Psicofarmaci ai minori? 

La prescrizione di psicofarmaci nei bambini è oggetto di polemiche. Vanno usati con estrema cautela solo in presenza di diagnosi precise da parte di specialisti in neuropsichiatria infantile.

 

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Sempre più spesso in Italia di fronte ai disagi psicologici e comportamentali di bambini e adolescenti medicina e psichiatria fanno ricorso alla somministrazione di psicofarmaci. I dati forniti dal Ministero della Salute appaiono a dir poco allarmanti: sono circa trentamila gli adolescenti che nel nostro Paese assumono farmaci antidepressivi mentre sette bambini su mille soffrono di sindrome da iperattività (difficile da diagnosticare però.... e allora vai con il crescente numero di queste diagnosi...).

In Italia si cerca di effettuare uno stretto controllo sulla situazione, onde evitare il ricorso al farmaco in assenza di una precisa diagnosi; perché il problema sta proprio qui: è difficile diagnosticare una depressione in un’adolescente o una sindrome da iperattività in un bambino di 6 anni, dato che il bambino difficilmente riesce a spiegare e descrivere i sintomi soggettivi che accusa ma che devono essere correttamente interpretati dallo specialista. A volte un disagio, più o meno profondo, in giovane età può essere risolto con una psicoterapia e non subito etichettato come una patologia psichiatrica, come spesso accade. È il caso della Adhd (Attention deficit hyperactvity disorder) conosciuta come Sindrome da Iperattività. È uno dei disturbi psichici più comuni dell’età evolutiva, che si manifesta nei bambini in età scolare, caratterizzato da iperattività, impulsività, incapacità a concentrarsi. A scuola il bambino parla in continuazione, non segue la lezione, non riesce a stare fermo, disturba. Spesso con il passare degli anni il disturbo regredisce ma è indispensabile tenerlo sotto controllo attraverso una terapia psicologica che sostenga ed informi famiglie ed insegnanti.

I farmaci più prescritti, oltre ai classici triciclici, antidepressivi della vecchia generazione, il Ritalin, una molecola simile all’amfetamina, da poco sul mercato italiano, impiegato nei casi di sindrome da iperattività, a partire già dai sei anni di età e la fluvoxamina, per la sindrome ossessivo-compulsiva. Questi farmaci, oltre ai noti effetti collaterali quali alterazione dei cicli di sonno e veglia, perdita di peso, tic, danni epatici, possono avere effetti devastanti sulla salute, la crescita e l’equilibrio-psico-fisico dei bambini, effetti non facilmente prevedibili e che possono manifestarsi anche nel lungo periodo. Secondo Maurizio Bonati, responsabile del Laboratorio per la Salute Materno – Infantile dell’Istituto Mario Negri di Milano, intervistato per il Venerdì di Repubblica da Lia Damascelli, " in Italia il consumo di antidepressivi negli ultimi cinque anni è raddoppiato e la crescita è stata maggiore rispetto a quella registrata per gli adulti".

Negli Stati Uniti e nei Paesi del Nord Europa la situazione è ancora più preoccupante e l’uso degli psicofarmaci nei bambini è rispettivamente sette e tre volte maggiore rispetto al nostro Paese. Però mentre in questi Paesi si comincia a registrare un’inversione di tendenza, dettata dalla consapevolezza dei pericoli dell’uso di queste molecole nei più giovani, in Italia sembra accadere il fenomeno contrario, sebbene sotto un più stretto controllo medico, come fa notare Bonati. Per questo motivo in Italia è partita, per iniziativa di alcune associazioni (ASVI, Ccdu, Cesvic, Wda), la campagna informativa " Perché non accada anche in Italia" (www.perchenonaccada.org), alla quale hanno aderito numerosi personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo. La campagna si pone l’obiettivo di spiegare quanto sia difficile fare una diagnosi e quanto sia rischioso il ricorso agli psicofarmaci nei bambini. Perché il farmaco rimanga davvero l’ultima strada percorribile.

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