Amiche ombre a Venezia

Amiche ombre a Venezia

AMICHE OMBRE
testo di Anna Brianese e Alberto Campanile

Per Shakespeare era "una buona e piacevole cosa", Goethe precisò che "dopo il denaro il vino è la più importante delle cose", Bismarck invece consigliò ai tenenti prussiani "una buona bottiglia di spumante al giorno per ravvivarli e tenerli desti...". All' osteria, davanti a un generoso calice di vino, non importa se bianco o rosso, frizzante o novello, si sono stipulati contratti, tramandati ricordi, suggellate nuove amicizie. Vino e osterie fanno parte della tradizione, della storia e dell' economia di Venezia e del Veneto, una regione generosissima d' uve pregiate, celebri in tutto il mondo. Già nel 42 a.C., quando nacque Julia Concordia, l' attuale Concordia Sagittaria, si coltivava il nobile grappolo; nel Duecento i vigneti erano prosperi in tutta la campagna veneta, c' erano filari in pianura, in collina, perfino in piazza San Marco. Oggi all' ombra della basilica non ci sono vigneti, ma è rimasto il culto del vino: all' inizio del secolo scorso nella Città dei Dogi c' erano più di 1200 tra mescite e rivendite di vino. Ai tempi della Serenissima Repubblica le osterie si distinguevano anche per i vini che commerciavano: nelle malvasie, ad esempio, si vendevano i cosiddetti "vini navigati" provenienti da Malvasia, nel Peloponneso. Nelle furatole si servivano piatti semplici ed economici, ma non vino; i bastioni erano cantine d' infima categoria dove si smerciava vino scadente, spesso diluito. I bàcari (così si chiamano le osterie a Venezia) erano frequentati e apprezzati da uomini di cultura, scrittori e da musicisti come Stendhal, Richard Wagner e Carlo Goldoni che, proprio in quei modesti locali, trovò ispirazione per molte sue commedie.

Oggi nelle osterie si beve l' ombretta (il calice di vino) e si mangiano cicheti (assaggini tipici) o piatti più o meno raffinati, legati alla tradizione gastronomica veneziana. Di osterie autentiche ne restano poche: la gran parte sono state trasformate in più redditizie, ma sicuramente più anonime, paninoteche. I veri bàcari sono locali poco appariscenti, spesso riconoscibili per un' insegna che ricorda un fatto, un luogo o un oggetto particolare. All' interno l' arredamento è essenziale: un bancone, alcuni tavoli, le botti da cui travasare il vino direttamente nelle caraffe. Alle pareti sono appesi pochi quadri, vecchie foto o, come nel caso dell' "Osteria Enoteca al Volto", le etichette di vini provenienti da tutto il mondo. Nelle osterie da carte ci si gioca l' ombra a tressette, a briscola o a scopa. Un goccetto, quattro chiacchiere, una partita, un altro goccetto e... senza accorgersi arriva sera. A Venezia non tramonterà mai il piacere di un goto (bicchiere) bevuto in compagnia, "ragionando" dei propri o degli altrui problemi. Nel cuore di Rialto, presso l' "Osteria ai do mori" e alla "Cantina do spade", si continuano a versare ombre fin dai tempi del Casanova, che bazzicò per queste mescite con le disinibite fanciulle del Ponte delle Tette. Sempre a Rialto, a due passi dal mercato dove si vende il pesce più fresco di Venezia, l' "Ostaria Antico Dolo" è apprezzata soprattutto dalle massaie che, a metà mattina, proprio non sanno rinunciare a un piatto di tripa rissa, trippa bollita con aromi, servita calda con un pizzico di sale. Il "Mascaron", un' osteria dei primi del Novecento che trae il nome dalla maschera in pietra sulla porta del campanile in Campo Santa Maria Formosa, è conosciuto per il pesce: spaghetti coe canocie (cicale di mare), moleche (granchi) infarinate e fritte, o le cape longhe (cannolicchi) al forno. E poi ci sono i risotti, di verdure o di pesce, "... tutti rigorosamente cotti in casseruole piuttosto larghe per mantenerli fluidi e cremosi, "all' onda" si dice a Venezia", spiega Giancarlo Seno, cuoco del Mascaron. Sui tavoli dei bàcari si servono piatti legati al mare, ma anche alla campagna, perciò a base di verdure, d' insaccati, di carne. "La cucina è sempre rigorosamente stagionale: per la Festa del Patrono, San Marco, si preparano risi e bisi (riso con piselli), per il Redentore le sarde in saor (marinate nell' aceto e cipolla), per la Festa della Madonna della Salute la castradina fatta con carne di montone seccata e affumicata" ci racconta Luigino Lubrano proprietario dell' "Osteria al Portego", in Calle della Malvasia a San Lio. Come ai tempi della Serenissima, in quasi tutte le osterie si continuano a servire zaleti, biscotti gialli a base di farina di granoturco e uvetta, da tociar nel vin dolse (inzuppare nel vino dolce). Il giro de ombre a Venezia comincia presto, alle dieci del mattino. Bere un calice con l' amico incontrato in calle è un rito sacro al quale nessun veneziano si sottrae. Le osterie continuano ad essere un importante luogo d' incontro, un fulcro della vita sociale e culturale di Venezia, elemento aggregante di una città che si spopola sempre di più.

CICHETI E OMBRE

In tutte le stagioni, ma soprattutto d' inverno, i banchi delle osterie si riempiono di cicheti, appetitosi assaggini ai quali difficilmente il viandante goloso riuscirà a sottrarsi. Sono indispensabili per stuzzicare l' appetito e per evitare la balla. C' è veramente l' imbarazzo della scelta: si passa dal mezzo uovo sodo con l' acciuga alla seppia fritta, dalla polpetta di carne al fondo di carciofo passato in padella, dalla polenta abbrustolita con sopra un po' di baccalà fumante alla spienza (milza di manzo). Per un paio d' ombre e altrettanti cicheti si spendono circa 10.000 lire. Ogni giorno a Venezia si versano più di 50.000 ombre, una quantità decisamente elevata se si pensa che la città lagunare conta solo 75.000 abitanti. L' etimologia del termine ombra secondo alcuni deriva dal fatto che in passato gli ambulanti, per mantenere fresco il vino, spostavano le damigiane drio l' ombra del Campanile di San Marco. Per altri, il termine potrebbe essere legato alla quantità modesta (circa 100 cc) contenuta nel calice. Per tutti andar a ombre significa andare a bere un buon bicchiere di vino in compagnia.

Tratto dal mensile Itinerari e Luoghi

 

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