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Maria Messina
- Biografia e opere
Maria Messina
è probabilmente una delle scrittrici del primo ’900
italiano più interessanti ed è stata a lungo inspiegabilmente
dimenticata. In lei si riconosce la forza dell’analisi
psicologica delle piccole vicende ordinarie, la capacità
di scendere nei più inconfessati angoli del cuore umano,
soprattutto quello delle donne. Le opere che pubblicò
riscossero successo presso pubblico e critica del tempo.
La produzione letteraria della scrittrice fu ampia e
varia, con romanzi, novelle e racconti per ragazzi.
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Il
suo nome fu dimenticato fino agli anni '70, quando grazie alla
riscoperta di alcune sue lettere a Giovanni Verga, tornò
a galla, destando nuova attenzione (Un idillio
letterario inedito verghiano di G. Garra Agosta).
Verga lodava Maria Messina e la supportò nella sua attività.
Fu però solo negli anni ’80 che le opere di Maria Messina ripresero
a circolare, grazie allo scrittore Leonardo Sciascia, siciliano
come lei, che riportò alla luce i suoi scritti e, con essi,
fece riemergere il suo talento. Da allora le opere di Maria
Messina hanno attraversato una nuova stagione di notorietà e
sono state tradotte in diverse lingue.
Con la nostra ripubblicazione di tutte le opere di Maria
Messina, desideriamo riportare all’attenzione del pubblico di
oggi la sensibilità e la maestria di una scrittrice dalla vita
difficile, segnata dall’isolamento e dalla malattia ma di animo
forte, lucida e acuta. Una donna la cui vocazione per la scrittura
è stata la più grande ragione di vita e di riscatto e che anche
grazie alla letteratura, sopravvisse fino a 60 anni con la sclerosi
multipla.
I
suoi testi sono ancora oggi uno strumento di riflessione su
argomenti di attualità, quali la mancata corrispondenza tra
i sogni dell’adolescenza e la realtà della vita adulta, la miseria
dell’esistenza governata da motivi economici, le conseguenze
della ribellione ai costumi, l’alienazione all’interno della
famiglia stessa, l’incapacità nelle famiglie povere di comprendere
l’importanza dell’emancipazione sociale attraverso i libri e
lo studio e non ultima la condizione femminile. Nelle pagine
dei suoi romanzi leggiamo la denuncia della condizione della
donna, scopriamo la debolezza estrema in cui viveva a inizio
1900, affrontiamo temi, purtroppo sempre attuali, come l’abuso
sessuale e i maltrattamenti, leggiamo di temi scomodi come il
tradimento, la gelosia, l’omologazione, la frustrazione di vite
incompiute. Piccole vite descritte con minuzia e rispetto, segreti
da tenere nascosti dalla curiosità dei vicini, incomprensioni
e gelosie, che rendono penosa la vita quotidiana.
Il
Verismo e la condizione femminile
Molti
critici hanno avvicinato Maria Messina a Verga, Capuana e Pirandello
ma pur partendo dal verismo, la sua arte narrativa fu capace
di assumere un’identità autonoma. Il tema ricorrente nelle opere
della scrittrice è la condizione della donna nella Sicilia tra
la fine dell'800 e l’inizio del 1900. La scrittrice seppe raccontare
in modo minuzioso la società maschilista dell’epoca, senza mai
smettere di denunciare con le sue parole il destino avverso
delle donne al quale pareva non esserci modo di sottrarsi. Così,
leggendo la produzione di Maria Messina si può entrare di nascosto
nelle vite di nonne sagge, di padri despoti e duri, di madri
silenziose, di sorelle, cugine, amiche accomunate da destini
scelti da altri. Povere case abitate da donne dedite alle fatiche
domestiche, abituate a non pensare, a non desiderare niente,
a non sognare. Destini segnati, prima serve di un padre e poi
di un marito.
Ricostruzione
di un personaggio
Quel
poco che conosciamo di Maria Messina non deriva da materiale
diretto, poiché le sue carte, i libri e molte cose di famiglia,
documentazione utile per la ricostruzione della sua vicenda
letteraria e personale, andarono distrutti durante la Seconda
Guerra Mondiale, precisamente durante i bombardamenti su Pistoia.
Possiamo disegnare un profilo personale di Maria Messina
ricostruendolo attraverso quanto di autobiografico ella volle
inserire nei suoi scritti, grazie alla narrazione della nipote
Annie, alla corrispondenza scambiata con Giovanni Verga e al
carteggio con l’editore Bemporad. Le nipoti Nora e Annie (figlie
del fratello Salvatore), ci hanno poi permesso di conoscerla
almeno parzialmente e così la ricordano “…era una giovane
donna minuta con un visino pallido dai grandi occhi
luminosi, incorniciato da una massa di fini capelli castani.
La sua fragilità celava una forza d’animo non comune, la stessa
che le ci era voluta per denunciare, lei signorina di buona
famiglia che avrebbe dovuto ignorare certe vergogne, quello
che si celava dietro la facciata di case rispettabili, in cui
la donna era tenuta in uno stato di soggezione prossimo alla
schiavitù".
Vita
di Maria Messina
Maria Messina nacque a
Palermo
nel 1887, il 14 marzo. Il suo paese natale è per l’esattezza
Alimena, ancora oggi una piccola località sulle propaggini delle
Madonie. La sua famiglia aveva origini medio-borghesi,
la madre Gaetana proveniva da una casata baronale andata in
rovina ("bella e facoltosa, distrutta da un cattivo vento
di sfortuna", come scrisse in una lettera al Verga), il
padre Gaetano era maestro elementare prima e poi impiegato presso
l’ispettorato scolastico. Per via del lavoro paterno, Maria
trascorse un’infanzia un po' appartata dal resto della comunità,
dovendosi spostare in continuazione con tutta la famiglia in
varie località del centro-sud Italia. Oltretutto, i genitori
passarono spesso periodi di ristrettezze economiche e tra di
loro frequenti erano le incomprensioni, che ovviamente si ripercossero
sui figli e in particolare su Maria, bambina sensibile e introversa.
Da piccola non andò a scuola, come accadeva a molte ragazze
a quel tempo, ma ricevette una istruzione domestica sotto la
guida della madre prima e del fratello Salvatore. Salvatore
la incoraggiò sempre a coltivare il suo talento letterario e
le restò vicino nelle difficoltà. Crescendo, preferì concentrarsi
sulla narrativa più recente, rispetto ai classici, e anche grazie
alla lettura di scrittori come Cecov o Turghenev, fu capace
di esprimere in modo originale il suo talento per le lettere.
L’esordio letterario avvenne quando la famiglia
viveva a Mistretta in provincia di Messina. Maria dimorò qui
dal 1903 al 1909, in una casa di Via Paolo Insinga, dove ambientò
le sue novelle e i racconti. Le sue prime importanti opere,
pubblicate quando era poco più che ventenne, furono, due raccolte
di novelle realiste alla maniera “verghiana?, Pettini
fini (1909) e Piccoli gorghi (1911) che
raccontano proprio di questo mondo paesano, ristretto, dove
tutto si ripete uguale, dove non c’è spazio per la creatività
e non ci sono stimoli culturali.
Incontrò subito un certo successo e ottenne ottime recensioni
dalla critica. Maria aveva trovato la sua dimensione, la vocazione
per la scrittura era per lei la più grande ragione di vita e
di riscatto. Le sue opere stavano acquisendo fama nel mondo
letterario, ma, all’improvviso, si scoprì malata di una malattia
crudele e terribile, la sclerosi multipla. Il fratello Salvatore,
che l’aveva seguita con tanto affetto nella sua carriera di
scrittrice l’accompagnò anche stavolta nel difficile percorso
della malattia. Già schiva per sua natura, da quel momento Maria
fu costretta a condurre una vita ancor più riservata. La sua
quotidianità la trascorse per lo più tra le mura domestiche,
intrattenendo “salvifici? rapporti epistolari con lo scrittore
Giovanni Verga. Verga rappresentò infatti per lei un
ancora di salvezza, una “guida sicura, un padre da cui ricevere
insegnamento e protezione?, capace di infondere “il coraggio
di guardare avanti nel paese dei sogni e delle speranze?.
Grazie a Verga, una sua novella uscì sull’importante rivista
letteraria “La Nuova Antologia?, mentre un’altra,
La Mèrica, vinse il premio Medaglia d’Oro.
Maria
Messina e la corrispondenza con Giovanni Verga
La raccolta di novelle, Pettini fini, fu pubblicata
nel 1909 dall’editore palermitano Sandron. La scrittrice inviò
una copia in visione a Giovanni Verga che aveva esercitato sempre
su di lei un grande fascino, sia dal punto di vista artistico
che umano. Verga le rispose, dandole attenzione, mostrandole
simpatia e incoraggiandola a scrivere. Iniziò così, a distanza,
una corrispondenza (1909-1914) tra la giovane promessa letteraria
e l’"illustre ed amatissimo maestro" ormai anziano, sentito
da lei come una guida sicura, un "padre" da cui ricevere insegnamento
e protezione. Così scrisse a cuore aperto: “Son vissuta sempre
sola nella mia piccola famiglia; non sono andata neanche a scuola.
I miei maestri sono stati mia madre, quand’ero piccola, e il
mio unico ed amato fratello che mi ha additato un ideale. Son
dunque vissuta sola, pur non sentendo bisogno d’alcuno, restando
un po’ selvatica, un po’ estranea alla vita, pure osservando
la vita".
All’invio della seconda raccolta di novelle, Piccoli gorghi
(1911), al "più grande artista siciliano", Verga rispose chiamandola
“piccola amica lontana? e incoraggiandola nuovamente. Nel quadro
socio culturale del tempo la scrittura era una attività non
riservata alle donne e Verga, si legge, non nascose alla Messina
le difficoltà di farsi strada nel mondo letterario.
Nella corrispondenza con Verga ci fu anche uno scambio di
ritratti fotografici con dedica: "Le parole buone che mi ha
detto mi hanno sostenuta nelle ore più amare. Il suo ritratto
è stato il mio conforto".
Con l’aggravarsi della malattia la corrispondenza col Verga,
che aveva dato un senso alla sua vita modesta, si fece sempre
più rada fino a cessare del tutto. Il silenzio di Verga che
non le rispose, fu un grande dolore: "Ho sempre aspettato una
sua parola e la pena che provo, l’insoddisfazione che non si
cheta, vengono dal suo insolito silenzio. Ma ciò che mi rattrista
più di tutti è il sentirmi abbandonata da lei che mi voleva
bene, che aveva fede in me" (dall’ultima lettera a Verga, in
Idillio letterario inedito verghiano).
Dai ricordi della nipote: "Nelle lettere al maestro illustre
si sente palpitare un sentimento che forse fu quanto ella conobbe
di più vicino all’amore".
La
Prima Guerra Mondiale
Durante la Prima guerra mondiale Maria Messina visse
a Napoli, dove era giunta per via del lavoro del padre.
Qui, l’allontanamento dalla Sicilia, si trasformò in un isolamento
più evidente, accentuando in lei la convinzione di essere "un
povero uccello senza nido". Arrivò finalmente un periodo di
relativa tranquillità e benessere economico, anche grazie alla
sua collaborazione con il "Corriere dei Piccoli", su
cui appariranno racconti e romanzi a puntate.
Del primo dopoguerra sono le novelle Le briciole del
destino (1918), Il guinzaglio (1921) e
Ragazze siciliane (1921), che al contrario dei
primi scritti, si concentrano nell'osservazione del mondo borghese,
falso e autoreferenziale, e ancora sulla condizione femminile.
Maria Messina descrive la sofferenza esistenziale di un mondo
borghese in condizioni economiche precarie, chiuso nel proprio
egoismo e contrario ad ogni mutamento. Dietro la facciata di
case rispettabili, la miseria viene celata, ma resta. Anche
in questo ambiente, le donne sono sempre vinte dalla vita, incapaci
di affermarsi o difendersi dall’ingiustizia. Prive di qualsiasi
autonomia sono prigioniere delle leggi patriarcali che le condannano
al matrimonio per motivi di convenienza economica.
Seguono diverse altre novelle e romanzi, tra cui Personcine
(1921), Il pigiama del moralista (1927),
Alla deriva (1920), Primavera senza sole
(1920), il famoso La casa nel vicolo (1920). L’ambientazione
di questi romanzi è ancora quello della piccola e media borghesia
nel clima della città di provincia. La Casa nel vicolo è il
romanzo più apprezzato dalla critica di allora e di oggi, storia
di una donna sottomessa alla famiglia patriarcale siciliana,
che come “pupattola di cencio? senza voce, si vede negata ogni
autonomia e da cui ci si attende solo cieca obbedienza.
Le storie
per ragazzi
Maria Messina è stata capace di penetra con delicatezza nel
mondo dell’infanzia, fragile e in parte dimenticato, esposto
come quello femminile alle violenze e ai soprusi. Tra i suoi
numerosi scritti per l'infanzia, diffusi attraverso periodici,
riviste e bibliotechine di classe, I racconti di Cismè,
I figli dell'uomo sapiente, II galletto rosso e blu e
altre storielle (1921) o Storia di buoni zoccoli
e di cattive scarpe (1926).
Ci sono anche novelle di ambientazione borghese, realistiche
come Personcine e I racconti dell'Avemmaria,
ispirate ad un senso profondo della vita come realtà morale.
Infine i romanzetti Cenerella, Il giardino
dei grigoli, Storia di buoni zoccoli e di cattive
scarpe, storie piene di bontà e di tenerezza, dove si
lodano il coraggio e la fede, e dove vengono esaltati valori
importanti come l’unione familiare, la patria, il lavoro onesto
e la verità.
L'amore negato (1928) fu l’ultimo suo
lavoro. È la storia di due sorelle molto diverse: Miriam, dolce
e sottomessa, Severa, battagliera e aggressiva. La loro vita
è segnata dalla solitudine, cresciute tra un padre vecchio e
malato, una madre oppressa dalle disgrazie e un fratello ritardato.
Hanno sentimenti e aspirazioni diverse, non si comprendono reciprocamente,
sono diffidenti l’una verso l’altra. Nessuna delle due raggiungerà
quella felicità tanto sognata, che si identifica con l’amore,
negato dal destino.
Nel ventennio tra il 1909 e il 1928 la scrittrice siciliana
fu apprezzata e pubblicata da noti editori come Sandron, Bemporad,
Le Monnier, Treves Vallardi, Giannini, Ceschina, comparì con
le sue opere nelle riviste più diffuse come "La Nuova antologia",
"La Donna" e il "Corriere dei Piccoli?.
La malattia, progressivamente la portò alla paralisi impedendole
di scrivere e fu quindi costretta a interrompere i contatti
con gli editori. Doveva essere davvero dura per lei ma come
vedremo, l’istinto di vivere era forte.
Dopo essere stata ad
Ascoli
Piceno e anche ad
Arezzo,
si trasferì con i genitori a
Firenze,
e poi dal 1923 a
Pistoia, dove incominciò a peggiorare in salute.
Con l’aggravarsi della malattia e la sopravenuta paralisi, il
suo isolamento aumentò. L’isolamento, personale divenne anche
letterario, tanto che fu presto dimenticata da tutti, anche
dai suoi editori, gli stessi che comunque l’avevano supportata
e incitata durante i periodi più difficili della malattia. I
rapporti con l’editore Bemporad cessarono definitivamente. Il
suo ultimo intervento avvenne nel 1929 sulla rivista "L’Italia
che scrive", nella rubrica "Confidenze degli autori".
Alla morte dei genitori, negli anni ’30, visse sola, assistita
da un’infermiera, Vittoria Tagliaferri, che le rimase
sempre accanto e alla quale dettò I doni della vita.
Anche il periodo storico andava cambiando e con l’affermarsi
del Fascismo non c’era certo posto per le sue accorate
descrizioni della povertà e dell’arretratezza del Sud. Oltretutto
andava esaltandosi un tipo di figura femminile, quello dannunziano,
sicuramente distante dal tipo di donna rappresentata nei romanzi
dell’autrice siciliana. Anche questo contribuì al declino letterario
di Maria Messina, fino alla sua scomparsa dalla scena editoriale
e pian piano il suo nome venne dimenticato, purtroppo.
Nell’inverno del 1943 sfuggì da Pistoia, distrutta dai bombardamenti,
per rifugiarsi in una casa di contadini a Masiano (presso la
famiglia Tarabusi). Tra tanta gente in fuga dalle bombe c’era
anche questa piccola, esile donna paralizzata dalla sclerosi.
Morì
nel gennaio del 1944, non resse ai disagi e alle difficoltà
emotive della guerra e dello sfollamento. Prima di morire dettò
all’infermiera I doni della vita, un testo di
fede, che racconta l’esperienza di sofferenza fisica e spirituale
che Maria aveva vissuto. Scrisse la nipote Annie: "Alla sterile
disperazione di un tempo era subentrata in lei, che pure era
stata una tiepida credente, la serenità della rassegnazione
cristiana, una fede profonda che non cercava più in questo mondo.
Ricordo ancora come il suo visino patito, ma ancor bello si
illuminasse per me di un sorriso, mentre io, tenendo tra le
mie le sue mani inerti le parlavo dei miei sogni, delle mie
speranze che pure erano state le sue".
Vittoria Tagliaferri si occupò della sepoltura che avvenne nel
cimitero della Misericordia Addolorata di Pistoia, e di telegrafare
la triste notizia al fratello lontano, Salvatore, unico parente
di Maria. Finita la guerra, nessuno ebbe cura di quella tomba
e nel 1966 i resti di Maria Messina furono esumati e dispersi
in una fossa comune. Si legge da tante parti che nel 2009 le
sue spoglie sono state traslate e portate a Mistretta, la sua
seconda patria, ma probabilmente fu qualcosa più di simbolico
per darle degna sepoltura in un luogo che per lei fu importante.
La
narrazione della donna
La narrazione di Maria Messina si concentrò soprattutto sulla
cultura siciliana della sua epoca, con uno sguardo in particolare
sulla condizione femminile, denunciando la coercizione e la
sottomissione cui era sottoposta la donna, è polemizzando nei
confronti della società immobile che accettava passivamente
tali situazioni.
Ne La casa nel Vicolo (1921) le sue
donne cercano di opporsi alle consuetudini sociali ma finiscono
per non riuscirci e restare disilluse, impotenti. In Un
fiore che non fiorì (1923) si narra della giovane
Franca, donna forte e con una certa libertà di azione, anticonformista
per l’epoca “con i capelli a zazzera e l'abito corto e scollato?,
che allontanatasi dalla Sicilia per un certo tempo vi fa ritorno
e ritrova un giovane che in passato si era interessato a lei.
Il ragazzo si spaventa per il suo l’atteggiamento vivace e,
condizionato da un modello di femminilità legato alla tradizione,
sceglie di tenerla fuori dalla sua vita. Franca non ha più motivo
di restare, e torna in treno a Firenze dalla zia e lì la sua
vita precipita. Non avrebbe mai immaginato che fosse così caro
il costo dell’emancipazione.
Nelle novelle, dove le qualità essenziali delle donne sono
obbedienza e sottomissione, emergono tutte le difficoltà dei
rapporti familiari che invano si cerca di tenere nascosti alla
curiosità dei vicini, come le incomprensioni, le gelosie, i
tradimenti, che rendono penosa la vita quotidiana. una non comune
forza di analisi psicologica, scendendo nei più inconfessati
angoli del cuore umano.
Nelle piccole vicende ordinarie e anonime, l’interesse di
Maria Messina è rivolto al conflitto interiore, alla tortuosità
dell’anima, perni intorno a cui ruota tutta la sua arte. In
punta di piedi possiamo attraverso le sue pagine penetrare nel
cuore delle donne, ascoltarle, spiarle, sperare in una redenzione
e pensare alle donne di oggi.
Sciascia
e Maria Messina
Se Giovanni Verga era stato importante per la sua corrispondenza
con Maria Messina e l’incoraggiamento alla scrittrice ventenne,
fu certo Leonardo Sciascia che ridette luce e vigore ai suoi
scritti, facendo apprezzare il suo talento. Nel 1981 Sciascia
inserì nel volume Partono i bastimenti
(Mondadori) due suoi racconti sull’emigrazione che
trattando in modo delicato e doloroso il tema della disgregazione
dei vincoli familiari: Nonna Lidda
e La Mèrica.
In Nonna Lidda, un’anziana lavandaia alleva
tra mille stenti il nipote neonato che le ha affidato il figlio
vedovo, emigrato. Il figlio dopo alcuni anni rivuole il bambino
e lo chiede in modo brusco e freddo, senza nessuna attenzione
all’amore e alle cure che Nonna Lidda ha profuso negli anni.
Nonna Lidda è sorpresa e disperata, non reggerà alla separazione
dal bambino e morirà. Ecco le parole tenere, efficaci e disarmanti
di Maria Messina: “Richiedeva il piccolo come niente fosse.
Scordandosi che se l’era cresciuto lei, povera vecchia, con
la sua fatica, che gliel’aveva lasciato quant’un gattino! Non
lo sapeva lui che schianto le dava, oh, figliolo disamorato!
oh figliolo sciagurato!".
Nella novella La Mèrica, l’America non è un sogno
di una vita migliore ma il "paese dove si lavora e poi si muore",
è una realtà difficile che mette in crisi la famiglia patriarcale,
impone separazioni strazianti e finisce per sciogliere i legami
familiari.
Sciascia curò anche una nota critica del volumetto
Casa paterna, sottolineò come anche durante il recupero
della letteratura femminile, addirittura durante il femminismo,
i libri di Maria Messina e il suo nome stesso siano rimasti
del tutto ignorati. Così scrisse: "ci, meraviglia che nell’attuale
urgenza delle rivendicazioni femminili e femministe, nell’attenzione
delle scrittrici del passato e nel tentativo di costruire principalmente
attraverso la loro opera una rappresentazione della condizione
femminile nel mondo, in Italia e particolarmente nel Meridione,
non pochi suoi libri e il suo nome stesso siano rimasti del
tutto ignorati. La dimenticanza, o, se si vuole, più poeticamente
l’oblio, spesso s’insinua e dilaga come edera rampicante a coprire
certe aree e certi nomi della nostra storia civile e letteraria".
Sciascia non si spiegava come durante gli anni delle rivendicazioni
femministe, nei primi anni del Secondo Novecento, fosse stata
ignorata l’opera pioneristica di Maria Messina, che nelle pagine
dei suoi romanzi denunciava della condizione ingiusta e sottomessa
della donna.
Se desideri approfondire vita e opere di Maria Messina, studiosi
di riferimento sono: Barbarulli, Brandi, Leotta, Di Giovanna,
Santoro, Magistro, Pausini, Zambon.
Opere
di Maria Messina
Novelle
• Pettini fini e altre novelle, Palermo, Sandron, 1909
• Piccoli gorghi, Palermo, Sandron, 1911
• Le briciole del destino, Milano, Treves, 1918
• II guinzaglio, Milano, Treves, 1921
• Personcine, Milano, A. Vallardi, 1921
• Ragazze siciliane, Firenze, Le Monnier, 1921
Romanzi
• La casa nel vicolo, Milano, Treves, 1921
• Alla deriva, Milano, Treves, 1920
• Primavera senza sole, Napoli, Giannini, 1920
• Un fiore che non fiorì, Milano, Treves, 1923
• Le pause della vita, Milano, Treves, 1926
• L’amore
negato, Milano, Ceschina, 1928
Letteratura
per l’infanzia
• I racconti di Cismè, Palermo, Sandron, 1912
• Pirichitto, Palermo, Sandron, 1914
• Cenerella, Firenze, Bemporad, 1918
• I figli dell’uomo sapiente, Palermo, Sandron, 1920
• II galletto rosso e blu, Palermo, Sandron, 1921
• II giardino dei Grigoli, Milano, Treves, 1922
• I racconti dell’Avemaria, Palermo, Sandron, 1922
• Storia di buoni zoccoli e di cattive scarpe, Firenze, Bemporad,
1926
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