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Università a Torino
Nei primi anni del XV secolo il
principe Ludovico di Savoia-Acaia, sollecitato da alcuni docenti delle
Università di Pavia e di Piacenza, volle dotare anche il Piemonte di uno
Studio. La sede fu Torino in quanto centro vescovile e incrocio di grande
importanza per le comunicazioni con la Liguria, la Lombardia e la Francia.
La nuova Università venne subito legittimata nell'autunno del 1404 da una
bolla di Benedetto XIII e da successivi atti: un diploma dell'imperatore
Sigismondo nel 1412, una bolla di Giovanni XXIII l'anno seguente e
un'ulteriore bolla di Martino V, forse nel 1419.
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I riconoscimenti istituzionalizzavano Corsi di dottorato in Teologia, in
Diritto Canonico e Civile, in Medicina e Arti liberali; sembra tuttavia
che si svolgessero con regolarità soltanto i due Corsi di Diritto.
Il primo periodo di attività dello Studio fu travagliato e incerto a causa
di guerre, epidemie, crisi congiunturali e rapporti difficili con il Comune.
Tutto questo provocò notevoli difficoltà di funzionamento, che causarono il
trasferimento a Chieri fra il 1427 ed il 1434 ed a Savigliano dal 1434 al
1436 quando Ludovico di Savoia, successore di Amedeo VIII, stabilì nuovi
ordinamenti volti al controllo dell'Università da parte del governo sabaudo.
Le Patenti ducali del 6 ottobre 1436 fissavano a tre le Facoltà (Arti e
Medicina, Leggi, Teologia) e a venticinque le letture o cattedre.
L'ambito di attrazione dell'Università torinese era abbastanza circoscritto,
per questo Amedeo VIII nel 1424 aveva tentato di estendere l'area di
reclutamento degli studenti concedendo salvacondotti e immunità agli
stranieri e rendendo obbligatoria la frequenza ai giovani residenti nel
Ducato. Nonostante ciò, molti degli studenti piemontesi continuarono a
preferire atenei prestigiosi come
Bologna, Padova, Pavia, Tolosa e altri. Lo
Studio torinese, inoltre, soprattutto per Francesi e Inglesi, costituiva
soltanto la prima tappa in Italia verso altre Università di antica
tradizione. Ad alcuni, tuttavia, e tra questi Erasmo da Rotterdam che vi si
laureò il 4 settembre del 1506, Torino offriva la possibilità di conseguire
più facilmente il titolo accademico, perché le spese per gli esami di laurea
erano contenute. Nel corso del Quattrocento i titoli conferiti furono appena
una settantina: trentaquattro in Teologia, venticinque in Diritto e una
dozzina in Medicina. Lo Studio piemontese non riuscì mai nel corso dei primi
secoli di attività a essere considerato tra le principali Università
italiane. Con queste ultime non era infatti in grado di competere, né per il
numero degli studenti, né per la fama dei docenti, reclutati per lo più su
base locale, e quindi non di alto livello scientifico, anche se alcuni, come
i giuristi Ambrogio Vignate e Pietro Cara o i medici Pantaleone da Confienza
e Pietro Monte da Bairo, raggiunsero anche fuori del Ducato una certa
notorietà professionale.
Nei primi mesi del 1536 con l'occupazione francese del Ducato, lo Studio
venne chiuso in quanto focolaio di tumulti. Solo nel 1558, dopo alcuni vani
tentativi di riapertura, l'Università riprese la sua attività a Mondovì con
lettori di una certa levatura (come il pavese Giacomo Menochio e il
portoghese Antonio Goveano). Venne riaperta definitivamente nell'autunno del
1566 e alla città di Torino fu concesso il diritto esclusivo di essere sede
dello Studio.
A Emanuele Filiberto si deve la ristrutturazione dell'ordinamento
istituzionale dello Studio sul modello di Bologna. Egli mutò profondamente
anche il ruolo e l'importanza della figura del Rettore. Originariamente il Rector era eletto dagli studenti e li rappresentava; intorno al 1570 tale
ufficio divenne una carica onorifica di rappresentanza, e nel corso del
Seicento scomparve.
La riforma imposta da Emanuele Filiberto rimase pressoché invariata fino al
primo Settecento. Infatti se Carlo Emanuele I introdusse una nuova Cattedra
di Procedura Civile, i successori attuarono una politica universitaria
episodica e improvvisata, a cui si aggiunsero difficoltà dovute ad eventi
estranei allo Studio: la peste nel 1630 e le vicende belliche provocarono
infatti lunghe sospensioni dell'attività. La crisi è testimoniata dalla
sensibile contrazione degli studenti: mentre al tempo di Emanuele Filiberto
lo Studio aveva circa 500 iscritti, alla fine del secolo erano
intorno a 400 e in seguito sarebbero ulteriormente diminuiti. Anche
gli insegnamenti dopo la metà del Seicento si erano ridotti a circa
ventisei-ventisette. Un graduale incremento dei corsi tornò a manifestarsi
nei primi anni Ottanta, quando si superarono la trentina di cattedre.
Questa inversione di tendenza era dovuta al fatto che anche l'Università
veniva coinvolta nel piano di riforma dello Stato sabaudo voluto da Vittorio
Amedeo II appena insediato nel 1684.
Nei primi anni del XVIII secolo inizia una nuova fase nella storia
dell'Università. "Dopo circa un secolo e mezzo di decorosa - ma non eccelsa
- attività, l'Ateneo riprende vigore con la nuova disciplina data nel secolo
XVIII, prima da Vittorio Amedeo II ( 1729 ), poi da Carlo Emanuele III (
1772): non per nulla sono i due re di cui troneggiano le statue nell'Aula
Magna. Si afferma un' Università di Stato, controllata dall'alto, ultimo
perno di una politica scolastica pubblica impegnata a favorire la formazione
di un valido gruppo di funzionari, chiamati a collaborare col principe per
reggere le sorti dello Stato, anche attraverso incentivi ai meritevoli, come
avviene attraverso il Collegio delle Province. Sin dal sec. XVIII si afferma
quindi un modello di Università moderna".
Tra le riforme più significative delle Costituzioni del 1729, è l'apertura
del Collegio delle Province, che avrebbe ospitato, per completare gli studi
universitari a totale carico dello Stato, cento giovani di modeste
condizioni sociali. Altra importante innovazione intorno agli anni '30 è una
Cattedra di Eloquenza Italiana accanto a quella Latina, che incise
notevolmente sui modelli culturali linguistici del Ducato. In questo periodo
lo Studio piemontese divenne, per la consolidata struttura, il modello di
riferimento per le riforme universitarie a Parma e a Modena, e nei primi
anni Sessanta servì a riorganizzare le due Università di Cagliari e di
Sassari. Le Costituzioni universitarie del 1771, che dettero un assetto
definitivo all'istituzione, sono meno innovative e presentano un modello di
Università chiuso, lontano dalla pedagogia dei Lumi. Si proibiva ad esempio
ai docenti di pubblicare all' estero senza un permesso delle autorità.
Sul finire del '700 le vicende dell'Università sono strettamente connesse
con gli avvenimenti internazionali, che determinarono un alto tasso di
conflittualità urbana e perdita di prestigio dello Stato. Lo testimonia la
rivolta degli studenti universitari che coinvolse ampi strati popolari della
città (1791), tra i quali gli artigiani, che infine, sentendosi traditi
dagli studenti, assalirono il Collegio delle Province provocando morti e
feriti (marzo 1792).
Nell'autunno del 1792, con la guerra alla Francia rivoluzionaria,
l'Università e il Collegio delle Province furono chiusi. Solo nel gennaio
del '99 il governo provvisorio piemontese, da poco insediato, la riaprì sotto
il controllo di un Comité d'instruction publique, con una nuova pianta delle
cattedre. Gli avvenimenti bellici tuttavia resero vano il progetto sino all'
estate del 1800, quando il secondo governo provvisorio riaprì l'Ateneo con
il nome di Università Nazionale. Il nuovo assetto, fondato in gran parte
sulle Costituzioni del 1771, sostituiva le Facoltà con otto Scuole speciali
che ne riproducevano lo schema: Chimica ed Economia Rurale, Chirurgia,
Disegno e Belle Arti, Legislazione, Medicina, Scienze Fisiche e Matematiche,
Letteratura, Veterinaria. Nel dicembre 1802 le Scuole speciali vennero
ridotte a cinque con l'abolizione di Letteratura e l'unificazione di
Medicina e Chirurgia; inoltre, nonostante le proteste, per ragioni
economiche numerose cattedre furono soppresse.
"La svolta decisiva per il sistema universitario piemontese è da collocare
però nel 1805, quando venne introdotto anche in Piemonte - ridotto ormai a
dipartimento francese - il nuovo ordinamento universitario imperiale, [...]
con il quale a capo di ogni Università veniva posto un Rettore - scelto
personalmente da Napoleone, - affiancato da un Consiglio di amministrazione,
dal quale dipendevano non solo l'Ateneo, ma tutte le scuole e i collegi del
dipartimento. Nell'Università di Torino le Facoltà vennero riorganizzate per
l'ennesima volta passando da cinque a otto (Medicina, Veterinaria, Scienze,
Matematica, Diritto, Lingua e Antichità, Disegno, Musica): per dimensione,
insegnamenti attivati, numero di docenti e studenti, il sistema
universitario piemontese risultò essere il più grande dell' Impero, subito
dopo quello parigino.
"Nei primi anni dell'Impero le Facoltà universitarie torinesi videro un
notevole incremento del numero degli iscritti: in particolare nella Facoltà
di Giurisprudenza si ebbe una vera e propria esplosione, mentre la Facoltà
di Medicina - che aveva raddoppiato il numero degli iscritti nei primi anni
del secolo - rimase stazionaria; nettamente in calo erano invece le Facoltà
di Scienze, Lettere e Arti, per non parlare di Veterinaria, che non riuscì
mai a decollare veramente. [...] Le difficoltà della nuova Facoltà di
Veterinaria erano dovute soprattutto alla mancanza di spazi adeguati, di
attrezzature e bestiame. Lo stesso discorso valeva per la Facoltà di
Scienze, che vide bruscamente crollare le iscrizioni da 128 nel 1805 a 69
nel 1807, dotata di laboratori insufficienti e priva di denaro per
acquistare le necessarie apparecchiature tecniche. I Musei universitari,
l'Accademia delle Scienze e l'Orto Botanico non potevano, da soli, supplire
alle gravi carenze del "polo" scientifico".
Dopo la caduta dell'Impero napoleonico, Vittorio Emanuele I ripristinò la
legislazione e le istituzioni dell'antico regime sabaudo, cioè le
Costituzioni del 1771 e il Regolamento del 1772. I provvedimenti più
importanti negli anni successivi furono la creazione di una Cattedra di
Economia Politica presso la Facoltà di Legge (1817) e l'apertura, alla
Venaria, di una Scuola di Veterinaria (1817-1818). Significativa, per le
tendenze autoritarie dell'epoca (1879), la nuova procedura di nomina del
Rettore: gli studenti perdevano l' antico diritto di partecipare alla
designazione, lasciata ai docenti delle singole Facoltà, ognuna delle quali
proponeva un professore in attività o a riposo, e il sovrano sceglieva in
questa rosa.
Nel marzo 1821 il movimento insurrezionale iniziato in Spagna e a Napoli
(gennaio-luglio 1820) si sviluppò anche in Piemonte e numerosi furono gli
universitari che vi presero parte. Al termine dei moti il Collegio delle
Province fu chiuso e l'Università, in seguito, venne riaperta solo
parzialmente. "Per evitare l'assembramento dei giovani nella capitale si
stabilì che, ad eccezione degli studenti residenti a Torino o nelle Province
contigue, come Pinerolo e Susa, gli altri continuassero gli studi nelle
località di residenza. I ripetitori dovevano recarsi periodicamente nei
capoluoghi delle varie Province per controllare l'andamento degli studi e
smaltire gli esami di profitto ( detti "esami privati" ). Norme severissime
furono impartite per la sorveglianza sulla condotta morale degli studenti e
sulla loro partecipazione alle pratiche religiose ( 1822). Per la nomina del
Rettore, vennero adottati provvedimenti ancora più restrittivi di quelli
emanati da Vittorio Emanuele I, escludendo in merito anche l'ingerenza dei
docenti. Il presidente del Magistrato indicava una rosa di cinque candidati
da lui scelti fra i professori ufficiali delle cinque Facoltà (Chirurgia,
Legge, Lettere, Medicina, Scienze e Teologia) al re era lasciata
l'indicazione definitiva della persona destinata a quella carica (1823)".
Con l'avvento al trono di Carlo Alberto ( aprile 1831) le restrizioni si
allentarono, soprattutto quando egli cominciò a prendere le distanze dall'
Austria e a mostrare qualche apertura verso il liberalismo moderato (1879).
Il periodo albertino è caratterizzato dallo sviluppo di alcuni Istituti,
dalla creazione ex-novo di altri e dalla presenza di docenti di prestigio.
Nel 1832 venne chiamato a insegnare Fisica Sublime il francese Augustin
Cauchy, scienziato di fama internazionale, e alla Cattedra di Eloquenza
Italiana il dalmata Pier Alessandro Paravia. Sempre nel 1832 venne creato
l'Istituto di Medicina Legale; nel 1837 furono emanate disposizioni per la
specializzazione in Ostetricia. Carlo Alberto fece inoltre costruire,
all'Ospedale San Giovanni Battista, un grande Teatro o Museo Anatomico
(1837) dove fu traslocato il materiale di anatomia normale già esistente
presso l'Università e quello raccolto dal 1818 in poi nel Museo di Anatomia
Patologica. Nel 1842 venne riaperto il Collegio delle Province; si permise
progressivamente agli studenti di tornare a frequentare i corsi e si
provvide a una migliore organizzazione dei curricula degli studi e
all'aumento del numero delle cattedre. Nel 1844 il pedagogista cremonese
abate Ferrante Aporti venne invitato a tenere un corso di "Metodo". Alle
lezioni accorse un vasto pubblico nonostante le critiche mosse al suo
insegnamento dall'arcivescovo di Torino, monsignor Franzoni, e dai gesuiti.
Una Scuola Superiore di Metodo venne creata all'Università per la formazione
dei professori che dovevano insegnare nelle Scuole di Metodo provinciali.
Nel 1846 fu istituita una Cattedra di Storia Militare d'Italia, trasformata
poi in Cattedra di Storia Moderna (per storia moderna si intendeva allora
quella che per noi è la storia medievale), che fu assegnata allo storico
Ercole Ricotti. In quello stesso anno, a ricoprire la ripristinata Cattedra
di Economia Politica, abolita ai tempi di Carlo Felice, fu chiamato da
Napoli Antonio Scialoja.
Purtroppo non è possibile indicare cifre precise sul numero degli iscritti
all'Università in quegli anni perché molti registri mancano. La Facoltà di
Legge continuò ad essere la più frequentata. Fra gli anni 1831 e 1847 la
media annuale delle lauree conseguite in questa Facoltà si aggirò sulle
centoventi (in questo numero sono considerate anche le lauree di un corso
più breve per diventare notaio o causidico). In Medicina e Chirurgia le
lauree conseguite in quel periodo si aggirarono sulla media annua di
ottanta. La discussione di laurea era allora quasi una formalità: non
richiedeva alcuna ricerca originale. Si trattava solo di discutere, dinanzi
all'apposita commissione, alcune "tesi" o argomenti estrapolati dai corsi
seguiti negli anni precedenti, argomenti che venivano indicati al candidato
pochi giorni prima della discussione.
"Le prime Facoltà ad imboccare la via dei tempi nuovi furono nel 1844 quelle
di Medicina e di Chirurgia, che erano state separate dopo l'unificazione
realizzata dai Francesi, ed ora di nuovo riunite. Fu questo un esempio
significativo di riforme carlo-albertine, nel ripristino di disposizioni
napoleoniche, ma anche la conseguenza della necessità di svecchiare un
ordinamento che risaliva al 1815-16. [...] Nell'insieme non furono
introdotte innovazioni di grande rilievo, ma piuttosto una razionalizzazione
complessiva, in un settore di studi che, come gli altri di Matematica,
Fisica e Chimica, era stato meno sottoposto alle chiusure e alla
compressione subite dal versante giuridico e umanistico, dove, nei decenni
precedenti, si era temuto che più facilmente si diffondessero idee liberali:
fu elevata la durata degli studi a 6 anni, furono fissati gli esami alla
fine di ciascun anno nelle materie previste nel piano degli studi, si
stabilì una precisa regolamentazione delle prove finali - poi estesa alle
altre Facoltà -, della dissertazione di laurea, delle procedure di
iscrizione. Più significativo fu, di lì a 6 anni, il nuovo regolamento
approvato ne1 1850, perché rimodellò in profondità gli studi di Medicina e
Chirurgia, dando alla Clinica e alla pratica negli ospedali torinesi uno
spazio prima impensabile, distribuito specialmente negli ultimi tre anni; e
introdusse alcuni insegnamenti che formarono la base di quello che nel 1856
divenne il Corso speciale biennale autonomo per farmacisti, chiamato anche
Scuola di Farmacia e in seguito trasformato in Facoltà".
Nel 1845, per volere di Cesare Alfieri, Magistrato della riforma che
intendeva frenare il potere dell'arcivescovo di Torino, seguì il
rinnovamento della Facoltà di Teologia, ormai un residuo del passato che,
per il vertiginoso calo degli iscritti e per l'aumento delle tensioni fra
Stato e Chiesa, si andava rapidamente svuotando. La Facoltà fu poi
definitivamente soppressa nel 1872. L'anno successivo venne riformata la
Facoltà di Legge, storicamente la più frequentata. Vi fu una
razionalizzazione e un largo ampliamento degli insegnamenti strutturati in
due tipi di corsi, uno ordinario di 5 anni e uno "completivo" di 2 dopo la
laurea, destinato a formare i futuri professori universitari. Nel triennio
1846-48 si provvide, tra forti contrasti e resistenze, a riformare la
Facoltà di Scienze e Lettere che il 9 ottobre 1848 cessò di esistere. Al suo
posto vennero create due Facoltà separate, di Belle Lettere e Filosofia e di
Scienze Fisiche e Matematiche. Il nuovo ordinamento di Filosofia costituì,
oltre al Corso di laurea, un Corso Superiore quadriennale per la formazione
dei nuovi docenti, con la cessione a Scienze di quello di Filosofia
positiva. La Facoltà di Scienze, con la presenza di studiosi che
assicuravano un'alta qualità dell'insegnamento, Avogadro, Bidone, Plana,
Giulio, Defilippi, Sobrero, Menabrea, fu organizzata in quattro Corsi di
laurea quadriennali: di Matematica e Ingegneria Idraulica, di Architettura
Civile e, per l'insegnamento nelle scuole secondarie, di Fisica e Geometria,
e di Storia Naturale. Nel 1856 si aggiungerà un quinto Corso di laurea, in
Chimica.
"Tra la metà degli anni Cinquanta e la metà dei Sessanta, la media annua
degli studenti complessivi era di 879 a Legge, di 264 a Medicina e
Chirurgia, di 165 a Matematica, di 142 a Farmacia, mentre i nuovi iscritti
oscillavano intorno alla trentina a Lettere, e 12 a Filosofia: di tutti
questi, solo uno su dieci giungeva ogni anno alla laurea a Legge,
altrettanto a Matematica, due a Medicina e poco più a Lettere; seguivano
Filosofia e Fisica con tre laureati ogni dieci iscritti e Farmacia con
quattro. Le tasse erano elevate, specialmente a Legge (intorno alle 90 lire
per esame), con funzione disincentivante; la metà circa a Medicina, meno
ancora a Lettere e Filosofia e a Scienze; erano tuttavia previste varie
agevolazioni per gli studenti di più modesta estrazione sociale, a
condizione però che superassero gli esami a pieni voti".
Con il 1864 si conclude "un periodo della storia dell' Ateneo torinese,
quello che aveva avuto una serie di docenti immigrati, dai nomi prestigiosi,
su alcune delle cattedre più importanti (Melegari, Ferrara, Mancini), e che
aveva visto gravitare intorno all'edificio di via Po e a caffè e circoli
contigui, intellettuali ed esuli, giornalisti e politici. È solo dell' anno
precedente, 1863, il ritratto che fa della capitale d'Italia Edmondo De
Amicis, che ricorda come la domenica si recasse a sentire all'Università il
Corso libero di Giuseppe Ferrari sugli Scrittori politici Italiani,
affascinante interprete di un' epoca oramai conclusa. La forzata e sofferta
rinuncia al ruolo di capitale, provocò un allontanamento da Torino non solo
di un certo numero di intellettuali chiamati a compiti governativi o di
direzione statale, con un impoverimento del corpo docente, ma anche di tutto
l'ambiente gravitante intorno alla corte sabauda: la popolazione scese da
220.000 a meno di 190.000 abitanti.
A questa grave crisi della città, l'Università rispose in modo brillante,
ponendo le basi per divenire uno dei centri italiani culturalmente più
avanzati della fine secolo, uno dei punti di riferimento del positivismo
italiano. Le Facoltà erano cinque: Teologia, Leggi, Medicina e Chirurgia,
Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali, Lettere e Filosofia, affiancate
dalla Scuola di Farmacia. La nuova vitalità dell'Ateneo torinese prende le
mosse dalle Facoltà scientifiche: già nel 1861 il ministro della pubblica
istruzione Francesco De Sanctis, che a Torino aveva insegnato, chiamava
Jakob Moleschott alla Cattedra di Fisiologia. [...] Nel 1873 Giulio
Bizzozero fondò il Laboratorio di Patologia Generale e introdusse l'uso del
microscopio per lo studio delle piastrine del sangue, l'Istituto di Medicina
Legale fu creato da Cesare Lombroso nel 1876, anche lui attratto
dall'attività della Facoltà torinese. Il clima positivista toccò molti
settori del sapere: inevitabilmente tra i primi quello delle scienze
naturali. Già a partire dal 1864, proprio a Torino, lo zoologo Filippo De
Filippi aveva introdotto il darwinismo, suscitando inevitabili polemiche e
contestazioni, e il suo successore Michele Lessona diverrà uno strenuo
assertore delle teorie evoluzionistiche. Ma anche le Facoltà Umanistiche,
Leggi e Lettere e Filosofia ne furono suggestionate. Parallelamente iniziano
alcune riviste di grande interesse, collegate con l'Ateneo, che sono in
stretto rapporto con i principali centri della cultura europea. Le due
riviste più importanti furono "La Rivista di Filosofia Scientifica" diretta
da Morselli e uscita a Torino dal 1881 al 1891 e l'"Archivio di Psichiatria,
Scienze Penali ed Antropologia Criminale" fondata nel 1880 da Cesare
Lombroso, la cui caratteristica fu l'impostazione non settaria, ma piuttosto
quella di recepire le voci diverse, per un dibattito costruttivo.
"Altre strutture si affiancano all'Università ed hanno rapporto di
interrelazione con essa: l'Istituto Superiore di Guerra (1867), emanazione
della Scuola di Applicazione di Artiglieria e Genio, la Biblioteca civica,
aperta al pubblico nel 1869, la Scuola di Paleografia, Diplomatica e
Dottrina Archivistica (1872) presso l'Archivio di Stato, derivante da una
cattedra istituita nel 1820 per Giuseppe Vernazza, la Facoltà teologica,
che, soppressa nell'Ateneo, trova la sua sede presso il Seminario
metropolitano".
"Una svolta decisiva nella storia dell'Università torinese avviene nel 1878
quando, dal 1° gennaio, inizia ad operare il Consorzio universitario,
costituito con il Comune e la Provincia, al fine di "conservare all'Ateneo
di Torino il lustro di uno dei primari centri di studi universitari". [...]
Nel 1878-79 iniziò la sua attività il Laboratorio d'Igiene, costituito da
Luigi Pagliani che nel 1881 ebbe la prima cattedra della materia in Italia;
nel 1884 venne a Torino Carlo Forlanini, illustre fisiologo, e sperimentò il
primo pneumotorace artificiale. Nel 1883 venne fondata la Biblioteca
Speciale Matematica, prima non autonoma; nel 1886 apparve il Bollettino dei
Musei di Zoologia e di Anatomia Comparata; l'anno successivo l'Orto ed
Istituto botanico iniziò una raccolta sistematica di tutte le piante
presenti sull'area della regione piemontese. Nel 1882 nacque con la dizione
di Istituto di Esercitazioni nelle Scienze Giuridico-Politiche quello che
diverrà l'Istituto Giuridico e nel 1884 inizierà Il Digesto italiano -
Enciclopedia metodica e alfabetica di legislazione, dottrina e
giurisprudenza, presso la UTET, e che nella facoltà torinese aveva il suo
centro. Nel 1893 venne fondato il Laboratorio di Economia Politica, diretto
da Cognetti de Martiis, dedicato "allo studio delle questioni e istituzioni
che riguardano il lavoro ed il Capitale", annesso all'Università e al Museo
Industriale.
"Il clima positivista coinvolge non solo medici, fisiologi, zoologi, ma
anche giuristi, storici, letterati. Nel 1876 arriva a Torino Arturo Graf,
quale incaricato di Storia comparata delle letterature neolatine e l'anno
successivo la sua prolusione avrà il significativo titolo "Di una
trattazione scientifica nella storia letteraria". Comparazione e
scientificità quindi; il "Giornale Storico della Letteratura Italiana"
fondato nel 1883 è il principale organo di quella che sarà denominata scuola
storica, che pone programmaticamente al centro del suo interesse " la
conoscenza dei fatti", con una accentuata attenzione per la storiografia.
Sempre figlia dell'Ateneo è la "Rivista Storica Italiana" che Rinaudo inizia
a pubblicare nel 1884. La Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia
nacque con il Consorzio sul finire del 1877".
Per le Facoltà scientifiche venne fatta una Convenzione l'11dicembre 1883
che decise la costruzione di tre nuovi Istituti, spostandoli dalla storica
sede dell'ex convento di San Francesco da Paola in via Po: di Anatomia, di
Biologia, Fisico-Chimico con Laboratorio di Chimica Farmaceutica. Gli
iscritti nel 1879-80 erano 1581, la soglia dei 2000 sarà raggiunta solo nel
1883-84, quando gli studenti ammonteranno a 2118.
"Gli anni della fine del secolo sono particolarmente intensi: nel 1889
vengono affidati all'Università i corpi di reato giacenti nelle Cancellerie
di Torino, primo nucleo del Museo psichiatrico e Criminologico diretto da
Lombroso e dal 1892 punto di riferimento di alcuni grandi stabilimenti
penali, tra cui Regina Coeli. Nel 1894 inizia la sua attività l'Istituto
Angelo Mosso, un osservatorio per indagini meteorologiche e di fisica
terrestre, nella capanna Margherita, sulla punta Gnifetti del Monte Rosa, il
più alto del mondo. L 'interesse e il concorso di molte Università straniere
permetteranno l'inaugurazione al Col d'Olen, a quasi 3000 metri
d'altitudine, il 27 agosto 1907 di un Laboratorio di Biologia e Fisiologia
Alpina. Ancora nel 1895 viene fondata la Società Storica Subalpina, ad opera
di Gabotto, e la Scuola Sociologica torinese, che fa capo a Giuseppe CarIe,
troverà la sua espressione nella " Rivista Italiana di Sociologia" ( 1897 ).
"Il grande investimento dell'Ateneo riguarda comunque gli istituti
medico-scientifici che si trasferiscono sull' area del Valentino: Fisica è
inaugurato nel 1898, Chimica nel 1899 e Anatomia Umana Normale abbandona i
vecchi locali di via Cavour: La loro attività, nelle nuove sedi, produrrà
non pochi risultati, con notevoli passi avanti nell'organizzazione didattica
in primo luogo, ma pure in quella scientifica. Ricordiamo solo nel 1905 la
istituzione della prima Cattedra italiana di Psicologia per Friedrich Kiesow
e l'instaurazione nel 1899 di una stazione sismica nel vecchio Osservatorio
astronomico, destinato a trovare una sede autonoma nel 1912 a Pino
Torinese". [...] Pur con tempi più lunghi, rispetto alla proliferazione
degli anni Ottanta, anche nella Facoltà di Lettere e Filosofia vennero
fondati Istituti importanti, quello di Storia dell'Arte Medioevale e Moderna
( 1907) e di Archeologia ( 1908). Il 1° ottobre 1906 iniziò i suoi corsi la
Regia Scuola Superiore di Studi Applicati al Commercio, primo nucleo della
futura Facoltà di Economia, che, con varie vicissitudini, lo divenne a pieno
titolo solo nel 1935, congiuntamente ad Agraria".
Nel corso della grande guerra anche l'Università di Torino, come le altre
Università italiane, ebbe un forte incremento delle iscrizioni. "Nel 1918,
un anno ancora tutto segnato dalla guerra, i laureati in Medicina e
chirurgia furono a Torino solo 15, nel 1919 il loro numero lievitò a 54 e
nel 1920 a 116. Diminuì poi nei tre anni successivi: 84 furono i nuovi
medici nel 1921, 70 nel 1922, 62 nel 1923. Anche Giurisprudenza e Lettere,
le due Facoltà umanistiche, oltre a Scienze e alla Scuola Superiore di
Commercio, ebbero, naturalmente con numeri diversi, e con una nettissima
preminenza di Giurisprudenza, un andamento del tutto simile a quello di
Medicina. Nel corso dell'ultimo decennio il fenomeno più vistoso, in termini
di percentuali, era stato il calo di Giurisprudenza (si parla sempre di
iscritti e non di laureati) dal 27,19% del 1911 al 15,18% del 1922 e la
contestuale crescita della Scuola Superiore di Commercio, negli stessi anni,
dal 3,65% al 12,49%".
La riforma Gentile, varata nella prima metà del 1923, riconobbe 21
Università e tra le 10 a carico dello Stato, Torino, che alle Facoltà
affiancava l'Istituto Superiore di Magistero (1923), aggiuntosi alla
prestigiosa Regia Scuola di Medicina Veterinaria che risaliva al 1851 (sarà
Facoltà nel 1934) e a quelle di Agraria e di Commercio, approvate l'anno
seguente. "Quanto agli iscritti, nel corso degli anni Venti complessivamente
calarono rispetto alle punte raggiunte intorno al 1920-21. La curva degli
iscritti riprenderà a salire negli anni trenta, in particolar modo a partire
dal 1935, quando anche Economia e commercio, Magistero ed Agraria erano
ormai divenute Facoltà a tutti gli effetti: appunto nell'anno accademico
1935-36 a Giurisprudenza gli iscritti risultarono 681 (e 156 i laureati), a
Economia e commercio addirittura 1403 gli iscritti (211 i laureati), a
Lettere 384 (e 63), a Magistero 802 (e 111), a Medicina 756 (e 114), a
Scienze 210 (e 29), a Farmacia 224 (e 34), a Veterinaria 85 ( e 26). Il
miglior rapporto tra iscritti e laureati sembrerebbe sussistere a
Giurisprudenza (l'anno precedente vi erano stati addirittura 210 laureati su
714 iscritti), il peggiore a Economia e commercio, seguita a ruota da
Magistero e poi da Medicina. A Lettere e a Magistero, a differenza che nelle
altre Facoltà, si stava però effettuando una sorta di rivoluzione
copernicana. Sui 63 laureati di Lettere ben 42 erano donne e sui 111 di
Magistero 75. A Lettere il sorpasso era già avvenuto all'inizio degli anni
Trenta, quando Magistero era ancora un Istituto superiore".
Durante il ventennio fascista "non mancarono, ovviamente, manifestazioni,
anche vistose, e persino volgari, di adeguamento formale e rituale alla
liturgia del regime e alla chiassosa propaganda ideologica, ma, nel
complesso, come ha scritto Norberto Bobbio, l'Università "lasciò in pace
...purché lasciasse in pace. [...] L'ossequio pubblico, anche il più
servile, mirava, nella maggior parte dei casi, a preservare intatta
l'autonomia dello spazio privato e didattico-scientifico. "Non mancò,
tuttavia, tra i professori, e tra gli stessi studenti, chi seppe imboccare
con coraggio la strada dell'intransigenza. Quando il Regio decreto del 28
agosto 1931 stabilì che i docenti avrebbero dovuto giurare di essere fedeli
non solo al re e ai suoi reali successori, ma anche al regime fascista, solo
12 in tutta Italia rinunciarono alla cattedra con il rifiuto di giurare. Tre
di questi erano membri del corpo insegnante dell'Università di Torino: Mario
Carrara, Francesco Ruffini e Lionello Venturi. Se poi si pensi che,
all'interno di questa esigua, e pur importantissima, adunata dei refrattari,
vi furono Gaetano De Sanctis, "torinese" per un trentennio (sino al 1929),
Edoardo Ruffini-Avondo (figlio di Francesco Ruffini), Piero Martinetti,
professore di Filosofia a Milano e pur torinese di formazione e canavesano
di nascita, e Giorgio Levi della Vida (docente di Lingue semitiche a Torino
dal 1916 al 1920 ), si può dedurre quanto sia stato statisticamente
rilevante il contributo torinese, e in questo caso delle sue Facoltà
umanistiche, alla difesa dell'autonomia della funzione docente. Era quest'ultima,
infatti, che pareva in gioco, non la difesa, allora improponibile, della
libertà politica".
Nell'anno accademico 1940-41, dopo l'ingresso dell'Italia in guerra, gli
iscritti all'Università erano 6782, quasi 400 alle 9 Scuole di
specializzazione di Medicina e 248 alle 3 Scuole di Ostetricia di Torino,
Novara, Vercelli. Le Facoltà erano 9 con 20 Corsi di laurea e contavano 99
professori ordinari e straordinari, 27 aiuti e 48 tra assistenti di ruolo e
incaricati. Il personale non docente era costituito da 157 persone. Nel
novembre del 1945, nella relazione con cui il Rettore Mario Allara
inaugurava l'anno accademico, erano già presenti i problemi che avrebbero
caratterizzato le vicende successive dell' Ateneo: quello edilizio, del
personale docente e non docente e degli studenti. Il Rettore, "rilevati i
gravi danni subiti dalle strutture edilizie universitarie (l'incendio e la
conseguente inagibilità della sede centrale di via Po, la distruzione della
Facoltà di Magistero, le rilevanti distruzioni subite dalle Cliniche e da
Veterinaria), tracciava un piano edilizio di singolare interesse, che
sarebbe stato costantemente ripreso e che in parte resta tuttora inattuato.
Prima di tutto respingeva l'idea, già allora avanzata, di costruire una
città universitaria. [...] In secondo luogo individuava come obbiettivi
prioritari il definitivo ripristino delle Cliniche universitarie, peraltro
già bene avviato, quello del palazzo di via Po, la realizzazione di un
grande palazzo per le Facoltà umanistiche, gli ingrandimenti di alcuni
Istituti e la sistemazione di quelli della Facoltà di Scienze, che il
ministro De Vecchi aveva espulso da palazzo Carignano e che erano stati
sistemati precariamente al San Giovanni Vecchio".
Il piano edilizio delineato nel ' 45 venne parzialmente attuato in tempi
differenti. Solo nel '52-53 lo stesso Rettore, inaugurando la restaurata
sede centrale di via Po, poté affermare che la fase della ricostruzione era
terminata. Rimaneva da completare quella della 'costruzione', e nella
relazione dell'anno accademico 1966-'67 egli presentò i dati definitivi
dell'avanzata fase di costruzione di numerosi Istituti e Cliniche e del
"Palazzo delle Facoltà umanistiche" (Palazzo Nuovo), che subito si rivelò
del tutto inadeguato alle sopravvenute necessità di spazio e di aule.
L'ultima relazione di Allara, nel 1968, conteneva un rinnovato piano
edilizio con la nuova sede della Facoltà di Economia, e degli Istituti e
Musei di Scienze Naturali e dell'Istituto di Fisica. Le Facoltà erano ancora
9 e i Corsi di laurea 23; le Scuole di specializzazione e di perfezionamento
39 e non più limitate a Medicina; i professori di ruolo 150, gli incaricati
'esterni' 93, gli assistenti di ruolo 468; il personale non docente
ammontava a quasi 700 unità. Gli studenti in corso erano divenuti 14.937, e
i fuori corso 4.963. Altri 713 erano iscritti alle Scuole di
specializzazione e ai Corsi di perfezionamento. Nel 1969 fu istituita la
nuova Facoltà di Scienze Politiche, che in precedenza costituiva un Corso di
laurea della Facoltà di Giurisprudenza.
Negli anni '70 si assiste a un progressivo aumento degli studenti e del
corpo docente, mentre il dato che caratterizza la prima metà degli anni '80,
accanto al notevole aumento degli iscritti, è un regresso del personale
docente e non docente. Durante il rettorato del prof. Giorgio Cavallo
(1975–1984) la struttura dell'Università muta con l'istituzione dei
Dipartimenti, mentre nel settore dell' edilizia lo stesso rettore e
l'amministrazione danno vita al cosiddetto "piano delle permute" stipulato
fra Università, Comune, Provincia e Demanio, che prevede la cessione
all'Università di un certo numero di edifici storici variamente dislocati
nella città o in zone adiacenti. Il Rettore Mario Umberto Dianzani, eletto
nel 1984, "individuava le coordinate del proprio rettorato nella necessità
di governare il passaggio complesso da una Università configurata
tendenzialmente sul modello tedesco del secolo scorso ad una nuova
Università di massa. Questione edilizia e problemi del personale erano da
lui indicati come i due settori in cui i ritardi accumulati apparivano più
gravi. Nello stesso tempo, Dianzani si proponeva di esaltare il più
possibile il ruolo dell' Università nel campo scientifico, anche potenziando
e favorendo il reticolo di rapporti con altri centri di ricerca nazionali e
internazionali. Il disegno era di fare riconquistare all'Università di
Torino [...] anche un ruolo centrale e visibile nello sviluppo scientifico,
tecnico, culturale e professionale, [...] imponendo, alla città e alla
regione la questione dell'Università come questione politica di prima
grandezza. In questo senso va anche letta l'intesa stipulata tra i Rettori
dell'Università e del Politecnico e il Ministero - di cui Dianzani dava
notizia nella relazione accademica del 1986-87 - per la creazione di una
futura Università del Piemonte orientale mediante una nuova procedura di
"gemmazione" da quella di Torino". Questo anche come risposta al nuovo
eccezionale incremento delle iscrizioni all'Università, cresciute di oltre
il 50% nel periodo dei rettorati Dianzani, fino a superare le 70.000 nella
sola sede di Torino".
L'Università di Torino si inserisce oggi nel gruppo degli atenei italiani di
grandi dimensioni. Il nuovo Rettore Rinaldo Bertolino nel suo programma ha
posto all' Ateneo alcuni obiettivi non più procrastinabili. Tra i più
importanti citiamo: affrontare all'interno di una programmazione unitaria
per grandi aree l'annosa questione edilizia, razionalizzare e potenziare
fortemente le strutture amministrative, didattiche e di ricerca al fine di
migliorare qualitativamente e quantitativamente i servizi. Durante il suo
mandato, l'Ateneo torinese ha profondamente trasformato e innovato la
propria offerta formativa in relazione alla riforma del sistema
universitario nazionale.
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