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Isole Eolie
Le Eolie formano un arcipelago di sette isole
principali, di cui le tre maggiori — cioè Lipari (kmq, 37,5) con
Vulcano (kmq. 21) a sud, e Salina (kmq. 26,8) a ponente —
alquanto aggruppate. Le minori sono a una qualche distanza: verso ovest, a
più di una trentina di chilometri da Lipari, si trova Filicudi (kmq.
9,5) e a più di 50 chilometri Alicudi (kmq. 5,2); a nord-est, a più
di 20 chilometri da Lipari, il gruppetto di Panarea (kmq. 3,4) con
Basiluzzo e alcuni scogli, e agli estremi di questa direzione l'isola
più celebre, Stromboli (kmq. 12,6), che dista 40 chilometri da Lipari
e poco più dí 50 da capo Vaticano, in Calabria. |
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Queste
isole sono scaglionate su tre linee, che si intersecano nello
spazio di mare tra Lipari, Salina e Panarea formando con probabilità tre grandi direzioni di
frattura. Lungo queste linee emersero (fino da età
miocenica, ma in modo speciale nel Pliocene) vari vulcani e le isole sono
rimaste fino ai nostri giorni un centro di grande sismicità. "In questo
gruppo — scriveva nel 1892 Emilio Cortese nella sua
Descrizione geologico-petrografica delle isole Eolie
— si trovano il vulcano antichissimo,
dal cratere smembrato e distrutto in gran parte (Panarea); quello meno
antico dal cratere straordinariamente dilatato, quasi irriconoscibile, che
ne abbraccia uno più recente (come nell'isola di Vulcano). Numerosi i
vulcani spenti, ma che mantengono le loro belle forme coniche e i loro
crateri caratteristici. E finalmente vi troviamo l'esempio del vulcano in
eruzione periodica (lo Stromboli: cima a metri 926), se non l'unico, certo
il primo stadiato del genere, e che ha dato il nome alla fase vulcanica in
cui si trova. E troviamo il Vulcano per eccellenza, di nome e di fatto, che,
sopito per anni e anni, a un tratto si ridesta Vulcano e per più di un anno
si mantiene in attività, attività decrescente, ma grande nel primo periodo
(agosto 1888) e maestosa nelle sue manifestazioni. E degna della varietà
delle forme e degli stadi dei vulcani, è la varietà dei materiali eruttivi e
sedimentari che vi si trovano". I
vulcani si crearono in seno al mare, da un rilievo sottomarino che l'isobata
di metri 1000 pone bene in risalto, ma poi sono venuti elevandosi con
diverse vicende e fasi di cui sono prova vari terrazzi scolpiti nei tufi
marini giallastri di Lipari (dove se ne riconoscono tre ordini), di Salina e
di Panarea (forse due ordini), di Stromboli, di Filicudi e di Alicudi
(un solo piano). Il Cortese ha assegnato al terrazzo più elevato di Lipari
una datazione pliocenica, e ha posto i due seguenti in età pleistocenica. Ma
l'interesse dell'arcipelago eoliano non si riduce alla struttura e alla
morfologia vulcanica: questo sciame di isole ci dà pure, meglio della
Sicilia, l'idea di un clima e conseguentemente dì una flora mediterranei.
Una temperatura mite in qualunque stagione dell'anno (ma dati precisi sono
conosciuti solo per Stromboli) con medie di 11-13° fra dicembre e febbraio,
di 14° in marzo, di più di 20° in maggio, di più di 27° in luglio, di 25,3°
in settembre e di 21° in ottobre.
Riassumendo in totale, l'arcipelago ha
diciassette isole, ma solo sette sono abitate. Solo tre isole
sono raggiungibili in auto. Tutte le isole sono di origine
vulcanica, ma solo Vulcano e Stromboli ancora un vulcano attivo.
Le sette isole abitate dell'arcipelago principali sono:
Lipari
10 554 abitanti, la città dello stesso nome ( Lipari ) è la
capitale.
Salina
2300 abitanti, è la seconda isola più grande dell'arcipelago.
Vulcano 717 abitanti;
Stromboli 420 abitanti, con il famoso vulcano in
attività, l'unico di Europa con l'Etna , a parte i vulcani in
Islanda;
Panarea
280 abitanti, misura solo 3,4 km2 ;
Filicudi 250, dispone di sei vulcani spenti;
Alicudi 150 abitanti, è l'isola più occidentale
dell'arcipelago.
Scarsa la
piovosità (620 mm. annualmente a Stromboli e poco meno a Lipari)
che si limita per buona parte (7/10) ai mesi da ottobre a marzo; verso la
metà di aprile inizia la stagione asciutta, con rari piovaschi: a metà
primavera e in piena estate è frequente il caso di una cinquantina di giorni
senza la minima erogazione meteorica. Solo i coni più elevati — quelli di
Salina in modo particolare — sono coperti frequentemena vegetazione una
discreta umidità. Tipico delle isole però, specialmente nei mesi meno caldi,
è il vento (da cui venivano azionati una volta diversi mulini), a motivo
della depressione interessante in quei mesi la zona fra Creta e le isole
Baleari: in inverno domina il vento da ovest e ha una particolare violenza.
Ma a metà primavera la sua energia va diminuendo e in estate il vento scende
da nord-est. Questo è l'elemento del
clima
locale che la prima popolazione delle isole — una stirpe neolitica
largamente dedita alla navigazione ha conosciuto meglio e forse temuto di
più: da ciò trae le sue origini, con probabilità, la favola di Eolo,
da cui le isole derivarono il loro nome fino da età greca.
Ai nostri tempi però, molto più che i venti (la
navigazione a motore può so-stenere meglio la loro azione) è l'aridità
che crea seri problemi alla popolazione soprattutto per ciò che riguarda il
suo alimento idrico. La quantità più forte di questa alimentazione vien
ricavata da cisterne una per ogni casa — in cui si fa scolare la erogazione
piovana raccolta nei terrazzi delle abitazioni. Ma per la poca vastità del
terrazzo e per la mediocre e solo invernale piovosità, i quan-titativi
idrici raccolti in cisterna riescono solo per alcuni mesi — cioè frà la fine
di ottobre e la metà dí aprile — a colmare discretamente i bisogni di ogni
abitazione. Per gli altri mesi ve ne è carenza; e nelle isole minori e nelle
frazioni rurali di Lipari il problema si risolve diminuendo i consumi a 3 o
4 litri per abitante giornalmente o facendo appello — in occasione di più
acuta magra — a cisterne gestite dai comuni.
Diversamente, nell'abitato di Lipari e nei
migliori villaggi di Salina (Santa Marina e Malfa) e in estate pure a
Stromboli, la deficienza è coperta mediante notevoli quantitativi di acqua
(30.000 t. annualmente) portati da navi-cisterna che ne portano il carico in
genere da Messina ma qualche volta perfino da Augusta. Negli ultimi anni
allo scopo di aumentare le riserve idriche, è stato costruito sul versante
nord del monte Giardina — a 200-220 metri di altitudine — un piano (li
raccolta a lastre dì cemento. di 80 are. e un secondo di superficie
leggermente più vasta è stato allestito sul più elevato terrazzo marino (a
m. 510-530) che si profila a sud del monte Sant'Angelo. La situazione idrica
ha veramente dell'incredibile e oggi come 70 anni fa, la situazione è simile
(vedere a tale proposito questo bell'articolo del sito l'Inkiesta :
Lipari Acqua e Sprechi
In questo clima di inverni moderati e di estati
asciutte e lunghe (la accezione està per i liparoti significa una
stagione che inizia i primi di maggio e finisce a metà di ottobre) prende
rigoglio una tipica vegetazione mediterranea che l'uomo ha dove più e dove
meno alterato o distrutto, ma in diverse zone si è conservata meglio che
sulle vicine coste della Sicilia: cespuglieti di querce a foglia spinosa,
oleandri, mirti cisti e stipe (molto frequenti sulle ceneri dei vulcani più
giovani), ginestre (queste più numerose e di forma arborescente, usate in
genere per combustibile), poi arbusti di rosmarino, timo e spigo, lentisco
ed eliotropio. Ad eccezione del loro centro principale, cioè Lipari città
nell'isola omonima, che ospita alcune migliaia di abitanti, le isole non
mostrano — come la vicina costa siciliana o bruzia — la tendenza
all'insediamento annucleato, cioè l'esigenza della popolazione ad
asserragliarsi su punti arroccati, per lungo e radicato timore di
depredazione dal mare. Ciò significa che qui il popolamento è giovane e si è
svolto in tempi di tranquillità.
Quasi un terzo della popolazione oggi vive sparso,
e un sesto in villaggi formati da vari casali a poca distanza fra loro; un
terzo dimora in villaggi con popolazione fra cinquecento e un migliaio di
abitanti ma con struttura tipicamente aperta. ?un modo di insediarsi che,
dopo diversi secoli di spopolamento (culminati con la devastazione di Lipari
e la deportazione di 9000 persone ad opera del turco Kair ed-Din nel
1544), si instaurò solo agli inizi del XVIII secolo, quando il timore delle
depredazioni corsare svanì. Ma già da più di un secolo la distrutta Lipari
era stata riedificata e munita di elevati muraglioni — conservati fino ad
oggi — e già verso il 1620 si era iniziata con sistemi efficaci la
coltivazione delle isole minori nei luoghi più sicuri dei loro pianori
elevati: prima a Salina, poi a Panarea e Filicudi. Il ripopolamento quindi
fu rapido: ma in genere la Sicilia non vi ebbe molta parte. Da vari elementi
— cognomi, tipi di casa rurale e vari documenti — si ha la prova che i
distretti di provenienza degli immigrati sono stati principalmente la costa
policastrese e quelle salernitana e amalfitana. Nel 1694, come informa un
erudito liparota di quel tempo, Pietro Campis in un suo Disegno
istmico di Lipari, la popolazione eolica contava 10.000 abitanti e viveva in
buona parte nell'isola principale: le minori erano scarsamente abitate, ma
erano coltivate da liparoti che d'abitudine vi si recavano nei mesi dei
raccolti agricoli.
Però dopo gli inizi del XVIII secolo, una volta
reso tranquillo lo spazio di mare tra
Napoli
e Palermo, pure le isole minori furono via
via popolate: e con l'aumento e l'irradiarsi per esse degli uomini si
sviluppò la navigazione velica, che strinse più regolari relazioni coi porti
di Napoli e di Salerno e con le coste siciliane e si dilatò, sui fertili
pianori scolpiti nei tufi, la coltivazione della vite, sia per la fornitura
di uve passe (di una qua-lità priva di semi), come per la produzione di un
vino liquoroso e aromatico (malvasia), di cui lo smercio — per Napoli e
Venezia — era già forte verso il 1750. Nel Risorgimento poi, con il primo
fio-rire di una industria nazionale, riacqui-stò valore anche il materiale
vulcanico: dopo il 1850 si sviluppa l'industria della pomice di cui
biancheggia il versante nord-orientale di Lipari, e ai limiti della zona
dove fu intrapresa la sua escava-zione e la sua lavorazione sono venuti
nascendo — in rientranze della costa con-venienti al carico di questo
materiale sul-le barche — nuovi villaggi. Così pure a Vulcano — la più
inospite delle isole per le emanazioni solforiche — era stata crea-ta una
industria per l'estrazione di zolfo e di allume; ma l'ultima eruzione degli
anni fra il 1888 e il 1890 mandò in rovina le industrie e bruciò le colture,
le quali furono ristabilite soltanto dopo il 1910.
Lipari, centro delle Eolie
Lipari, si è ingrandita e riani-mata; è uscita dai muraglioni del
XVI secolo, fra cui era stata raccolta e difesa per così lungo tempo, e si
è dilatata sulla piana di alluvione che la circonda ad ovest, migliorando le
condizioni di scalo delle minuscole rientranze con le quali la piana scende
in mare. La nuova fortuna economica delle isole si è riflessa nel rapido
aumento di popolazione, che dopo il censimento del 1881 registra il valore
demografico più elevato a cui le isole siano giunte nella loro storia:
22.840 abitanti. Dopo questo periodo si assiste ad una costante flessione, le
cui ragioni sono da ascriversi principalmente ad un fattore economico. Infatti, mentre
negli ultimi due secoli le isole Eolie, e specialmente Lipari e Stromboli,
costituivano un comodo scalo per la navigazione velica, questo traffico fu
interrotto sia per l'introduzione della navigazione a vapore che non
richiedeva scali intermedi, sia per l'edificazione, verso il 1880, di una
via carrozzabile per il Cilento e la costa occidentale della Calabria, sia
per la costruzione della ferrovia da Salerno fino a Reggio Calabria, sia — infine —
per il regolare servizio di navigazione istituito, dopo il 1870, fra Palermo e Napoli, che lasciò fuori dal suo itinerario le isole.
D'altra parte
la proprietà rurale per il rilevante aumento demografico si era
gradatamente frantumata e non dava più modo di alimentare la famiglia del
coltivatore, che quindi fu costretto a cercar integrazioni per i suoi
introiti come operaio o come pescatore. E a colmare la gravità di queste
condizioni venne negli ultimi anni del secolo (primi segni dopo il 1890)
la infestazione della peronospora (microrganismo appartenente
alla classe degli oomiceti, originario dell'America e importato
accidentalmente in Francia intorno al 1878, da cui si è poi diffuso in tutta
Europa) che rovinò in pochi lustri i 3/5 dei
vigneti. Il rimedio alla povertà che dilagava fu naturalmente l'emigrazione,
che in realtà era già iniziata verso il 1880 ma che aumentò dopo il 1900,
con deflussi di diverse centinaia di persone (5-700 annualmente) fino al
1915. La natalità —depressa essa stessa, in quanto l'emigrazione faceva
partire in
genere gli elementi giovani — non aveva certo la facoltà di riempire questi
vuoti; quindi la popolazione diradò gradualmente: 20.300 abitanti nel
1901, 19.725 nel 1911, 17.000 nel 1921. La guerra del '15-'18 aveva arrestato
per qualche anno il fenomeno, ma esso si rianimò nel 1920.
L'emigrazione si
era orientata inizialmente per l'America (per 3/5 almeno negli Stati Uniti);
ma poi, verso il 1910, cominciò a dirigersi verso l'Australia, che divenne la meta pressoché esclusiva degli eoliani. Nel secondo dopoguerra
il fenomeno ha riacquistato la notevole portata di cinquanta anni prima (un
migliaio di emigrati nel 1950 e poco meno negli anni seguenti), ma la
natalità si è tenuta su limiti moderati e l'eccedenza del nati
sui morti supera di pochissimo l'1%. Quindi il diradamento della popolazione
è continuato, con la conseguenza che molte colture, sia di grano sia di
vite, furono lasciate perdere o trascurate, come mostravano in ciascuna di
queste isole i terreni sistemati in origine a terrazzo ma poi dimenticati e
invasi da roveti o da sparto, e i ricoveri in rovina sulle pendici dei
principali coni fino a quote di 600 metri. Due terzi della popolazione
vivono nell'iola di Lipari, dove la diminuzione della
popolazione si è manifestata in modo meno sensibile, anche per la sua
favorevole posizione naturale. Lipari, insieme a Salina
fornisce i quattro quinti della produzione di vino delle isole (per il resto
degna di nota è Stromboli), che in totale sfiora i 95.000 ettolitri, tratti
da una coltura speciale di poco meno di 1800 ettari: ma la tipica malvasia
costituisce ora una minima parte di questa quantità (poco più di un migliaio
di ettolitri), data la richiesta, più forte oggi di una volta di vino
comune.
E
Lipari, poi, ha i migliori giacimenti mediterranei di un materiale come la
pomice, il cui efficace sfruttamento è iniziato solo verso il 1900, quando i
suoi usi sono divenuti più frequenti, sia nella vita domestica come in vari
rami dell'industria allo stato di polvere e in grani per le costruzioni
edili. Deodat De Dolomieu nel 1781 definì l'isola di Lipari
"l'immenso magazzino che fornisce la pomice a tutta l'Europa", anche se
all'epoca l'attività estrattiva era ancora poco organizzata e l'economia
isolana era basata fondamentalmente sull'agricoltura, famosissimi erano i
vini di malvasia e di uva passa, così come i capperi e i fichi secchi.
Per il resto, la popolazione delle isole esercita
in larga misura la pesca (alici. sarde e sgombri molluschi e crostacei);
quella del tonno, del palamito e dello spada luna è praticata dopo la metà
di primavera a Lipari e a Stromboli. La pesca salata e fresca alimenta il
mercato di Messina. E dai campi gli eoliani ricavano pure olive e buona
quantità dì frutti: al primo posto i fichi; poi minori produzioni tipiche,
come i capperi, e infine lo sparto. Dagli anni 50 del 900 c'è anche la
nuova vocazione turistica.
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