Teatro Sanzio di Urbino
La
costruzione di un teatro a Urbino era una necessità
fortemente sentita dagli abitanti, soprattutto dalla
sua comunità più colta. In una città come questa,
simbolo del Rinascimento, il fatto che mancasse un
teatro cittadino, visibile e identificabile,
strideva. Esisteva un teatro all'interno della
vastità di Palazzo Ducale, il Teatro dei Pascolini, ma non era un edificio a
se stante, in un abitato come quello di Urbino che faticava a non essere
identificata come una "città-palazzo".
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Dopo discussioni durate diversi anni, fu indetto un concorso
per scegliere l'architetto a cui affidare il progetto
del nuovo teatro. Concorsero l'architetto veneziano
Giovan Battista Meduna, già artefice della
ricostruzione del Teatro La Fenice di
Venezia
dopo l'incendio che lo distrusse nel 1836, e Vincenzo
Ghinelli di Senigallia, che aveva già
realizzato il teatro della sua città, oltre a quelli di
Camerino e Cesena. L’incarico venne
affidato a quest'ultimo, nonostante la notorietà del
primo, poiché Ghinelli, che nel suo progetto aveva
previsto un vasto programma di riqualificazione e
rinnovamento urbanistico di tutta l'area, che comprendeva
il piazzale semicircolare antistante il teatro, il
portico di corso Garibaldi fino al Palazzo Albani e,
sull'altro versante, la sistemazione dei giardini del Pincio.
I lavori vennero avviati nel 1845 e si protrassero fino al
1853, quando il teatro venne inaugurato con la
rappresentazione del Rigoletto e del Trovatore
di Giuseppe Verdi. Il Teatro dei Pascolini venne
smantellato subito dopo l’entrata in funzione del Teatro Sanzio. L’edificio venne eretto, come già scritto,
sull’area sovrastante il torrione quattrocentesco che
domina la piazza del Mercatale e nel quale si snoda la
Rampa Elicoidale del Martini. L’erezione del teatro
comportò la demolizione della sezione terminale della
rampa e il sacrificio degli ambienti che contornavano il
torrione e che venivano utilizzati come granai, detti
"dell'Abbondanza".
Stilisticamente la facciata mostra chiaramente alcuni degli
elementi tipici del tardo neoclassicismo di cui
il Ghinelli fu promotore: è interamente costruita in
mattoni cotti, tagliati e sagomati in modo da creare
delicati rilievi e cornici, e risulta bipartita da una
trabeazione, cioè la struttura orizzontale sorretta da
sei semicolonne doriche anch’esse in laterizio. Nel
compartimento soprastante le fasce marcapiano si
sviluppa la doppia ghiera di un arco affiancata da
due sfingi di pietra in bassorilievo, poste di
profilo sul cornicione. Si era in piena Egittomania,
Jean-François Champollion aveva decifrato i geroglifici
con la Stele di Rosetta nel 1822; nel 1848 sarebbe stato
innalzato un obelisco come Monumento a Washington nella
capitale federale americana.
Sullo stesso livello delle due sfingi spiccano gli
originali finestroni a semilunetta. Particolarmente
delicato risulta il coronamento del prospetto costituito
da un cornicione di gronda dentellato. Il Ghinelli volle
inoltre anticipare all’ingresso un'esedra che conferisse
maggiore omogeneità alla struttura e che consentisse un
passaggio e una manovra più agevole per le carrozze; al
di sopra di questo spiazzo passa una rampa a gradini
varianti, nominala "Giro dei Torrioni", che costeggia il
Pincio e che scorre sotto la facciata del Palazzo Ducale
e la risistemazione a giardino pubblico della stessa
ripida scarpata del Pincio.
All’ingresso sono ancora visibili un busto marmoreo di
Raffaello Sanzio, realizzato da Cario Finelli che
morì a Roma (1853) prima di concluderlo, e una statua
che raffigura Bramante di Giambattista Pericoli
del 1850 (Pericoli fu il primo direttore dell'Istituto
di Belle Arti delle Marche). Nella sala, racchiusa da
tre ordini di palchi (in tutto cinquantasei), disposti
nel tradizionale disegno a ferro di cavallo, risalta la
decorazione pittorica della volta, non del tutto
conservata, che venne realizzala da Raffaele
Antonioli da Gubbio: in ogni spicchio e dipinta la
figura di una musa incorniciata da delicati arabeschi.
Pregevole inoltre, il sipario disegnato da Francesco
Serafini, con la rappresentazione della Gloria di
Urbino, con gli scorci del Duomo e di Palazzo
Ducale, un luogo ideale in cui si incontrano i cittadini
più illustri del passato della città come lo stesso
Raffaello e Bramante. Romolo Liverani ebbe
l'incarico di realizzare le scenografie. Le decorazioni
interne furono rifatte da Diomede Catalucci, tra
il 1896 e il 1897 (lo stesso artista lavorò anche per
decorazioni del
Teatro La Scala
a
Milano).
Del tutto perdute invece le pitture delle balaustre dei
palchi, di cui facevano parte diciannove tondi che
effigiavano personaggi illustri della città, tra cui
Raffaello Sanzio. Parte di questi ornamenti è stata
distrutta dai bombardamenti durante seconda guerra
mondiale, parte invece è stata rimossa nel corso
dell’ultima ristrutturazione terminata nel 1983, ad
opera sempre di Giancarlo De Carlo. Il progetto
di quest'ultimo non si è limitato al suo risanamento: la
riapertura della rampa e del teatro insieme rese tale
operazione molto complessa.
L’edificio infatti ha subito un lungo stato di abbandono
per più di un trentennio e negli anni Settanta è
risultato indispensabile provvedere al suo restauro.
L'intervento di De Carlo non ha intaccato l'impianto
neoclassico dell’esterno e della sala, mentre ha
modificalo sensibilmente l’aspetto dell’atrio,
estendendolo in altezza con balconate in cemento e
muovendolo con l’inserto di superfici specchianti. Alla
conclusione dei lavori di recupero, il 15 novembre 1983,
il teatro venne riaperto con spettacoli dedicali
all’eroe tragico Edipo. La capienza attuale del
teatro e di 460 posti.
Indirizzo
Corso Giuseppe Garibaldi, 82, 61029 Urbino PU
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