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Storia di Urbino
Urbino è una città
molto antica, le sue origini sono preromane, anche se nel periodo
considerato, incluso quello romano vero e proprio, non ha dato modo di farsi
conoscere per fatti importanti o comunque degni di nota. Fu infatti dopo più
di un millennio che la città assunse al prestigio e agli onori che oggi
conosciamo, quando divenne una delle più ricche e ricercate di tutto il
Rinascimento, e non solo italiano.
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Due le famiglie che
dall’epoca rinascimentale hanno portato alto il nome della città: i
Montefeltro , su tutti
Federico da
Montefeltro
e, successivamente, i Della Rovere. Da allora, Urbino è stata
artefice e parte dei fatti più importanti della storia, soprattutto quale
culla e dimora dei più grandi artisti italiani, tra tutti
Raffaello Sanzio, il più grande di tutti. Passata alla storia come
culla della cultura rinascimentale, ha lasciato ai posteri un’eredità
incalcolabile.
Prima che arrivassero gli
antichi Romani, il territorio era già abitato da popolazioni quali
Etruschi, Umbri e Galli Senoni (IV secolo a.C.).
Probabilmente, il territorio era abitato ancor prima di questi popoli, ma le
informazioni sono esigue quando non frammentarie. Diverso è invece il
discorso delle fonti arrivate dal periodo romano, anche grazie ad autori
come Varrone e Plinio il Vecchio. La storia della Urbino romana ebbe
inizio proprio quando i Galli vennero sottomessi dai militari romani, che
rapidamente conquistarono tutto il territorio marchigiano. Il nome della
città, Urbino, pare derivi proprio da quell’epoca, quando fu chiamata
dai romani Urvinum Metaurense o Mataurense,
dalla coniugazione del nome latino del fiume che la bagna (il Metauro), là
dove "Uvinum o Urvum", a sua volta era una parola usata per
indicare una parte dell'aratro (il manico ricurvo precisamente), al quale
assomigliava la forma della collina dove si stava formando il piccolo nucleo
romano, la collina del Poggio. Città Urvinum sul Metauro,
quindi, per distinguerla da Urvinum Hortense, un altro
possedimento romano poco distante. Secondo un'altra teoria, il nome di
Urbino deriverebbe invece da "Urbs bina", che in latino
significa "città doppia", un appellativo da riferirsi nuovamente alla sua
particolarità morfologica, essendo collocata su due colli.
La posizione dell’allora
Urbino era quindi considerata molto importante, sia da un punto di vista
commerciale, che militare. Posizione che, probabilmente, fu scelta anche per
la sua bellezza, tra il mare e l’Appennino, adagiata "…tra infiniti
ordini di colline e di correnti, in un firmamento profondo e azzurro come
mai in nessun altro luogo", scrisse l’urbinate Paolo Volponi –
scrittore, dirigente aziendale e politico. Collocazione geografica che,
ancora una volta, non poté rimanere indifferente al destino, facendola
divenire da luogo di antico transito a luogo di massima ispirazione
culturale. Quel territorio si posizionava infatti lungo la Via Consolare,
che collegava Roma con Rimini attraverso Fano,
costituendo una strada alternativa alla più usata Via Flaminia. Su
questo stesso tracciato sono stati riportati alla luce resti di una
necropoli romana del I secolo a.C., tra cui sepolture, oggetti e manufatti
di qualità, come ampolle di vetro, reliquari e cocci vari. Nel 46 a.C.
Urbino già risultava un municipio romano.
L'area crebbe d’importanza
strategica e data la sua particolare posizione territoriale, durante le
guerre del VI secolo, l'antico nucleo romano divenne palcoscenico di
contese e di battaglie tra Teodorico e Giustiniano, e tra
Goti, Bizantini, e non ultimi, i Papi. Già conquistata
dagli Ostrogoti, alla caduta dell’Impero Romano d'occidente,
nell'inverno del 538 venne conquistata dalle truppe imperiali bizantine
comandate da Belisario; fu quindi, nuovamente ripresa dai Goti e
successivamente riconquistata dai bizantini. In questo periodo (VI – VIII
secolo) Urbino è documentata essere parte della Pentapoli annonaria
(o montana), inclusa cioè nella serie di suddivisioni territoriali e
amministrative bizantine in Italia. Con i Franchi, la situazione nel
territorio venne presa in mano da Pipino il breve e quindi da
Carlo Magno, il figlio, quando la città venne donata al Papato.
Nello Stato Pontifìcio
Urbino venne inglobata all’interno di una struttura politica più vasta e
organizzata, anche se di fatto il governo papale da queste parti rimase
comunque distante, esercitando un dominio più formale che effettivo. Il
tutto contribuì a creare un certo antagonismo nei confronti del papato
durante il periodo delle lotte feudali del centro nord Italia, con
Urbino che, almeno in principio, prevalse in quanto apertamente a favore
della fazione dei ghibellini (e cioè dell’Imperatore), contro quella
dei guelfi, a sostegno del papato. L’imperatore altro non era che
Federico I, meglio conosciuto come il Barbarossa, il quale non
tardò a procurarsi una lunga lista di fedelissimi signorotti locali. Uno di
questi fu Antonio da Montefeltro, una figura che gli storici moderni
ritengono tuttavia non essere mai esistita, ma creata dalla stessa casata
dei Montefeltro a sostegno di una sorta di prova di discendenza. Secondo la
tradizione (non confermata da prove storiche), fu lo stesso imperatore
Barbarossa nella metà del XII secolo a concedere al Montefeltro il titolo
temporaneo di Vicario Imperiale su Urbino. Si dice che Antonio, grazie alla
sua rete di alleanze, tra cui Firenze e la Milano di Gian Galeazzo Visconti,
avrebbe sedato a Roma una rivolta contro il Barbarossa conquistandosi così
la sua stima. Verità storica o meno, certo è che da quel periodo in poi la
storia di Urbino si legò indissolubilmente a quella dei Montefeltro. Dopo
oltre mezzo secolo, con il declino dell'autorità ecclesiastica,
e con l’avvento di Federico II di Svevia, venne riconosciuta
ufficialmente l’autorità dei Montefeltro su Urbino.
I Montefeltro in
origine erano dei condottieri al servizio dell’imperatore e signorotti nella
regione storica dell’Italia centrale. Già nella metà del XII secolo si ha
notizia di Montefeltrano II da Montefeltro, un condottiero al soldo
di Filippo di Svevia e di forza in Sicilia. Il figlio di questi, Guido I
da Montefeltro (detto Il Vecchio), anch’egli condottiero e
ghibellino, si distinse in particolare per le imprese militari in Romagna e
della Tuscia al servizio dell'imperatore Federico II. Nel 1259 si ha notizia
di costui come podestà di Urbino, mentre è passato alla storia non
solo per le sue battaglie e vittorie, tra tutte quella su Forlì, e pure per
la sua scomunica, ma anche per la successiva conversione, quando nel 1296
vestì l’abito francescano ritirandosi negli ultimi anni di vita in convento
ad
Assisi. Il figlio primogenito di Guido, Federico I da
Montefeltro, non ebbe vita facile ad Urbino: dopo aver conquistato la
città nel 1320 agli allora signorotti locali, i guelfi Malatesta, vi rientrò
per subire nei successivi due anni la rivolta della popolazione, stanca
delle continue guerre. Venne ucciso insieme al figlio il 26 aprile del 1322.
L'anno seguente, Nolfo da Montefeltro, figlio di Federico, riuscì a
recuperare il controllo della città e sconfiggere sanguinosamente le truppe
malatestiane. La dinastia prosegui fino a quando apparve all'orizzonte di
Urbino un altro Antonio da Montefeltro, nipote di Nolfo, che grazie
all’alleanza fiorentino-viscontea riconfermò il potere sulla città,
venendone acclamato signore ed estendendo la sua signoria anche su Cagli,
Gubbio, Cantiano e, temporaneamente, su Sassoferrato.
Fu lui ad ottenere il riconoscimento papale dei suoi possedimenti
dall’allora Bonifacio IX (1390), avviando nel frattempo una sorta di
mecenatismo precursore di quel che sarebbe arrivato qualche tempo dopo. Ad
Antonio succedette Guidantonio, che a seguito di varie alleanze con
il papa (sposando una sua nipote, Caterina Colonna) e il re di
Napoli, assunse agli onori dell’Imperatore del Sacro romano impero
Sigismondo, che nominò lui e i suoi figli cavalieri del regno. Uno di
questi figli fu Federico, figlio naturale in seguito riconosciuto
come legittimo, colui con il quale Urbino raggiunse l'apice in grandezza e
splendore, diventando una delle corti più importanti della storia (l’altro
figlio, legittimo, fu Oddantonio). Nel 1443, il papa Eugenio IV
concesse il titolo di ducato al territorio di Urbino. All’epoca,
quello di Urbino era un territorio di confine in equilibrio tra le Marche e
la Romagna, estendendosi per 2000 Kmq fino a raggiungere l’Umbria attraverso
gli Appennini. Con il governo di Federico da Montefeltro (1444-1482),
che sopraggiunse al fratellastro Oddantonio morto appena
diciassettenne per via di una ennesima sanguinosa rivolta popolare, le sorti
di Urbino presero una nuova vita, significativa non solo all'interno del
territorio di pertinenza, ma che andò ben oltre. Con Federico Urbino occupò
una posizione centrale nell'assetto politico dei piccoli e numerosi
Staterelli italiani, contribuendo a preservare la pace stabilita a Lodi
nel 1454.
Federico venne chiamato da
Gubbio, dove nacque nel 1422, a risollevare le sorti della città
dopo la ribellione contro il fratellastro. Venne riconosciuto e legittimato
da Guidantonio, mentre ignota risulta la madre. Fu allontanato alle seconde
nozze del padre e affidato alla famiglia Brancaleoni, allevato insieme a
Gentile Brancaleoni, che diverrà in seguito la sua prima sposa. Venne
arruolato dal padre nelle milizie viscontee, diventando abile condottiero e
militare. Fu fatto prigioniero a
Venezia (allora alleata con gli Sforza, così come con i
Fiorentini e i Malatesta, tutti contro la politica papale, che costituiva un
frangente unito insieme ad Urbino, ai Visconti di Milano e al regno di
Napoli) e a
Mantova; nella città dei Gonzaga ebbe modo di frequentare la
scuola di Vittoriano da Feltre e affacciarsi così ai precetti della
cultura umanistica, fatto significativo nella sua formazione
educativa e caratteriale. Giunto al potere ad Urbino, peraltro senza il
titolo ducale, Federico risanò finanze e amministrazione, portando la città
in pochi anni ad un livello economico di crescita, a tal punto da potersi
permettere l'edificazione di un'opera grandiosa, costata a quel tempo
200.000 scudi: il famoso
Palazzo Ducale di Urbino. Fu inoltre abile nella gestione delle
alleanze, passando da una parte all’altra dello schieramento, da nemico e
poi da alleato degli Sforza, potendosi così guadagnare nuove conquiste
territoriali, mettendosi al centro della diplomazia politica dell’epoca. Il
suo nome echeggiava in tutt’Italia e oltre confine, stimato da signori, papi
e re, che gli elargirono importanti onorificenze, come quelle ricevute da
Edoardo d’Inghilterra nel 1474 (ordine della Giarrettiera) e da
Ferdinando d’Aragona (ordine dell’Ermellino).
Quel che Federico, e più
tardi i suoi eredi, riuscirono a tramandare ai posteri, lo vediamo oggi:
grazie al rinnovamento culturale che riuscì a creare, Urbino divenne uno dei
centri di cultura più illustri d’Europa, una corte tale da potersi
pregiare di artisti del calibro di Raffaello,
Piero della Francesca,
Tiziano o Francesco di Giorgio di Martino, che nel
Quattrocento fu un altro dei geni assoluti del Rinascimento, ingegnere e
architetto ma anche idraulico e inventore. Vi furono anche letterati,
musicisti, matematici e scienziati. Un’ospitalità capace di creare una ‘città
ideale’, quell’anelo di perfezione che fu proprio dell’uomo
rinascimentale, quanto utopistico, seppur arrivato a livelli di cultura mai
più rivisti nella storia, soprattutto italiana. La città ideale è ritratta
nei famosi tre dipinti di artista anonimo, di cui uno custodito proprio
nella
Galleria Nazionale delle Marche del Palazzo ducale. L’umanista e
letterato Baldassarre Castiglione, che conosciamo per essere stato
ritratto da Raffaello nel dipinto oggi custodito al
Museo del Louvre di Parigi, raccontò i caratteri della corte
urbinate nel Il Cortegiano, caratteri che influenzarono le corti del
mondo a venire. Raffaello e Castiglione furono grandi amici; all’epoca del
dipinto (primo decennio del Cinquecento), la corte era governata non da
Federico ma da suo figlio, Guidobaldo da Montefeltro, che ereditò il
potere alla morte del padre a soli dieci anni e che continuò, insieme alla
consorte Elisabetta Gonzaga, a portare alto il nome di Urbino. Fu
proprio il nuovo duca ad incaricare Raffaello nel 1505 di dipingere un
quadro per Enrico VII d’Inghilterra. Oltretutto si ritiene che lo
stesso Castiglione operò da ‘consigliere’ accademico per un altro famoso
dipinto di Raffaello, La scuola di Atene. In quegli anni Urbino fu
un’esplosione di cultura e d’arte, circolo di più importanti mecenati,
personaggi storici e artisti dell’epoca. Nel 1502 venne istituito un
Collegio dei Dottori, riconosciuto dal papa nel 1507, lo stesso da cui
avrà origine l’Università
degli Studi di Urbino. Un altro istituto creato dal Duca fu la
Cappella Musicale. Quanto a Raffaello, nel 1504, da Urbino muoveva verso
traguardi maggiori, arrivando a
Firenze e a
Roma. Tra Federico e Guidobaldo andava plasmandosi la città oggi
conosciuta, con le sue imponenti architetture e le opere d’arte più
apprezzate. Mentre i fratelli Salimbeni ebbero già modo di affrescare
le pareti del famoso
Oratorio di San Giovanni attorno al 1416, con Federico e
Guidobaldo vennero create le fondamenta di una città d’arte come poche,
capace di accogliere al suo cospetto non solo i celebri Raffaello e Piero
della Francesca, ma anche artisti come Leon Battista Alberti,
Paolo Uccello, Pedro Berruguete, Luca della Robbia,
Giusto di Gand, Perugino, Pinturicchio e un giovane
Bramante.
Guidobaldo morì senza eredi
diretti e nel 1508 il Ducato passò alla famiglia dei Della Rovere
tramite Giovanni della Rovere, cognato dell’ultimo dei Montefeltro e da
questi adottato (era il primogenito della sorella, Giovanna), ma non prima
di venire occupato da Cesare Borgia (1502 – 1503). Francesco Maria
I Della Rovere divenne il quarto duca di Urbino. La tradizione artistica
del ducato continuò anche con i nuovi signori della città, concentrandosi
soprattutto sulle rappresentazioni teatrali e musicali (nei primi anni di
governo dei Della Rovere, fu rappresentata quella che è considerata la
prima commedia in prosa di lingua volgare "La Calandia del Bibbiena").
Nel secondo decennio del Cinquecento avvennero tuttavia dei fatti che in
pochi anni incisero negativamente sull’equilibrio politico urbinate, ad
iniziare dall’omicidio commesso nel 1511 dallo stesso Francesco Maria nei
confronti del cardinale condottiero Francesco Alidosi.
Le sorti del ducato
iniziarono a cambiare a seguito della morte di papa Giulio II, zio e
protettore del Della Rovere, e con la salita al potere pontificio nel 1513
del fiorentino papa Leone X, figlio di Lorenzo il Magnifico:
l’uccisione del cardinale servì dopo anni da pretesto a far dichiarare
decaduto il ducato, che venne di fatto occupato dalla famiglia ‘De Medici,
tramite le milizie papali dal 1517 al 1521. Nel 1519 il ducato fu annesso
direttamente allo Stato Pontificio e successivamente riconquistato dai Della
Rovere nel 1521. Nel 1523 i Della Rovere stabilirono la loro nuova dimora a
Pesaro, lasciando Urbino alla mercè di un lento decadimento. Alla
morte di Francesco Maria, avvenuta nel 1538, i successori fecero conoscere
alla città momenti sempre meno brillanti. Francesco Maria II Della Rovere,
nato nel 1549, fu duca di Urbino fino alla sua morte, avvenuta nel 1631.
Formatosi nella corte di Spagna, fu abile condottiero, distintosi nella
Battaglia di Lepanto contro i musulmani nel 1571, a cui partecipò con
duemila soldati provenienti dal ducato di Urbino. A quei tempi Urbino era
diventato un piccolo stato "satellite" sotto l'influenza spagnola da una
parte e del pontefice dall'altra. Nel 1621, prima della morte di Francesco
Maria II, salì in carica del ducato il giovanissimo figlio, Federico
Ubaldo, che di anni ne aveva sedici. Costui però morì improvvisamente
pochi anni dopo, costringendo il padre – rimasto senza eredi - a
sottoscrivere la devoluzione dei feudi di famiglia al papato, allora sotto
la guida di Urbano VIII. Alla morte del Duca, avvenuta nel 1631, il
ducato passò sotto la guida del legato pontificio Cardinale Antonio
Banberini, fratello del Papa.
Da allora, molte delle opere
del ricco patrimonio artistico del Palazzo ducale di Urbino, nonostante la
dote dell’ultima discendente diretta Vittoria della Rovere,
Granduchessa di Toscana in quanto già sposa di Ferdinando II de’ Medici,
vennero trasferite a Firenze, tra cui anche il famoso dipinto di Piero
della Francesca dei Duchi d’Urbino, oggi alla
Galleria degli Uffizi. Un’altra parte del Patrimonio venne invece
trasferita a Roma, è il caso della celebre Biblioteca di Federico da
Montefeltro, che venne assorbita nella Biblioteca Vaticana nel 1657 e
parte dei
Musei Vaticani. Seguì un periodo di decadenza e abbandono
dell’intero ducato, di fatto diventato una pertinenza pontificia, con
monumenti, mura cittadine, chiese, oratori e palazzi in stato di abbandono e
sicuramente bisognosi di restauro. Ma fu solo nel 1700, grazie all’urbinate
Giovanni Francesco Albani, eletto papa col nome di Clemente XI,
che si manifestarono i primi interventi di recupero artistico, in
particolare nella
Chiesa di San Domenico e nella
Chiesa di San Francesco; con il nuovo papa vennero inoltre
incentivate le arti e rinnovato l’assetto urbanistico congruo alla sua epoca
(di questo periodo è per esempio l’edificazione del Palazzo del Collegio,
l’arrivo in dono dell’Obelisco
egiziano di Piazza del Rinascimento, più opere d’arte ora presenti
nel Museo diocesano di Urbino, intitolato proprio a papa Albani).
Uno dei momenti storici più
decadenti per la città di Urbino avvenne nel periodo Napoleonico con
la soppressione di chiese, Istituti religiosi e il depauperamento del
patrimonio artistico, tra cui la deportazione a Milano della Madonna col
Bambino di Piero della Francesca (Pala Montefeltro), che venne
prelevata dalla
Chiesa di San Bernardino e trasferita nel capoluogo lombardo,
oggi esposta alla
Pinacoteca di Brera
e per questo anche conosciuta come
Pala di Brera.
Successivamente le sorti della città di Urbino confluirono in quelle
dell’Italia risorgimentale e poi dell’Italia unita, ma un cenno a parte
meritano i rinnovamenti urbanistici dell’Urbino del XIX secolo, ad
iniziare dalla nuova
Cattedrale di Urbino, su progetto di Giuseppe Valadier,
consacrata nel 1809, e ad un primo progetto di rinnovamento voluto dal
nobile urbinate Fulvio Corboli, che intuì la necessità di risolvere
le questioni legate all’isolamento dal resto del territorio. Il progetto
urbanistico complessivo venne affidato in gran parte alla cura
dall’architetto Pietro Ghinelli. Sono dell’epoca il
rifacimento di
Palazzo Albani, il primo tratto di quello che sarebbe diventato Corso Garibaldi, il
progetto dell’attuale
Piazza Repubblica, la costruzione del
Teatro Sanzio, la Porta Nuova Margherita (con conseguente
abbattimento nel 1868 di un tratto di mura).
L’8 settembre 1860 le truppe
piemontesi entrarono ad Urbino costringendo alla resa le ultime resistenze
pontificie, proprio sotto il porticato del Collegio Raffaello. Nello
stesso anno le Marche vennero annesse al Regno di Sardegna e quindi
d’Italia con l’unificazione.
Il Novecento urbinate è stato
dominato dai grandi eventi della storia nazionale ed internazionale, che
inevitabilmente coinvolsero la città. In particolare, tuttavia vanno
menzionate due cose: l’incremento della popolazione studentesca da una
parte, e l’opera di alcuni importanti cittadini dall’altra. Tra questi
ultimi, Pasquale Rotondi che mise in salvo circa 10000 opere, incluse
quelle importantissime di Piero della Francesca e Raffaello tra gli altri,
dalle requisizioni naziste, nascondendole in vari luoghi (tra la
Rocca di Sassocorvaro, il Palazzo dei Principi di Carpegna o i
sotterranei della Cattedrale e del Palazzo Ducale di Urbino); il secondo
è Carlo Bo, ligure ma cittadino onorario di Urbino, dove approdò a
insegnare lingua e letteratura francese da giovane critico letterario e che
dell'Università fu poi rettore dal 1947 al 2001, ininterrottamente per
oltre mezzo secolo. Con lui l’ateneo conobbe uno straordinario sviluppo,
anche grazie all’istituzione di nuove facoltà. Nello stesso tempo la città
conobbe una significativa crescita urbana, in particolare per via dei
progetti edilizi dell’architetto urbanista genovese Giancarlo de Carlo,
il quale fu incaricato nel 1964 del primo Piano Regolatore Generale della
città di Urbino, tra cui i Collegi Universitari, anni 70-80,
risultato di alcuni suoi studi in merito al principio di
università-territorio.
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