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Spagna, pochi soldi e sacrifici,
la classe media in agonia
Il ministro della finanze spagnolo per giustificare
la manovra da 65 miliardi, ha detto che senza l'aiuto
della banca centrale europea la Spagna sarebbe fallita
e non avrebbe più avuto i soldi per pagare pensioni,
stipendi pubblici e servizi sociali, quali scuola,
sanità e sicurezza, "non avevamo più un soldo
in cassa". La manovra prevede tra le altre cose
la chiusura definitiva delle miniere di carbone
delle Asturie (in perenne perdita) che danno lavoro
a 4.500 minatori, una corposa sforbiciata ai 3.000.000
di dipendenti pubblici, la soppressione delle tredicesime,
l'aumento di 3 punti dell'IVA, la riduzione dei
sussidi per i disoccupati, la decurtazione del 20%
dei finanziamenti pubblici ai sindacati, il numero
dei consiglieri degli enti locali scenderà del 30%
circa e anche le indennità per i sindaci subiranno
una decurtazione significativa.
Il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy a tale proposito ha
detto: "Non sono misure gradevoli, ma sono imprescindibili.
Abbiamo bisogno che ci prestino denaro. Siamo chiusi in un circolo
dal quale dobbiamo uscire." La firma di Repubblica, Concita
de De Gregorio, in un suo reportage uscito sul quotidiano, fotografa
in modo limpido la situazione di un paese che fino a poco tempo
fa era Spagna Felix, una situazione che ci riguarda da vicino.
Spagna, pochi soldi e sacrifici, la classe media in agonia
CONCITA DE GREGORIO - LA REPUBBLICA | 20 LUGLIO 2012
Repubblica.it
MADRID
- Maria Antonia Ribas ha 48 anni, un figlio matricola all'università
e uno al liceo, un ex marito, un lavoro da bibliotecaria alla
periferia di Madrid, 1125 euro al mese, una permanente fatta
in casa che le ha brucato i capelli, una maglietta con il logo
del supermercato, una laurea in filologia classica con encomio,
un padre militare che la disapprova, una casa di 45 mq in affitto,
650 euro e meno di così in tre non si riesce a spendere. Ora
che passa a 980 di stipendio dovrebbe ritirare i figli da scuola,
pensa, e trovare un posto in un alloggio sociale ma non è mica
facile, sono tutti pieni e c'è la lista d'attesa, passano prima
le donne sole con figli minori e i suoi hanno 16 e 18, non c'è
speranza. Si è offerta nel quartiere per fare le pulizie a ore
ma nessuno può permettersi più una domestica, quelli che le
avevano le hanno già mandate a casa. Sta in piazza con un cartello
che dice "se ci volete morti sparateci", l'ha scritto a pennarello
rosso su un cartone della spesa in un momento, chiarisce, "di
vero malcontento".
L'astio
e il malcontento di chi sta sottovento. «Per sovrapprezzo
— dice — a noi impiegati pubblici ci trattano da profittatori
e sfaccendati, gente che ruba lo stipendio dandosi malata, assenteisti
perché lo so, certo, ciascuno ha in mente un impiegato delle
poste che lascia il cartello "torno subito" per andare a bere
il caffè, un'addetta all'anagrafe che manca dal lavoro da due
anni, gli aneddoti sono mille. D'altra parte i posti pubblici
sono stati usati per decenni dai politici locali come merce
di scambio, hanno piazzato figli amici amanti e devoti per generazioni
e sicuro che fra questi ce ne saranno parecchi che ne hanno
approfittato. Ma siamo quasi tre milioni, e di questi tre milioni
la maggioranza, glielo assicuro, è fatta da gente come me: che
non è mai mancata un giorno e se necessario ha lavorato fuori
orario, che ha aiutato i suoi scolari nei compiti il pomeriggio,
ha assistito i malati con pazienza, ha accompagnato a casa l'anziana
che non ricordava la strada. Anche di questi episodi potrei
raccontarne a centinaia. Noi siamo lo Stato, piaccia o non piaccia.
Storto in qualche sua parte, difettoso forse, comunque quello
che questo Paese è stato in grado di produrre nei secoli, e
gli somiglia. Noi siamo la Spagna, e se ci vogliono morti bisogna
chiamare le cose con il loro nome: è una guerra civile».
Una
guerra civile senza ideali da difendere, al contrario di quelle
anche recenti di cui i vecchi hanno memoria. Senza parte politica
né bandiere. Una guerra cattiva fra chi sta sopravvento e chi
sottovento nella barca che fa acqua. Affonderà per tutti, nel
caso, ma intanto chi siede sul bordo più alto spinge in mare
il suo vicino e nessuno che pensi al vento e alla rotta da tenere:
si salvi chi può, il mio vicino è il mio nemico. È l'ossatura
dello Stato, questa volta, a ribellarsi contro chi governa:
milioni di funzionari pubblici, gente fra quaranta e cinquant'anni
più esasperata che rabbiosa, più stanca che indignata. Li vedi
in piazza con le magliette slabbrate dalle lavatrici, le donne
con le forcine in testa e le ciabatte da ospedale, quello in
cui lavorano nei turni di notte.
L'orda
dei sottovento, nelle strade di Madrid e della Spagna intera,
è un esercito di più due milioni e mezzo di persone, quasi tre.
Se cerchi ci trovi la maestra dell'asilo di tuo figlio, l'infermiere
che ha assistito tuo padre, la preside della scuola media, il
pompiere dell'angolo sotto casa, l'autista del bus, il vigile
urbano, la postina. Sfilano sotto i palazzi del governo con
le maglie nere, a lutto. Sono la classe media, una volta si
sarebbe detto la piccola borghesia impiegatizia. Guadagnano
fra mille e duemila e cinquecento euro al mese: i loro stipendi
sono stati tagliati tre volte in due anni, l'ultima volta la
settimana scorsa, meno sette per cento. A Natale non prenderanno
la tredicesima. L'Iva intanto è salita dal 18 al 21 per cento,
la bolletta della luce costa in media 36 euro in più al mese,
le tasse universitarie per i figli segnano un più 50 per cento.
L'assistenza sanitaria pubblica agli anziani è stata tagliata
da quella che chiamano "legge canaglia", 260 mila ultraottantenni
non avranno più diritto a cure pubbliche. L'emigrazione di chi
ha fra 25 e 45 anni quest'anno è cresciuta del 44 per cento:
scappano. Quasi cinquantamila persone — qualificate, laureate,
nell'età centrale della vita — da gennaio a giugno sono fuggite
al Nord: Scandinavia, Inghilterra, Germania. Di quelli che sono
rimasti uno su quattro è senza lavoro: 25 per cento di disoccupati,
e ora sono finiti anche i sussidi.
Il
governo di Mariano Rajoy detto "il bugiardo" ha bisogno di 65
miliardi di euro. Il bugiardo perché nemmeno questo, gli rimproverano,
ha avuto il coraggio di dire: a quanto ammontasse l'importo
della manovra. Ieri al dibattito non era in aula. Giorni fa
quando ha annunciato i tagli agli stipendi dei dipendenti pubblici
e l'abolizione delle tredicesime i deputati del partito popolare
lo hanno applaudito. Applausi osceni, con la folla a battere
le pentole sotto le finestre del congresso. Una deputata del
Ppe, Andrea Fabra, 39 anni, terza legislatura, figlia di un
vecchio notabile di epoca franchista oggi sotto inchiesta per
malversazione, ha detto ai microfoni «che si fottano»,
que se jodan.
È
stata la scintilla che ha dato fuoco alle polveri. Per cinque
giorni consecutivi hanno inalberato cartelli contro di lei e
per estensione contro la classe politica intera: che si fottano
loro, "la prossima disoccupata sia Andrea Fabra", in spagnolo
fa rima. Per sventurata coincidenza, inoltre, negli stessi giorni
si è inaugurato a Castellon, feudo della dinastia politica dei
Fabra, il monumento in stile nordcoreano voluto dal padre di
Andrea, Carlos, in onore di se medesimo e dell'aeroporto inutilizzato
da lui fatto costruire con denari (miliardi) della regione.
Il molosso, l'uomo-aeroplano, è costato 300 mila euro e consta
di un gigantesco busto maschile sul cui capo sta appoggiato
un aereo lucentissimo, l'unico per ora mai visto nell'aerostazione.
I centralini dei giornali sono impazziti. Altro argomento non
hanno le lettere pubblicate dai quotidiani: che la classe politica
cominci a tagliare da se stessa, che se ne vadano i corrotti,
che rinuncino ai loro privilegi, ai posti sicuri per i loro
figli incompetenti. Un'onda altissima, una rivolta che non conosce
destra né sinistra, una sollevazione di popolo. L'eco dello
tsunami è arrivato fino alle stanze ovattate della reggia se
di punto in bianco il re e suo figlio Felipe hanno comunicato
la decisione sovrana di ridursi del 7 per cento il vitalizio:
da 290 a 270 mila euro quello di Juan Carlos, da 145 a 135 quello
dell'erede al trono. Mentre ancora ed ogni giorno si stendono
per strada a simulare la morte uomini e donne vestiti di nero
finalmente, dopo una settimana, la rampolla dei Fabra ha chiesto
scusa, "mandarli a farsi fottere è stato inopportuno", poi sottovoce
ha detto "non penseranno mica che voglia diventare io il capro
espiatorio", perbacco.
Il governo ha annunciato in pompa magna,
dopo lungo conclave, che i "mi-leuristas", coloro che guadagnano
meno di mille euro, avranno la tredicesima. Quelli che prendono
fino a 962 euro netti, per l'esattezza. Peccato che, a conti
fatti, siano meno di 15 mila: lo 0,6 per cento del totale. Peccato
anche che in questo modo chi guadagna 960 euro finirà per avere
più di chi ne prende 1100, una guerra fra poveri, nuove e più
sgomente proteste. Per la prima volta nella storia del Paese
si è assistito in diretta, durante il telegiornale delle nove
di sera, all'occupazione del video. Canale 9, la tv autonoma
di Valencia — le emittenti delle autonomie locali sono di proprietà
delle regioni, in modo diretto o indiretto, e costano milioni
di euro — ha presentato un piano di ristrutturazione in cui
si annunciano 1295 licenziamenti. Il 76 per cento del personale.
A casa, senza ammortizzatori. La nuova legge sui licenziamenti
lo consente. Mentre il giornalista leggeva il tg hanno fatto
irruzione nello studio a centinaia, quelli che non entravano
hanno occupato il palazzo. Intervento della polizia, sgombero,
trasmissioni interrotte, video nero.
Alle famiglie a casa, all'ora
di cena, è sembrato un presagio di guerra.
In
effetti lo è. Fioriscono in rete appelli al razionamento, al
boicottaggio dei consumi per contrastare l'aumento dell'Iva.
Un decalogo diffusissimo inizia così: «Quando vuoi comprare
qualcosa chiediti se è realmente necessario o se può aspettare.
Non consumare energia: usa le scale per scendere e se puoi anche
per salire. Spegni le luci, la sera usa candele. Limita l'uso
di tv e computer: gioca a carte, leggi libri ». Alla biennale
di Venezia arriverà dalla Catalogna l'anno prossimo una performance
intitolata «25%», la percentuale dei disoccupati: dieci
persone come fantasmi in vetrina. La copertina di un giornale
portava la settimana scorsa le fotocopie di tre buste paga.
Una maestra con 15 anni di servizio: 2000 euro. Un poliziotto
di alto grado e fuori sede: 2300. Un consigliere comunale della
stessa città: 5800. Intervistato, il consigliere comunale (34
anni, nessun titolo di studio, indicato dal partito e non eletto)
diceva riecheggiando recenti parole di Rajoy: ci riprenderemo,
è una fase, non siamo mica l'Uganda. Di come vadano le cose
in Uganda nessuno sa moltissimo, a queste latitudini. Il collasso
della classe media del quarto paese più industrializzato di
Occidente invece è qui sotto, basta affacciarsi alla finestra
del Palazzo. Quasi tre milioni di persone coi piedi già in acqua.
A lasciarli scivolare in mare sarà un'ecatombe. Non è detto
che non corra sangue, nella lotta per la sopravvivenza. Non
è detto, soprattutto, che senza equipaggio né rotta la barca
comune non affondi comunque.
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