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L'editoria
primordiale che rese accessibili al grande pubblico le opere
letterarie consentendo la circolazione della cultura nella
vastità geografica dell'Impero romano.
Come venivano
scritti, illustrati, legati, pubblicati e venduti i libri
romani? Per gli esercizi scolastici, per le lettere
brevi e le scritture commerciali non destinate a durare i
romani antichi usavano lo stilo su tavolette spalmate di
cera, che poi rischiavano via col pollice. La più antica
letteratura latina a noi nota fu scritta con penna e
inchiostro su carta fabbricata in Egitto con le foglie
pressate e in gommate dell’albero del papiro.
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Nei
primi secoli della nostra era la pergamena
confezionata con pelli di animali disseccate cominciò a
far la concorrenza al papiro come materiale scrittorio
per opere letterarie e documenti importanti. Un foglio
piegato di membrana o vellum, costituiva un
"diploma" (due volte piegato). Normalmente un lavoro
letterario era pubblicato come rotolo (volumen
arrotolato) e lo si leggeva svolgendolo mano a mano che
procedeva la lettura. Il testo era di solito
sottoscritto su due o tre strette "columnae" per pagina,
spesso senza segni di clausola e neppure di separazione
fra le parole. Certi manoscritti erano illustrati con
disegni a penna: le Images di Varrone, per
esempio, contenevano 700 ritratti di uomini illustri,
ciascuno con una nota biografica.
Ognuno poteva pubblicare un manoscritto per farne copie e
venderle noleggiando degli schiavi. I ricchi avevano
segretari che copiavano per loro qualsiasi libro che essi
desiderassero possedere. Poiché a questi copisti si passava
il "mantenimento", più che un vero e proprio salario, i
libri costavano poco. La prima "edizione" era comunemente di
un migliaio di copie. I librai comperavano all’ingrosso
dagli editori come Attico e vendevano al minuto nei
banchi di libri sotto un porticato. Ne editori nel librai
davano compenso agli autori eccetto gentili parole doni
occasionali. I diritti d’autore non erano ancora nati e
nemmeno immaginati. Le biblioteche private erano ora
numerose e verso i 40 a.C. Ausinio Pollione fece
della sua grande collezione la prima biblioteca pubblica
a
Roma.
Cesare ne progetto una ancora più vasta e nel disegnò futuro
direttore Varrone; ma anche questa intenzione, come altre
sue, dovette aspettare l'avvento di Augusto per tradursi in
realtà.
Stimolate da queste facilitazioni la letteratura e
l’erudizione romane cominciarono a eguagliare per attività
quelle alessandrine (cioè di Alessandria d’Egitto). Poemi,
libelli, storie, libri di testo corsero a fiumi; ogni
patrizio (cioè i membri dell'elite dell'antica
società romana) rivestiva di versi le sue avventure, ogni dama
componeva poesie e musica ed ogni generale scriveva le sue
memorie, come fece per esempio Cesare con il famoso De
Bello Gallico. Erano di moda i "sommari" di qualunque argomento,
con i quali ci si sforzava di andare incontro alle necessità
di un'epoca che aveva poco tempo a disposizione per la cultura. Le
stesse parole che potremmo sentire oggi riguardo all'uso
della tecnologia.
Marco Terenzio Varrone, nonostante le molte campagne militari, trovo tempo,
durante i suoi 89 anni (dal 116 al 26 a.C.) , di fare una
sinossi di quasi tutte le branche dello scibile: i suoi 620
"volumi" (circa 74 libri) costituirono un’enciclopedia del
suo tempo, opera di un uomo solo. Interessato all’origine
delle parole, scrisse un Saggio sulla lingua latina che ora
è la nostra principale guida per conoscere il più antico
latino parlato. Forse collaborando agli scopi di Augusto,
egli cercò nel suo trattato De re Rustica (36 a.C.) di
incoraggiare il ritorno alla terra come il migliore riparo
al disordine della lotta civile. "Il mio 80º anno" dice
all’introduzione "mi ammonisce che devo fare le valigie e
prepararmi a congedarmi da questa vita" e voleva lasciare a
modo di testamento una guida alla felicità e la pace dei
campi. Egli ammirava le solide donne, che generavano i
propri figli nei campi e subito dopo riprendevano il lavoro.
Lamentava il basso livello della natalità che stava
trasformando la popolazione romana: un tempo era l’orgoglio
di una donna essere madre, ora le donne dichiarano con Ennio
che preferirebbero affrontare tre volte battaglia piuttosto
che generare un figlio. Nelle sue Antichità Religiose
conclude che la fecondità, l’ordine e il coraggio di una
nazione richiedono un codice morale sostenuto dalla fede
religiosa.
I libri e le opere letterarie in genere, allora come oggi,
venivano presentate dall'autore, prima in una cerchia di
amici, poi in pubblico. Creavano un contatto immediato
fra lo scrittore e il suo pubblico. Queste "recitazioni"
divennero estremamente popolari nella Roma imperiale.
Orazio, famoso per il suo Carpe Diem,
osservava che a volte in queste lettere si maltratta la
pazienza dell’ascoltatore, messa a dura prova da letterati
di basso livello. Con l'aumentare della diffusione dei libri
e delle persone colte, il commercio librario assume
un’importanza sempre maggiore per il soddisfacimento del
crescente bisogno di testi scritti. In una delle sue ultime
lettere Plinio il Giovane si lamenta del poco
interesse che al suo tempo si mostrava per la poesia: "Al
tempo dei nostri padri si racconta che le cose andassero ben
diversamente..Ora invece bisogna pregare e invitare con
largo anticipo i peggiori fannulloni e malgrado ciò non
vengono affatto oppure, quando vengono, si lamentano di aver
sprecato una giornata." Vi ricorda qualcosa che avete per
caso già sentito?
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