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Duomo di Urbino - Cattedrale di Urbino
Il Duomo di Urbino è situato nel
cuore storico della città, accanto al Palazzo ducale, separato dalla piazza
Duca Federico. Erge anch’esso maestoso dal panoramico orizzonte urbano della
città, regalando una vista senza eguali. D’altronde, quando il duca di
Montefeltro ebbe già a buon punto la costruzione della sua dimora
gioiello, volle che anche la cattedrale non fosse da
meno. Non vide mai tuttavia il completamento
dell’edificio religioso (morì nel 1482).
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I lavori
della chiesa si protrassero infatti per ben due secoli, se non più,
considerando la quasi totale ristrutturazione settecentesca. Oggi, questo
gioiello architettonico si ammira in tutto il suo splendore neoclassico, dal
candido bianco della sua facciata in pietra di Furlo, agli interni,
sobri ed eleganti, ricchi di opere d’arte che vanno dal
Rinascimento
al
periodo
Neoclassico
e dove sono anche custodite
testimonianze significative di santi urbinati e non.
L’edificio venne costruito dapprima nel
1021, in stile romanico-gotico, sulle fondamenta di un precedente edificio
religioso del VI secolo, e quindi completamente ricostruito, già per essere
cattedrale, in stile rinascimentale nel 1474 durante il governo di
Federico da Montefeltro, che ne affidò il progetto a Francesco di
Giorgio Martini, anche architetto del
Palazzo ducale
di Urbino. Venne quindi
consacrato il 19 ottobre 1534 dal vescovo Nordi di Urbino. Dopo
diversi rimaneggiamenti e ricostruzioni andati avanti nei secoli, necessari
soprattutto a seguito del terremoto nel Settecento, l’edificio si presenta
oggi regale ed elegante con la sua bella scalinata riversa in piazza
Pascoli (costruita nel 1859 su disegno dell'arcivescovo Alessandro
Angeloni). Mentre all’interno della chiesa sono custodite importanti
opere d’arte e una storia antica di secoli, oltre che il Museo diocesano
e l’Oratorio della Grotta.
Ci vollero quasi due secoli per costruire la
prima chiesa voluta dal signore di Montefeltro. Quando venne completata, nel
1604-1607, l’edificio si presentava con una pianta a tre navate e con una
cupola ottagonale fatta erigere da Francesco Maria II della Rovere
nel 1604 e disegnata dall’urbinate Muzio Oddi dietro progetto dello
stesso Martini. Anche dopo il terremoto del 1781, che colpì tutto il
territorio, si resero necessari notevoli lavori strutturali che mantennero
comunque le misure precedenti (lunghezza 60,5 metri, larghezza 36,8 metri e
in altezza 50 metri). Capitò così che il 12 gennaio 1789 la grossa
mole della cupola si presentò in tutta la sua instabilità collassando nel
sottostante Oratorio e travolgendo l'altare maggiore, il pulpito, l'organo e
alcune delle opere d'arte custodite. Con il contributo dell’Università di
Urbino, come si legge nel ringraziamento sito nel frontone (l'iscrizione
Studiorum Universitati Fastigium), si decise di avviare gli importati
lavori di ristrutturazione, affidati al romano Giuseppe Valadier, che
fu architetto, orafo e argentiere. A lui si deve la veste attuale della
cattedrale, in stile neoclassico.
Una volta su piazza Pascoli si ammira la
facciata in pietra del Furlo, costruita su disegno progettuale di
Camillo Morigia, pregiata da forme palladiane grazie all’aggiunta delle
statue create da Giovan Battista Monti: sono in totale sette statue,
quelle poste sopra il timpano rappresentano ciascuna le tre virtù
teologali (e cioè Fede, Speranza e Carità), quelle ai lati estremi sono
di Sant Agostino e di San Giovanni Crisostomo, mentre quelle
ai piedi della gradinata antistante raffigurano il Beato Mainardo da
una parte e San Crescentino (patrono della città), quello vestito da
guerriero con il drago sotto i piedi, dall’altra. I pilastri della facciata
si pregiano anche di eleganti capitelli in stile composito. La nuova
cattedrale terminò i lavori di ristrutturazione nel 1801, riaprendo al
pubblico l’8 settembre dello stesso anno con l’arcivescovo Berioli.
L’interno del Duomo di Urbino, a
croce latina e apparentemente sobrio, si mostra ricco di significative opere
d’arte. La squisita architettura è caratterizzata da un accentuato senso
longitudinale, manifestato da tre bianche navate separate da ampi archi a
tutto sesto e poggianti a colonne di ordine corinzio. Le volte che
affiancano la maestosa cupola cassettonata sono a botte e a crociera. Le
decorazioni interne, tra capitelli e rosoni, sono opera di Francesco
Scala, di Milano, e dell’urbinate Francesco Antonio Rondelli. Il
riminese Antonio Trentanove è invece l’artista della caratteristica
‘cascata’ di angeli visibili sopra il coro e gli altari del transetto.
All'interno dell'altare maggiore è conservata l'urna con il corpo di San
Crescentino patrono di Urbino, decorata con lavori di Camillo Rusconi.
L’originario altare settecentesco donato da Papa Clemente XI, e
trasportato ad Urbino nel 1708, andò rovinosamente distrutto con il collasso
della cupola; l’attuale è il risultato della ricostruzione su disegno di
Alessandro Specchi. Le cappelle laterali sono riccamente decorate e
sono parte della precedente cattedrale sopravvissuta alla rovinosa
distruzione: la cappella del SS. Sacramento conserva ancora le opere
d’arte dell’ultimo ventennio del Cinquecento, come appunto le opere del
Barocci. La seicentesca cappella della Concezione si mostra
all’osservatore ammirato con un bellissimo affresco raffigurante la
Madonna con Bambino, mentre nel soffitto si ammirano gli stucchi dorati
e i dipinti di artisti come Alfonso Patanazzi, Gian Ortensio
Bertucci. Accanto, nella parete, è presente la Natività di
Cignani e l’Assunzione di Maratta.
Le opere d’arte del Duomo di Urbino
sono in effetti tutte molto significative della storia artistica e culturale
della città nel corso dei secoli, dal periodo rinascimentale a quello
neoclassico. Si ammirano in particolare nella campata a sinistra il
Battesimo di Cristo (Antonio Trentanove di Rimini), la
Visitazione (Antonio Viviani) nel primo altare a sinistra, la
Traslazione della Santa Casa di Loreto (Claudio Ridolfi) nel
primo altare, il Martirio di San Sebastiano e la Santa Cecilia
(del Cinquecento) nel secondo altare, di Federico Barocci, l'Imperatore
Eraclio che porta la Croce (Palma il Giovane) nell’altare
secondo, l'Annunciazione (Raffaello Motta da Reggio) nel
quarto altare, mentre nella Cappella della Concezione si trovano le
opere settecentesche di Carlo Maratta (Assunzione in cielo della
Vergine) e di Carlo Cignani (Natività della Vergine).
Nell’altare maggiore troneggia invece l’opera di Cristoforo
Unterperger (l’Assunta con San Crescentino e il Beato Mainardo).
Di particolare pregio è il dipinto ospitato nella Cappella di SS.
Sacramento, rinnovata nel 1588 da Lattanzio Ventura: L’Ultima cena di
Federico Barocci, eseguita tra il 1590 e il 1599 (una tela ricca di
personaggi, di colori e di luci).
Fa parte del Duomo di Urbino anche l’Oratorio
della Grotta, che dal 1501 nel corso dei secoli ha ospitato la
Confraternita Compagnia della Grotta. Ancor prima, in origine, questa
costituiva la quattrocentesca cripta della cattedrale romanico-gotica, poi
trasformata in un deposito per le scuderie ducale. All'oratorio vi si accede
dal portico eretto sul fianco sinistro della cattedrale, scendendo numerosi
gradini e arrivando in un ambiente sotterraneo formato da tre sale,
corrispondenti agli absidali del piano superiore. Le tre sale vennero
adibite a cappelle nel Cinquecento, dedicate alla Nascita, alla Morte e alla
Sepoltura di Cristo, e alle quali nel Seicento se ne aggiunse un’altra,
dedicata alla Resurrezione. Tra le cappelle è posto il cosiddetto il
Corridoio del Perdono, servito a lungo per l’usanza secondo la quale ci
si poteva assicurare il perdono dai peccati percorrendolo più volte durante
il Lunedì di Pasqua. In una di queste cappelle (la terza) è ospitata
una scultura di grande pregio, la Pietà di Giovanni Maria
Bandini, commissionata dal duca Francesco Maria II della Rovere
per il proprio sepolcro ma servita sfortunatamente per il figlio Federico
Ubaldo che infatti morì prima di lui nel 1623. Durante la Seconda Guerra
Mondiale, le grotte della cattedrale servirono da rifugio alle opere
del Tesoro della Basilica di San Marco a Venezia per proteggerle contro
sia le bombe degli alleati che le dilapidazioni dei tedeschi.
Sul lato destro della cattedrale si trova il
Museo Diocesano Albani, formato da due sagrestie: la prima detta
sagrestia vecchia è sorta in epoca rinascimentale, la seconda detta
sagrestia nuova o dei canonici (detta anche Sala del Tesoro) è
invece di origine settecentesca. Ambedue presentano mobili di raffinata
fattura, tra altare, armadi e sedili opera di maestranze francesi, o quadri
e suppellettili ecclesiastiche, e nel complesso arredi liturgici e paramenti
sacri. Tra i preziosi conservati nella sacrestia più antica erano esposti i
quadri che non trovavano posto in cattedrale, tra questi vi era anche la
celebre Flagellazione di
Piero della
Francesca (oggi esposta
qualche metro più in là dalla cattedrale, nella Galleria Nazionale delle
Marche, a Palazzo ducale). Dal 1964 il museo è dedicato all’antica
famiglia Albani, una nobile casata di origine albanese, che contribuì a
numerose donazioni e ad un importante opera di mecenatismo non solo in quel
di Urbino. Giovanni Francesco Albani, nato ad Urbino nel 1649 è
senz’altro il personaggio della famiglia più conosciuto e di potere,
diventato papa nel 1700 con il nome di Clemente XI. A lui si deve la
fondazione, tra le altre, presso il Convento di San Francesco di Urbino,
di una ricca biblioteca destinata ai suoi concittadini e agli studenti della
locale Università, la cui eredità è oggi custodita nella Biblioteca
Universitaria di Urbino. Attualmente il museo si articola in dodici
sale, incluse le due antiche sagrestie, e presenta numerose opere d’arte,
tra cui un calice del XVIII secolo e un Piatto per ampolline di
oreficeria romana dello stesso secolo, una coppia in porcellana
raffigurante i santi Paolo e Pietro, due ampolle con piatto sempre in
porcellana del Settecento, la tela Madonna col Bambino e i Santi Gregorio
e Antonio Abate di Girolamo Cialdieri, la tavola del XV secolo
Madonna del latte attribuita ad Andrea da Bologna, un prezioso dipinto
attribuito a Federico Barocci (San Girolamo Penitente) e il leggio
per coro di Federico da Montefeltro di probabile artigianato inglese del
XV secolo.
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