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Il consumo di territorio è un'emergenza da affrontare con urgenza.
Analizziamo le cause di questo preoccupante fenomeno e le possibili
strategie concrete per limitare il suo impatto ambientale.
Italia terra di bellissimi
paesaggi. Terra del Tavoliere di Puglia e della Pianura Padana, delle Alpi e
degli Appennini. Ma anche terra della cementificazione. Ogni anno
nel nostro Paese vengono sottratti alla natura circa 500 chilometri
quadrati di territorio, equivalenti a tre volte l'area urbanizzata di
Milano.
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Un fenomeno che nasce nel dopoguerra ma in netta
crescita negli ultimi 15 anni che ha portato la superficie edificata ad
occupare l'equivalente di Puglia e Molise messe assieme (dati Legambiente), pari al 7,6% dell'intero territorio
e a 415 metri quadri per abitante.
In testa alla
classifica abbiamo la Lombardia, con il 14% di superficie artificiale,
seguita dal Veneto con l’11%, dalla Campania con il 10,7%, dal Lazio e
dall’Emilia Romagna con il 9%. Se da un lato comunque i dati italiani sono
in linea con quelli europei, dall'altro ciò che rende la nostra situazione
diversa da quella del vecchio continente è la modalità con la quale
si costruisce.
I centri città si stanno infatti progressivamente svuotando a
causa dei costi elevati degli affitti. Ne consegue una continua espansione
delle metropoli senza che queste si integrino con il territorio e senza che
avvenga un adeguamento dei trasporti pubblici e dei servizi. E con trasporti
pubblici scadenti per raggiungere il centro diventa inevitabile l'utilizzo
dell'auto, con la conseguente congestione del traffico in città.
In Italia quindi quasi
1.000.000 di case delle grandi città è vuoto: in testa Roma con 245.142
abitazioni, seguita da Cosenza con 165.398, Palermo con 149.894, Torino con
144.398 e Catania con 109.573. Una grave conseguenza della corsa al cemento
è la sottrazione di suoli all'agricoltura, quantificabile in 9.400
ettari all'anno solo in Emilia Romagna, Lombardia e Friuli Venezia Giulia.
L'effetto negativo forse più devastante della cementificazione del
territorio è il dissesto idrogeologico, le cui cause oltre che
naturali, sono da ricercare proprio negli errori dell'uomo e nella sua
sfrenata espansione. Come dimenticare le alluvioni di Sarno,
quella in Veneto del 2010, nel 2011 la Liguria e la Toscana e tante altre.
Se è vero che si è trattato di fenomeni atmosferici eccezionali, è anche
vero che tra le principali cause delle alluvioni c'è infatti proprio la
costruzione di nuove infrastrutture, le quali rendono il terreno
impermeabile con la conseguenza che solo una piccola parte dell'acqua
piovana riesce ad infiltrarsi in esso.
L'acqua piovana inoltre defluisce
verso i canali di scolo molto più rapidamente con un conseguente
incremento dei valori di portata di piena dei corsi d’acqua. Altra causa
delle alluvioni è anche il disboscamento, che favorisce il rapido
deflusso delle acque nei bacini montani e che elimina l'effetto, per così
dire, "riparatorio" nei confronti dei corsi d'acqua stessi.
Come
impedire tutto questo? È necessaria innanzi tutto una corretta
pianificazione del territorio. Per troppo tempo
in Italia si è creduto che il
"mattone" potesse essere uno dei traini dell'economia. Ma ora si potrebbero
dirottare le stesse risorse destinate alla costruzione di nuove aree urbane
proprio verso la manutenzione della nostra terra, come la pulizia dei
corsi d'acqua, la riforestazione, l'innalzamento degli argini
e la cura delle pareti montagnose pericolanti, nonché nella
ristrutturazione delle abitazioni già esistenti e magari disabitate
perché ridotte al degrado. In questo modo le stesse risorse che vengono di
solito impiegate per le nuove costruzioni, possono essere impiegate un altro
modo con la possibilità di creare nuovi posti di lavoro o preservarne quelli
già esistenti.
"Nella
legislazione italiana, e in quella delle Regioni, mancano ancora regole
efficaci sulle facoltà di trasformazione dei suoli. È questo che ci ha
spinto a farci promotori di un progetto di legge popolare, che introduce
oneri a carico di chi, potendo riutilizzare aree dismesse della città,
decida invece di costruire in aree aperte. Qualunque sia la politica che una
regione attua per il governo del territorio, riteniamo irrinunciabile che
essa sia confortata da un'attività di verifica e monitoraggio, oggi
estremamente lacunosa, e questa è una delle ragioni che ci ha spinto ad
impegnarci nell'elaborazione del rapporto", ha detto Damiano Di Simine,
presidente di Legambiente Lombardia.
In Italia in teoria esiste già un
piano anti dissesto concordato con gli
enti locali, che prevede
investimenti
per oltre due miliardi di
euro. Secondo Legambiente l'82% dei co muni
d'Italia sarebbe a rischio idrogeologico, per la maggior parte
concentrati in Valle d'Aosta, Umbria, Calabria, Marche e Toscana. Ma i fondi
necessari al momento non sono stati stanziati. Occorre però far presto, non
c'è bisogno di esperti meteorologi per capire che anche nel nostro Paese il
cambiamento climatico
si manifesta sempre più con piogge in cui vengono "scaricati" a terra
quantitativi d'acqua che normalmente cadevano in un arco di tempo più ampio,
con tutte gli effetti che ne conseguono, vedi per esempio l'alluvione di
Genova nell'autunno 2011.
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