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Sala della Pace
Accanto alla
Sala del
Mappamondo, nel
Palazzo
Pubblico di
Siena,
si trova l'altrettanto bella Sala della Pace, che
era la storica sede pubblica del Governo dei Nove, al
quale abbiamo già accennato in queste pagine della
nostra guida della città. Le pareti di questa
sala sono interamente coperte dal ciclo di affreschi
più famoso della città, ossia l'Allegoria del
Buono e del Mal Governo, dipinto da Ambrogio
Lorenzetti tra il 1338 e il 1340. Un capolavoro
universale.
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Il
"Governo dei Nove" durato dal 1892 al
1355, questo governo segnò a Siena il tramonto del
partito ghibellino e la prevalenza della parte
guelfa. Coincise anche come uno dei periodi più
floridi della storia di Siena.Questo
scenario venne incoraggiato da una relativa stabilità politica serenamente
difesa dai Nove (rappresentanti della ricca borghesia e dell'alta finanza
che attraverso un articolato organismo di magistrature, regolavano in
effetti la vita della repubblica senese). A un avvicendarsi di alterne
condizioni economiche, corrispose un indubbio progresso culturale
(soprattutto per la missione dell'Università) e un'incomparabile fioritura
delle arti.
Appunto al "Governo dei Nove" sono dedicati i
grandi affreschi di Ambrogio Lorenzetti del periodo 1338-1340, che
decorano le pareti della sala e si costituiscono il più vasto complesso di
pitture del medioevo dedicato a un soggetto profano. Il Lorenzetti affrontò
il tema della glorificazione di questo governo attraverso un ciclo di
allegorie nelle quali concetti astratti (governo, virtù, vizi, eccetera)
sono rivestiti, come nella consuetudine, di fattezze umane. Si ritiene
probabile che per il complesso concatenarsi delle figurazioni commentate da
lunghe didascalie esplicative in lingua volgare, Ambrogio Lorenzetti dovette
confrontarsi con persone di grande cultura e filosofi, di probabile stazione
aristotelica-scolastica.
Nella
parete opposta alla finestra si trova la parte dell'affresco del Buon
governo. Il concetto è che il Governo di Nove (simboleggiato dal re in
trono con la veste bianca e nera, cioè con i colori di Siena, ricordata
anche dai due gemelli e dalla lupa) è buono perché si fonda sull'osservanza
delle virtù umane e divine. Le virtù umane sono personificate dalle sei dame
che siedono ai fianchi del re: alla sua destra, la pace, la
fortezza, la prudenza; alla sua sinistra, la magnanimità,
la temperanza, la giustizia. Le virtù divine (fede, speranza e
carità) volteggiano sul capo del re. Virtù somma del governo è però la
Giustizia, raffigurata una seconda volta dalla gentildonna seduta,
isolata, all'estremità sinistra della scena, a sua volta ispirata dalla
Sapienza che la sovrasta.
In tal modo tutti ceti cittadini sono concordi
nel rendere omaggio al governo: e si vendono qui rappresentati dai 24
personaggi che tengono due corde (secondo un'etimologia sbagliata, ma
figurativamente più accettabile di quella giusta, della parola "Concorde"
che significa col cuore e non con le corde). Queste corde scendono dai due
piatti della bilancia della Giustizia sui quali vegliano due angeli
(simboli della giustizia commutativa e distributiva di aristotelica
memoria), sono raccolte della Concordia (sulle ginocchia a la pialla
destinata a umiliare le pretese degli ambiziosi), e da lei passate ai 24
personaggi che le offrono al re. La sicurezza militare del governo è,
infine, esemplificata, sulla destra dell'affresco, dai cavalieri armati che
sorvegliano un gruppo di prigionieri.
Da questa compressa macchinosa elucubrazioni
tutta medievale, Ambrogio Lorenzetti uscì vincente grazie all'accuratezza
del suo sguardo per far esprimere ai personaggi raffigurati nell'affresco
(sia pure con sobrietà di stile consono ai tempi e all'austerità del tema)
quelle qualità morali e quei sentimenti che essi dovevano simboleggiare: si
vedono, per questo assunto, in particolare, le immagini della Pace
(che ha dato il nome alla sala), della Concordia, della Prudenza
e i volti, ora rassegnati, ora sofferenti, i prigionieri di guerra.
Nella
parete d'ingresso si trova la parte dell'affresco dedicata a Gli effetti
del buon governo in città in campagna. Vi si racconta come una città ben
governata è anche necessariamente ricca e felice, lo si vede dalla quantità
e dal decoro dei suoi edifici, dal lussuoso abbigliamento dei suoi
cittadini, dal loro ottimismo festoso, dalla prosperità dei suoi mercati. In
questo modo Lorenzetti ci dona una visione (non certo del tutto arbitraria
data la sua costante attenzione al vero) della Siena dei suoi tempi, con le
sue tante case torri, i suoi vicoli, le sue piazze, dove fanciulle battono
il cembalo e danzano, si celebrano matrimoni, fervono i commerci. Questa è
senza dubbio il più scenografica affresco di tutto il ciclo, il più famoso
per l'immediatezza evocativa e, nello stesso tempo, per tanta varietà di
immagini che non ci consente di fissare un punto unico d'osservazione, per
una festa, infine, di colori, che la "chimica dei secoli" ha purtroppo
mortificato ma non spento.
Se
il governo è buono se ne vedono gli effetti anche in campagna: perciò
Lorenzetti ci evoca nell'altro grande affresco della parete, al là dalle
mura merlate della città che fanno da cornice divisoria tra le due
composizioni, la regione collinare che circonda Siena, così avara e pur così
tenacemente e geometricamente ordinata e coltivata (sullo sfondo, uno
squarcio della Maremma: il porto di Talamone). Anche in questo,
purtroppo deperito, affresco variano gli aneddoti, deliziosi racconti di
vita campestre: c'è chi va a caccia col Falcone, spinge l'asinello col
bastone o il maiale grasso, chi ara e batte il grano, chi pesca, chi s'avvia
al mercato, mentre gli animali brucano tranquillamente e fuggono spaventati
davanti ai cacciatori.
Nella
parete opposta si trova l'affresco il Malgoverno i suoi effetti
città in campagna. Sono gli affreschi più guasti di tutta la sala tanto
da non essere facilmente leggibili. Sono, ovviamente, il rovesciamento
allegorico (e perciò figurativo) dei concetti espressi nei precedenti
affreschi: si passa, in sintesi, dal bene al male. Così il Mal Governo
troneggia con la spada dell'oltraggio il calice dell'ingordigia posando i
piedi su un caprone nero (Belzebù?), dagli occhi strabici, due zanne ricurve
come le corna che fuggono dalla testa. Sopra di lui ci sono la Tirannide,
l'Avarizia e la Vanagloria, e sui lati siedono la Crudeltà,
l'Inganno, la Frode, il Furore, la Discordia, la
Perfidia; la Giustizia è in catene è derisa e calpestata. Quanto agli
effetti del cattivo governo, i pochi frammenti si lasciano immaginare se
integri, lo sfacelo di una città ridotta in rovine e infestata da briganti e
cupo regno di violenza e di morte.
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