La conferenza sul clima di Buenos Aires

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Nel 1998 si è tenuta a Buenos Aires la Conferenza sul Clima: quali risultati concreti ha portato per la riduzione delle emissioni e la lotta al cambiamento climatico?

 

All'indomani della conferenza sul clima di Buenos Aires, il quadro di una situazione sempre più preoccupante e che rischia di modificare radicalmente nel giro di pochi anni l'immagine del pianeta. Nell'indifferenza generale. La Conferenza sul clima appena conclusasi a Buenos Aires conferma le incredibili conseguenze dell’innalzamento di appena un grado negli ultimi 50 anni (attesi altri 2,50 nel secolo) dovuto ai gas serra umani. L’Organizzazione Metereologica Mondiale (Wmo) e il Programma Onu per l’Ambiente (Unep) anticipavano i dati sull’«Ecologist» (ora in italiano), rivelando poi che Exxon e concorrenti imprese estrattive di combustribili fossili hanno foraggiato scienziati e politici con miliardi di dollari per depistare l’informazione.


Così, prima delle elezioni, Bush aveva reso il «riscaldamento globale» un neutro «cambiamento climatico», mentre persino «Business Week», sull’onda del film L’alba del giorno dopo, lanciava l’allarme sul clima quale «nemico» peggiore del terrorismo. Ma il paradossale è che la crescita d’informazione sulle catastrofi può «intensificare il suo rifiuto» (Stanley Cohen, La rimozione del dolore nella società contemporanea, 2002): «se fosse davvero così, qualcuno, i governi, farebbero qualcosa».


La gente non agirà mai spontaneamente, scrive George Marshall, se non è incoraggiata da gruppi sociali, istituzioni, governi, una mobilitazione possibile solo in tempo di guerra. Siamo in un tempo di guerra - che sembra voler in gloria accelerare la fine della vita sulla Terra (3 specie l’ora, 30 mila l’anno) anziché salvarla, rallentarne o limitarne l’estinzione.
Ma nemmeno tutti gli scienziati credono ormai possibile arrestare il riscaldamento del pianeta e le sue conseguenze: scioglimento dei ghiacci, 40 per cento in meno negli ultimi 40 anni dalla Groenlandia alle Alpi (incluso il Pré da Per del Bianco) alle Nevi del Kilimangiaro, che svaniranno entro il 2015; innalzamento dei mari di un metro entro il secolo (già putriscono Tuvalu e altri atolli del paradiso); la velocità dei venti, da cui alluvioni e piogge torrenziali (in Toscana anche l’impoverimento di flusso dell’Arno). Danni globali sull’agricoltura: la desertificazione di un terzo della terra coltivabile entro 10 anni (anche Spagna e Sicilia) per via dei fertilizzanti azotati, che aumentano il rilascio di monossido di azoto (con l’anidrite carbonica è il primo responsabile dell’effetto serra); prima ancora che l’effetto serra, quello dei nitrati (come gli esplosivi Tnt usati per anni dall’Ira) è di fissarsi nell’emoglobina umana, mentre le monoculture Ogm, dalle radici troppo corte, abbassano la fertilità del riso, del grano, dei suoli. È dunque di interesse mondiale la battaglia dei villaggi indiani per tornare alle varietà di coltura tradizionali.
Infine i trasporti: spostare 1 caloria di lattuga da un capo all’altro del continente consuma 127 calorie, il che non importa alle compagnie aeree, che hanno sconti del 75 per cento sul gasolio. Un paradosso chiude il circolo vizioso politico: tagliando il polmone della foresta amazzonica, che regola i flussi dell’umidità fino all’Europa, i primi a pagarne le conseguenze sono proprio i raccolti nel Midwest americano - divoratore di mandrie per i cui pascoli si è tagliato in Amazzonia - e che voterà a destra per paura.
Potrebbe questa paura per la sopravvivenza d’un tratto aguzzare l’ingegno e far scoprire che un’economia ecologica conviene, perché fa risparmiare energia?
L’Italia, pur avendo firmato il protocollo di Kyoto, ha prodotto nel 2000 +134 per cento Co2 del 1990 (Usa +12 per cento), ma Beppe Grillo, Luca Mercalli, Mario Palazzetti, Maurizio Pallante, Bruno Ricca e altri ricercatori dimostrano che una politica energetica di rilancio dell’economia può aversi solo con l’efficienza (in primis con la cogenerazione diffusa del gas) e indicano uno strumento nelle Esco, società che realizzano a proprie spese le ristrutturazioni energetiche dei loro clienti, richiedendo per un certo numero di anni i risparmi ottenuti.
Occorrono incentivi e disincentivi degli enti pubblici verso standard di compatibilità ecologica più vicini a quelli tedeschi. Karl Schibel cita i fotovoltaici installati dai comuni di Brescia e Parma, gli obbiettivi di abbattimento del 25 per cento di emissioni entro il 2010 a Torino e Modena, come già a Heidelberg, Hannover, Berlin, Barcelona. Ma solo pochi comuni applicano la legge 10/91 sulle fonti rinnovabili nei Piani energetici comunali oltre i 40 mila abitanti. Forse un altro mondo è impossibile, ma è necessario fare come se lo fosse per una scommessa della dignità umana.
Forse l’attenzione dei municipi e anche delle comunità al patrimonio locale, di saperi e sapori, di paesaggio e sua economia-fisionomia profonda (non solo turistica), è anche indice di un neo-umanesimo biocentrico e di un altro federalismo, fondante un nuovo patto uomo-natura.
Al di là che riesca a salvarci, scrive infine sull’Ecologist Giannozzo Pucci (fra i fondatori delle Liste Verdi), questo «compito straordinario di custode» lo hanno dato all’uomo tutte le fedi e tutte le religioni.

Gentilmente tratto dal quotidiano La Repubblica  20/12/2004

 

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