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La
medicina affonda le sue radici nella preistoria per poi svilupparsi
nell'antichità con Egizi, Greci e Romani. Tra alti e bassi ha compiuto passi da
gigante soprattutto negli ultimi secoli, arrivando alle complesse pratiche
moderne.
Se per
medicina si intende qualsiasi atto o procedimento finalizzato
all'allontanamento di un agente patogeno, di un sintomo morboso, di un
qualsivoglia elemento che turbi lo stato di salute, allora si può certamente
dire che l'origine di questa scienza coincida con l'origine stessa dell'uomo
e che sia strettamente legata a risvolti di carattere religioso, filosofico,
paleontologico ed etnologico.
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Inoltre è molto difficile fare un'adeguata ricostruzione scientifica dei
primi atti curativi in età preistorica, poiché i reperti di medicina vera e
propria a nostra disposizione non sono sufficienti (si tratta solamente di
crani trapanati e ossa con fratture consolidate risalenti a non prima di
100.000 anni fa). In realtà si possono solo fare semplici supposizioni
basate sull'osservazione di graffiti, pitture murali o di sculture. Potrebbe
venire spontaneo il paragone nel campo medico tra l'uomo della preistoria e
le moderne popolazioni selvagge (ad esempio i pigmei africani), ma non
bisogna dimenticare che anche il popolo più primitivo di oggi ha già subito
millenni di evoluzione.
Durante il corso dei secoli la medicina ha attraversato diversi stadi che,
secondo gli storici, sono i seguenti: medicina istintiva, medicina
sacerdotale, medicina magica, medicina empirica, medicina scientifica.
Per medicina istintiva si intende quella serie di accorgimenti ed azioni
proprie della natura degli animali superiori ed insite nel loro
comportamento, quali ad esempio il leccamento della ferita, la posizione
antalgica di un arto dopo un trauma, l'eliminazione dei parassiti dal corpo,
il disbrigo delle occorrenze del parto.
La medicina sacerdotale nacque quando l'uomo primitivo, davanti alla potenza
e all'imponenza dei fenomeni naturali che trascendono ogni possibilità
umana, ebbe la sensazione della presenza di uno o più esseri superiori
responsabili di qualsiasi manifestazione della natura, anche di quelle
relative alle patologie da cui veniva colpito. Le uniche vie di guarigione
risultavano quindi essere la preghiera, l'implorazione e il sacrificio.
Solo in un secondo tempo, con la corruzione del puro sentimento religioso,
si ebbe la concezione magica della medicina, in base alla quale l'uomo
credette di poter intervenire sui fenomeni e addirittura di poterli
comandare, sostituendosi così alla divinità: fin dalle più antiche
testimonianze documentali di epoca storica in nostro possesso si evince il
fatto che la figura dello stregone o del mago è opposta ed in contrasto con
quella del sacerdote. |
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Ciò significa che nel concetto di medicina magica è
inclusa una ben definita connotazione di empietà: chi si occupa di fatture e
sortilegi avvalendosi delle forze occulte viene temuto come un essere
malefico e diabolico.
Non si può però non rilevare nell'operato di maghi e stregoni un primo
abbozzo di scienza in quanto essi seguivano principi sempre uguali che, pur
basandosi su correlazioni completamente sbagliate tra causa ed effetto,
costituivano comunque un ragionamento guidato da un'apparente logica. Se
quindi per scienza si definisce lo studio dei fenomeni naturali al fine di
stabilirne le leggi e di poterli riprodurre applicando le leggi stesse,
allora bisogna riconoscere che la magia tende allo stesso scopo pur partendo
da presupposti errati e utilizzando mezzi inadeguati.
Quando poi l'uomo, ampliando le sue conoscenze ed approfondendo gli studi su
di esse, si rese conto di non potere più sostituire la divinità pur
comprendendo la natura dei fenomeni intorno a lui, iniziò una prima
discriminazione tra magia e scienza.
Anche nella medicina empirica possiamo vedere una forma embrionale di
scienza: è vero che non si preoccupa di risalire al perché dei fatti
osservati, ma è pur sempre la prima constatazione tra una causa ed un
effetto che permette la formulazione di successive ipotesi, quindi il punto
di partenza del ragionamento scientifico.
La Medicina
primitiva
I popoli
primitivi attualmente viventi uniscono l'interpretazione soprannaturale a un
empirismo spesso assai progredito. Tutte quelle patologie che sono causate
da agenti ben definibili (traumi, morsi di animali, parassitosi ecc.) sono
trattate con rimedi naturali dettati da una ricerca empirica, mentre quelle
la cui causa non è evidente (qualsiasi patologia interna) sono attribuite
all' influenza di divinità, maghi o stregoni. In ogni caso è sempre
l'elemento magico ad avere il sopravvento nella diagnosi e nella cura che
sono esclusiva competenza dei guaritori.
L'eziologia di qualsiasi patologia è spesso associata a un peccato commesso,
anche involontariamente, dal paziente contro divinità, stregoni, individui o
oggetti dichiarati tabù (re, guerrieri, persone in lutto, donne mestruate,
puerpere, chiunque abbia a che fare con cadaveri, alcuni animali) con i
quali è proibito ogni contatto. Lo stregone ha poi la facoltà di causare la
malattia in moltissimi modi se ha a disposizione parti del corpo della
vittima (unghie, capelli), oggetti o avanzi di cibo; in mancanza di ciò può
ricorrere ad altri procedimenti come l'infissione di chiodi o spilli in
feticci. Anche i demoni e le anime dei morti sono ritenuti in grado di
provocare malattie.
Per difendersi dalle malattie si fa ricorso ad abluzioni, all'uso di
amuleti, alla somministrazione di erbe medicamentose oppure anche a
cerimonie e riti collettivi a cui partecipa tutto il villaggio con a capo lo
stregone: talvolta si cerca di scacciare il demone responsabile della
malattia spaventandolo, talvolta allettandolo, altre volte ancora si ricorre
al sacrificio o all'allontanamento di un capro espiatorio.
La medicina
popolare
?un miscuglio di medicina primitiva, empirismo, magia e religione.
Riconosce a determinate persone, quasi sempre donne (le streghe), la
capacità di fare il male e di toglierlo. Per provocare le più svariate
patologie si ricorre alle fatture che possono essere eseguite indirettamente
(operando un transfert della vittima designata su figure, statuette o
oggetti che la rappresentano) oppure direttamente gettandole addosso o
facendole ingoiare, senza che se ne accorga, sostanze di vario genere di
solito di carattere macabro e ripugnante (ossa umane polverizzate, sperma,
sangue mestruale). Spesso si usano anche spilli, nodi e altri oggetti che
vengono posti nel letto e nei vestiti. Le malattie possono infine essere
causate anche dalla semplice invidia e dal malocchio, un fluido che viene
emanato talvolta inconsapevolmente dagli occhi delle persone che lo
posseggono. C'è poi la magia del bene sia per le malattie provenienti da
fattura, sia per le affezioni più comuni: nel primo caso se ne occupano le
streghe, nel secondo invece persone dotate di particolari virtù (settimini,
appartenenti a certe famiglie ecc.) mediante toccamenti ed enunciazione di
determinate formule e preghiere.
Da non dimenticare infine il ricorso alla sfera religiosa che talvolta,
nonostante il divieto della Chiesa, sconfina in un senso di magismo e
superstizione quando arriva a far ingoiare polvere di intonaco di alcune
cappelle o immagini di santi.
La medicina ebraica (1200 a.C.-550 a.C.)
?sicuramente il migliore esempio del concetto assolutamente teurgico della
medicina: Dio è l'unica fonte di malattia e di risanamento, per cui solo il
sacerdote, cioè l'uomo scelto dal Signore, è considerato strumento di
guarigione. ?pur vero che il medico viene tenuto in grande considerazione,
ma alla base di tutto sta il fatto che è la divinità ad aver creato le
piante e tutti i medicamenti (fiele di pesce, il cuore, il fegato ecc.). Il
concetto igienico risulta quindi molto marginale rispetto al precetto
religioso.
La medicina assiro babilonese (1792
a.C.-323 a.C.)
Rappresenta il punto di passaggio tra il concetto teurgico e quello
magico: la parte religiosa sta essenzialmente nell'eziologia in quanto l'ira
di una divinità verso una persona permette ai demoni maligni di aggredirla
causando in tal modo la malattia (c'è un demone per ogni patologia); il
concetto magico ha invece risalto nella parte terapeutica, nell'attuazione
cioè degli esorcismi. Nella fase diagnostica le due concezioni vanno di pari
passo e un ruolo preponderante è giocato dall'ispezione del fegato, ritenuto
l'organo più importante in quanto fonte di sangue. Bisogna poi ricordare la
parte dedicata alla chirurgia compresa nel Codice di Hammurabi: vi è una
vera e propria serie di norme deontologiche in cui sono riportati compensi e
pene per chi esercita questa attività.
La medicina egiziana (3000 a.C.-1000 a.C.)
Si passa da una fase teurgica-magica ad un empirismo estremamente
illuminato: notevoli sono la concezione biologica (concetto umorale
sanguigno e concetto pneumatico), la conoscenza dei vari quadri
sintomatologici e la farmacologia. Gli elementi che costituiscono la
sapienza medico empirica vengono trattati solo in libri sacri accessibili
unicamente agli iniziati. Nonostante quello che si potrebbe ipotizzare alla
luce delle pratiche di imbalsamazione in cui gli egiziani erano maestri,
l'anatomia non appare particolarmente progredita. Al contrario risultano
molto precise le indicazioni relative alla terapia (nel solo papiro di Ebers
sono menzionati 500 diversi medicamenti) ed alle sue varie forme di
confezionamento e di somministrazione: polveri, tisane, decotti,
macerazioni, pastiglie erano perfettamente conosciuti. Assai progredita era
inoltre la chirurgia e la sutura delle ferite.
Da notare infine la presenza di medici specialisti nelle malattie urinarie,
nelle patologie delle orecchie, degli occhi e della pelle.
La medicina mesopotamica (3000 a.C.-2000a.C.)
?un tipo di medicina magico-teurgica dotata di un certo grado di
empirismo interpretato però sempre in senso mistico ed occulto. La malattia
è sinonimo ed effetto di impurità per cui le cure consistono in lavacri e
abluzioni, oltre che in sacrifici espiatori. Nonostante ciò vi sono accenni
riguardo al medico che cura con le piante (Aura Mazda, la divinità del bene,
ha creato almeno una pianta per guarire ogni malattia) e a quello che cura
con il "ferro".
La medicina indiana (2500 a.C.-1500 a.C.)
Ancora oggi vi sono scuole che studiano l'antica medicina indiana nella
sua forma originale, così come viene trattata negli antichi testi sacri (i
Veda): la loro completezza ed organicità ha fatto sopravvivere questa
concezione fino ai giorni nostri. Trattano molto accuratamente di grande e
piccola chirurgia, della cura delle malattie del corpo, di demonologia (è
presente una certa sfumatura di magia e religiosità), della cura delle
malattie infantili, della tossicologia, della preparazione di elisir e di
afrodisiaci.
Notevoli la perfezione e la varietà dello strumentario chirurgico, le
tecniche di medicazione, l'attenzione negli esami diagnostici e la
particolare abilità negli interventi di litotomia e rinoplastica.
La medicina cinese
I testi più antichi risalgono al 3500 a.C. e, come nella medicina
indiana, vengono ancora consultati e tenuti in considerazione. La malattia e
la salute sono determinate dall'armonia o meno dei due principi
fondamentali: lo Yang (il principio maschile) e lo Yin (quello femminile). I
medici cinesi introdussero per primi la rilevazione del polso: ne
conoscevano 200 tipi differenti tra cui 21 erano considerati indice di esito
letale; la farmacologia è senza dubbio la più avanzata tra tutte le medicine
antiche, comprende oltre 2000 farmaci e ne include molti ufficialmente usati
nella moderna terapia occidentale (ferro contro l'anemia, l'oppio, il
solfato di sodio come purgante ecc.). Da ricordare inoltre il primo
tentativo di immunizzazione attiva contro il vaiolo insufflando polvere di
croste disseccate nelle narici dei pazienti. Anche la chirurgia era
praticata a un buon livello: caratteristici gli interventi di castrazione e
quelli per limitare gli effetti della deformazione dei piedi.
Non si può tralasciare infine un accenno riguardo l'agopuntura: è l'arte di
penetrare con aghi di diversi materiali determinati canali che sono in
contatto con gli organi interni al fine di ottenere particolari benefici.
Essa fu introdotta nel 2700 a.C. ed è ancora in auge ai giorni nostri
sostanzialmente immodificata.
La medicina in
Grecia
Anche se la
nascita del pensiero scientifico si può far risalire alla comparsa delle
prime scuole mediche in Italia (Scuola di Crotone e Scuola di Sicilia), è in
Grecia che avviene la completa e definitiva emancipazione del medico sul
sacerdote con la costituzione del concetto di "clinica".
Nell'antica Grecia la medicina veniva praticata nei ginnasi, nelle palestre
e negli jatreia: il ginnasio era il luogo in cui i giovani venivano formati
culturalmente e fisicamente, mentre nella palestra si allenavano gli atleti
veri e propri. L'uno e l'altra consentirono un certo sviluppo della
chirurgia in seguito alle non infrequenti lesioni in cui gli atleti
incorrevano nell'esecuzione degli esercizi fisici. Tutti coloro che
lavoravano in queste strutture avevano conoscenze abbastanza approfondite di
traumatologia e massoterapia; i medici, che solitamente visitavano in
strutture pubbliche o private (jatreia), venivano chiamati dal ginnasiarca
solo nei casi più gravi
Scuola di Cnido
Particolare fu
l'interesse di questa scuola per l'anatomia; il concetto di patologia appare
invece piuttosto rudimentale in quanto ogni malattia era considerata un
fenomeno completamente isolato e relativo al singolo organo che ne veniva
colpito. Anche la terapia era poco sviluppata: si basava essenzialmente su
latte, siero e succhi di alcune piante (euforbio, elleboro come cardiotonico
e diuretico, scammonea e coloquintide come purganti drastici, oltre ai semi
di dafne, detti anche granelli cnidici come revulsivo).
Scuola di Coo
C'è il passaggio
all'osservazione diretta del malato eseguita con grande larghezza di vedute
ed ottime intuizioni che distinguono indiscutibilmente questa scuola da
tutte le altre: nasce qui il vero concetto di clinica e della conseguente
diagnosi. Il medico è uomo, e la sua opera non ha sfumature soprannaturali,
mistiche, astratte o filosofiche. La medicina deve essere una ricerca
continua, serena e disinteressata alla quale bisogna dedicarsi solo per
amore di essa e della
o libri a contenuto etico
o libri di clinica e patologia
o libri di chirurgia
o libri di ostetricia, ginecologia e pediatria
o libri di anatomia e fisiologia
o libri di terapeutica e dietetica.
La figura del medico
?l'unione del
perfetto uomo con il perfetto studioso: calma nell'azione, serenità nel
giudizio, moralità, onestà, amore per la propria arte e per il malato sono i
cardini della personalità del medico così come era concepito da Ippocrate.
Ogni interesse personale passa in secondo piano. Non è certo un essere
superiore ed infallibile come i sacerdoti degli antichi templi, ma deve
sopperire alla sua fallacità con il massimo dell'impegno e della diligenza
in modo da commettere solo errori di lieve entità. Deve inoltre essere
filosofo, ma non tanto da farsi distogliere dalla vera scienza che è quella
che si appoggia su solide basi pratiche. Il suo abito, infine, deve essere
decoroso ed il suo aspetto denotare salute.
Con il passare dei secoli questa concezione rimase sostanzialmente immutata
al punto che il Papa Clemente VII (Pontefice dal 1523 al 1534), in una sua
bolla, stabilì che il laureato in medicina si impegnasse solennemente ad
osservare il testo del giuramento ippocratico.
L'anatomia
Non fu molto approfondita dalla scuola di Coo per due motivi principali:
da una parte Ippocrate era più indirizzato verso il lato pratico della
medicina, aveva cioè una maggiore propensione per la clinica; dall'altra la
cultura greca aveva un rispetto assoluto per i corpi dei morti, quindi non
c'era la possibilità di studiare l'anatomia esercitandosi direttamente sui
cadaveri.
Si avevano nozioni di osteologia, soprattutto riguardo la struttura delle
ossa del capo, delle vertebre e delle costole; molto poco si sapeva di
miologia, anche se si conoscevano i principali muscoli del dorso e degli
arti; vene ed arterie venivano confuse, così come nervi e legamenti. Di
cuore e cervello erano note le principali caratteristiche morfologiche ma
non le reali funzioni. Gli organi di senso erano probabilmente oggetto degli
studi più accurati, soprattutto per quanto riguarda la struttura
dell'occhio.
La patologia
Alla base della
medicina ippocratica stava l'integrazione tra una concezione pneumatica
della vita ed una umorale, ma quest'ultima rivestiva senza dubbio un ruolo
più importante. Gli umori erano quattro: sangue (caldo umido) che proveniva
dal cuore, una sorta di muco detto flegma (freddo umido) dal cervello, bile
gialla (caldo secco) dal fegato, bile nera (freddo secco) dalla milza. Lo
stato di salute si aveva quando questi umori erano perfettamente bilanciati
tra loro; se invece la crasi era alterata per l'eccesso, la corruzione o la
putrefazione anche di un solo componente, allora insorgeva la malattia. Era
la natura stessa con la sua capacità curativa ad intervenire nel tentativo
di ristabilire l'equilibrio tramite l'espulsione degli umori in eccesso per
mezzo di urina, sudore, pus, espettorato e diarrea. Se invece la malattia
risultava più forte del processo autoriparativo dell'organismo il paziente
moriva. Per poter essere eliminati gli umori, dovevano prima essere
modificati con un processo che Ippocrate definiva di "cottura". Il periodo
intercorrente tra questo processo e la guarigione prendeva il nome di
"crisi".
Il predominio di uno dei quattro umori conferiva anche particolari
caratteristiche all'individuo (principio della costituzione e dei
temperamenti): si avevano così i temperamenti sanguigno, biliare, flemmatico
e atrabiliare.
Motivi dell'alterazione degli umori potevano essere le intemperie, la dieta
o, concezione nuova in assoluto, cause fisiche correlate all'ambiente di
vita. Altra novità fondamentale introdotta dalla dottrina di Ippocrate fu il
fatto di considerare le patologie come fenomeni generali per l'organismo e
non relativi ad un singolo organo; quelle più conosciute dalla scuola di Coo
furono: la polmonite, la pleurite, la tubercolosi (ma con un concetto ben
differente da quello attuale), la rinite, la laringite, la diarrea, alcune
malattie del sistema nervoso, l'epilessia, il tetano.
La clinica
L'epoca
ippocratica segna la nascita della clinica intesa come studio dei segni e
dei sintomi osservabili sul paziente. Vi sono 406 aforismi che racchiudono
in frasi brevi e coincise tutte le osservazioni e le esperienze del maestro
di Coo; la sua sapienza fu poi diffusa presso tutti i popoli allora più
evoluti attraverso traduzioni in arabo, ebraico e latino. Da essi si evince
che l'esame effettuato dal medico doveva essere il più approfondito
possibile e comprendeva non solo l'ascoltazione, la palpazione e, forse, la
percussione, ma anche qualsiasi piccolo indizio che avrebbe potuto essere
utile per la diagnosi: diverse sfumature di colore, variazioni di
comportamento, insolite contrazioni muscolari, quantità e qualità di
qualsiasi escrezione e secrezione ecc.. Da ricordare l'accuratezza con cui
veniva esaminata l'urina, valutata come quantità, colore, sedimento e
torbidità. Assai particolareggiata e minuziosa era inoltre l'anamnesi, pur
essendo rivolta essenzialmente a conoscere solo la situazione presente del
malato. La prognosi si basava sullo studio degli esiti delle varie
patologie: essa era considerata infausta se si notavano fattori quali
disturbi visivi, sudore freddo, anemizzazione delle mani, cianosi delle
unghie e stato di agitazione, mentre il polso non veniva tenuto in nessuna
considerazione.
La chirurgia
La scuola di
Ippocrate disponeva di uno strumentario abbastanza fornito comprendente
coltelli e bisturi di varie forme e dimensioni. Gli interventi più
frequentemente eseguiti erano la riduzione di lussazioni (con particolari
macchine) e di fratture (con stecche e fasciature), la trapanazione del
cranio in seguito a fratture delle ossa del capo e la cura dei piedi torti.
Assai particolareggiata era inoltre la tecnica delle fasciature. Nella cura
delle ferite era raccomandato il riposo e l'applicazione di calore senza
ricorrere ad oli o balsami vari.
Limitati erano invece gli interventi in ginecologia e ostetricia: tra questi
è notevole il trattamento della deviazione del collo dell'utero con
obliterazione e soppressione delle mestruazioni. Era vietata la pratica
dell'interruzione volontaria della gravidanza.
La terapia
Varie erano le
piante usate come farmaci; tra le più importanti ricordiamo: l'elleboro nero
e la scilla (cardiotonici e diuretici), la coloquintide (purgante drastico),
il veratro bianco (antireumatico, ipotensivo, contro le affezioni cutanee),
l'issopo (espettorante), il giusquiamo (antidolorifico, sedativo), l'oppio,
la mandragora e la belladonna (narcotici, analgesici locali), la ruta
(abortivo), la menta (stomachico). Pur conoscendo i principali gruppi di
medicamenti, la scuola di Ippocrate li usava con moderazione in quanto
riponeva molta fiducia nelle capacità autocurative del corpo umano. Venivano
inoltre praticati salassi, cure idroterapiche, inalazioni, irrigazioni e
lavaggi vaginali. Notevole l'uso di ventose come antiflogistico: creando una
depressione nella zona infiammata si provoca una vasocostrizione da suzione
che riduce la quantità di essudato e trasudato. Interessante infine l'uso di
vesciche introdotte nelle ferite toraciche allo scopo di tamponare la
lesione e contenere l'emorragia.
Il principio terapeutico seguito però varia: a prescindere dal fatto che è
preferibile sconfiggere la malattia in modo indiretto invece che
drasticamente e violentemente, si passa dal concetto del similia similibus
(provocare fenomeni simili alla sintomatologia del paziente per guarirlo) a
quello certamente più sensato del contraria contrariis (avvalersi di mezzi
ritenuti contrari alla causa della patologia). La febbre è un ottimo mezzo
per raggiungere la guarigione: il suo calore facilita infatti l'evacuazione
degli umori in eccesso accelerandone la "cottura".
La dietetica
Ippocrate
considerava la dieta come il complesso di regole e prescrizioni che il
malato era tenuto a seguire non solo relativamente al suo regime alimentare
che, comunque, era di fondamentale importanza. Lo scopo ultimo era il
ripristino dell'equilibrio degli umori tramite la prescrizione di cibi che,
a seconda dei casi, erano umidi, caldi, freddi, o asciutti. Il principio
generale, come già accennato in precedenza, era quello di aiutare le difese
naturali dell'organismo a liberarsi degli umori corrotti o in eccesso, per
cui nella fase acuta della malattia erano maggiormente indicati cibi leggeri
e bevande poco nutrienti al fine di non distrarre le forze dell'organismo
dalla "cottura" degli umori verso quella degli alimenti.
Assai famose erano la tisana, cioè un decotto di orzo macinato, e
l'idromele, una bevanda data dalla fermentazione di acqua e miele.
Il dogmatismo
post-ippocratico
Da una parte è il riconoscimento della validità delle teorie e del pensiero
di Ippocrate, dall'altra è invece il ritorno a una concezione che sembrava
ormai superata: c'è nuovamente una certa quale sacralità nel concetto di
medicina, anche se l'elemento divino è sostituito da quello umano, cioè
dalla dottrina del maestro di Coo.
La scuola dogmatica, che vide come maggiori esponenti Diocle di Caristo
(grande studioso di anatomia) e Prassagora di Coo (famoso per i suoi studi
di semeiotica), ebbe tuttavia il merito di riconoscere il valore di un nuovo
sintomo fino ad allora tenuto in scarsa considerazione: l'esame del polso.
Tra i dogmatici va ricordato anche il filosofo Platone che in due delle sue
opere (il "Timeo" e il "Simposio") traccia una visione d'insieme sul livello
della medicina a quei tempi. La fine di questa scuola si può collocare
intorno al 310 a.C., quando la filosofia stoica vi si infiltrò alterandone i
principi e mutandone la fisionomia: la dialettica e la speculazione astratta
sostituirono infatti l'osservazione dei reali fenomeni patologici.
La scuola di Alessandria
Dopo l'era della
clinica rappresentata dalla scuola di Ippocrate, si apre quella
caratterizzata dall'esperimento biologico: iniziano studi sistematici su
sezioni anatomiche e comincia la pratica della vivisezione su animali. Prima
della scuola di Alessandria fu però il filosofo Aristotele, definito da
molti come il fondatore dell'anatomia comparata, ad intraprendere questo
genere di studi fondendo scienza e filosofia in ragionamenti basati sui suoi
famosi sillogismi: studiò a fondo l'anatomia con particolare attenzione per
il sistema nervoso e per il cuore.
Alessandria fu indubbiamente il più importante centro culturale del IV sec.
a. C., e la medicina, come tutte le altre scienze e discipline, raggiunse un
elevato grado di specializzazione grazie alla scuola che sorse appunto nella
città fondata da
Alessandro Magno. Partendo dalla dottrina di Ippocrate
approfondì gli studi sull'anatomia e sulla fisiologia anche attraverso
vivisezioni per conoscere meglio la struttura e la funzione degli organi
dando così il primo impulso all'anatomia patologica. Nel periodo di massimo
splendore riuscì ad integrare perfettamente la parte clinica e quella
scientifica tentando di colmare le lacune che entrambe presentavano.
Erasistrato fu uno dei più famosi esponenti di questa scuola: mise per primo
in dubbio la teoria umorale e ipotizzò che la causa delle malattie fosse da
ricercarsi in un'alterazione dei vasi o dei tessuti; dette particolare
valore all'esame del polso e fu inoltre assai rinomato per l'accuratezza
delle diagnosi; scoprì per primo i vasa vasorum, studiò le valvole atriali e
vasali, la vena e l'arteria polmonare, il fegato (notò la correlazione
esistente tra cirrosi epatica ed ascite).
Altro caposcuola fu Erofilo, che si distinse per le precise descrizioni del
cervello, dell'occhio e del nervo ottico. Fu inoltre famoso come ginecologo
e ostetrico.
La scuola empirica
Si sviluppò tra
il 270 e il 220 a. C. grazie all'iniziativa di Filino di Coo e Serapione di
Alessandria all'interno della stessa scuola alessandrina. Sorse come
risposta sia allo sterile dogmatismo in cui erano caduti molti dei
successori di Erasistrato ed Erofilo, sia all'eccessivo indirizzo
sperimentale che aveva fatto almeno in parte trascurare l'attuazione pratica
della medicina: gli empirici ponevano infatti le cognizioni frutto della
loro diretta esperienza in contrapposizione a quelle acquisite da altri.
L'esperienza si basava essenzialmente su tre punti: l'autopsia (cioè la
diretta osservazione), l'historicon (la storia delle osservazioni proprie e
altrui), l'analogia (il confronto)
Gli esponenti di questa scuola si distinsero nella
chirurgia (soprattutto cura di lussazioni e fratture, cataratta e calcoli),
nel trattamento delle ferite e nella tecnica delle fasciature, anche se
tralasciarono completamente lo studio dell'anatomia e della fisiologia
poiché le ritenevano di secondaria importanza rispetto al problema del
malato. Persero quindi di vista il concetto di malattia come espressione di
un generale malessere dell'organismo, considerando solo la particolarità e
la localizzazione della singola patologia.
Poi, anche per il fatto che la ricerca e lo studio delle leggi naturali
sembravano giungere a conclusioni spesso troppo difficili da spiegare in
confronto alle teorie mistiche ed occultistiche che da sempre avevano
trovato terreno fertile in Egitto, tornò la tendenza a rivolgersi alla sfera
soprannaturale e magica che si sarebbe manifestata in Occidente con il
periodo alessandrino-romano.
La Medicina Etrusca
Un giorno di circa tremila anni fa, Tarconte, il
fondatore della città di Tarquinia, mentre era intento a dissodare un campo,
vide apparire da dietro una zolla di terra un giovane di nome Tagete che gli
rivelò quella che passò alla storia col nome di " ETRUSCA DISCIPLINA ".
L'Etrusca Disciplina racchiude tutto lo scibile culturale, tecnico, sociale
e religioso che caratterizzò e distinse la Civiltà Etrusca in ogni momento
della sua esistenza.
Per oltre mezzo millennio, la cultura e la tecnologia etrusca sono state
trainanti per i popoli italici e non è escluso che la stessa Roma ne sia
stata largamente influenzata anche dopo il periodo di convivenza durante la
monarchia (753 - 509 a.C.).
Il sistema sociale e politico Etrusco era caratterizzato da una
confederazione di Città-Stato, ognuna delle quali era governata da un
Re-Sacerdote: il Lucumone.
Il Lucumone era anche il custode dell'Etrusca Disciplina che racchiudeva
pure tutte le nozioni riguardanti la prevenzione ed il trattamento medico.
Non possiamo parlare di un tipo di medicina Etrusca differente dalle altre
praticate in quel periodo dalle diverse civiltà mediterranee e non: Cinese,
Indiana,Egiziana, Persiana, Ebraica, Greca etc., ma di un'ottimizzazione di
ciò che di meglio esse potevano offrire.
Nel campo della prevenzione, essendo gli Etruschi profondi conoscitori della
Terra e dei suoi tesori ed insidie, davano un'estrema importanza all'igiene
personale, alla scelta dell'habitat in cui vivere, all'alimentazione ed
all'attività fisica. Alla base di tutto c'era l'acqua che fortunatamente
abbondava nel Paese che essi abitavano e le loro città erano tutte costruite
su fiumi o torrenti che venivano regolarmente bonificati anche attraverso
speciali gallerie dotate di lastre di piombo perforate e drenati nei punti
dove avrebbero potuto ristagnare e quindi, provocare la formazione di agenti
malarici.
Va ricordato che fu uno dei re Etruschi di Roma, Tarquinio Prisco, a
costruire la famosa "Cloaca Maxima dell'Urbe.
Le numerose sorgenti di acqua calda provenienti dal sottosuolo vulcanico
dell'Etruria, erano intensamente sfruttate per la cura delle più svariate
patologie, come d'altronde si continua a fare tutt'oggi negli stessi luoghi:
Saturnia, Viterbo, Chianciano etc.
Il Greco Teofrasto (IV sec. a.C.), successore di Aristotele, e profondo
conoscitore di botanica, dice che pure Eschilo (VI sec. a.C.) affermava che
"l'Etruria è un paese ricco di farmaci".
La farmacologia Etrusca era sostanzialmente fitoterapica ma includeva pure
alcuni minerali come la limatura e l'ossido di ferro (anemie) rame
(infiammazioni) ed alcuni sali come sodio e potassio etc.
Le piante medicinali usate sono più o meno quelle in uso nella fitoterapia
odierna come ad esempio: la scammonea (itterizia), il ricino (purgante),
aglio e cipolla (battericidi), timo (vermifugo), camomilla etc. Altri
"farmaci" molto usati erano il cavolo e il vino.
Nel campo chirurgico abbiamo molte testimonianze dell'attività Etrusca dal
ritrovamento di strumenti conservati in diversi musei e soprattutto, per
quanto riguarda l'ortopedia, dalle numerose fratture ricomposte riscontrate
sugli scheletri ritrovati che dimostrano che il soggetto ha continuato a
vivere dopo l'intervento. Il taglio cesareo era previsto ma solo in caso di
minaccia di morte della partoriente.
L'anatomia degli organi interni era praticata solo sugli animali dato che
gli Etruschi avevano un profondo rispetto per il corpo dei defunti. L'organo
più studiato era il fegato dato che era considerato la fonte del sangue. Il
compito dello studio era affidato all'aruspice che ne conosceva ogni minimo
particolare e nel corso di tale operazione prevedeva nella posizione di
determinati punti particolari, svariati eventi che sarebbero accaduti. La
struttura del corpo umano era invece insegnata tramite speciali riproduzioni
del medesimo in terracotta.
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Teschio con protesi dentaria in oro
dalla necropoli di Valsiarosa a Faleri Veteres
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Ma il settore nel quale gli Etruschi emergevano è senza dubbio
l'odontoiatria. In diversi musei sparsi in tutto il mondo esistono teschi
con protesi dentarie, prevalentemente d'oro, di fattura altamente perfetta e
sofisticata tale da stupire i moderni odontotecnici e dentisti.
Gli Etruschi erano rinomati in tutto il mondo allora conosciuto per la loro
abilità nel lavorare qualsiasi metallo ma specialmente con l'oro ed il rame
avevano scoperto delle tecniche rimaste ineguagliate per diversi secoli. Per
primi hanno introdotto e sviluppato la granulazione e la filigrana che
permettevano lavorazioni precise, funzionali e raffinate.
I denti che dovevano sostituire quelli mancanti sostenuti dai ponti in oro,
non potendo essere ottenuti da cadaveri, venivano ricavati in prevalenza da
animali e quindi sagomati e adattati perfettamente al sistema masticatorio
del paziente.
La tecnologia e la perizia medica Etrusca è stata in
seguito ereditata dai Romani che all'inizio del secondo secolo a.C., hanno
aperto le porte pure alla emergente medicina Greca pur mantenendo come base
quella appresa dai loro maestri Etruschi.
La medicina
nell'antica Roma
Lo sviluppo della
medicina in Roma si può dividere in tre periodi: il primo è quello della
medicina detta autoctona, di antica origine italica; il secondo è
caratterizzato dalla coesistenza dell'elemento autoctono e di quello greco
che andava infiltrando il mondo romano (fase di transizione) ed il terzo
consiste nel definitivo trapianto della medicina greca nel mondo romano
(periodo delle scuole).
Fase di transizione
?caratterizzata dall'arrivo a Roma di parecchi medici greci, molti dei
quali erano per la verità di scarsa abilità tecnica e di dubbia moralità: si
occupavano infatti principalmente di esecuzione di aborti, della produzione
e della vendita di filtri amorosi. Erano quasi tutti schiavi o liberti, per
cui inizialmente non godevano di grande prestigio.
Con Arcagato, arrivato dal Peloponneso intorno al 219 a.C., inizia invece la
pubblica professione medica esercitata in luoghi a metà strada tra
ambulatori, farmacie e scuole detti tabernae medicinae che ricordavano molto
da vicino gli jatreia greci descritti da Ippocrate.
Periodo delle scuole
?il momento di maggiore splendore della medicina a Roma: non a caso
coincide con l'età imperiale. Sotto l'influenza delle varie scuole che
tuttavia degeneravano spesso in vere e proprie sette in aperta
contraddizione tra loro, comincia a prendere forma un pensiero medico vero e
proprio.
Questo periodo abbraccia tre fasi ben distinte che hanno come punto di
riferimento la figura di Galeno: la fase pre-galenica, quella galenica e
quella post-galenica.
Medicina pre-galenica
Si estende quasi fino alla metà del II sec. d.C. (dall'arrivo a Roma di
Asclepiade fino alla nascita di Galeno) ed ha come principale caratteristica
la presenza di una moltitudine di scuole, dottrine e tendenze varie tra cui
vanno ricordate la scuola metodica, quella pneumatica, quella eclettica e
l'enciclopedismo.
La scuola metodica prese questo nome perché si proponeva di razionalizzare e
semplificare la propria dottrina per renderla accessibile anche alle menti
meno brillanti. L'effetto che ottenne fu invece quello di togliere
scientificità alla medicina e di avvilirne il significato. Ebbe come
ispiratore Asclepiade di Bitinia (50 a.C. circa) il cui pensiero si basava
sul fatto che la materia fosse composta da atomi che unendosi lasciavano tra
loro dei pori attraverso i quali si muovevano altri atomi. Lo stato di
salute era dato dalla perfetta proporzione tra atomi e pori; la malattia era
data invece dall'eccessiva larghezza o strettezza degli stessi (status laxus
che provocava pallore, flaccidità e astenia e status strictus che era
caratterizzato da rossori, calori e sete ardente). Negava inoltre il
principio ippocrateo della natura guaritrice che non poteva in alcun modo
restringere o allargare i pori causa di malattia. Abbandonando poi la teoria
umorale ridusse anche l'uso dei medicinali incentrando il suo modello di
terapia su massaggi, idroterapia, passeggiate e musica. A questa scuola non
mancarono comunque validi esponenti come Sorano d'Efeso e Celio Aureliano:
essi andarono oltre la concezione degli atomi e dei pori occupandosi di
patologia, di clinica, di terapia e di igiene.
La scuola pneumatica rappresentò una reazione a
quella metodica e il ritorno ad alcuni principi cari ad Ippocrate. Deve il
suo nome al fatto che individuava il pneuma, cioè il respiro, come la base
dell'economia vitale dell'organismo anche se riteneva molto importante
l'equilibrio degli umori sia per la costituzione fisica che per il
temperamento. Fu fondata intorno al 50 d.C. da Ateneo di Attaleia, famoso
per i suoi studi di semeiotica e sul polso, che considerava indice dello
stato del pneuma nelle arterie.
La scuola eclettica (dal 90 d.C.) tolse al sistema
metodico la sua parte più ipotetica e assoluta mettendo invece in evidenza
ciò che aveva di positivo e sperimentale, riprendendo inoltre la parte
osservatrice di Ippocrate. Agatino da Sparta fu il suo fondatore; tra gli
altri va citato Areteo di Cappadocia, famoso per l'accuratezza di alcune
descrizioni anatomiche e di vari quadri patologici.
L'enciclopedismo consisteva nella trattazione di
argomenti o tematiche di qualsiasi genere. La medicina, essendo un settore
ancora relativamente inesplorato, attirò molti tra i più famosi scrittori
romani tra cui Cicerone, Vitruvio, Marco Terenzio Varrone, Lucrezio, Plinio
il Vecchio, Gellio e Seneca che, pur non essendo medici, se ne occuparono
comunque in maniera abbastanza approfondita.
Un discorso a parte merita per la portata dei suoi studi e della sua opera
Celso, uno tra i pochi medici originari di Roma; egli fu fondamentalmente
ippocratico anche se non disdegnò altre dottrine quando spiegavano in modo
sensato i fenomeni da lui presi in esame. Nelle sue opere trattò
approfonditamente di patologia, di clinica, di igiene, ma soprattutto di
chirurgia: da ricordare, tra tutte le altre cose, la legatura dei vasi nelle
emorragie più imponenti, la sutura delle ferite profonde, la toracotomia, le
ernie inguinali, ombelicali e scrotali, l'intervento per l'eliminazione dei
calcoli vescicali, la tecnica delle operazioni di emorroidi e varici, la
chirurgia plastica e ben 24 tipi procedure chirurgiche in oculistica.
Galeno (138-201)
Si batté con
decisione contro l'imperversare delle scuole che, in ultima analisi, stavano
portando la medicina verso un periodo di decadenza ergendosi ad arbitro di
tutto lo scibile medico: tentò di separare il vero dal falso,
indipendentemente dalla fonte di provenienza, riunificando i vari sistemi di
studio con la raccolta di tutto il materiale a sua disposizione,
esaminandolo e vagliandolo a fondo e cercando di perfezionare il metodo
sperimentale che stava alla base del suo pensiero. Dal momento che dette
anche particolare valore alla clinica ed alla patologia, si può certamente
dire che fu l'artefice della più completa forma di medicina mai concepita
fino a quel momento.
In anatomia non si limitò a sterili descrizioni morfologiche: cercò di
capire la funzione e la finalità di ogni singola parte dell'organismo, anche
se sezionò più che altro corpi di animali (principalmente maiali, cani e
scimmie). Le parti più minuziosamente trattate sono l'osteologia e la
neurologia.
In fisiologia quasi ogni studio fu suffragato dalla parte sperimentale:
scoprì la differenza tra nervi motori e sensitivi, distinse le lesioni degli
emisferi cerebrali da quelle del cervelletto, valutò la funzione escretrice
dei reni, la circolazione fetale e si occupò particolarmente degli organi di
senso. Si soffermò inoltre a lungo sulla funzione circolatoria che,
nonostante grossolani errori, avrebbe formato un caposaldo della fisiologia
medioevale fino al
Rinascimento; i suoi punti fermi erano i seguenti: il
fegato è il centro del sangue venoso e il cuore di quello arterioso; il
cuore destro e quello sinistro comunicano tra loro; il sangue si esaurisce
negli organi; le vene polmonari portano sangue sporco ai polmoni e lo
riportano purificato al cuore.
In patologia non raggiunse invece livelli di eccellenza in parte per la
costante preoccupazione di voler classificare ogni malattia, in parte per
una venatura di filosofismo che emergeva nei casi in cui non riusciva a
risalire alle reali cause del male. Partendo da due teorie abbastanza
semplici, e cioè da quella dell'alterazione dei pori che si trovano tra gli
atomi e da quella umorale, inserì nella sua dottrina una gran quantità di
termini astrusi, suddivisioni spesso artificiose, cause e concause, portando
talvolta la formulazione della diagnosi in un campo puramente astratto
tramite sillogismi aristotelici senza dar luogo all'esame diretto del
malato.
In clinica fu invece assai minuzioso: grazie alla diretta osservazione del
malato, alla profonda conoscenza dell'anatomia ed all'esperienza accumulata
durante i suoi studi di fisiologia era in grado di spiegare fatti e fenomeni
che sfuggivano ai medici della sua epoca. Degna di essere ricordata è la
diagnosi differenziale tra emottisi, ematemesi e sputo sanguigno da
epistassi; descrisse inoltre vari tipi di febbre, i sintomi
dell'infiammazione e sottolineò l'importanza dell'esame delle urine e della
valutazione del polso di cui distinse non meno di 40 varietà.
Galeno fu poi il primo vero esperto di medicina legale: si occupò di morti
vere ed apparenti, iniziò la pratica della docimasia idrostatica polmonare
per constatare, in caso di sospetto infanticidio, se il feto avesse o no
respirato, e delle simulazioni delle malattie.
In terapia partì dal concetto ippocratico della forza medicatrice della
natura basandosi sulla regola del contraria contrariis. Ogni medicamento
doveva poi essere di provata efficacia e prescritto per una ragione
plausibile; conosceva quasi 500 sostanze semplici di origine vegetale e una
vasta gamma di origine animale e minerale. Tra quelli composti i più famosi
erano la picra (purgante amaro a base di aloe) e la hjera (purgante sacro a
base di coloquintide). Frequente era anche il ricorso al salasso.
Medicina post-galenica
Generalmente con
la morte di Galeno si rappresenta la chiusura del periodo aureo della
medicina romana, anche se per almeno altri tre secoli la scienza medica
sarebbe stata ancora sulla cresta dell'onda. Dopo Galeno, ad ogni modo, si
sviluppò una sorta di dogmatismo e uno sterile canonismo portato avanti da
figure a volte degne di nota che tuttavia non aggiunsero nulla di nuovo a
quanto già era noto.
Oltretutto iniziò la tendenza allo sconfinamento del conoscibile nel campo
dell'inconoscibile, caratteristica peculiare della medicina nel medioevo. Da
ricordare Leonida di Alessandria (studiò la filaria e fu esperto negli
interventi su ernia e gozzo), il famoso chirurgo Filagrio e suo fratello
Poseidonio (si occupò delle malattie del cervello descrivendo molto
accuratamente i deliri acuti, gli stati comatosi, quelli catalettici,
l'epilessia e la rabbia).
Condizioni igienico-sanitarie
nell'epoca romana
Una delle
caratteristiche più peculiari della psicologia romana fu senza dubbio la
preoccupazione per le norme igieniche allo scopo di formare buoni soldati e
proteggere la salute di tutti i cittadini: fin dai tempi della repubblica
iniziò la costruzione di acquedotti, bagni e piscine, si presero
provvedimenti atti a risanare luoghi malsani, si fecero studi per scegliere
oculatamente i luoghi dove costruire insediamenti urbani, vennero emanate
vere e proprie ingiunzioni legali al fine di moderare l'alimentazione e di
evitare malattie. Celso, ad esempio, si dilunga parecchio su questo
argomento nelle sue opere evidenziando particolarmente l'importanza della
dieta, della moderazione nei rapporti sessuali, della necessità di scegliere
un clima conveniente e di dedicarsi all'esercizio fisico ed ai bagni. Tra
gli aspetti di maggior rilievo trattati dall'igiene romana vanno ricordati
l'igiene dell'acqua, quella mortuaria, quella alimentare e l'esercizio
fisico.
L'acqua
Fu probabilmente
l'argomento principale in tutti i suoi aspetti: sia come elemento di
insalubrità (nei luoghi paludosi), sia come bisogno primario di ogni
agglomerato urbano, sia come elemento di pulizia e di rinvigorimento delle
forze fisiche, sia come sussidio terapeutico.
Già gli Etruschi iniziarono il risanamento di alcune zone malariche
attraverso canali di drenaggio che favorivano lo scolo delle acque
stagnanti, e cunicoli muniti di lastre di piombo bucherellate per filtrare e
depurare l'acqua. I Romani proseguirono queste opere di bonifica iniziando
con la costruzione della Cloaca Massima all'epoca di Tarquinio Prisco e con
la canalizzazione delle acque urbane reflue nel Tevere.
La sorveglianza dello smaltimento delle acque di rifiuto e delle rive del
fiume era ritenuta di fondamentale importanza ed era pertanto affidata a
particolari autorità civili: in un primo momento se ne occupavano Edili e
Censori, poi fu invece creato un vero e proprio apparato burocratico al cui
vertice stava il Comes Cloacarum da cui dipendevano i Consulares Aquarum che
arrivarono anche al numero di 700. Altra figura di primo piano era il
Curator Aquarium, responsabile della sorveglianza degli acquedotti
deteriorati e di quei tratti di terreno nei quali scorrevano le condutture
sotterranee; egli vigilava per impedire che si costruissero case, che si
piantassero alberi o che si accumulassero immondizie nelle loro immediate
vicinanze.
Fu Anco Marzio a portare per la prima volta l'acqua verso Roma attraverso un
sistema di incanalamento, ma il primo vero e proprio acquedotto (che
misurava 11 miglia romane) fu costruito dal censore Appio Claudio nel 312
a.C.. Con il passare degli anni nella sola città di Roma si arrivò al numero
di 14 acquedotti per un totale di 600 Km con una portata di ben 1,5 milioni
di metri cubi giornalieri, e tantissimi altri ne furono costruiti in tutte
le città più importanti dell'impero (Nimes, Tarragona, Segovia, Parigi,
Cartagine...).
Come accennato in precedenza gli acquedotti erano in parte sotterranei e in
parte scorrevano sopra strutture composte da arcate. Nel primo caso, ad
intervalli regolari, vi erano aperture dette putei che servivano per la
ventilazione e lo spurgo del canale. Il condotto che portava l'acqua era
detto specus ed era dotato di un rivestimento impermeabile. In tratti nei
quali l'acqua non era limpida venivano costruite infine alcune vasche dette
piscinae limariae allo scopo di far sedimentare il fango.
Altro segno tangibile della cultura romana e della sua attenzione all'igiene
pubblica sono le terme, costruzioni di cui l'Urbe fu ricchissima, tanto che
nell'epoca di maggior splendore se ne contavano circa 800 nella sola area
della città. Anche se in seguito sarebbero state probabilmente una tra le
cause della decadenza della civiltà romana a causa dell'uso smodato che si
finì per farne, il principio che le aveva ispirate era senza dubbio
positivo. I romani erano soliti bagnarsi nel Tevere già fin dai primi tempi
dopo la fondazione della città; poi cominciarono ad essere costruite piscine
artificiali, pubbliche e private . I lavaggi quotidiani si limitavano alle
braccia e alle gambe, mentre ogni nove giorni veniva lavato tutto il corpo.
Vitruvio codificò il sistema architettonico delle terme romane: a
prescindere dal fatto che l'orientazione della struttura doveva essere tale
da poter ricevere il sole in certe ore piuttosto che in altre e che si
doveva tenere nella giusta considerazione anche l'esposizione ai venti, i
tre elementi essenziali erano le vasche di acqua tiepida, calda e fredda,
ovvero il tepidarium, il calidarium e il frigidarium e quelli accessori, il
laconicum (la sauna) e gli apodicteria (gli spogliatoi). Poi, a seconda
della maggiore o minore lussuosità, si potevano aggiungere anche altri
ambienti totalmente estranei al concetto igienico come ad esempio la
biblioteca, lo stadio o la palestra.
Le donne potevano accedere alle terme di mattina, gli uomini invece da
mezzogiorno fino a dopo il tramonto; gli ammalati potevano entrare anche
prima dell'orario di apertura. Solitamente il trattamento iniziava con
esercizi fisici, bagni di sole e massaggi; poi si passava nella vasca calda,
in quella tiepida, e per ultimo in quella fredda. Infine la seduta alle
terme prevedeva un ulteriore massaggio, l'unzione con balsami ed oli
profumati.
Numeroso era il personale che lavorava alle terme: a parte il conductor
(appaltatore) e il balneator (amministratore), vi erano parecchi schiavi
addetti a vari servizi come l' arcarius (guardarobiere), il capsarius
(cassiere), l'unctor (untore), il tractator (massaggiatore), l'alipiles
(depilatore).
L'esercizio fisico
Uno dei capisaldi
fondamentali nell'organizzazione sanitaria di Roma fu l'educazione fisica
che veniva impartita nei ginnasi e nelle palestre al fine di irrobustire la
gioventù e dare alla patria cittadini sani e soldati forti. Da ricordare la
Iuventus, un'associazione a carattere ginnico premilitare a cui potevano
iscriversi i giovani dai 6 ai 18 anni di età. Nei ginnasi il sistarca si
occupava di dirigere gli esercizi coadiuvato dal gymnasta il quale non era
un vero e proprio medico, ma doveva avere anche nozioni di traumatologia ed
ortopedia.
L'igiene mortuaria
Molte erano le
leggi riguardo le sepolture e i funerali, ma probabilmente vanno intese più
in senso rituale che igienico.
Inizialmente i cadaveri venivano bruciati e le ceneri raccolte in urne che
venivano depositate in ampie tombe comuni, mentre con l'avvento del
cristianesimo iniziò l'uso di seppellire i morti: sia la cremazione che la
sepoltura dovevano essere effettuate fuori dalla città per impedire il
diffondersi di esalazioni provenienti dai corpi; l'inumazione si eseguiva
chiudendo la salma in una bara di marmo o di metallo. Gli schiavi, i poveri
e gli avanzi del circo venivano invece gettati in sorta di fosse comuni a
cielo aperto nei pressi del colle Esquilino (i puticoli) e spesso
diventavano cibi per corvi e cani randagi, almeno finché Mecenate non decise
di bonificare tutta quella zona.
L'igiene alimentare
Esistevano leggi
per la morigeratezza dei banchetti che stabilivano persino la quantità dei
cibi da usarsi a seconda delle persone presenti; era punita inoltre
l'ubriachezza, ma solo quella delle donne. Abbastanza attenta era la
vigilanza sui generi alimentari: gli Edili erano responsabili del controllo
sulla qualità dei prodotti in vendita all'interno dei mercati ed avevano
anche la facoltà di elevare contravvenzioni. Particolare cura era riservata
la sorveglianza sul grano e sulle carni.
Altre norme igieniche
Apposite leggi
regolavano il servizio di nettezza urbana e altre disposizioni riguardavano
la manutenzione delle strade, dei luoghi dove sorgevano le terme, delle
fognature e delle latrine: ad esempio vi erano disposizioni ben precise
sugli appalti per lo svuotamento dei pozzi neri e non era consentita la
circolazione all'interno della città durante il giorno ai carri che
trasportavano i materiali di rifiuto.
Da ricordare la legge contro il celibato (sia per scopi demografici che per
motivi igienici) e quella sulla prostituzione: le "case chiuse" potevano
essere aperte fuori città e solo di sera; inoltre le meretrici dovevano
essere iscritte in un apposito registro controllato dagli edili.
L'epidemiologia romana
Il concetto di
epidemiologia non si discostò molto da quello che già esisteva in epoca
greca: si pensava cioè alla costituzione epidemica dell'atmosfera causata
dagli eccessi di calore, umidità, secchezza e freddo; si sospettava poi che
una qualche sostanza velenosa non bene identificata (ma che si pensava
provenire dalla putrefazione dei cadaveri insepolti) potesse penetrare
nell'organismo principalmente attraverso le vie respiratorie.
Non mancavano però interpretazioni assolutamente fantastiche: le pestilenze
potevano avere origine tellurica (il veleno esalava dalla terra dopo i
terremoti), religiosa e astrologica. Contro di esse si accendevano grandi
fuochi in cui venivano bruciati fiori profumati ed unguenti aromatici in
modo tale da rinnovare e purificare l'aria.
L'ospedalità a Roma
Non si può certo
parlare di vere e proprie cliniche o strutture di stampo ospedaliero
nell'antica Roma, tuttavia bisogna ricordare la presenza dei valetudinaria,
cioè infermerie private dove i patrizi erano soliti curare i propri
famigliari e gli schiavi. Qui trovavano impiego sia medici che infermieri
(servi a valetudinario). Inoltre erano famose le medicatrinae adiacenti al
tempio di Esculapio, sull'isola Tiberina, dove gli ammalati erano tenuti
sotto la diretta osservazione di medici e dei loro discepoli.
L'insegnamento della medicina
Ai tempi della medicina autoctona l'istruzione in questo ambito era
affidata al pater familias; nel periodo di transizione si apprendeva l'arte
medica, principalmente per imitazione, nelle tabernae; nel periodo imperiale
sorsero infine varie scuole private. Naturalmente non era previsto nessun
esame di idoneità alla professione: l'abilitazione veniva attestata dal
giudizio insindacabile del maestro. Solo in seguito lo stato iniziò ad
occuparsi dell'ordinamento degli studi stabilendo una parte di insegnamento
teorica ed una pratica. La teoria era trattata nelle biblioteche e nelle
scholae medicorum, mentre le lezioni pratiche in cui si apprendevano i
rudimenti della semeiotica, della clinica e della chirurgia venivano
impartite nei valetudinari e durante le visite private che il maestro faceva
nelle case dei suoi clienti. L'imperatore Vespasiano istituì uno stipendio
per coloro che si dedicavano all'insegnamento, Adriano in seguito decise che
spettava loro anche una sorta di liquidazione una volta cessata l'attività
didattica. Quest'ultimo fece inoltre costruire un grande edificio scolastico
(atheneum) dove si tenevano pubbliche lezioni, probabilmente anche di
medicina. In realtà la prima testimonianza di una cattedra statale di
medicina si ebbe sotto l'impero di Alessandro Severo nel III sec. d.C., e
in seguito Giuliano l'apostata decretò nel IV sec. d.C. la legge
sull'idoneità dei medici stabilendo un programma di studi comprensivo di
frequenze obbligatorie.
La medicina militare
Nell'esercito
romano c'era un medico per ogni coorte e due per quella in prima linea.
Dipendevano dal praefectus castrensis e da un medico capo che spesso era
anche il medico personale dell'imperatore, ma non potevano passare al rango
di ufficiali in quanto non partecipavano direttamente alle battaglie.
L'assistenza ai feriti veniva prestata direttamente sul campo, all'aperto;
per i casi più gravi c'era il valetudinarium in castris, una sorta di
ospedale da campo che poteva contenere fino a 200 pazienti e in cui
trovavano impiego anche infermieri, massaggiatori ed inservienti.
La scuola salernitana
?considerata la più antica ed illustre istituzione medievale medica del
mondo occidentale; in essa confluirono tutte le grandi correnti del pensiero
medico fino ad allora conosciuto: la leggenda narra infatti che nacque
dall'incontro di un medico romano, uno greco, uno ebreo ed uno arabo. Le
prime testimonianze storiche certe risalgono all'inizio del IX
sec.: in
quel tempo lo studio della medicina a Salerno era principalmente pratico e,
anche se la tendenza di questa scuola è spiccatamente laica, erano i monaci
che tramandavano oralmente gli insegnamenti.
Una delle novità più importanti di questa scuola sta nel fatto di non
accettare passivamente la malattia: non solo non si arrende di fronte ad
essa, la combatte e la cura, ma soprattutto cerca di prevenirla con ben
precisi strumenti medici; si oppone inoltre alla teoria secondo la quale è
inutile curare il corpo in quanto la vera salvezza non appartiene al mondo
terrestre. Alla base del concetto di medicina della scuola di Salerno stanno
approfonditi studi anatomici sul corpo umano, l'importanza dell'armonia
psico-fisica e il valore di una dieta corretta ed equilibrata, principi che
ancora oggi sono ripresi e riaffermati dalla medicina psicosomatica e dalla
scienza dell'alimentazione.
Altro grande progresso è il fatto che i maestri salernitani sono disposti a
scendere dalla cattedra per avvicinarsi al letto del paziente e discutere
con gli allievi degli aspetti clinici delle malattie. Non era comunque
facile diventare medico a Salerno: prima bisognava studiare la logica per
tre anni, poi altri cinque erano di scuola medica (non solo la teoria sui
classici greci, ma anche la pratica con autopsie per poter riconoscere i
vari organi e capirnela funzione) ed infine si sosteneva un esame sia con il
maestro del corso, sia alla presenza di un collegio composto da altri
medici. Se l'esame veniva superato il giovane medico riceveva un attestato
davanti al quale il re rilasciava la licenza per esercitare la professione
non prima però di avere trascorso un anno come tirocinante presso un medico
anziano. Da notare infine che la scuola era aperta indistintamente a uomini
e donne che tuttavia esercitavano soprattutto la ginecologia.
I precetti fondamentali della scuola salernitana sono raccolti nel Flos
Medicinae Salerni (detto anche Regimen sanitatis salernitanum o Lilium
medicinae): è un trattato igienico-profilattico a carattere divulgativo che
espone una serie di norme scritte in versi che individuava una serie di
elementi esterni all'organismo (alimentazione, luoghi, fattori climatici,
attività fisica...) che andavano controllati e regolati al fine di
conservare e migliorare la salute dell'individuo. Veramente notevole era la
conoscenza delle erbe medicinali; tra gli innumerevoli esempi può essere
ricordato l'issopo contro le bronchiti e le affezioni respiratorie, la ruta
per la vista (favorisce la microcircolazione oculare), il colchico come
antireumatico. Non si può poi dimenticare l'importanza che ebbe la
chirurgia: nella Practica chirurgia e di Ruggero Frugardi (il primo chirurgo
salernitano) sono menzionate tecniche come la sutura dei vasi sanguigni
usando fili di seta, le metodiche per la trapanazione del cranio, una sorta
di rudimentale anestesia effettuata con sostanze estratte dalla Spongia
somnifera e il consiglio di adoperare nella terapia medica del gozzo spugne
ed alghe contenenti iodio.
Le università
Le prime università sorsero a partire dal XIII secolo dove già esistevano
centri di studio sia laici, sia di ispirazione religiosa, famosi per
l'abilità o per il valore didattico di determinati insegnanti. Queste
istituzioni erano molto ben viste dai comuni e dai loro regnanti perché
contribuivano alla loro fama: c'erano vere e proprie gare per avere i
migliori insegnanti e il maggior numero di studenti. Ai primi erano
riservati lauti compensi, onori, privilegi ed esenzioni; i secondi erano
attirati non solo dall'amore per la conoscenza, ma anche dalla possibilità
di godere delle occasioni di bella vita e di piacere offerti dall'ambiente
goliardico. La prima università in Italia fu quella di Bologna (1088) e i
primi corsi di medicina partirono nel XII secolo dando a chi li frequentava
le qualifiche prima di Magistri, poi di Medici fisici, quindi di Professori
ed infine di Dottori. L'ufficialità alla facoltà di medicina (all'interno di
quella degli artisti) fu concessa dal papa Onorio III nel 1219 provocando
non poche proteste da parte degli universitari giuristi che fecero forti
pressioni per impedire il riconoscimento di uguali diritti ai nuovi
arrivati, cercando di allontanarli il più possibile verso altre città. Fu
così che all'università di Bologna fecero ben presto seguito quelle
altrettanto famose di Padova (1222) nata da un gruppo di insegnanti e
studenti provenienti da Bologna, e di Napoli (1224).
Da ricordare all'estero l'università di
Montpellier, che
risentì molto sia dell'influenza ebraica, sia di quella della scuola
salernitana e l'università di Parigi, riconosciuta ufficialmente nel 1200,
entrambe sotto la diretta dipendenza dell'autorità ecclesiastica;
dall'esperienza di quest'ultima nacquero poi le università di Oxford e
Cambridge.
Il Medioevo
Le pestilenze
Con la parola
pestilenza si indicava qualsiasi genere di malattia epidemica rapidamente
diffusibile anche per cause diverse dal contagio vero e proprio
(intossicazioni, carenze alimentari...). Per spiegare queste morie
l'epidemiologia medioevale ricorse ad interpretazioni naturali e
soprannaturali: l'opinione più diffusa era la presenza nell'aria di vapori
nocivi contenenti un veleno pestilenziale; un'altra ipotesi era quella di
giganteschi incendi scoppiati in oriente che producevano fumi velenosi,
oppure il morbo poteva provenire anche dalle viscere della terra o dal cielo
a causa di maligne congiunzioni astrali. Ci fu poi anche chi pensava
all'avvelenamento dei pozzi da parte di ebrei o di lebbrosi, scatenando così
vere e proprie persecuzioni soprattutto in Francia, credenza che rimase
radicata nella storia dando luogo alle dicerie sugli "untori" in epidemie
posteriori.
A partire dal XII
sec. si può fare in Europa un conto approssimativo di una
pestilenza più o meno grave in media ogni 10-15 anni. Senza contare la
lebbra, una delle malattie più conosciute fin dall'antichità e di cui si
parlava già nella Bibbia, le patologie che più frequentemente causavano
queste morie erano: la malaria, il fuoco di S. Antonio, il vaiolo, il tifo,
lo scorbuto e soprattutto la peste bubbonica. Quest'ultima raggiunse il
massimo della mortalità nel 1348 manifestandosi nella forma polmonare che
dava esito letale già nel terzo o quarto giorno di malattia: il contagio
cominciò nel 1333 in Asia, si diffuse verso l'India ma colpì anche la Crimea
e le altre zone intorno al Mar Nero da una parte e la Mesopotamia, l'Arabia
e l'Egitto dall'altra; nel 1347 arrivò in Italia penetrando attraverso la
Sicilia e le repubbliche marinare; si diffuse poi in Olanda, in Inghilterra,
in Germania, in Polonia ed in Russia per estinguersi nel 1353 sulle rive del
Mar Nero, suo punto d'origine, probabilmente perché lì trovò i superstiti
dell'episodio di 20 anni prima ormai immunizzati. Solo in Italia morirono
60000 persone a Napoli, 40000 a Genova, 100000 a Venezia, 96000 a Firenze e
70000 a Siena: tenuto conto di queste cifre e dei decessi in tutte le altre
città, complessivamente la nostra penisola perse la metà della sua
popolazione totale. Nel resto dell'Europa, in soli tre anni (dal 1347 al
1350) si ebbero ben 43 milioni di vittime a causa dell'epidemia.
Le difese adottate dai vari comuni contro le pestilenze furono inizialmente
dettate dal bisogno immediato, poi vennero codificate in leggi da applicarsi
nei casi di necessità: fin dall'inizio i malati di peste venivano espulsi
dalle città; venne impedita l'usanza di accompagnare i funerali e tutto ciò
che comportava un eccessivo agglomerato di gente; venne fatto obbligo di
seppellire i cadaveri fuori dalla città anziché nelle chiese come era
consuetudine; vennero stabiliti cordoni sanitari tra le città colpite dalla
pestilenza e quelle limitrofe che ancora ne erano immuni; le persone che
avevano assistito i malati dovevano stare lontano dalla città per almeno
dieci giorni senza avere rapporti con nessuno; le case e le suppellettili
degli appestati dovevano essere distrutte; i sacerdoti avevano l'obbligo di
denunciare tutti i malati di cui avevano conoscenza; si obbligarono le navi
che provenivano da regioni sospette a trascorrere un periodo di 40 giorni
fuori dai porti prima di permettere loro l'attracco (da questa pratica
nacque il termine "quarantena"). Si dovette però aspettare fino al 1403 per
l'istituzione di particolari luoghi di ricovero, costruiti a spese dello
stato e grazie a donazioni private, dove si potevano isolare i malati di
peste (lazzaretti): la prima città a dotarsi di tali strutture fu Venezia,
in particolare sull'isola di S. Maria di Nazareth dove i frati dell'ordine
di S. Agostino avevano edificato un monastero. Il termine "lazzaretto"
deriva infatti in parte dall'errata pronuncia di Nazarethum, con cui si
identificava il suddetto monastero ed in parte dal fatto che su un isola
poco distante (S. Lazzaro degli Armeni) già esisteva una sorta di ospedale
per i pellegrini.
Rapidamente tutte le altre città seguirono l'esempio di Venezia seguendo
particolari norme: anzitutto un'adeguata distanza dal centro abitato per
impedire il contagio, ma non eccessiva lontananza perché non fosse troppo
disagevole il trasporto degli ammalati; poi una cura particolare era
riservata all'orientamento al fine di evitare l'esposizione ai venti
occidentali ritenuti nocivi (erano detti anche "putridi"); era infine
consigliata la separazione dei lazzaretti dai centri abitati tramite acqua
di mare dove possibile, di fiume (come a Roma per quello istituito
sull'isola Tiberina) o di fossato (come a Milano). Senza dubbio i lazzaretti
più funzionali erano quelli per la quarantena portuale che consistevano di
quattro edifici isolati tra loro: uno serviva per il personale superiore
(ispettori, commissari, medici, speziali, sacerdoti ed ufficiali), uno per
il deposito di merci non sospette, per i malati comuni e per gli infermieri,
un terzo per i malati sospetti e per la merce proveniente da luoghi infetti,
l'ultimo, che era costruito ben più lontano dagli altri tre, per coloro che
venivano colpiti manifestamente dalla malattia in questione.
Accanto ai mezzi sopra enunciati che potrebbero essere definiti di
profilassi, va ricordato l'unico metodo utilizzato per tentare di debellare
i morbi che causavano le varie pestilenze e cioè l'accensione di grandi
fuochi. In essi venivano gettati unguenti, resine ed erbe aromatiche per
depurare l'aria dai miasmi che si riteneva diffondessero il male in quanto
si contrapponevano al tanfo proveniente dai corpi abbandonati in
putrefazione. Tra le sostanze più usate vanno menzionate la resina di pino
bruciata su legno di larice, lo zolfo, l'aceto ed anche materiali
maleodoranti che comunque erano in grado di coprire il fetore dei miasmi
come ad esempio lo sterco di bovini, corna e peli di svariati animali. Fu
poi introdotto l'uso di tenere alle narici sostanze odorose per purificare
l'aria direttamente inspirata: si trattava di spugne imbevute di aceto in
cui erano stati tenuti in infusione chiodi di garofano, cannella ed altre
spezie.
Molti furono gli autori che in questo periodo si dedicarono alla stesura di
opere che dettavano regole e norme per preservarsi dalle varie pestilenze,
in particolare dalla peste; tra essi va ricordato Dionisio Colle che enumerò
e descrisse nella sua opera molti dei sintomi ai quali andavano incontro gli
appestati, consigliando parecchi farmaci tra cui i suffumigi di pino e
larice.
L'ospedalità medioevale
Già poco tempo
dopo la nascita della religione cristiana iniziò la pratica dell'assistenza
caritativa agli ammalati e ai poveri in appositi ospizi e ricoveri: si
chiamavano xenodochia quelli riservati agli stranieri, ptochia quelli per i
poveri, gerontocomi erano dette le strutture per gli anziani, brefitrofi
erano i luoghi dove si curavano i bambini e orfanotrofi quelli destinati a
chi aveva perso i genitori.
Sorsero praticamente allo stesso tempo delle associazioni dette ordini
ospedalieri; essi avevano in realtà una triplice natura, e cioè erano
ospedalieri, militari e religiosi, visto che spesso svolgevano la loro
attività in terre straniere, tra gli infedeli e i nemici del cristianesimo.
La situazione di questo genere di strutture non era certamente rosea sotto
il profilo del rispetto delle norme igieniche o della qualità
dell'assistenza prestata: soprattutto il personale stipendiato lasciava
piuttosto a desiderare per comprensione e carità. Anche il tipo di
costruzione, sebbene impreziosito da sculture, pitture ed opere d'arte, non
appariva certo funzionale alle reali esigenze.
Il primo ospedale sorto in Italia fu quello di S. Spirito in Sassia, fatto
costruire dal papa Innocenzo III nel 1201 a Roma. A questo seguirono poi gli
ospedali di Pistoia (1271), quello di Firenze (1288) e poi via via tutti gli
altri nelle maggiori città della penisola.
Il rinascimento scientifico
(sec. XVII)
In questo periodo
iniziarono ad essere gettate le fondamenta di un nuovo tipo di scienza che
fosse libera dal retaggio del medioevalismo galenico e diretta alla
formulazione di leggi e principi generali attraverso l'esperimento, più che
all'osservazione scolastica dei fenomeni. Sarebbe veramente troppo lungo
ricordare anche solo le principali scoperte di questa epoca, ma, per far
capire lo spirito che la animava, è sufficiente menzionare gli studi con cui
Galileo Galilei, tra lo scandalo generale, contestò la teoria del
geocentrismo, la determinazione della legge di gravitazione universale da
parte di Isacco Newton, le prime leggi sulla pressione atmosferica stabilite
da Pascal e la dimostrazione da parte di Keplero che le orbite dei pianeti
sono regolate da leggi matematiche. Tutto questo fermento era inoltre
supportato dal punto di vista filosofico dalle teorie razionalistiche di
Cartesio, Francesco Bacone, Tommaso Campanella e Giordano Bruno: mettendo il
ragionamento al di sopra della pura sensazione, essi contribuirono ad aprire
la strada al metodo sperimentale.
Nonostante tutto non si registrarono inizialmente grandi scoperte né in
patologia, né in terapia, anche perché era difficile mettere ordine nel
calderone delle innumerevoli dottrine mediche e scuole di pensiero: troppo
lontane erano le posizioni dei seguaci della teoria umorale, di chi si
affidava alle capacità autoguaritrici dell'organismo umano, degli
interventisti, di chi propendeva per farmaci di origine animale o vegetale.
Un tentativo di applicare il principio sperimentale anche alla medicina fu
quello della sua interpretazione iatromeccanica e iatrochimica: entrambe
tentavano di applicare ai processi fisiologici leggi e regole proprie dei
corpi inorganici.
La prima cercava la spiegazione di tutti i fenomeni biologici in regole di
meccanica e di matematica, formule e calcoli numerici. Da ricordare la
figura di Santorio Santorio (1561-1636) che condusse approfonditi studi sul
metabolismo: grazie a una bilancia di straordinarie dimensioni (era in grado
di sorreggere una stanza con tanto di letto e scrivania) calcolava la
variazione del peso del corpo dovuta non solo alle normali attività di vita,
ma anche alla perdita dei materiali eliminati attraverso cute e polmoni.
Introdusse anche l'uso di strumenti che aiutassero il medico nella
formulazione della diagnosi quali il pulsimetro (o pulsilogio) che misurava
il ritmo e la frequenza del polso, ed il termometro ad aria.
La seconda interpretava la malattia come un'alterazione chimica, uno
squilibrio tra acidi e basi, sconfinando talvolta nel campo dell'alchimia.
Francesco de la Boe (1614-1672), meglio conosciuto come Sylvius, ne fu il
fondatore. Egli vedeva nella fermentazione la chiave di volta di tutti i
processi fisiologici. Tra i personaggi di spicco di questa scuola va inoltre
ricordato Giovanni Battista Van Helmont che teorizzò la presenza di tre tipi
di entità nel corpo umano: gli archei, ovvero i principi spirituali che
danno la vita ai vari organi; il gas, termine coniato dallo stesso
scienziato belga, che rappresentava la materia aeriforme derivante dai
processi fermentativi che si svolgono nell'organismo; il blas, cioè il
movimento che accompagna ogni trasformazione di energia. La malattia era
causata dal cattivo funzionamento degli archei e si manifestava con anomale
fermentazioni.
Una ventata di novità arrivò grazie a personaggi come Marcello Malpighi
(1628-1694) che, utilizzando i primi rudimentali microscopi, poté compiere
indagini anatomiche piuttosto accurate osservando la struttura cellulare e
scoprendo tra l'altro la prova della comunicazione tra vene ed arterie a
livello degli alveoli polmonari. Grazie agli studi condotti sugli insetti
contribuì poi alla demolizione della dottrina della generazione spontanea,
un vero e proprio dogma proveniente dal pensiero aristotelico: la loro
struttura appariva infatti troppo complessa e perfetta nel suo funzionamento
perché derivassero semplicemente dalla putrefazione di sostanze organiche
come si era sempre pensato.
Da ricordare infine la nascita del concetto della natura vivente del
contagio: Giovan Cosimo Bonomo (1666-1696), ad esempio, individuò la vera
eziologia della scabbia con la scoperta del ruolo dell'acaro nella malattia,
anche se la medicina ufficiale ignorò i suoi studi fino quasi alla metà del
sec. XIX
Il sec. XVIII
In questo secolo
la scienza medica fu caratterizzata dall'affermazione delle dottrine dei
"sistemi", cioè una serie di principi fisiologici, patologici e terapeutici
tenuti insieme da una solida base filosofica che continuava a rivestire una
certa importanza nel tentativo di spiegare alcuni fenomeni naturali di non
immediata comprensione. Nonostante le numerose proposte portate avanti da
alcuni autori che di volta in volta sembravano fornire chiavi di lettura
esatte e definitive su svariati argomenti, limitati furono i riflessi
pratici in campo medico-chirurgico: il ruolo trainante spettava infatti
ancora alle teorie filosofiche come quelle di Leibniz e Kant.
I principali sistemi furono quelli elaborati da Friederich Hoffmann
(1660-1879) e da Georg Ernst Stahl (1660-1734). Hoffmann teorizzò un sistema
medico che poggiava su basi essenzialmente meccaniche: l'intero organismo
era composto da fibre che si contraevano e rilasciavano a seconda di un
fluido regolatore contenuto nel cervello. Le malattie erano dovute alla
modificazione del tono normale e si manifestavano con una quantità eccessiva
di sangue a livello dello stomaco o dell'intestino, organi sui quali
venivano così concentrate le maggiori attenzioni terapeutiche.
Stahl sottolineava invece l'importanza dell'anima che ordinava ed
equilibrava ogni processo fisiologico; la morte dell'anima portava alla
putrefazione del corpo.
Altre teorie ebbero un discreto seguito in questo secolo: William Cullen
(1710-1790) sosteneva che l'origine della vita fosse da ricercare nel
sistema nervoso il cui equilibrio corrispondeva allo stato di salute.
Secondo John Brown (1879-1788) la vita era uno stato mantenuto da continui
stimoli che agivano sulla eccitabilità degli organi. Ogni altro sintomo era
da tralasciare, tanto che egli vedeva l'unica via di terapia in sostanze
stimolanti.
La concezione del Vitalismo della scuola di Montpellier (De Bordeu, Barthez)
propugnava invece l'esistenza di una via intermedia tra materia ed anima:
ogni singolo organo aveva in sé una forza vitale. Franz Anton Mesmer
(1734-1815) era convinto che l'energia guaritrice proveniva dallo stesso
organismo umano (teoria del magnetismo animale). Celebri sono i suoi studi
sull'ipnotismo o sonnambulismo artificiale
In conclusione i reali progressi in questo periodo furono davvero pochi e si
possono elencare brevemente: Edward Jenner (1749-1823) studiò il vaiolo ed
osservò che le persone infettate una volta dalla forma vaccina non
contraevano più quella umana; decise quindi di produrre artificialmente la
prima infezione come misura profilattica ottenendo così l'immunizzazione da
una delle patologie in quel tempo più pericolose. Paolo Mascagni (1755-1815) scoprì il sistema linfatico.
Leopold Auenbrugger (1722-1809) introdusse il metodo della percussione per
individuare le alterazioni del polmone. Da ricordare infine, anche se in
campo non prettamente medico, gli studi di Carlo Linneo (1707-1778) che
concepì il metodo binomiale (genere e specie) nella classificazione di
animali e piante.
Il sec. XIX
Progressi
Questo periodo è
caratterizzato da importanti scoperte scientifiche e tecniche. La medicina
fu condizionata in modo senza dubbio positivo dalle acquisizioni di altre
scienze quali la chimica, la fisica e la matematica. Decisivo fu inoltre il
sempre maggiore perfezionamento degli strumenti di ingrandimento ottico
grazie anche agli studi del modenese Giovanni Battista Amici (1786-1863).
Grandi progressi si ottennero nel campo dell'elettrologia in seguito alla
diatriba sugli studi di Luigi Galvani (1879-1798) ed Alessandro Volta
(1745-1827). Il primo per mezzo di un arco bimetallico faceva contrarre le
zampe di una rana stabilendo un circuito con il sistema di innervazione
concludendo così che il movimento era prodotto dall'elettricità dei muscoli;
il secondo sosteneva che era l'arco stesso, costituito da due metalli
differenti, a fornire l'elettricità.
Anche la statistica fece il suo ingresso sulla scena della medicina: si
iniziava a capire l'importanza di raccogliere, esaminare e classificare dati
e informazioni riguardo salute e malattia per poter disporre di sempre più
elementi al fine di studiare e sconfiggere le diverse patologie. Certamente
all'inizio i metodi usati non erano perfetti e completamente attendibili, ma
grossi passi in avanti furono fatti grazie all'opera dell'inglese William
Farr (1807-1883) e di Melchiorre Gioia (1767-1829)
Pietra miliare del progresso in medicina fu poi la teoria cellulare portata
avanti da Mathias Jacob Schleiden (1804-1881) e da Theodor Schwann
(1879-1882) che scoprì la cellula nucleata del tessuto animale rendendola di
pubblico dominio con le sue osservazioni nel 1879. Poco più tardi Robert
Remak (1815-1885) formulò la teoria della proliferazione cellulare.
Da questo momento in poi la medicina iniziò a concentrare i suoi sforzi
sull'osservazione microscopica applicando le nuove scoperte al campo della
fisiologia e della patologia; Rudolf Virchow, considerato il primo patologo
moderno, fu la figura di maggior spicco in questo settore della ricerca.
Louis Pasteur (1822-1895) con i suoi studi abbatté definitivamente le teorie
della germinazione spontanea dimostrando che i microrganismi erano la causa
delle infezioni e non un loro prodotto. Tra gli altri furono isolati il
pneumococco, il bacillo della tubercolosi, l'agente responsabile della
difterite, il vibrione del colera, il gonococco, l'agente causale della
lebbra, del tetano, della peste, della sifilide...insomma, prima del 1900 la
lista degli agenti infettivi era praticamente completa.
Anche la fisiologia conobbe un rapido sviluppo: si chiarì la struttura del
sangue, il ritmo e l'origine del battito cardiaco, i meccanismi della
respirazione, della digestione, del sistema nervoso.
Più lento fu invece lo sviluppo della farmacologia anche se è da ricordare
il brevetto da parte dalla Bayer dell'aspirina, messa in commercio nel 1899.
Verso la fine del secolo vennero poi introdotti strumenti importantissimi
come il laringoscopio, l'esofagoscopio, l'otoscopio, l'oftalmoscopio, il
gastroscopio, il cistoscopio. Da non dimenticare lo sfignomanometro proposto
nel 1896 da Scipione Riva Rocci (1863-1937).
Rivoluzionari furono infine gli studi di Wilhelm Conrad Roentgen (1845-1923)
che nel 1895 scoprì i raggi X.
Il sec. XIX
Gli ospedali e lo sviluppo
della chirurgia
In questo clima
di fermento scientifico anche i vecchi asili e tutti gli altri luoghi di
cura iniziarono a trasformarsi in strutture con servizi di assistenza sempre
migliori grazie anche all'ingresso dei laboratori per le indagini chimiche e
delle sale per le operazioni chirurgiche. I nuovi ospedali, come il
Policlinico Umberto I di Roma progettato da Guido Baccelli (1832-1916),
venivano progettati poi secondo le regole dell'igiene e dell'ingegneria
ospedaliera calcolando con precisione i rapporti aeroilluminanti necessari
per ogni singolo letto.
Si cominciò a distinguere tra sintomatologia, che si occupava degli effetti
percepibili della sofferenza degli organi, e semiologia, intesa come studio
dei segni, cioè gli indicatori che permettono di giungere alla diagnosi; si
iniziarono a contare e misurare i segni clinici: pulsazioni, atti
respiratori, temperatura; si esaminava il malato secondo metodiche precise:
ordine anatomico (sistema testa-piedi) o fisiologico (apparato per
apparato); si affacciava infine anche la diagnostica differenziale.
La figura del chirurgo, fino a questo momento in posizione assolutamente
subalterna rispetto a quella ritenuta più nobile del medico, iniziò a
conquistare una maggiore dignità. Mentre prima il dolore aveva sempre
limitato la sua azione, tanto che il paziente doveva essere immobilizzato da
aiutanti robusti, poiché l'uso dell'alcol, dell'oppio, della radice di
mandragora, delle spongie soporifere non erano sufficienti a diminuire
adeguatamente la sua sensibilità, in questo periodo, grazie ad alcune
scoperte della chimica, vennero introdotte sostanze gassose come i
cosiddetti gas esilaranti, l'etere, il cloroformio, che aprirono nuove
frontiere al progresso della chirurgia. In seguito si cercò di studiare
nuove vie di somministrazione (via rettale) e nuove sostanze (morfina,
cocaina...), ma l'uso dei gas dominò la scena fino al nostro secolo quando
si arrivò all'anestesia endovenosa. Un grande aiuto allo sviluppo di nuove
tecniche chirurgiche fu dato da tutte le sanguinose guerre di questa epoca:
moti rivoluzionari, guerra di Crimea, guerra di secessione americana, guerre
coloniali...: i chirurghi si impratichirono molto nelle amputazioni, nelle
resezioni articolari, nell'arresto di emorragie e nella legatura dei vasi.
Il salto di qualità decisivo per la chirurgia fu infine dato dalla conquista
dell'asepsi e dell'antisepsi. Nella seconda metà del secolo, pur tra pareri
discordanti, qualcuno iniziò a notare prognosi postoperatorie migliori se
prima dell'intervento si fosse utilizzata acqua di cloro per lavarsi le
mani; nel 1878 si introdusse la bollitura degli strumenti e nel 1891 la
sterilizzazione a secco; sempre in quegli anni apparvero sui campi operatori
i primi guanti di gomma a coprire le mani dei chirurghi e a cavallo dei due
secoli la preparazione della cute da incidere veniva effettuata con
pennellature di tintura di iodio. Grazie a tutti questi passi in avanti si
superò il rischio delle febbri e delle infezioni postoperatorie.
Il sec. XX
Nel primo
novecento furono oggetto di studi e ricerche soprattutto la batteriologia,
la parassitologia e la sierologia: si iniziavano a capire le vere cause di
molte malattie e le modalità con cui si trasmettevano.
Grande fu anche lo sviluppo della radiologia; purtroppo si ignorava ancora
la pericolosità delle radiazioni ionizzanti e di conseguenza vi si faceva
ricorso indiscriminatamente e senza protezioni.
Laparoscopie, pleuroscopie, biopsie muscolari e spirometrie erano prassi
normale negli ospedali già nei primi dieci anni del secolo.
Negli anni venti si affermò l'elettroencefalografia, nei trenta il
microscopio elettronico, nei quaranta la diagnostica ecografica, la
registrazione continua degli ECG secondo Norman Jeffers Holter (1914-1983);
dal punto di vista farmacologico si scoprirono i primi antibiotici, alcuni
antistaminici e anticoagulanti; negli anni cinquanta James Watson e Francis
Crick descrissero la struttura del DNA; apparvero inoltre diuretici,
cortisone, psicofarmaci, ipoglicemizzanti ed antiparkinsoniani.
La chirurgia, resa sempre più sicura ed affidabile grazie anche ai nuovi
farmaci, arricchiva sempre di più il suo strumentario (pinze emostatiche,
elettrocauteri, fili assorbibili, lampade scialitiche, placche, viti e
chiodi di acciaio...) iniziando così a suddividersi in vari rami: tra le
prime scuole specialistiche si annoverano l'oculistica, l'urologia, la
traumatologia, l'otorinolaringoiatria.
Sarebbe infine arduo descrivere in modo organico e compiuto anche solo i
principali progressi degli ultimi cinquanta anni, visto il susseguirsi di
studi, ricerche e scoperte in ogni settore della medicina, tali da rendere
superate ed obsolete le nuove acquisizioni anche a distanza di pochi anni.
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