tutte: una
cucina, un forno, un pozzo, una latrina, la stalla, un letamaio, un pollaio,
la stalla per il bestiame e una capanna per gli attrezzi. Erano disponibili,
nel villaggio, un medico e una levatrice.
Arrivo dei coloni
Tra il 1927 e 1928, Giulio Dolcetta fece pervenire dal triveneto i coloni
mezzadri. Perché dal Triveneto e non dalla Sardegna? Queste furono le parole
di Dolcetta:
"Sarebbe tanto più comodo per la società di servirsi molto più largamente
di famiglie sarde; contrasta però, in generale, con questa aspirazione, la
scarsissima forza lavorativa che le famiglie sarde presentano. Le cause di
questo fenomeno risiedono, a parer nostro, nello spiccatissimo
individualismo dei sardi, che esclude l'associazione e la convivenza fra
parenti, largamente praticata invece dai continentali di alcune regioni e
che permette a questi di presentare famiglie con una più forte percentuale
di individui atti al lavoro in confronto agli inabili (vecchi e bambini). E
questo, come ognuno comprende, è di estrema importanza per la colonizzazione
in terreni irrigui, che richiedono molto lavoro, nuovi, che devono ex-novo
essere dotati degli ora costosissimi locali di abitazione".
Ci fu un accordo tra Giulio Dolcetta e il prefetto di Rovigo, e per le
politiche agricole e demografiche del fascismo, venne proposto ai contadini,
braccianti agricoli e ai disoccupati veneti, di diventare coloni nella
bonificata piana terralbese.
Prima arrivarono i capi famiglia ad esplorare la situazione, e in un secondo
momento tornavano insieme alla famiglia. Arrivarono dalla stazione con i
carri trainati da buoi, i quali venivano dati in dotazione al loro arrivo.
Dopo lo smistamento venivano mandati ai poderi che erano stati loro
assegnati, con le case, le quali non erano ancora state del tutto
completate. Non tutti vollero restare dopo la prima esplorazione, e in tanti
venivano rimandati a casa in quanto considerati non idonei fisicamente alla
vita lavorativa che gli aspettava.
Realizzazione del centro urbano
Oramai
tra famiglie di coloni, impiegati e dirigenti della bonifica si era arrivati
a migliaia di residenti nella zona, pertanto c'era bisogno di offrire i
servizi di un centro urbano che ancora però non esisteva. C'era inoltre
bisogno di sviluppare altre attività economiche, delle quali potessero
usufruire i membri della nuova comunità che si era creata.
Da lì a poco vennero edificati, grazie ai progetti dell'ingegnere Carlo
Avanzini, la scuola primaria, la sede della SBS, la villetta bifamiliare
per gli impiegati della SBS, la villa del Presidente della SBS, la villa del
Direttore, il municipio, un ospedale, il mulino e i silos, un mercato
civico, e una locanda.
L'elemento
più imponente ad essere edificato però fu la chiesa Santissimo Redentore,
dell'ingegnere lombardo, Giovani Bianchi. La chiesa sorge davanti
alla piazza, ricca di aiuole con i fiori e anche di un orto, che allora si
chiamava "piazza Vittorio Emanuele" (ora piazza Maria ausiliatrice), ed è
situata nell'esatto lato opposto del municipio. Ormai in pieno regime
fascista, nell'autunno del 1928, esattamente il 29 ottobre, vi fu
l'inaugurazione del nuovo centro urbano che venne chiamato "Villaggio
Mussolini". L'evento fu presenziato dall'allora ministro Costanzo Ciano, il
quale rappresentava il Governo Mussolini e il Re. Il villaggio all'epoca era
ancora una frazione di Terralba, e divenne un comune autonomo nel 1931,
cambiando il suo nome in "Mussolinia di Sardegna". La popolazione di
Mussolinia cresceva velocemente, e da li a poco si aggiunsero: panificio,
caseificio, e enopolio; insomma era autosufficiente in tutto e per tutto e
aveva anche la propria moneta con cui venivano pagati i lavoratori. Queste
monete si potevano spendere solo nelle attività commerciali all'interno del
comune.
Nel 1933 Giulio Dolcetta lascia il gruppo di società sarde e anche la
Sardegna, e al suo posto arrivò il fiorentino Piero Casini, il quale assunse
la presidenza della SBS. Con la morte prematura dell'ingegnere e direttore
della Società Sarda Costruzioni, Carlo Avanzini, prese il suo posto
l'architetto romano, Giovanni Battista Ceas, il quale progettò i nuovi
edifici con i gusti architettonici tipici del regime fascista, come la casa
del balilla (GIL) e la casa del fascio, e, poco dopo, la caserma della
Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale.
Dopoguerra fino ai
giorni nostri
Dopo
la caduta del fascismo, Mussolinia di Sardegna assunse il nome di Arborea.
Ai vertici della Società Bonifiche Sarde subentro a Casini, Rino Giuliani,
era il 1952. La bonifica era sostanzialmente completata ma il Giuliani fece
apportare ulteriori modifiche, come, per citarne alcune: completare la
bonifica della zona di Sant' Anna (oggi frazione del comune di Marrubiu), e
ultimare le opere di difesa idraulica di Sassu. Con la Riforma Fondiaria
della legge Segni, i mezzadri ottennero l'assegnazione dei poderi dove
avevano faticato ormai da anni, con un riscatto di 30 anni, e si iniziarono
a creare le cooperative. Non erano più mezzadri, ma assegnatari e
cooperatori.
Ed è qui che nasce la 3A, Cooperativa Assegnatari Associati Arborea.
Successivamente un cospicuo numero di azioni della SBS passò dunque all'Etfas
(Trasformazione Fondiaria a Agraria della Sardegna), e i mezzadri divennero
proprietari di migliaia di ettari di terreno, in minor misura andarono ai
residenti dei Comuni di Terralba e Marrubiu, mentre meno di un migliaio di
ettari restò della SBS, alla quale però restarono importantissime proprietà,
tra le quali le pinete e un'importante fetta del patrimonio edilizio di
Arborea. Alla fine degli anni '50 i residenti ad Arborea erano circa 5000, e
di questi la maggior parte era di origine veneta, ma da lì a poco molti di
questi (si stima fossero circa 2000) tornarono alla propria terra di
origine, non è dato capire l'effettivo motivo. La bonifica ha trasformato un
territorio paludoso, in quella che oggi è Arborea, la quale vanta industrie
di trasformazione che esportano in tutto il mondo, e un moderno sistema di
aziende agro-zootecniche, che la rendono una delle aree più emancipate e
produttive della Sardegna.
Fonti:
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