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Cosa vedere a Vicenza
- 20 luoghi interessanti da visitare
Il
Rinascimento di
Andrea Palladio ha
lasciato il segno a
Vicenza. Dentro e
fuori i suoi confini più antichi, ne ha arricchito l'assetto
urbano e naturale con palazzi, ville e giardini per le grandi
famiglie della Repubblica di Venezia. L'UNESCO ne è rimasto così impressionato che nel 1994 ha dichiarato
l'intero lavoro di Palladio come un grande patrimonio
dell'umanità. Oltre alle opere palladiane la città si
arricchisce di tante altre attrazioni culturali. |
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Piazza
dei Signori è il
cuore storico e architettonico di Vicenza, dominata da due delle
attrazioni più suggestive, la Basilica Palladiana e l'adiacente Torre
di Piazza
(detta
anche Torre Bissara).
Come ebbe modo di dire un tempo
Goethe "
è impossibile descrivere l'impressione che fa la Basilica di
Palladio", tanta è
la sua bellezza architettonica. La più importante caratteristica
dell'edificio (che si badi non fu mai religioso) è la loggia,
la quale mostra uno dei primi esempi di quella che poi divenne
nota come
finestra palladiana.
Costruito nel XV secolo l'edificio era conosciuto anche come
Palazzo della
Regione, edificato
secondo un progetto originario di Domenico da Venezia
e continuato da un allora
poco conosciuto Palladio, nel 1546.
Al
contrario, la
Basilica di Monte Berico è una struttura religiosa del XVII secolo costruita sopra una
precedente chiesa di alcuni secoli prima. Sono due in effetti le
chiese qui visibili, una in stile gotico e l'altra in stile
Barocco. La Basilica è raggiungibile dalla città attraverso il
cosiddetto Arco
delle Scalette, del
1595 (probabilmente del Palladio). All'interno della chiesa sono
custodite opere cinquecentesche di Paolo Veronesee di Bartolomeo
Montagna.
Posizionata nel sud della città in cima ad una collina, la
Basilica con il
Piazzale della Vittoria offre una bella panoramica sulla città sottostante. Si notino
anche i Portici
processionaliprogettati nel XVIII secolo da Francesco Muttoni.
Poco oltre sono presenti, sul colle Ambellicopoli,
il Museo del
Risorgimento e della Resistenzadi Villa Guiccioli e l'annesso giardino all'inglese. Interessante è anche la
visita al Duomo-Cattedrale
di Santa Maria Annunciata,
con portale e cupola sempre progettati dal Palladio.
La
Loggia del Capitano,
fronte alla Basilica Palladiana, in Piazza dei Signori, venne
progettata dal Palladio intorno al 1571, in mattoni rossi senza
stucco, in passato sede delle rappresentanze veneziane in città.
Il Palazzo
Chiericati
è un'altra importante
attrazione di Vicenza, sede della Pinacoteca e Museo Civico della città e sempre opera dell'artista rinascimentale (fu
iniziata nella metà del XVI secolo ma completata nel 1680). Il
Teatro Olimpico è un altro splendido edificio palladiano e risale al 1580: viene
usato ancora oggi per alcuni spettacoli culturali (di
particolare interesse sono quelli autunnali di settembre e
ottobre).
Sono
veramente numerosi gli edifici monumentali di Vicenza. Non si
lasci la città senza essersi recati nel Corso Andrea Palladio,
la strada principale. Il nome è una garanzia, il viale si
estende per circa mezzo chilometro da Piazza Castello a Piazza Matteotti
ed è allineato da
magnifici palazzi palladiani, arricchiti da caffetterie, negozi
e istituti finanziari. In particolare si notino il Palazzo Valmarana del 1566 (in corso Fogazzaro),
il Palazzo Comunale
del 1552, edificato
secondo un progetto di Scamozzi (uno dei maggiori allievi del Palladio), e il
pre-palladiano
Palazzo Ca d'Oro.
La Casa-museo di
Palladio è situata
al civico 163. Nelle vicinanze si visiti anche Contrà Porti,
un'altra concentrazione di palazzi palladiani (Palazzo
Barbarano Portoe
Palazzo Thiene)
e altri palazzi gotici.
Se
si sta progettando un itinerario alle ville palladiane appena fuori città, dirigetevi in Viale Romaper prendere l'autobus num 8. Si arriva al di fuori della porta
della città vecchia, Porta Castello,
per visitare il
Giardino Salvi: uno
splendido parco, ornato di statue e ville palladiane: Loggia Longhenae Loggia Valmarana.
Una delle più celebri ville progettate dal Palladio,
probabilmente la più famosa, è la cosiddetta La Rotonda,
conosciuta anche come
Villa Almerigo Caprae parte insieme a tutti i lavori palladiani del patrimonio
UNESCO. L'interno è riccamente decorato con stucchi e affreschi.
I visitatori possono vedere il grande piano principale, detto
piano nobile, che si arricchisce della cupola decorata, ispirata
al Pantheon di Roma. Per raggiungere la villa si scenda alle
fermate Debba o Lumignano,
sempre attraverso il bus della linea 8. Una passeggiata di 20
minuti da Viale X Giugno e lungo via San Bastiano vi porterà
alla Villa Valmarana
'ai Nani',
cheoltretutto dispone
di brillanti affreschi di Giambattista e Giandomenico
Tiepolo.
Da
non perdere è anche la visita ai Musei di Vicenza,
tra cui le Gallerie
d'Arte del Palazzo Leoni Montanari che fu casa privata e sede di una banca, nel cui interno sono
ospita importanti collezioni di icone russe e famosi dipinti
veneziani del XVIII secolo, la Pinacotecasopra menzionata e il palladiano Palazzo Barbaran da Porto edificio riccamente decorato nel cui interno sono ospitati un
museo e un centro studi dedicato a Palladio (sono spesso in
programma mostre di
architettura).
Tra
i parchi cittadini di Vicenza si segnalano le storiche aree di
Campo di Marzo e
Giardini Salvi e anche Parco
Querini, Parco del Retrone e Parco Fornaci.
I
dintorni di Vicenza si arricchiscono in particolare di importanti testimonianze archeologiche,
tra le tante si segnalano quelle di tipo megalitico di
Sovizzo,
in località San
Daniele. Altre
importanti località turistiche distano pochi chilometri da
Vicenza, sono Padova a soli 32 km,
Venezia 74 km e
Verona 51 km. Assiago,
Schio e la Val D'Assa,
Possagno, sono tutti a poca distanza.
Basilica Palladiana
La
Basilica Palladiana , patrimonio UNESCO dal 1994, è l'edificio simbolo di Vicenza, che domina tutto il lato sud
della Piazza dei Signori. L'edificio fu realizzato in due
momenti distinti. Dopo primitivo Palazzo della Ragione,
infatti edificato alla metà del Quattrocento, il piano superiore
fu interamente occupato dall'enorme salone del Consiglio dei
Quattrocento. Alla fine del secolo, crollarono le logge e il
doppio ordine di portici. Fu allora che i reggitori della città,
con l’approvazione del governo di Venezia, dopo avere sentito i
maggiori architetti dell’epoca, come Giulio Romano, il
Sansovino, il Sammicheli, nel 1549 incaricarono del
progetto il giovane Andrea Palladio...Continua a leggere
sulla
Basilica Palladiana.
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Teatro Olimpico
Il
Teatro Olimpico è un'altra delle icone e delle meraviglie
artistiche di Vicenza, incluso dal 1994 nella lista dei
Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO, come le altre opere
palladiane della città. Quest'opera rappresenta il vertice
assoluto della creatività di Andrea Palladio che si
ispirò dichiaratamente ai teatri romani descritti da Vitruvio.
Commissionato nel 1580 dall’Accademia Olimpica, la sua
progettazione fu iniziata nello stesso anno, ma il Palladio
purtroppo non ne vide la realizzazione per l’improvviso
sopraggiungere della morte...Continua a leggere sul
Teatro Olimpico.
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Abbazia di Sant'Agostino
Le origini dell'Abbazia di Sant'Agostino,
che si trova a circa 5 km da Vicenza in direzione ovest, risalgono all'epoca longobarda, quando fu eretto presso un guado del fiume Retrone un sacello dedicato a San Desiderio, dipendente dalla
Cattedrale vicentina. Nel 1236 l’oratorio, rimasto deserto, fu
affidato ai frati di San Bartolomeo. È solo nel 1319 che gli
Agostiniani chiedono di poterlo occupare, impegnandosi a
riedificare chiesa e convento e dedicarli a Sant'Agostino. La
ricostruzione avvenne tra il 1322 e il 1357. Agli anni
immediatamente successivi sono assegnabili gli affreschi che
ornano le cappelle della chiesa...Continua a leggere sulla
Abbazia di Sant'Agostino.
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Basilica dei Santi Felice e Fortunato
La Basilica dei Santi Felice e Fortunato sorse sull’area
dì un’antica necropoli pagana negli anni immediatamente
successivi all'Editto di Costantino, per ospitare le
reliquie dei martiri aquileiesi Felice e Fortunato, portate da
San'Ambrogio al suo ritorno dal Concilio di Aquileia.
Ricostruita in epoca teodosiana, la nuova basilica assunse
particolare splendore e ampiezza. L'interno era diviso da due
file di otto colonne; un’abside rettangolare chiudeva l’aula,
che era preceduta dal quadriportico con la fontana lustrale ai
centro. Delle due basiliche rimangono alcuni tratti dei mosaici
pavimentali: più raffinati quelli antichi, che documentano le
offerte dei fedeli. La basilica teodosiana fu rispettata dai
Longobardi forse perché qui vi esercitarono il loro culto. Verso
la metà dell'VIII secolo, nel monastero s'insediarono i
Benedettini, ma le scorrerie degli Ungari ridussero il tempio a
un cumulo di rovine. Fu al tempo del vescovo Rodolfo che la
basilica venne ricostruita nelle stesse dimensioni dell’aula
teodosiana, ma con l'abside semicircolare. È questo l'edificio a
noi pervenuto, ma completamente occultato da aggiunte e
sovrapposizioni, rimosse tra il 1940 e il 1950.
La basilica presenta una facciata tripartita, con un ritmo di
piani assai lieve, formato da lesene e archetti ciechi. Manca il
protiro di cui si conservano solo i leoni stilofori. La parte
più alta della facciata presenta un rosone appena strombato. Le
porte sono tre; particolarmente interessante quella maggiore,
dove sono armoniosamente fusi elementi che rappresentano la
storia della millenaria della basilica: le basi appartengono
all’epoca teodosiana, la treccia marmorea è del X secolo; anche
l’architrave è un pezzo riutilizzato. L'affresco con gli
Angeli del Giudizio fu in parte rovinato con l’apertura
della porta nel 1154.
La struttura dell'interno riprende i modelli paleocristiani e
ravennati. Perduta la decorazione parietale e pavimentale, resta
la sicura proporzione tra altezza, larghezza e lunghezza, non
turbata dalla sequenza di archi e colonne. L’abside ora si
presenta soprelevata sulla cripta, mentre in origine era allo
stesso livello delle navate o sollevata di appena qualche
gradino. Presso la basilica, preceduto da un piccolo atrio, si
trova l’antichissimo martyrion, salvatosi dalla
distruzione degli Ungari. Nei pennacchi della cupola, si trovano
tracce di preziosi mosaici con i simboli degli Evangelisti. Sul
fianco settentrionale si erge la torre campanaria alzata in più
riprese; la base utilizza elementi romani, la cella e la parte
superiore appartengono all’epoca scaligera quando la torre
assunse compiti di difesa.
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Basilica della Madonna di Monte Berico
Su uno spazio impervio del colle che domina Vicenza fu eretta
dal Comune nel 1428 la piccola chiesa gotica. Pur rimaneggiata
per le suggestive "addizioni", essa mantiene le caratteristiche
di uno spazio articolato a tre navate, divise da basse colonne e
da slanciati archi ogivali con volte a crocera. Nel 1576 il
Palladio, per ingrandire la difesa, eresse un braccio
trasversale collegato alla navata settentrionale dell’edificio
gotico, proprio di fronte all’altare della Madonna della
Misericordia. L’aggiunta avrebbe dovuto avere, nel progetto
originario, un portico classico di facciata che non venne mai
eseguito.
Il problema dell’ampliamento si ripresentò alla fine del
Seicento. Sotto la direzione di Carlo Borella, la parte
aggiunta dal Palladio fu abbattuta e sostituita da un tempio
quadrangolare secondo un’idea suggerita dal maestro per un
tempio a pianta rotonda, ben individuabile nei gruppi di colonne
che sorreggono la cupola dovuta al Borella. Le tre facciate del
tempio si presentano come tre grandi altari, ornati dalle statue
e dai rilievi di Orazio Marinali e della sua bottega.
L’interno ospita notevoli opere sempre del Marinali: gli
Angeli con i simboli della Passione presso i quattro
pilastri, e i putti sotto le acquasantiere. All'innesto delle
due chiese, sopra l’arco trionfale, è posto il grande telero di
Giulio Carpioni raffigurante il Podesta Francesco
Grimani che rende omaggio alla Vergine.
Sull’altare maggiore domina la venerata effigie della Madonna
della Misericordia che raccoglie sotto il suo manto i fedeli,
attribuita ad Antonio da Venezia. Sempre nella chiesetta
gotica si trova l’altare della Pietà del 1500, forse
scolpito da Alvise Lamberti di Montagnana. Il dipinto che
rappresenta il Cristo morto tra le braccia della gine è di
Bartolomeo Montagna. Nella sagrestia figura un’altra piccola
Pietà, affresco staccato pure di Bartolomeo Montagna.
Per il refettorio del convento Paolo Veronese eseguì la
Cena di San Gregorio (1572), ancora al suo posto dopo
terribili vicende che videro il grande dipinto ridotto in
trentadue pezzi nella tragica Battaglia di Monte Berico
(10 giugno 1848) durante la Prima Guerra di Indipendenza
Italiana.
Il campanile fu eretto su disegno di Antonio Piovene:
quest'ultimo, nella cella campanaria, ripropose il motivo della
serliana, desumendolo dalle logge palladiane della Basilica.
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Cattedrale di Vicenza
La Cattedrale di Santa Maria Maggiore, di origine
antichissima, presenta strutture essenzialmente gotiche con
ulteriori integrazioni. Sotto l'attuale pavimento sono i resti
delle chiese dell'VIIII e XI secolo, quest'ultima a cinque
navate ridotte a tre nel XIII secolo. Il grandioso vano a
quattro gigantesche campate fu realizzato nel Quattrocento; ad
esso vennero ad aggiungersi le cappelle, inglobate in un'unica
parete sul lato meridionale, con le absidiole libere nel lato
settentrionale. La facciata, eretta nel 1467, quando era
presente a Vicenza l’architetto Domenico da Venezia,
presenta nel piano inferiore i cinque arconi tipici del gotico
veneto. Agli ornamenti di archetti e di lesene che incorniciano
il rosone si aggiunge il raffinato cromatismo dei marmi. La
cimasa, ornata di pinnacoli e statue, è dovuta al ripristino del
dopoguerra, secondo indicazioni fornite dalla Pietà Dona
delle Rose di Giovanni Bellini, ora alle Gallerie
dell’Accademia di Venezia.
Tra le cappelle, ricche di opere della scuola pittorica
vicentina, da Bartolomeo Montagna a Francesco Maffei,
è degna di nota la Cappella Trissino (ora del Sacramento)
di Lorenzo da Bologna. A questo architetto è dovuta la
grande tribuna absidale che avrebbe dovuto ospitare le assise
del Concilio poi convocato a
Trento. La cupola di quest’ambiente è dovuta ad Andrea
Palladio.
La critica più recente ha individuato nella Cattedrale vicentina
le prime opere del grande maestro, eseguite all’epoca in cui era
attivo nell’ambito della bottega dei maestri di Pedemuro.
In particolare è degno della maggior attenzione l’altare
aureliano nella tribuna, ricco di marmi pregiati e di sicura
impostazione architettonica. Nel tardo Seicento l'altare fu
inserito nel Paramento Civran (ricchissimo arredo in
legno, stucco e grandi quadri, celebranti il Mistero della
Croce) ora in parte smembrato. Al Palladio è pure attribuita
la porta settentrionale del tempio, dovuta alla munificenza del
canonico Paolo Almerico, committente della Rotonda. Nella
Cappella Barbaran, entro preziosa cornice rinascimentale,
è una Sacra Conversazione, tarda ma importante opera di
Bartolomeo Montagna. Nella terza cappella di sinistra, l'Adorazione
dei Magi, di Francesco Maffei, opera ricca di colore
e di intense vibrazioni luministiche.
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Chiesa
di Santa Corona
La Chiesa di Santa Corona ha le sue origini nella "Sacra
Spina" che il re di Francia Luigi IX donò al vescovo di
Vicenza, il Beato Bartolomeo da Breganze. Con la Spina
della Corona di Cristo (ora conservata in un prezioso
reliquiario, capolavoro dell’arte orafa gotica) arrivò a Vicenza
anche il "Piviale dei Pappagalli", attribuito a bottega sicula
del XIII secolo. La chiesa, affidata all’Ordine dei Domenicani,
presenta le caratteristiche del gotico veneto-lombardo della
seconda metà del Duecento. La facciata è monocuspidata con ali a
vento, rosone e pinnacoli assai mosso è il fianco meridionale
per le cappelle erette dal XIII al XVII secolo. L’interno è a
tre navate, divise da agili pilastri cilindrici un tempo legati
da catene lignee. La più cospicua addizione alla chiesa fu
compiuta da Lorenzo da Bologna, che allungò il transetto
meridionale con la Cappella Barbaran e costruì la nuova
grandiosa tribuna absidale a due piani. Nel sottocoro era
conservata la Sacra Spina, dietro l’altare, ornato con le
statue di Giovanni da Pedemuro rappresentanti il
Redentore tra San Luigi re di Francia e il Beato Bartolomeo.
A destra dell’altare si apre la piccola Cappella dei
Valmarana, assegnata concordemente dalla critica ad
Andrea Palladio. L’impianto potrebbe risalire a forme
albertiane, ma l’alzato, privo di contrasti chiaroscurali, ricco
di decorazioni a terracotta, rivela l'adesione più alle forme
che allo spirito del Rinascimento.
L'altare maggiore a doppia mensa è rivestito di marmi
preziosi e di pietre dure. Fu iniziato nel 1669 su idea di fra
Giorgio Bovio: esecutori il fiorentino Francesco
Antonio Corberelli e il figlio Domenico. Bellissimi
sono gli stalli del coro (sec. XV) con dossali intarsiati da
Pietro Antonio da Modena. Ricchissima è, nella chiesa, la
raccolta di dipinti, tale da formare quasi una pinacoteca. Sul
pilastro tra la prima e la seconda cappella, il Beato
domenicano Matteo Corredo è dipinto su lastra marmorea da
Francesco Maffei. Nella Cappella detta "dei Magi" si trova
la Pala dell'Epifania di Paolo Veronese, uno dei
più celebrati notturni della pittura italiana del Cinquecento.
La grande Cappella del Rosario, eretta per celebrare la
vittoria nella Battaglia di Lepanto, è interamente
coperta dalle tele della bottega di Maganza. La
Cappella Thiene, detta "aurea" per la sfarzosa decorazione,
contiene, tra i sepolcri marmorei della famiglia, la pala ricca
di colore di Giambattista Pittoni. Nella navata sinistra
della chiesa domina l'Altare Garzadori, attribuito a
Rocco da Vicenza che vi profuse una ricchissima decorazione,
un tempo splendente d'oro su fondo azzurro. L'altare ospita il
Battesimo di Cristo di Giovanni Bellini, uno dei
dipinti fondamentali per la conoscenza della pittura veneziana
del '500. Entro una cappella rinascimentale Bartolomeo
Montagna dipinse una delle sue ultime opere: Marie
Maddalena e Santi.
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Chiesa
di San Lorenzo
Appena arrivati a Vicenza, i Frati Minori ebbero momentaneamente
chiesa e convento nei pressi della Cattedrale; nel 1280 si
trasferirono nella Cappella di San Lorenzo e iniziavano
la costruzione della nuova chiesa e del nuovo convento. Nel 1289
veniva consacrato l'altare maggiore; nel 1344 fu collocato in
facciata il maestoso portale di Andriolo de' Santi. Per
le vicende napoleoniche la chiesa fu chiusa al culto e
trasformata in magazzino militare. Fu riaperta dopo varie fasi
di restauro e lavori di consolidamento compiuti nell'Ottocento e
nei primi anni del Novecento.
La facciata si presenta, nella tradizione del romanico-gotico
veneto, monocuspidata e "a vento". Nella parte superiore ci sono
archetti, oculi e rosone; più ricca si presenta la parte
inferiore per le arcate, entro le quali sono posti quattro
sepolcri con baldacchino. Al centro si trova il portale
fortemente strombato, preceduto dai leoni stilofori. Ricchissima
è l'ornamentazione scultorea dovuta ancora a Andriolo de'
Santi e alla sua bottega e formata da elaborate colonnine,
dalle volute di foglie d'acanto con figure di Santi, Patriarchi,
Profeti. Altre figure sono poste sull’architrave attorno al
trono. Nella lunetta domina la figura della Vergine col
Bambino tra i Santi Francesco e Lorenzo e il superiore
dell'Ordine.
L’interno presenta una pianta a tre navate con transetto e tre
ampie cappelle absidali. Dai giganteschi pilastri cilindrici,
con capitello a foglia di cardo accartocciata, partono le
sottili nervature delle volte a crociera. Il verticalismo è
temperato dalle catene lignee che legano navata a navata e
campata a campata. Tutte le specchiature delle pareti sono
intervallate da monofore, così come le cappelle absidali.
Notevoli alcuni altari provenienti anche da altre chiese e i
monumenti eretti in onore dei grandi vicentini.
Nel transetto destro l’Altare Pojana contiene un trittico
in pietra dipinta, scolpito nel 1474. L'arcone che lo sovrasta e
la lunetta della Crocifissione furono aggiunti una ventina
d’anni dopo. Nel presbiterio la parete sinistra è dominata dai
Sepolcri dei Porto. Uno di essi, a doppie colonne
scanalate con le tre urne dei fratelli Leonardo, Pietro,
Ludovico da Porto, è opera della bottega dei maestri da
Pedemuro in cui lavorava il giovane Palladio. Di
ottima fattura è il bel gruppo marmoreo con la Vergine e Santi,
firmato da Antonino da Venezia, nella Cappella della
Madonna. Qui è conservato anche l'affresco con La
decollazione di San Paolo, attribuito un tempo a
Bartolomeo Montagna, ma più di recente assegnato a
Giovanni Buonconsiglio. Presso la navata sinistra della
chiesa si sviluppa il Chiostro quattrocentesco, dove sono
stati sistemati lastre tombali, frammenti di monumenti e altari
di varia provenienza. Nell'aula capitolare e nella sagrestia
sono ospitati discreti dipinti di scuola vicentina di proprietà
del Museo Civico.
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Chiesa
di San Rocco
La Chiesa di San Rocco è uno dei primi esempi del
Rinascimento vicentino. Fu costruita presso le mura scaligere
nel 1485, in onore del Santo invocato nei periodi di pestilenza.
Il vicino convento era finito nel 1494 e nel 1530 la chiesa subì
un ampliamento con l'erezione della facciata. L’edificio viene
concordemente attribuito dalla critica a Lorenzo da Bologna.
La data della facciata escluderebbe la presenza di questo
maestro, lontano da Vicenza fin dal 1489; ma è assai probabile
che l’attuale facciata ripeta sostanzialmente lo schema della
precedente. Altri elementi dell’abside poligonale sono: le
archeggiature, i profili in cotto, il ritmo delle arcate sui
fianchi, i capitelli pensili all’interno, che confermano
l’attribuzione al maabbazia_sant_agostino_vincenza >
Semplice lo schema della facciata, formato da quattro lesene,
strette finestre, da un rosone qui portato dal Palazzo della
Ragione dopo la caduta delle logge. Bellissime le
proporzioni del vano interno, interrotto dalla elegante cantoria
pensile. I severi e classici altari, attribuiti alla bottega di
Giovanni da Pedemuro, erano arricchiti da splendide tele,
emigrate al tempo della soppressione del convento al Museo
Civico o in altre chiese. Nel primo altare di destra vi è
attualmente la Pentecoste di Giovan Battista Zelotti;
nel secondo l'Adorazione dei Magi di Agostino
Bresciano. A sinistra figurano l'Invenzione della Croce
sempre dello Zelotti e il Martirio di Santa Caterina,
attribuito erroneamente a Moretto da Brescia.
Il presbiterio ha un grandioso altare di ordine ionico che si
piega secondo l’andamento curvilineo dell’abside, è
attribuito'assieme agli altri alla bottega di Giovanni da
Pedemuro. L’altare era degna cornice alla celebre pala di
Jacopo Bassano, raffigurante San Rocco e gli appestati,
ora alla
Pinacoteca di Brera, sostituita da'una
copia di questo secolo. Da una piccola porta si entra nel
chiostro, forse uno dei più belli della città. Come la chiesa,
esso è tipico esempio del primo Rinascimento vicentino. È
attribuito a Lorenzo da Bologna che forse ne affidò l’esecuzione
a Rocco da Vicenza. Al centro del quadriportico si trova la
monumentale vera da pozzo, eseguita nel Seicento.
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Loggia
del Capitaniato
La Loggia del Capitaniato viene chiamata
anche Loggia Bernarda, dal nome del prefetto Giovan Battista
Bernardo a cui il Comune vicentino la dedicò. Su questo lato
della Piazza dei Signor si trovavano, in epoca medioevale, le
Case dei Verlato, documentate ancora dai resti di una torre detta
Torre Verlata. Qui si trovava anche la Loggia del Capitano, decorata da
affreschi di Paris Bordone e Tiziano. Tutto andò distrutto
quando nel 1571 venne eretta la Loggia Bernarda. Il progetto era
stato affidato a Palladio che in quel tempo risiedeva a Venezia.
Oggi si tende a vedere, giustamente, nell’opera l’estrema
esperienza dell’architetto, a confronto con il manierismo
romano, che prende avvio con il progetto michelangiolesco dei
palazzi Capitolini. Alla serena semplicità delle logge della
Basilica, Palladio contrappone qui, in vivacissimo contrasto, le
semicolonne d’ordine gigante, con basamenti e capitelli in
pietra bianca e fusto in cotto. Gli archi del portico sembrano
inserirsi a fatica nel paramento esterno, mentre aggettano con
grande evidenza le balaustre delle finestre ad interrompere la
trabeazione soprastante.
Elementi di raccordo con la facciata
sono l’arco e la balaustra della serliana (particolare tipo di
finestra trifora, cioè con tre fori, con aperture laterali). Con la fastosa
aggiunta degli stucchi, che rappresentano trofei di guerra,
l’insieme assume l’aspetto (più che di un arco trionfale) di
un apparato celebrativo per la vittoria nella Battaglia di Lepanto. Fino al 1830
alla Loggia erano affiancate modeste casette che chiudevano
armoniosamente la piazza. Nel salone che oggi ospita le adunanze
del Consiglio Comunale, il soffitto presenta pregevoli Episodi
di storia romana dipinti da Antonio Fasolo.
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Oratorio delle Zitelle
L’Oratorio delle Zitelle costituisce un
fatto piuttosto insolito nell’architettura vicentina del
Seicento. È infatti un edificio a pianta ottagonale, che
richiama alla memoria gli antichi battisteri e martyrion.
Sull’ottagono di base s’innestano tre absidiole, invisibili
all’esterno.
Il progetto dell’edificio sembra da attribuirsi ad Antonio Pizzocaro.
Alle nude e luminose pareti esterne si contrappone l’interno,
suggestivo per la ricca decorazione pittorica, tra le più
importanti del Seicento vicentino. Ancora una volta l’autore è
Francesco Maffei, qui impegnato in alcune tra le sue opere più
significative. Sopra la porta d’ingresso figura, tragicamente
stagliata nel cielo tempestoso, una Crocifissione. Sulle tele del registro superiore il pittore
illustra con virtuosismo impressionistico Episodi della Vita
della Vergine. Bellissimo tra questi è il Riposo durante la fuga
in Egitto con gli Angeli che raccolgono datteri per offrirli al
Bambino Gesù. E, ancora, l’Assunzione, dove Maffei sottolinea
il contrasto tra l'eterna giovinezza della Vergine e l’arruffata
canizie degli Apostoli. Sull’altare a sinistra figura il
Martirio di Sant'Orsola, opera giovanile dell’artista,
dai colori delicatissimi e dalle sottili trasparenze.
All’esuberanza cromatica del Maffei si contrappone la tavolozza
di colori smaltati e aciduli di Giulio Carpioni. Nella lunetta
dell'Annunciazione la Vergine, tutta avvolta nel suo manto
azzurrissimo si volge verso l’Angelo con una posa contenuta e
classicheggiante.
Nell’Oratorio è presente anche il pittore Costantino Pasqualotto
con la Presentazione al Tempio e con la Disputa di Gesù con i
Dottori: queste tele furono eseguite verso il 1740.
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Oratorio di San
Nicola da Tolentino
I committenti dell’Oratorio di San Nicola da Tolentino
furono i componenti della omonima Confraternita del Santo
che si radunavano nella Chiesa di San Michele. L’inizio dei
lavori di costruzione data dal 1505; nel 1633 fu sistemata la parete
dell’altare maggiore, tra il 1671 e il 1678 fu alzato e rifatto
il soffitto su disegno di Antonio Pizzocaro. La facciata, forse
di Carlo Butiron, fu ornata nel 1678-79 dalle statue di
Francesco Pozzo.
Oggi l’oratorio si trova al centro di un piccolo sagrato nei
pressi del "Ponte marmoreo" che, ad unico arco, scavalca il
fiume Retrone.
La facciata presenta il motivo delle quattro lesene sormontate
da timpano; le pareti sono lisce e senza alcun abbellimento.
L'interno è particolarmente sfarzoso per la decorazione, espressione di tre
momenti della pittura vicentina del '600.
Il primo momento è rappresentato da San Nicola e l’Angelo, posto
alla sinistra dell’altare, saggio giovanile di Francesco Maffei.
Da spunti con influenze di Paolo Veronese, Maffei muove alle sue prove maggiori
con le Scene dei miracoli di San Nicola, rappresentate in grandi tele appese alle pareti. Il più alto raggiungimento del
pittore è comunque rappresentato dalla pala dell’altare maggiore
raffigurante l’Apparizione della Santissima Trinità. Dopo la partenza
dell’artista, il Carpioni diventa protagonista nella decorazione
dell’oratorio con il Miracolo di San Nicola che libera un ossesso
e con le undici tele del soffitto, progettato da Antonio Pizzocaro sull’esempio dei grandi modelli cinquecenteschi. Altri
pittori contribuirono al compimento del ciclo
dei Miracoli; tra di essi merita di essere ricordato
Antonio Zanchi. Le statue inserite tra i dipinti
continuano il discorso didascalico svolto dalla decorazione
pittorica.
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Palazzo Chiericati
Il Palazzo Chiericati fu ideato dal Palladio al tempo
delle nuove logge del Palazzo delia Ragione.
Committente fu il conte Gerolamo Chiericati, uno dei deputati
favorevoli al progetto palladiano. Fu iniziato nel 1551 o nel
1552; la data è documentata da una scritta comparsa
nell'interrato. Nel 1570, quando il figlio di Gerolamo, Valerio
Chiericati, andò ad abitare nella nuova dimora, di tutto il
progetto palladiano era stata eseguita l’ala meridionale. Essa
comprendeva il seminterrato, i primi tre intercolumni del
portico e la sovrastante loggia con le sale affrescate dal
Ridolfi, dallo Zelotti, dal Forbicini e dal
Brusasorci. I lavai,
interrotti per tutto il Seicento, furono ripresi e condotti a
termine ai primi del Settecento sotto la probabile guida di Carlo Borella.
Quest'ultimo seguì più lo spirito che il disegno del Palladio e
coronò l'edificio di statue e di pinnacoli. Il Comune di Vicenza
acquistò il palazzo nel 1838-39, per destinarlo a sede del Museo
Civico, ampliandolo con una nuova ala.
La novità, di questo edificio completamente aperto, con il suo
portico e le due logge sovrastanti, era giustificata proprio
dallo slargo su cui doveva dominare: da una parte sorgeva il
Palazzo del Territorio, dall’altra, a mezzogiorno, solo qualche
modesta casetta; dalla parte del fiume, invece, la campagna si
spalancava aperta fino ai lontani colli. Più che di palazzo di
città, la dimora dei Chiericati doveva assumere l’aspetto di una
villa suburbana. Un alto stilobate, un tempo segnato dalle
finestre ora nascoste dalla soprelevazione della strada,
sorregge il colonnato tuscanico e, sopra questo, il corpo pieno
del settore centrale e le due logge ioniche. Raffinata e
splendida è la decorazione del cassettonato delle logge.
L’ampio
portale immette nell’atrio e nelle salette dai fastosi soffitti a
stucchi dorati, con dipinti ad affresco del Forbicini, del
Brusasorci e in particolare dello Zelotti, autore dei Segni
dello Zodiaco e delle Costellazioni intorno ai carri di Apollo e
di Diana. Dal cortile interno si può ammirare l’altra facciata
del palazzo che ripete alternati i vuoti e i pieni del
prospetto. Qui i tre intercolumni si aprono al centro tra due
pareti piene, appena segnate dai fori a spigolo vivo. Le due ali
si chiudono con superfici lievemente inflesse dove si trovano le
scalette di servizio, di invenzione schiettamente palladiana.
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Palazzo Leoni Montanari
Il Palazzo Leoni Montanari è la massima e forse unica espressione
del barocco vicentino nel campo dell’edilizia privata. Le
vicende del palazzo si possono schematizzare in tre periodi. Il
primo, tra il 1676 e il 1713, vede due famiglie di non antica
nobiltà e di recente ricchezza impegnate ad affermare il loro
prestigio con la costruzione di un grande palazzo, non lontano
dalla Chiesa di Santa Corona: architetto Giuseppe Marchi o,
secondo l’altra attribuzione, Baldassare Longhena, il secondo
periodo coincide con la presenza del nuovo proprietario Girolamo
di Velo che introduce all'interno, dopo tanta esuberanza
barocca, il gusto neoclassico. Infine il palazzo, sede della
Banca Cattolica dal 1908, subisce una ristrutturazione
funzionale, riscattata alla fine del secolo scorso da un radicale e
scientifico restauro. I due prospetti esterni dell’edificio, tra
le contrade Apolloni e Santa Corona, presentano uno stile abbastanza sobrio e ligio alla tradizione
vicentina: bugnato al pianoterra, elegante trifora al piano
nobile, specchiate superfici sotto il cornicione.
I modi
barocchi si notano nell'atrio, con l’esuberante decorazione di
giganti barbuti e draghi dal corpo canino. Ancora più sicura e
audace si dispiega la gran macchina scenografica barocca nel
cortile, nella loggia di Ercole e nello scalone. Qui Venere,
regina di tutte le stagioni, è rappresentata in quattro gruppi
scultorei. Il Salone d’onore, dedicato ad Apollo, presenta una
decorazione che riassume i vari momenti del palazzo: l’affresco
al centro di Giuseppe Alberti e i rilievi sopra le porte sono
databili alla fine del Seicento, mentre la Strage dei Niobidi e la
Storia di re Mida furono eseguiti un secolo dopo. Tra le varie
sale, decorate da Costantino Pasqualotto e da Lodovico Dorigny,
spicca per la fastosa decorazione la Galleria della Verità con
sei monocromi del Dorigny. L’ambiente, che gode di una buona
illuminazione, era riservato all'esposizione dei quadri di
famiglia, così come avveniva nelle gallerie principesche della
Roma papale. Graziosissima la decorazione della sala adiacente,
dove un ignoto maestro immagina putti alati, che giocano lungo
il fregio o sostengono gli stemmi.
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Palazzo Thiene
Dell’immenso palazzo progettato
dal Palladio per Marcantonio Thiene sono stati eseguiti all'esterno
meno di un quarto dei lavori, e all’interno
solo due lati del cortile. Il progetto del palazzo fu elaborato
dall’architetto nel 1542, dopo due mesi trascorsi a Roma. In
quest'opera, più che dei palazzi bramanteschi o raffaelleschi,
egli sembra tener presente la lezione di Giulio Romano nel
Palazzo del Te a
Mantova. Dalle lucide pagine del
Trattato del Palladio si
deduce che il palazzo doveva essere "in isola", ossia limitato da
quattro strade. La facciata principale sul corso sarebbe stata
preceduta da un portico a triplice fornice bugnato, su cui
poggiava la sala maggiore del piano nobile. Le facciate laterali
e posteriori, perfettamente identiche, avrebbero avuto tre
ingressi e atri colonnati che immettevano nel cortile. Dal
progetto all’inizio dei lavori passò qualche anno. Le date 1556
e 1558, che compaiono nel cortile, indicano la conclusione della
prima fase dei lavori, destinati a non essere più ripresi. Nel
1552 si era conclusa la decorazione delle sale per opera di
Alessandro Vittoria. Secondo la lezione di Giulio Romano il
vigoroso bugnato del pianoterra si dilata orizzontalmente sulle
superficie e s’incurva a raggiera sopra le finestre.
Al paramento
rossastro, ottenuto con un impasto di mattoni, si contrappongono
le bianche superfici delle fasce e
degli archi sopra le finestre. Al piano nobile, scandito dalle
lesene corinzie il bugnato gentile esalta i timpani arcuati o
triangolari, mentre le semicolonne sono ancorate alla parete da
blocchi squadrati. Attraverso un atrio tetrastilo si entra nel
cortile. Al pianoterra Palladio sembra citare Sansovino o
Sanmicheli nell’insistente uso della "rustica", ma al piano
nobile esprime la sua nota inconfondibile con la linea nervosa
degli altissimi archi incorniciati da lesene corinzie. Gli
interni sono sfarzosissimi; in particolare, la Sala D’angolo,
detta "la Rotonda" per la volta a cupola con le quattro nicchie
che ospitano le sculture di Orazio Marinali. Tra i busti dei
Cesari di Alessandro Vittoria figura l’icastico ritratto di
Marcantonio Thiene, il committente del palazzo, vestito e
atteggiato alla romana.
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Palazzo Valmarana
Il Palazzo Valmarana fu commissionato al Palladio dal
conte Alvise di Valmarana. Il progetto fu elaborato tra il 1565
e il 1566; i lavori ebbero inizio quando, morto il committente,
la vedova Isabella Nogarola affidò la realizzazione dell’opera
al capomastro Pietro di Nanto. Nel 1581 il palazzo era già
abitato e poteva ospitare Margherita d’Austria, figlia di
Carlo
V, di passaggio per Vicenza. L'edifico non altre aggiunte
fino alla distruzione avvenuta durante la guerra; fu restaurato
successivamente con grande accuratezza.
La genesi dell’opera viene riferita all’ultimo viaggio compiuto
a
Roma dal Palladio nel 1554 e alla conoscenza dell'architettura
di Michelangelo in Campidoglio e nella tribuna della nuova
Basilica di
Pietro. Per il Palazzo Valmarana il Palladio sfruttò la leggera
curva della strada per far apparire la sua fabbrica fin
dall’abside della Cattedrale. Nel disegno palladiano, che figura
nei Quattro Libri dell'Architettura, al blocco della facciata si
contrappone la parte dell'edeficio che gravita su un cortile con
due lati colonnati, chiaramente desunto dall'idea del peristilio
romano.
Sei lesene ad ordine gigante formano il prospetto del palazzo, a
cui manca il timpano, qui sostituito dall'attico. Dietro questa
superficie emerge a pianoterra l'ordine minore delle finestre
che chiude le ali, sormontate dall'inquietante apparizione di un
gigante e di una gigantessa in stucco sorreggenti lo stemma, un
tempo fulgido di colori, dei Valmarana.
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Villa
La Rotonda
Il referendario apostolico Paolo Almerico, su
progetto di Andrea Palladio, a partire dal 1569 fece erigere la
sua villa suburbana su una breve altura affacciata alla Vailetta
del Silenzio e sulla riva del Bacchiglione. Fu portata a termine
prima della fine del secolo dalla famiglia Capra; essa ebbe il
nome di "Rotonda" dalla forma del salone centrale e dalla cupola
che lo sovrasta, fulcro di tutta la composizione.
Nei Quattro libri dell'Architettura Palladio dice di aver dato
alla villa quattro facciate con pronao perché essa sorge su
un’altura e i colli che la circondano hanno l’aspetto di un
grande teatro. Esiste qualche differenza tra l’esecuzione e il
progetto; infatti l’alzato del disegno presenta una cupola
emisferica, che si eleva maestosa sugli spioventi del tetto,
mentre oggi l’edificio si presenta con una calotta saliente a
gradoni con l’o- culo, un tempo aperto, come nel
Pantheon.
I quattro spigoli della villa sono orientati secondo i quattro
punti cardinali per permettere una illuminazione ottimale in
tutte le stagioni. Inoltre, nel salone centrale, la luce che
entra dall’oculo della cupola indica l'ora del giorno. Si
ascende alla villa da due vie: una a nord, ancor oggi usata, ove
il pronao esastilo appare inquadrato tra grandi muraglioni
ornati di statue; l'altra, ad oriente, permette alla villa di
dominare libera sulla natura circostante. Le statue poste sui
muraglioni che fiancheggiano le scale sono di Lorenzo Rubini;
quelle ai vertici del timpano furono scolpite da Giambattista Albanese.
L'ingresso, attraverso uno stretto corridoio, immette nella sala
centrale. La cupola è sfarzosamente decorata di statue e di
cornici a stucco di V. Rubini. All'interno gli stucchi sono figure
allegoriche attribuite ad Alessandro Maganza. Purtroppo
la purezza delle pareti è turbata dagli enfatici affreschi di
Louis Dorigny. Al centro del pavimento il bassorilievo con il
mascherone di un fauno indica il punto centrale della villa.
Quattro scale portano al piano superiore, un tempo forse
belvedere aperto sulla città e sulla pianura. Soltanto una di
esse mantiene la forma primitiva. Nelle quattro scale angolari
si trovano affreschi di Alessandro Maganza e della sua bottega.
Alla destra del viale d’ingresso, il grande rustico, che sfrutta
opportunamente il dislivello del suolo, è opera di Vincenzo
Scamozzi. Nella parte rivolta verso il viale, la parete è scabra
e disadorna, ma verso la campagna invece si apre tn un arioso
porticato. Addossato alla parete rivolta verso la villa, entro
una nicchia, è il gruppo di Ercole con la Capra Amaltea di
Orazio Marinali.
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Villa Valmarana ai Nani
Sul
colle detto San Bastian, nei pressi
della Villa La Rotonda di Palladio, il letterato
Gian Maria Bertolo fece
erigere la sua villa che prese più tardi il nome dei Valmarana
unito a quello che ricorda le curiose statue poste sul muro di
cinta. Ignoto è il nome dell'architetto, individuabile secondo
la recente critica nel luganese Giuseppe Sardi, attivo a
Venezia. Acquistata dai Valmarana, la villa fu restaurata e
rinnovata da Francesco Muttoni, la cui
mano è individuabile nella foresteria, nell’ingresso e nella
scuderia. Nel 1753 la villa era pronta ad accogliere gli
affreschi di Giambattista e di Giandomenico Tiepolo. Nel salone
della palazzina il quadraturista Girolamo Mengozzi Colonna
preparò per Giovan Battista una cornice architettonica che pare
ricalcare le soluzioni di Francesco Muttoni. Tutte le due pareti
e il soffitto sono coinvolti nella narrazione tiepolesca del
mito di Ifigenia, che dilata lo spazio angusto della saletta
fino alla raffigurazione del più alto cielo dove volteggiano gli
amorini. Un tema dei quattro ambienti della palazzina, dipinti da
Giambattista Tiepolo con qualche intervento del figlio
Giandomenico, è l’amore e i casi strani da esso suscitati, quali
sono descritti in due poemi dell’antichità classica e in due
poemi del Rinascimento italiano.
Nella sala dell'Iliade, in una
scenografia tipicamente settecentesca, Achille vorrebbe uccidere
Agamennone perché gli ha tolto Briseide, ma è trattenuto in
tempo da Pallade. Protagonista della seconda sala è l’Angelica
dell'Orlando furioso che s'innamora di Medoro e, alla presenza
di due poveri contadini, lo sposa. Nella sala dell’Eneide l'eroe
troiano s’innamora di Didone. Bellissimo è l’intervento di
Giandomenico nella rappresentazione della fucina di Vulcano.
Delle tante vicende d'amore della Gerusalemme liberata il
Tiepolo narra la storia di Rinaldo e Armida e della separazione
degli amanti. Nella foresteria, tutta decorata da Giambattista,
ad eccezione della sala dell'Olimpo, tra le sempre originali e
fantasiose riquadrature del Mengozzi Colonna, Giandomenico, con
pungente ironia, ritrae la Cina della Turandot di Carlo Gozzi e,
inoltre, scene di vita campestre, divertimenti dei nobili in
villa, scherzi di fanciulli. In seguito ai bombardamenti che
distrussero il soffitto della sala dell'Eneide, gli affreschi
sono stati rimossi e ricomposti in sito.
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Casa Pigafetta
La
Casa Pigafetta a Vicenza è uno degli edifici più
significativi tra quello non palladiani della città. Si trova in
quella che era l'antica l'antica "Contrada della Luna", attuale
Contrà Pigafetta, nel centro storico della città. ?
interessante evidenziare il fatto che sebbene l'’aspetto attuale
della città, da cui ne deriva la fama e la bellezza, sia stato
plasmato in modo decisivo da Andrea Palladio, la presenza
di questo, ed altri bellissimi edifici testimoniano del fatto
che la città è stata un laboratorio estetico di
sperimentazione architettonica ancora prima dell’avvento del
grande architetto.
Fu costruita nella prima metà del Quattrocento dall'architetto
Stefano da Ravenna, sono di quest’epoca sono le monofore
trilobate e le decorazione a torciglioni e ad arabeschi attorno
alle finestre che ancora oggi ne caratterizzano la facciata. Nel
1481 l'edificio venne in stile gotico fiorito dal giurista
Matteo Pigafetta, da cui prese il nome, il quale
fece aggiungere anche il bel portale d’impronta rinascimentale.
I Pigafetta erano in origine una famiglia di esuli guelfi
fiorentini.
La bellezza della facciata è esaltata da una serie di
decorazione scultorie, alcune in Pietra di Nanto (la
Pietra di Vicenza dalla tonalità marrone, che prende il nome
dall'omonima località vicentina). Il motto scolpito nelle lastre
dello zoccolo, "il n’est rose sans espine", (non c’è rosa
senza spine) richiama lo stemma della famiglia Pigafetta. La
lingua del motto presenta la tipica commistione di francese e di
italiano che si rinviene nelle opere della letteratura
franco-italiana. Si ritiene che, in origine, la casa fosse
dotata di scale esterne e di un accesso posteriore dal fiume
Retrone. La ricchezza delle decorazioni dell'edificio
ricorda quella di alcuni importanti edifici monumentali
lombardi, in particolare la Cappella Colleoni di
Bergamo
e la Certosa di Pavia.
Naturalmente, l’edifico è famoso soprattutto perché fu la dimora
e il luogo di nascita di Antonio Pigafetta, il navigatore
vicentino che accompagnò Ferdinando Magellano nel viaggio
(1519-1522), con cui fu completata, per la prima volta nella
storia, la circumnavigazione del globo terrestre. Tornato in
patria con i superstiti della spedizione, Pigafetta scrisse la
Relazione del primo viaggio intorno al mondo, opera
classica nel suo genere, e prezioso documento sulle grandi
scoperte geografiche del Cinquecento. Dopo alcuni anni in cui è
stata chiusa, la Casa Pigafetta è oggi tornata ad essere meta di
pellegrinaggio di numerosi visitatori (ma solo dall'esterno),
incantati dai ricami gotici ritornati al loro antico splendore.
La casa si trova proprio dietro la Basilica Palladiana.
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Loggia Zeno
La
Loggia Zeno fa parte dello spazio del cortile del
neoclassico Palazzo Vescovile, eretto nel primo Ottocento
in Piazza Duomo, sui resti di un preesistente palazzo
medievale. Il cortile è stato di recente sistemato insieme al
giardino, con al centro una vera da pozzo quattrocentesca.
Voluta nel 1494 dal cardinale Gianbattista Zeno, vescovo
di Vicenza dal 1470 al 1501, della ricca famiglia veneziana
degli Zen, la Loggia, per l’armonia delle proporzioni e per
l’estrema finezza decorativa, è attribuita a Bernardino e
Tommaso da Lugano. Gravemente danneggiata dai bombardamenti
del marzo 1945, ma in seguito molto ben restaurata, appare
snello ed arioso, impostato su quattro archi elegantemente
lavorati a tutto sesto, con ghiere decorate, sormontati da una
loggetta con balaustra. Il raffinato prospetto ha il
tipico gusto lombardo del Quattrocento e l'autore è
probabilmente Bernardino da Como, assistito da
Giovanni Fugier con i figli.
La Loggia Zeno è particolarmente interessante poiché costituisce
un prezioso esempio di costruzione del primo Rinascimento
vicentino e un vero gioiello architettonico, arricchito dalle
fitte decorazioni scultoree realizzate con la locale Pietra di
Nanto (versione più scura della Pietra di Vicenza).
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