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Se esiste una vita vissuta come un romanzo, è quella di Gabriele
D’Annunzio, un personaggio dalle tante sfaccettature: poeta, romanziere
e drammaturgo, ma anche eroe, pilota, amante irrefrenabile dall'ego
incontinente, padre nobile del Fascismo per i fascisti, con cui però non
voleva essere confuso. Figura in ogni caso che ha segnato un epoca della
cultura italiana per oltre un cinquantennio fra '800 e '900.
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Gabriele
D'Annunzio,
autore tra i più importanti e "divisivi" della letteratura
italiana, amato e odiato, era come una rock star ai
suoi tempi. Cultore di una estetica
letteraria raffinata, fu un oratore ammaliante e un
seduttore instancabile. Sempre alla ricerca di
situazioni e sensazioni nuove per nutrire il suo ego
smisurato, di autostima ne aveva assai... quasi
fosse caduto da piccolo in una pentola di Panoramix
colma di una pozione magica per aumentare la fiducia
in se stessi (la
pentola dove si preparava la pozione magica dalla
quale Asterix ed Obelix, i celebri galli del
fumetto di Uderzo, traevano una forza sovraumana).
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Figura dibattuta, Gabriele D'Annunzio ha
sempre avuto un ruolo di prim'ordine nello scenario letterario,
culturale e storico italiano. È stato poeta,
giornalista, eroe militare e leader politico, uno
dei più importanti scrittori italiani di fine
Ottocento, inizio Novecento. Fu uno scrittore
prodigioso, la cui raccolta di opere, arrivò a
contare 48
volumi.
Giacomo Puccini voleva lavorare con
lui, Proust lo ammirava e Joyce disse
che era uno dei tre scrittori più talentuosi del XIX
secolo, insieme a Kipling e Tolstoj.
Come anche Carducci e Foscolo, fu soprannominato "il Vate"
della sua epoca (il poeta sacro).
Frequentò i salotti mondani di mezza Europa, e fu
uno dei più alti rappresentanti della sua epoca, la Belle Époque (che in
Italia equivale ai periodi Umbertini e Giolittiani).
D'Annunzio non corrispondeva certo ai
canoni di bellezza del periodo, era calvo, piuttosto basso, dai denti scoloriti
e dalla pelle cerata, enfatico in ogni suo gesto. Nonostante questo era
capace di affascinare quasi chiunque. Fu un personaggio discutibile, dalle infinite
relazioni sessuali, che spesso finirono per distruggere emotivamente e socialmente le
donne che lo amavano. Riuscì ad accumulare enormi debiti, e fece
largo uso di droghe. Nonostante lo stile di vita dissoluto, e a tratti
autodistruttivo, i continui i viaggi, le feste e le
mille occupazioni, riuscì a produrre una mole ingentissima di opere.
Simbolo del decadentismo, movimento artistico
e letterario di fine Ottocento centrato sull’eccesso, lo scandalo e
l’artificiosità, fu anche figura militare di rilievo nella Prima guerra
mondiale. Negli anni di poco precedenti il secondo conflitto mondiale
ebbe un ruolo ancor più controverso nel crescente assetto fascista.
D'Annunzio di certo può essere definito un pioniere della moderna cultura
della celebrità. Intuì il fantastico e "morbido" potere della fama,
della notorietà: un potere non fisico ma che contava e si affermava ovunque.
Le sue poesie, le opere
teatrali, i romanzi e il modo di fare giornalismo, trasmettevano il disgusto e la
noia per il mondo a lui contemporaneo (paradossalmente la Belle Époque) e il
desiderio dell'avvento di un'epoca più eroica, in cui i superuomini (come lui), non
vincolati dalla tradizione, potessero portare arte e bellezza in un mondo che
ne aveva disperatamente bisogno.
A 16 anni pubblicò le
sue prime poesie, Primo vere (1879) e pochi anni dopo Le poesie di Canto novo
(1882). Molto scaltro e determinato,
ancora adolescente, pubblicando tali poesie, informò il direttore di
giornale a cui si era indirizzato, che il loro autore era morto, assicurandosi
così pubblicità nazionale.
Già in queste poesie mostrò un dono sorprendente nel rendere con precisione e potenza
l'esuberanza e l'intensità giovanile di un ragazzo innamorato della natura e
delle donne. Il romanzo autobiografico Il piacere
(1889) introdusse il primo degli appassionati eroi superuomini nietzscheani
di D'Annunzio, Andrea Sperelli; un altro superuomo appare in L'innocente (1892),
è Tullio Hermil.
D'Annunzio era già famoso quando apparve il suo romanzo più noto,
Il trionfo della morte (1894). In esso, e nel successivo grande
romanzo, Le vergini delle rocce (1896), compaiono eroi alla
maniera di Nietzsche, viziosi e amorali. Sono Giorgio Aurispa nel primo
libro e Claudio Cantelmo nel secondo. Quest'ultimo è in pratica l'alter ego
di D'Annunzio, un nobile romano che desidera generare un erede degno della
sua stirpe di grandi condottieri. Disprezza tutto ciò che appartiene alla
sfera comune e sogna di restaurare il grande impero di Roma, riportando il
Paese alla sua antica gloria.
Un influencer di altri tempi
D'Annunzio fu capace di influenzare costumi
e usi del tempo, tanto che, ancora oggi, si utilizza l'aggettivo "dannunziano"
(facendo riferimento alla sua magniloquenza, ai preziosismi espressivi e
all'esasperato estetismo negli scritti come nella vita personale, dominata
dal narcisismo, dall'amoralità e dal superomismo). Che la si apprezzi o meno, la sua vita fu indubbiamente
interessante ed è certo che la fama raggiunta non fosse dovuta solo alla prodigiosa e apprezzata
produzione letteraria, ma anche al personaggio che lui stesso si era
cucito addosso. Tutto questo, unito all'incessante auto-promozione
che D'Annunzio faceva delle sue opere, contribuì alla sua consacrazione. S'intratteneva con
personaggi ricchi e famosi, sfruttava abilmente i mezzi di
comunicazione di massa del tempo, riversava recensioni sul mercato e faceva
frequenti acrobazie pubblicitarie (una volta arrivando addirittura a diffondere voci
sulla sua morte). Da buon megalomane, quando la Gioconda venne rubata (da Vincenzo Peruggia, vedere
Il furto della Gioconda) affermò che era stata portata a casa sua.
Per qualcuno la sua più grande opera d'arte è stata la costruzione del
suo tesso personaggio, Gabriele D'Annunzio. "Il mondo deve essere convinto che io
sia capace di tutto", scrisse una volta, e nella sua vita fu senza
dubbio all'altezza di questo proposito.
Vita di Gabriele D'Annunzio
Gabriele D'Annunzio nacque a
Pescara
(in corso Manthonè) il 12 marzo 1863, da una famiglia
borghese piuttosto benestante che aveva costruito la
propria agiatezza grazie alla ricca eredità dello zio adottivo Antonio
d’Annunzio dal quale prenderà anche il cognome. Era il terzogenito di cinque fratelli, il padre
Francesco Paolo Rapagnetta D’Annunzio e la madre, Luisa De Benedictis,
rappresentarono per lui un punto fermo. Dal primo prese il carattere forte e
sanguigno, unito all'amore per le donne e per gli agi (e alla facilità di
debiti); dalla madre di cui nutrì
particolare affetto acquisì una forte sensibilità, ricordandola spesso nei
suoi scritti. Il padre, trovò i migliori maestri per il figlio che appariva, fin
da piccolo, dotato di vivace sensibilità letteraria.
Dopo un'infanzia felice all’età di 11 anni il giovane Gabriele lasciò
la città natia per gli studi liceali nel collegio Cicognini di
Prato, dove ebbe modo di
distinguersi per la condotta indisciplinata ma anche per l'accanimento
nello studio, precoce audacia e smania di primeggiare ( “Mi piace la
lode, mi piace la gloria, mi piace la vita?, disse). Non nascondeva
la consapevolezza di essere speciale, di essere un trascinatore, come
scrisse, "d’essere uno capace… di poter trascinare in qualunque luogo, in
qualunque ora, tutta la mia compagnia alle più folli insubordinazioni?.
D'Annunzio era innegabilmente
brillante fin da giovane e all'età di 16 anni era capace di scrivere ai suoi genitori in sei lingue. Alla
stessa età pubblicò le
sue prime poesie, Primo vere (1879) a spese del padre,
ottenendo un certo successo. Sono di pochi anni dopo
Le poesie di Canto novo
(1882), piene di esuberanza e di descrizioni appassionate e sensuali.
Negli anni del collegio, scrisse a
Giosuè Carducci, chiedendogli di leggere una sua poesia.
Illustre Signore,
quando ne le passate sere d’inverno
leggevo avidamente i suoi versi mi venne molte volte il desiderio di
scriverle... mi pareva una solenne sciocchezza che un giovinotto di 18 anni
oscuro alunno di un liceo scrivesse a un poeta come lei... mi pareva che
quel poeta dopo aver letto la lettera la dovesse gettare nel cestino della
carta sudicia.
Oh non mi creda un ragazzo vano e
presuntuoso uno di quei damerini tronfi d’orgoglio ma vuoti come una buccia
di limone spremuto che mandan lettere su lettere ai famosi finché non son
giunti a carpirne una risposta, fors’anco un rigo o due, fors’anco poco
gentile per poter poi strombazzare ai quattro venti: vedete io ho
corrispondenza aperta col poeta A, col romanziere B, con l’orientalista C...
arguite da questo o piccoli che pezzo grosso son io!
Oh non mi creda uno di questi, mio buon
signore. Io le parlo col cuore sulle labbra, io voglio seguire le sue orme,
voglio combattere per questa scuola che chiamano nuova... anch’io mi sento
nel cervello una scintilla...
Voglio combattere al suo fianco, o poeta!
Ma dove mi trasporta l’ardore? Mi perdoni signore e pensi che io ho sedici
anni e che sono nato sotto il sole d’Abruzzo. Mi accorgo di aver ciarlato
troppo e d’aver messo a dura prova la sua pazienza e quindi le chiedo scusa
non una ma cento volte
Con tutto l’animo
suo dev.mo affez.mo
Gabriele d’Annunzio
Prato, nel Collegio Cicognini
D'Annunzio
iniziò a collaborare con alcuni giornali letterari dell'epoca (tra cui il
Fanfulla della domenica). Del 1880 è la sua prima novella, Cincinnato,
con la quale iniziò a farsi conoscere negli ambienti culturali dell'epoca.
Fin da allora si intravedeva il carattere egocentrico del poeta, che
mise in giro la notizia – inoltrata in modo anonimo al Gazzettino
Letterario di Firenze – della sua morte a seguito di una caduta da
cavallo. Seguirono necrologi e ovvie smentite, il tutto pensato con lo scopo di
creare interesse intorno al suo nome e farsi pubblicità.
Nel 1881 si trasferì a
Roma, iscrivendosi alla
Facoltà di Lettere. Non riuscirà tuttavia a portare a termine gli studi, visto
che trascurava la vita accademica per dedicarsi ad amori e avventure. Di
Roma non ebbe da subito un'impressione positiva,
tanto che gli sembrò di trovarsi in un enorme cantiere “…nella logica
brutale della prima speculazione edilizia che non risparmia dal degrado e
dalla distruzione i luoghi già per tanto tempo sacri alla “bellezza e al
sogno?.
In breve tempo, collaborando a diversi periodici, tra cui
Capitan Fracassa e Cronaca Bizantina, sfruttando il mercato
librario e giornalistico, orchestrò intorno alle sue opere spettacolari
iniziative pubblicitarie. Non tardò dunque, il giovane D'Annunzio, a diventare una
figura di primo piano della vita culturale e mondana romana.
Nel 1882 scrisse Canto novo e
Terra vergine. La prima lirica era dedicata al suo primo grande
amore, Giselda Zucconi, detta Lalla, conosciuta a Firenze e figlia di
un suo professore del liceo. Nello stesso anno si recò in Sardegna,
in visita alla cascata di Sa Spendula, in località Villacidro,
componendo una poesia che porta lo stesso nome Sa Spendula,
pubblicata nella rivista Il Capitan Fracassa. Nel 1883 ebbero grande
risonanza la fuga e il matrimonio di D’Annunzio con la duchessina
Maria Hardouin di Gallese, figlia dei proprietari di Palazzo Altemps,
sede del salotto mondano che il giovane frequentava assiduamente.
Fu un
matrimonio da subito contrastato dai genitori di lei, tanto che i due sposi
si trasferirono, senza dote, a Pescara, nella Villa del Fuoco, in via
Salaria Vecchia. Ebbero tre figli, Mario nato nel 1884, Gabriellino 1886 e
Veniero 1887.
Nonostante i tre figli, a causa dei continui tradimenti di
lui, tra cui quello con Barbara Leoni, l’unione durò solo sette anni, fino al
1890. Con l'amante d'Annunzio soggiornò a San Vito Chietino, sempre
in Abruzzo, dove nell’estate del 1889 compose Il trionfo della morte.
In questo frangente scrisse nuovamente per alcune riviste, tra cui La
Tribuna, sotto lo pseudonimo di Duca Minimo e compose alcuni
versi, l'Intermezzo di rime (1883), la cui "mancanza di
pudore" scatenò un'accesa polemica. Nel 1886 uscì la raccolta
Isaotta Guttadàuro ed altre poesie, poi divisa in due parti L'Isottèo
e La Chimera (1890).
Tra il 1885 e il 1927, nacque e si rafforzò l'amicizia tra Gabriele d'Annunzio e
Matilde Serao,
scrittrice e cronista partenopea celebre all'epoca. Insieme i due contribuirono alla
pubblicazione di alcune riviste di Roma e Napoli, incontrarono autori in
Europa (soprattutto in Francia) e si scambiarono opinioni e consigli sulle loro
opere e anche sulla loro vita privata. Nel 1885 la Serao si sposo con
Edoardo Scarfoglio, anch'esso amico di D'Annunzio e cronista d’eccezione
dell’evento mondano fu proprio l’amico Gabriele D’Annunzio, la cui cronaca
del matrimonio uscì il 3 marzo 1885 sulle pagine del quotidiano romano La
Tribuna. Per D'Annunzio la Serao fu una
amica presente per gran parte della sua vita matura, una donna forte che gli diede
consigli, proteggendo anche la sua relazione con Eleonora Duse, che era
anche amica della scrittrice napoletana.
Ricco di risvolti autobiografici, il suo
primo romanzo Il piacere (1889) scritto durante una visita all’amico Francesco Paolo
Michetti, a Francavilla al Mare, fu un romanzo inusuale per
l’epoca, ancorata ai movimenti del Naturalismo e
del
Positivismo. Il piacere
propone
un'originale introspezione dei personaggi, ad iniziare dal protagonista,
un raffinato esteta dandy. Come la vita del
suo protagonista, Andrea Sperelli, anche quella dannunziana è una vita che abbraccia le nuove
suggestioni del Decadentismo europeo. Nel 1891 assediato dai creditori,
d'Annunzio fu costretto ad allontanarsi da Roma,
trasferendosi insieme all'amico pittore Francesco Paolo Michetti a
Napoli, dove, collaborando nei
giornali locali trascorse due anni di “splendida miseria?.
Giunto a Napoli, conobbe la principessa
Maria Gravina Cruyllas di Ramacca, già madre di quattro figli.
La donna abbandonò il marito e si trasferì con D’Annunzio a Francavilla
al mare, in quello che oggi conosciamo come villino Mammarella.
Dall’unione con la principessa nacque una figlia, Renata. Lo
scrittore amava il lusso e viveva al di sopra delle sue possibilità, e
proprio a causa delle difficoltà economiche fu
costretto a lasciare anche Napoli. Si recò con Maria Gravina e la
figlioletta Renata, in Abruzzo, nuovamente ospite del Michetti. I due amanti
furono anche querelati dal marito di lei per adulterio.
Nel 1894 pubblicò alcune raccolte poetiche
Le elegie romane (1892) e Il poema paradisiaco
(1893) e i romanzi Giovanni Episcopo (1891), L'innocente
(1892), le Elegie romane (1892), e terminò Il trionfo
della morte (1894), che scrisse nell’arco di cinque anni ed era parte
della cosiddetta trilogia de I Romanzi della Rosa, di cui fanno parte
anche Il Piacere (1889) e L'Innocente (1892). I suoi testi
cominciarono a circolare anche fuori dall'Italia. Pubblicò diversi altri
scritti, tra cui Poema paradisiaco (1893) e Odi navali’
(1893). Nel 1895 uscì a puntate nella rivista Il Convito, La vergine
delle rocce, il romanzo in cui si espresse la teoria del
superuomo che avrebbe poi dominato tutta la sua produzione successiva.
Ispirata alla filosofia di Nietzsche, la teoria del superuomo di
D'Annunzio afferma la necessità del superuomo, una personalità
forte e di spessore che, andando oltre il vincolo morale e sociale, si distingue dalla
massa e si afferma per il bene comune.
Il romanzo uscì un anno dopo l’inizio della relazione sentimentale di D’Annunzio con Eleonora Duse, una delle attrici più famose di
quegli anni, e il loro legame venne descritto successivamente nel romanzo ‘veneziano’
Il Fuoco (1900). Nel 1895 D'Annunzio si recò in crociera in
Grecia e al suo ritorno si
stabilì in Toscana. Nel 1897 diede inizio ad una fitta
produzione teatrale: Sogno d'un mattino di primavera, composta
per la Duse e con una prima rappresentazione a
Parigi. Poi fu la volta di
Sogno d'un tramonto d'autunno e successivamente La città
morta (1898), La Gioconda (1899), La figlia di
Jorio (1903). Nel 1898 mise fine al suo legame con la Gravina, da cui
ebbe un altro figlio (non riconosciuto). Nel 1899 si recò in Egitto con la Duse, quindi in
Grecia, dove nell’isola di
Corfù compose Gloria.
Seguì un periodo intenso di viaggi con la Duse, per le sue tappe teatrali di
lei in varie città italiane, e successivamente in Svizzera e a Vienna. Si stabilì a Settignano,
sulle colline di
Firenze, nella villa detta
La Capponcina, dove visse lussuosamente prima con la Duse, poi con un
nuovo amore Alessandra di Rudinì.
Durante l’estate affittò in
Versilia una villa nella
località di Secco Motrone, dove nel 1901 compose Francesca da Rimini, dramma in versi. La relazione con la Duse si affievolì,
fino a incrinarsi definitivamente. D'Annunzio iniziò a frequentare
Alessandra di Rudinì, vedova Carlotti, detta "Nike", che
teneva un tenore di vita lussuoso e faceva un uso spregiudicato di morfina,
a tal punto da ammalarsi. Dopo averla assistita
amorevolmente D'Annunzio abbandonò comunque Alessandra, che come reazione
decise di rinchiudersi in convento.
La sua fama di seduttore era sempre
più chiacchierata e ammirata: “D’Annunzio era un così grande amante che
poteva trasformare la donna più ordinaria e darle per un momento l’apparenza
di un essere celeste?, ebbe a dire di lui la ballerina Isadora Duncan.
Le sue condotte sentimentali non furono prive di conseguenze per
le donne amate, ad iniziare dalla moglie che tentò suicidio
gettandosi dalla finestra di casa per finire con Alessandra di Rudinì che si
fece monaca.
Egocentrico e seduttore
D'Annunzio si riteneva un seduttore a cui difficilmente una donna poteva
resistere, e quando si invaghiva di qualcuna faceva di tutto per
conquistarla, ma non sempre l'aveva vinta. Un giorno
Liane de Pougy, una delle più celebri cortigiane parigine, ballerina e
scrittrice della Belle époque, la Odette de Crecy della Recherche di
Proust, visitò
Firenze, D'Annunzio le inviò una carrozza piena di rose per
accoglierla. Mentre scendeva i gradini, i suoi sottoposti le lanciarono
altre rose, ma lei scrisse: "Davanti a me c'era uno gnomo spaventoso con gli occhi
cerchiati di rosso e senza ciglia, senza capelli, denti verdastri, alitosi,
i modi di un saltimbanco e la reputazione, tuttavia, di essere un signore".
Nella biografia di Lucy Hughes-Hallett, l'autrice lo descrive come un grande
erotomane egocentrico e egoista: "Era, senza dubbio, un uomo rivoltante, la cui
vanità dilagante e i desideri sessuali non conoscevano limiti. Sebbene
andasse a letto con decine tra le donne più belle d'Europa, il suo
trattamento era sprezzante; in effetti, ci sono accenni nei suoi scritti che
gli piaceva l'idea di violentare le donne della classe lavoratrice. La sua
governante avrebbe dovuto fare sesso con lui tre volte al giorno."
Nel finire del secolo d’Annunziò tentò la
carriera politica, venendo eletto deputato nel 1897. All’inizio del nuovo
secolo, nel 1900, opponendosi al ministero Pelloux, abbandonò la
destra, passando all'estrema sinistra. Nel 1901 si avvicinò pubblicamente
alla massoneria del Grande Oriente d’Italia, con l’inaugurazione
della Università popolare di Milano assieme al Gran Maestro Ettore
Ferrari. D’Annunzio diventò massone e fu iniziato più tardi ad altri
simili gruppi (tra cui quello noto con il nome di Martinismo).
Nel
1902 pubblicò i testi Le novelle della Pescara (1902), oltre
ai primi tre libri delle Laudi (1903). Nel 1906 diede inizio
ad un'altra relazione sentimentale con la contessa Giuseppina Mancini.
Nel 1910, pubblicò il romanzo Forse che sì, forse che no, e
per sfuggire ai creditori, convinto dalla nuova amante Nathalie de
Goloubeff, si rifugiò in Francia. Visse tra Parigi e Arcachon,
nei pressi di
Bordeaux, partecipando alla
vita mondana della Belle Époque internazionale. Nel 1910 compose musica, il
Martyre de Saint Sèbastien, in collaborazione con il celebre
compositore francese Claude Debussy. La messa in scena dell’opera
venne
fortemente condannata dall’autorità religiosa.
Continuò
a comporre opere in francese: al Corriere della Sera fece pervenire
le prose Le faville del maglio; scrisse la tragedia lirica
La Parisina, musicata da Mascagni, e diverse sceneggiature
cinematografiche, come quella per il film Cabiria (1914). Nel
frattempo, frequentò diverse altre donne, tra cui la pittrice Romaine
Brooks, Isadora Duncan e la danzatrice Ida Rubinstein.
Nel
1912, a celebrazione della guerra in Libia, uscì il quarto libro
delle Laudi. Nel 1915, nell'imminenza dello scoppio della Prima
guerra mondiale, tornò in Italia, acquisendo un ruolo di primo piano
nella compagine politica dell’epoca e tenendo accesi discorsi interventistici, che riscaldarono gli animi.
La Prima Guerra Mondiale
Intanto
nel 1897 aveva avuto inizio anche la carriera politica di D’Annunzio, quando
fu eletto deputato alla Camera e sedette nei banchi dell’estrema Destra.
Dopo una iniziale partecipazione appassionata, nel corso del primo decennio
del novecento, si allontanò progressivamente dalla politica attiva.
Durante quello che fu il suo
soggiorno-esilio in Francia (1910-14), dove si era rifugiato per sottrarsi
ai numerosi creditori, D’Annunzio vide nello scoppio della Prima guerra
mondiale l’occasione per tornare in Italia da protagonista. Il 5 maggio 1915
a Quarto (località nei pressi di Genova dalla quale salpò la
spedizione dei Mille di Garibaldi), con l’Orazione per la sagra dei Mille, si
schierò apertamente con il movimento nazionalista, iniziando un’accesa e
appassionata campagna a favore dell’entrata dell'Italia in guerra.
Divenne un appassionato sostenitore di azioni militari coraggiose e
individuali, e s'impegnò personalmente. Il 23 maggio l'Italia dichiarò guerra all'Austria-Ungheria
e lui, a 52 anni, tradusse in realtà il mito letterario di una
vita inimitabile, arruolandosi volontario e partecipando a ardite imprese belliche, ampiamente autocelebrate. Ottenne il brevetto di aviatore e partecipò ad azioni
dimostrative, non tutte fortunate, tanto che durante un ammaraggio
d’emergenza si ferì, perdendo l’occhio destro. A
Venezia, costretto a una
lunga convalescenza, scrisse il Notturno, edito nel 1921. Conobbe
Olga Levi (Venturina) alla quale si legò in un’appassionata storia
d’amore. A Olga seguì la storia con la pianista Luisa Baccara (Smikra)
che gli rimase accanto fino alla morte. Per molti anni fu conosciuta come
"la Signora del Vittoriale", e oltre a essere una delle muse di Gabriele
D'Annunzio ne fu una delle amanti più fedeli e discrete.
D'Annunzio contribuì in questo periodo allo sviluppo di un particolare
stile di politica - spettacolare, pieno di sfarzo e di marce - che i
fascisti avrebbero poi abbracciato in seguito. Nonostante
la perdita dell'occhio, d’Annunzio non si fermò, partecipando a celebri
imprese, quali la beffa di Buccari e il volo nel cielo di
Vienna. Quest’ultima rocambolesca impresa in particolare, avvenuta il 9 agosto del 1918,
fu un'azione dimostrativa e mediaticamente molto potente, che interferì
sensibilmente sull'opinione pubblica dell'Impero asburgico: a capo di aerei
Ansaldo S.V.A. dell'87ª Squadriglia Aeroplani, allo scopo di indurre i
viennesi alla resa e porre fine alle belligeranze, d'Annunzio distribuì sulla città ben
oltre 400.000 volantini:
“VIENNESI! Imparate a
conoscere gli italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a
tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della
libertà.?
Alla fine della guerra,
deluso dalla non concessione della Dalmazia, nonostante la vittoria
italiana, scrisse una lettera polemica nella rivista allora appartenente a
Benito Mussolini, Popolo d’Italia, che nel frattempo stava
costituendo il nuovo movimento dei Fasci di Combattimento. Condusse una violenta battaglia per l'annessione all'Italia dell'Istria
e della Dalmazia; alla testa di un gruppo di legionari nel 1919
marciò su Fiume e occupò la città, instaurandovi una singolare
repubblica, la Reggenza italiana del Carnaro, dove governò, quasi come
un dittatore, per 15 mesi, finché la marina italiana non intervenne a
cannonate su ordine dell'allora governo Giolitti nel 1920.
D'Annunzio e il Fascismo
Per motivi di convenienza
politica e sociale, per la spossatezza fisica e
psicologica a seguito degli avvenimenti di Fiume, D'Annunzio aderì al Fascismo.
Come ha scritto lo storico Francesco Perfetti: "L'interventismo, la
guerra, la vittoria, la rivendicazione della vittoria mutilata e il futuro
da assicurare la nuova Italia, rappresentano il terreno di coltura di un
rapporto tra due personaggi diversi tra di loro, diversissimi per formazione
politica e per tradizione culturale, che domineranno la scena dei decenni a
venire: il poeta immaginifico Gabriele D'Annunzio e il politico realista
Benito Mussolini." In effetti, il rapporto di d’Annunzio con Mussolini fu piuttosto
ambiguo, fino a quando l’Italia appoggiò il regime nazista. A partire da
tale momento D'Annunzio si oppose
fermamente, definendo lo stesso Hitler un “ridicolo Nibelungo
truccato alla Charlot?.
Negli anni dell'avvento ancor
più spregiudicato del Fascismo, confermando la sua
diffidenza verso Mussolini e il suo partito, D'Annunzio si ritirò, celebrato
come eroe nazionale, presso Gardone, sul lago di Garda fronte
bresciano, nella villa di Cargnacco. La villa venne trasformata, man mano, grazie
anche ai proventi derivanti dall’Istituto Nazionale per la edizione delle
Opere di Gabriele d’Annunzio, in un museo-mausoleo, il Vittoriale
degli Italiani, una cittadella monumentale. Muussolini, rendendosi conto della potenza del fascino del
poeta in Italia, cercò di "seppellire" D'Annunzio proprio al Vittoriale,
sotto il lusso, inviandogli doni sempre più
ingombranti per il suo giardino, che culminarono con l'invio di un aereo e
della prua di
una corazzata.
Hemingway su D'Annunzio
Hemingway scrisse "Gabriele
volava ma non era aviatore... Era nella fanteria ma non era un fante... con
l’occhio perduto coperto dalla pezza e la faccia bianca come la pancia di
una sogliola appena rigirata al mercato, col lato bruno nascosto, e l’aria
di esser morto da trenta ore, gridava: "Morire non basta".
Hemingway nel 1922 lo definì "un idiota" (come
racconta Lucy Hughes-Hallett, nel suo The Pike moderna
biografia di D'Annunzio), nonostante inizialmente avesse trovato in lui un'ispirazione eroica
(che aveva tra l'altro influenzato la sua decisione di partire volontario per combattere in
Europa). Effettivamente cambiò
più volte idea Hemingway, dapprima nella speranza che lo scrittore
italiano
potesse contribuire all’opposizione di un sempre più potente
Benito Mussolini ("Il più grande bluff d'Europa"), per poi lasciarsi andare a considerazioni
opposte: da eroe dell'adolescenza a "figlio di puttana" lo definì. "Sorgerà una nuova
opposizione, anzi si sta già formando, e sarà guidata da quel rodomonte
vecchio e calvo, forse un po’ matto, ma profondamente sincero e divinamente
coraggioso che è Gabriele D’Annunzio". La stessa Hughes-Hallett
mostra che i legami tra "Il vate" e Mussolini furono più sfumati che
sospetti,
con D'Annunzio costantemente diffidente nei confronti dell'emergente leader
fascista, che lo osservava e imparava dal maestro l'arte dell'auto-promozione e
della propaganda.
La vecchiaia al Vittoriale
Il Vittoriale degli
Italiani è un complesso di edifici, con piazze, un teatro all'aperto,
giardini costruito tra il 1921 e il 1938 a Gardone Riviera, sul lago di
Garda, da Gabriele d'Annunzio stesso, su progetto dell'architetto Giancarlo
Maroni. È un complesso bellissimo e imponente, ubicato in posizione
panoramica, dominante il lago. È stato eretto a memoria della "vita
inimitabile" del poeta e delle imprese sue e degli italiani durante la prima
guerra mondiale.
Al Vittoriale D'Annunzio
visse pressoché in solitudine, benché con la compagnia di un harem di donne che dovevano soddisfare i
suoi appetiti sessuali e con una compagna fissa, Luisa Beccara. Nonostante gli onori
tributatigli dal regime, si defilò da imprese che lo avrebbero
costretto a compromessi non voluti e raccolse qui le reliquie della sua
gloriosa vita.
Trascorse qui il suo tempo, sino
alla morte, avvenuta il 1 marzo 1938, per emorragia cerebrale. Tutta
l'Italia lo pianse, in un solenne funerale. Uno dei personaggi più
controversi della cultura italiana, con i suoi eccessi mai banali, con una
voglia di stupire e di vivere in maniera leggendaria se n'era andato. Qualcuno
adombrò il sospetto che a ucciderlo, in quanto fieramente antigermanico,
avvelenandolo lentamente e prostrandolo sessualmente, fosse stata, una spia
nazista, l'altoatesina Emy Heufler. Emy era una dipendente della sua villa
assunta come infermiera, e in effetti dopo la morte di D'Annunzio andò a lavorare per il ministro
degli esteri nazista Joachim von Ribbentrop. Dopo la morte del
"Vate", cominciò una contesa per la sua eredità tra vari membri della sua
famiglia, contesa che si prolungo fino agli anni '50 del 900.
La sommità del Vittoriale è
occupata dal Mausoleo, monumento funebre realizzato sempre
dall’architetto Maroni dopo la morte di d’Annunzio. Il monumento è ispirato
ai tumuli funerari di tradizione etrusco-romana. Il Vittoriale oggi è un
monumento aperto al pubblico e visitato ogni anno da oltre 200.000 persone.
I figli
D'Annunzio rimase sempre legalmente
sposato con Maria Hardouin di Gallese, sposata con un matrimonio
riparatore nel 1883, dalla quale ebbe i tre figli maschi Mario, il
primogenito, nato a Pescara (1884-1964), Gabriellino (Roma, 10 aprile
1886 – Roma, 18 dicembre 1945) e Ugo Veniero (Roma, 3 maggio 1887 –
New York, 22 aprile 1945). Renata Anguissola infine, l'unica
figlia femmina, nacque
dalla relazione con una donna sposata, Maria Gravina Cruyllas (sposata al
conte Guido Anguissola) nel 1893 a Resina, Napoli e morì nel 1976 sempre a
Napoli.
Mario, il primogenito,
nacque a Pescara a Villa del Fuoco, e fu un bambino delicato di salute. Fu
presto affidato ai nonni paterni di Pescara. Studiò allo stesso Collegio
Cicognini di Prato dove aveva studiato il padre, ma con scarso rendimento.
Finì a lavorare presso la Direzione Generale della Navigazione Generale
Italiana prima e presso le Ferrovie dello Stato poi, arrivando ad essere
Ispettore capo. Non ebbe figli e morì a Roma nel 1964. Non ebbe mai un buon
rapporto con il padre, che lo accusava di rivolgersi a lui solo per
chiedergli soldi, anche se in tarda età i due si rappacificarono.
Gabriellino nacque a Roma nel 1886, e venne allevato da una balia di
Olevano Romano. Successivamente la madre lo portò a Parigi con sé, dove
studiò prima al Liceo Sailly e poi, spinto dal padre, al Collegio Cicognini
di Prato. In seguito si dedicò all'arte drammatica interpretando alcune
opere del padre. Morì a Roma nel 1945.
Ugo Veniero nacque a Roma nel 1887, ha condotto una vita più
distaccata dalla famiglia, trascorrendo l'adolescenza tra Roma, Parigi e poi
Zurigo dove frequentò la Facoltà di Ingegneria Meccanica. Nel 1924 si
trasferì negli Stati Uniti e nel 1930 prese la cittadinanza. Da un primo
matrimonio ebbe la figlia, Anna Maria, si risposò poi a New York con Luigia
Bertelli, dalla quale nel 1942 ebbe il figlio chiamato Gabriele. Nel 1945
morì a New York per un male incurabile.
Renata Anguissola in Montanarella naque a Napoli (Resina) nel 1893
dalla relazione fra d'Annunzio e Maria Gravina Cruyllas sposata al conte
Guido Anguissola. Renata, figlia molto amata dal Poeta, che la chiamava
affettuosamente "Cicciuzza", viene ricordata per la sua vicinanza ed
assistenza al padre nel periodo in cui era in convalescenza per l'incidente
all'occhio. A lei si deve la trascrizione e il riordino dei cartigli scritti
usati per la redazione del Notturno, pubblicato nel 1921. Ebbe 8 figli che
resero nonno d'Annunzio per la prima volta. Morì nel 1976 e riposa sepolta
nel cimitero del Vittoriale.
Cronologia delle
opere di Grabriele D'Annunzio
Opere giovanili
All'augusto sovrano d'Italia Umberto I di Savoia nel 14 marzo del 1879.
Suo giorno natalizio. Augurii e voti, con Vittorio Garbaglia, Prato,
Tipografia Giachetti, 1879. (ode)
Primo vere. Liriche, come Floro, Chieti, Tipografia di G. Ricci,
1879; Lanciano, Carabba, 1880. (1ª raccolta poetica)
In memoriam. Versi, come Floro Bruzio, Pistoia, Tipografia Niccolai,
1880. (2ª raccolta poetica per la morte della nonna)
Cincinnato, in "Fanfulla della Domenica", anno II, n. 50, 12 dicembre
1880; poi in Terra vergine, Roma, Sommaruga, 1882. (1º racconto)
Poesia
Canto novo, Roma,
Sommaruga, 1882.
Intermezzo di rime, Roma, Sommaruga, 1884.
Isaotta Guttadàuro ed altre poesie, Roma, La tribuna, 1886.
L'Isotteo; La Chimera. 1885-1888, Milano, Treves, 1890.
Elegie romane. 1887-1891, Bologna, Zanichelli, 1892.
Poema paradisiaco. (1891-1892); Odi navali. (1891-1893), Milano,
Treves, 1893.
Sonnets cisalpins, in Gabriele D'Annunzio a Georges Hérelle.
Correspondance accompagnée de douze sonnets cisalpins, Paris, Denoel, 1946
(ma 1896).
Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi
I, Maia, Milano, Treves, 1903.
II, Elettra, Milano, Treves, 1904.
III, Alcyone, Milano, Treves, 1904.
IV, Merope, Milano, Treves, 1912. (già edite in "Corriere della Sera"
come Canzoni delle gesta d’oltremare fra l'ottobre 1911 e il febbraio 1912)
Asterope. Canti della guerra latina, Bologna, Zanichelli, 1948.
Prosa
Racconti e prose
Terra vergine, Roma, Sommaruga, 1882.
Il libro delle Vergini, Roma, Sommaruga, 1884.
San Pantaleone, Firenze, Barbera, 1886.
Le novelle della Pescara, Milano, Treves, 1902.
Prose scelte, Milano, Treves, 1906. (antologia)
Contemplazione della morte, Milano, Treves, 1912.
La vita di Cola di Rienzo. Vite di uomini illustri e di uomini oscuri,
Milano, Treves, 1913. (biografia)
Le Faville del maglio, in "Corriere della Sera", dal 23 luglio 1911
al 24 settembre 1914, poi raccolte in:
Tomo I, Il venturiero senza ventura e altri studii del vivere inimitabile,
Milano, Treves, 1924.
Tomo II, Il compagno dagli occhi senza cigli e altri studii del vivere
inimitabile, Milano, Treves, 1928.
La Leda senza cigno. Racconto, 3 voll., Milano, Treves, 1916.
Notturno, Milano, Treves, 1921. (ma 1916)
Romanzi
Il piacere, Milano, Treves, 1889. (romanzo della Rosa)

Giovanni Episcopo, Napoli, Pierro, 1892.

L’innocente, Napoli, Bideri, 1892. (romanzo della Rosa)

Il trionfo della morte, Milano, Treves, 1894. (romanzo della Rosa)

Le vergini delle rocce. I romanzi del giglio, Roma, De Bosis, 1895.
(romanzo del Giglio)

Il fuoco, Milano, Treves, 1900. (romanzo del Melagrano)

Forse che sì, forse che no, Milano, Treves, 1910.
Drammaturgia
Sogno d'un mattino di
primavera, in "Italia", a. I, fasc. I, 1º luglio 1897.
Sogno d'un tramonto d'autunno. Poema tragico, Milano, Treves, 1898.
La città morta. Tragedia, Milano, Treves, 1898.
La Gioconda. Tragedia, Milano, Treves, 1898.
La gloria. Tragedia, Milano, Treves, 1899.
Francesca Da Rimini tragedia di Gabriele D'Annunzio rappresentata in Roma
nell'anno 1901 a di 9 del mese di decembre, Milano, Treves, 1902.
(Trilogia de I Malatesta)
La figlia di Iorio. Tragedia pastorale, Milano, Treves, 1904.
La fiaccola sotto il moggio. Tragedia, Milano, Treves, 1905.
Più che l'amore. Tragedia moderna. Preceduta da un discorso ed
accresciuta d'un preludio, d'un intermezzo e d'un esordio, Milano, Treves,
1906.
La nave. Tragedia, Milano, Treves, 1908.
Fedra. Tragedia, Milano, Treves, 1909.
Le martyre de Saint Sébastien. Mystère composé en rythme français,
Paris, Calmann-Lévy, 1911.
Parisina. Tragedia lirica, Milano, Sonzogno, 1913. (Trilogia de I
Malatesta)
La Pisanelle, ou Le jeu de la rose et de la mort. Comedie, Paris,
1913, poi in Tutte le opere di Gabriele D'Annunzio, XXXII, Milano,
Istituto Nazionale per l'edizione di tutte le opere di Gabriele D'Annunzio,
1935.
Il ferro. Dramma in tre atti, Milano, Treves, 1914.
La crociata degli innocenti. Mistero in quattro atti, in "L'eroica",
a. V, n. 6-7, agosto-settembre 1915.
Oratoria politica
L'Armata d'Italia.
Capitoli estratti dal giornale La Tribuna, Roma, Stabilimento tipografico
della Tribuna, 1888.
Per la più grande Italia. Orazioni e messaggi, Milano, Treves, 1915.
Orazione per la Sagra dei Mille, in "Corriere della Sera", 6 maggio
1915. (ma 5 maggio 1915)
La riscossa, Milano, Bestetti & Tumminelli, 1918.
Lettera ai dalmati, Venezia, a cura delle associazioni Trento-Trieste
e Dante Alighieri, 1919.
Carta del Carnaro. Disegno di un nuovo ordinamento dello Stato libero
di Fiume, 8 settembre 1920.
Teneo te Africa, 6 voll., Gardone Riviera, Officine del Vittoriale
degli italiani, 1936.
Le dit du sourd et muet qui fut miraculé en l'an de grâce 1266, de
Gabriele d'Annunzio qu'on nommoit Guerri de Dampnes, Roma, L'Oleandro,
1936.
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