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Il
Colosseo - Anfiteatro Flavio
Il Colosseo è il monumento più
conosciuto e famoso
della Roma antica. Tanto famoso da essere il simbolo più conosciuto
della capitale e dell'Italia, una delle 7 Meraviglie del
Mondo antico. Un'antica profezia del VIII
secolo (del venerabile Beda) diceva “Finché esisterà il
Colosseo, esisterà Roma, quando cadrà il Colosseo cadrà anche Roma;
quando cadrà Roma, cadrà anche il mondo?. Eppure questo grande,
grandissimo anfiteatro non è di certo il monumento più antico di
Roma, nonostante stia per raggiungere i 2000 anni storia. Vespasiano
ordinò la costruzione di quello che correttamente si
chiama
Anfiteatro Flavio, nel 2 d.C., inaugurato poi dall'imperatore
Tito nell'anno 80 d.C.
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Una
grande 'arena' ellittica, lungo 189 metri, largo
156 metri, di circa 500 metri di
circonferenza, su una superficie di 24.000 mq con una
altezza di più di 48 metri nella quale un pubblico di migliaia di
persone amava assistere a combattimenti tra 'gladiatori'
e belve feroci, tra condannati a morte e animali (noxii)
e tra animali contro animali. Al suo apice, sotto Domiziano, il Colosseo arrivò ad ospitare
50.000 (ed anche di più secondo alcune stime che arrivano a
parlare di una capienza di 73 mila spettatori), con combattimenti
che potevano durare anche molte settimane. Il nome Colosseo, deriva
da una 'colossale' statua in oro placcato, il Colosso di Nerone,
oggi andata perduta. L'ingresso al Colosseo era gratuito, era necessaria
tuttavia una sorta di 'tesseramento' per accedere all'arena. I sessi
e le classi sociali venivano distinte in apposite aree (le donne
erano per esempio confinate nelle file superiori, tranne le Vergini
Vestali che sedevano accanto all'imperatore), imperatore e senatori
occupavano le prime file (con i sedili in marmo), in quelle superiori
sedevano sacerdoti e magistrati, più in alto ancora i diplomatici
stranieri. Dal 1980 il grande monumento è parte del Patrimonio dell'Umanità
dell'UNESCO ed inserito fra le Sette meraviglie del mondo Moderno.
La visita al
Colosseo di Goethe 1787
"Roma 2 febbraio .1787 Un colpo d'occhio singolarmente bello
offre il Colosseo. La notte rimane chiuso; vi ha la sua
abitazione, nella cappella accanto, un eremita e alcuni
mendi-canti stanno accovacciati sotto le volte in rovina. Questi
avevano acceso un fuoco sulla nuda terra e un vento lieve
spingeva appena il fumo verso l'arena, in modo che la parete più
bassa delle rovine ne rimaneva coperta e le mura sterminate
emergevano in alto più cupe. Noi ci siamo fermati presso il
cancello a osservare. Brillava alta la luna; e a poco a poco il
fumo, che sfuggiva attraverso le pareti, le fessure, le
aperture, ne fu illumina-to come una nebbia. Lo spettacolo era
meraviglioso. È con questa illuminazione che si deve vedere il
Pantheon, il Campidoglio, il peristilio di San Pietro e le altre
piazze e vie principali". (Johann Wolfgang von
Goethe,
Viaggio in
Italia,1786-1788)
Perché si chiama Colosseo
Il nome "Colosseo" come appellativo, per l'Anfiteatro Flavio,
arrivò solo nel medioevo. Ci sono non poche ipotesi sul nome di
una delle sette meraviglie del mondo antico. Oltre a quella
scontata dove il nome sottolinei la sua mole (colossale), la
teoria più accreditata è che si chiami così perché fu costruito
nei pressi dell'enorme statua alta 30 metri del "colosso" di
Nerone (o forse di di Eliogabalo in sembianze del dio
sole) che si trovava a pochi metri dall'anfiteatro. Per altri il
nome dell'edificio deriverebbe dalla sua posizione, poiché
sorgerebbe su un colle dove un tempo si trovava un tempio di
Iside (da cui Collis Isei). Esiste infine anche una
leggenda "nera" secondo cui anticamente era un tempio pagano,
dove si adorava il demonio. E alla fine di ogni cerimonia i
sacerdoti chiedevano agli adepti: "Colis Eum?" ("Adori lui?").
La leggenda dei demoni durò a lungo e venne tirata fuori anche
dallo scultore e artista a tutto tondo Benvenuto Cellini
che ne parla in un suo racconto, dove narra che una notte si
recò al Colosseo per assistere alle manifestazioni demoniache
con il suo amico, anch'egli di Firenze, Agnolino Gaddi. Ad ogni
modo a partire dall’VIII secolo, l’Anfiteatro Flavio assunse il
nome di Colyseus, per la prima volta, il famoso epigramma
del venerabile Beda, santo cristiano inglese del VII secolo:
Quamdiu stabat Colyseus Stabit et Roma; Quamdo cadet Colyseus
Cadet et Roma; Quamdo cadet Roma Cadet et mundus.
Finché resisterà il Colosseo, resisterà anche Roma; quando cadrà
il Colosseo, cadrà anche Roma; quando cadrà Roma, cadrà anche il
mondo.
I
luoghi del Colosseo
Dove si trova la piazza attuale, che oggi si conosce come la
piazza del Colosseo, si si chiudono gli occhi per
attimo, si deve immaginare in periodi molto remoti una
valle, racchiusa tra le alture dei colli Fagutale,
Oppio, Celio, Palatino Velia, e bagnata da
un corso d'acqua che correva in direzione del Tevere, lungo
un percorso a quello della moderna via di San Gregorio.
L'aspetto che doveva avere originariamente la valle, in
seguito del tutto mutata dalle trasformazioni
dell'imperatore Nerone prima e dei Flavi poi, è in
gran parte ricostruibile dagli scavi e dai rinvenimenti
effettuati in epoche diverse, alcune anche recentissime; per
esempio agli ultimi anni vanno fatte risalire le
esplorazioni compiute nell'area compresa tra l'anfiteatro e
l'Arco di Costantino, grazie alle quali sono tornate
alla luce le vestigia della monumentale fontana di epoca
flavia, chiamata dagli antichi Meta Sudante, ma anche
i resti delle terrazze e dei portici che Nerone fece
costruire lungo il perimetro di un laghetto artificiale (lo
Stagno di Nerone) e al centro della sua fastosa residenza,
la Domus Aurea, e ancora le testimonianze delle
epoche più lontane, che avevano reso giustamente famoso quel
luogo, proprio perché posto a uno dei vertici della mitica
"città quadrata" fondata da Romolo sul colle
Palatino.
Questo luogo venne abitato fin dagli inizi di Roma della
città (VII-VI secolo a.C.), come prova il fatto che la valle
partecipava al rituale festivo dei "Sette Colli" (in antico
Septimontium, a designare i nuclei della comunità
romana sorta e sviluppata intorno all'insediamento
originario del Palatino e della Velia) ed era inclusa nella
città delle quattro regioni del penultimo re di Roma,
Servio Tullio. Questo perché già alla fine del VI
secolo, con alla bonifica del corso d'acqua che lambiva le
pendici della Velia, venne regolarizzato il primitivo
impianto stradale, imperniato sulla via che provenendo dal
Circo Massimo (oggi via di San Gregorio) raggiungeva
gli assi di collegamento tra il Palatino, la Velia e
l'Esquilino. L'incontro di queste strade, coincise con i
futuri limiti di cinque regioni augustee, ed era segnato da
un'area sacra, ubicata in prossimità della casa natale di
Augusto e forse sul sito delle antichissime Curie
romulee, religiosamente preservata nel tempo e più volte
ristrutturata fino a Nerone. Le costruzioni di Augusto prima
e di Claudio più tardi, insieme alle numerose case presenti
nella valle, furono seppellite sotto le ceneri del terribile
incendio del 64 d.C., a seguito del quale su tutta l'area
sorsero le fastose e irriverenti costruzioni delle fabbriche
neroniane (palazzo palatino, atrio-vestibolo della Velia,
residenza dell'Esquilino, ninfeo del Celo).
Della megalomania di Nerone esistono testimonianze in alcuni
passi di autori antichi, che descrivono con dovizia di
particolari e in modo ironico, le proporzioni della
residenza imperiale e gli sfarzi dei suoi arredi. Si sarebbe
dovuto attendere fino all'epoca degli imperatori Flavi (Vespasiano,
Tito, Domiziano) perché la valle venisse
restituita alla città di Roma e assumesse l'aspetto che
ancora oggi in gran parte conserva, nei vistosi segni
dell'anfiteatro di pietra e in quelli meno vistosi, ma
carichi di memorie del passato, della fontana (la Meta
Sudante).
Riassumendo, sotto gli imperatori Flavi:
-
Nel periodo di Vespasiano (69-79 d.C.) viene
avviata la costruzione dell'anfiteatro e di una fontana
monumentale, la Meta Sudante, nel luogo dove si aprivano
i portici che circondavano lo Stagno di Nerone;
-
Nel periodo di Tito (79-81 d.C.) viene completata
la costruzione degli edifici iniziati dal padre e viene
inaugurato l'anfiteatro, collegato da un portico di
raccordo alle terme pubbliche (le cosiddette Terme di
Tito) sorte sul sito della Domus Aurea.
-
Nel periodo di Domiziano (81-96 d.C.) vengono
completate le strutture ipogee dell'anfiteatro e viene
progetta la costruzione delle caserme per gladiatori (i
Ludi) sul versante orientale della valle.
La
Storia del Colosseo
L'Anfiteatro Flavio, comunemente chiamato Colosseo è
il monumento simbolo di Roma, non solo per la sua imponente
mole che domina il paesaggio della città. Con alterne
fortune architettoniche i lunghi secoli della sua storia lo
hanno visto animato da un ininterrotto flusso di visitatori.
Il popolo di Roma ha continuato a frequentarlo anche dopo la
chiusura dei giochi gladiatorii, o per cercarvi rifugio e
alloggio, o per praticarvi rituali religiosi, o ancora per
lavorare alla sua spoliazione progressiva che doveva servire
all'abbellimento di altri edifici della città. Ma è proprio
questa lunga tradizione che lo ha conservato come luogo
vitale, fortemente radicato nella coscienza collettiva dei
romani, oltreché naturalmente nell'immaginario culturale.
La sua costruzione durò 5 anni, come abbiamo visto, fu iniziata dall'imperatore
Vespasiano e portata a termine da suo figlio Tito, nell'80 d.C. con una solenne
inaugurazione, che si protrasse per ben cento giorni
consecutivi, della quale rimane il ricordo nelle cronache
antiche. Solo per la parete esterna furono utilizzati più
100 mila metri cubi di travertino. Come gigantesco monumento ai giochi gladiatorii,
popolarissimi nel mondo romano, volto a celebrare la
munificenza degli imperatori che lo avevano ideato, il
Colosseo rappresentava certamente il più ambizioso e
demagogico progetto politico della famiglia flavia. Per la
prima volta, infatti, Roma venne dotata di una struttura
all'altezza della fama dei suoi giochi, ospitati in
precedenza in un edificio provvisorio in legno fatto
costruire da Nerone a Campo Marzio, dopo che
l'incendio del 64 d.C. aveva distrutto l'anfiteatro di
Tito Statilio Tauro, il primo che si ricordi nella
capitale dell'Impero. Prima ancora, in epoca repubblicana, i
giochi si svolgevano nel Foro Romano o nel Foro
Boario, dotati per l'occasione di strutture mobili.
Nel corso dell'Impero, il Colosseo ebbe più volte interventi
di restauro, a seguito di incendi e terremoti. Sono
documentati interventi di Antonino Pio, di
Elagabalo e di Alessandro Severo, quest'ultimo a
seguito di un disastroso incendio nel 217 d.C., e altri
ancora, commemorati da epigrafi, a seguito del terremoto del
443 d.C.
La caduta dell'Impero romano d'Occidente viene fissata
formalmente dagli storici nel 476, anno in cui Odoacre
depose l'ultimo imperatore romano d'Occidente, Romolo
Augusto. Ma il Colosseo, funziono per circa 50 anni
ancora. Dopo il 523 d.C. non si hanno più notizie di
spettacoli al suo interno: ebbe allora inizio una fase di
degrado e di rovina progressivi che trasformò in breve il
monumento in una cava di materiali da costruzione.
L'esterno del Colosseo
Per osservare meglio l'edificio del Colosseo, è utile spostarsi verso
il lato settentrionale (prospiciente via dei Fori
Imperiali), il solo che conserva nella sua interezza
l'alzato dell'anello esterno. Esso si articola in quattro
ordini per un'altezza complessiva di circa 49 metri,
realizzati in opera quadrata di travertino. I primi tre
sono costituiti da ottanta arcate inquadrate da semicolonne
con capitelli tuscanici nel primo ordine, ionici nel
secondo e corinzi nel terzo. Lesene corinzie ripartiscono il
quarto ordine in ottanta riquadri, intervallati da quaranta
finestre.
L'ornamento esterno dell'attico, come ci riferisce
un testo del periodo della costruzione dell'anfiteatro, e come confermano alcune monete dell'età di
Tito, doveva inoltre prevedere scudi (clipea) appesi a
intervalli regolari tra le finestre. All'interno di ciascun
riquadro si trovavano tre mensole, poste in corrispondenza di
altrettanti fori nel cornicione e destinate a sorreggere le
travi di legno alle quali era fissato il velarium.
Quest'ultimo era un grosso telo, forse diviso in spicchi,
necessario alla protezione del pubblico dal sole e dalla
pioggia, che veniva per l'occasione manovrato da un reparto
speciale di marinai della flotta campana di Miseno.
Gli
ingressi erano distinti da numeri progressivi, incisi al di
sopra delle arcate (ancora ben visibili quelli del lato
settentrionale) e corrispondenti al numero di contrassegno
riportato sui singoli biglietti. Privi della numerazione
erano solamente gli ingressi principali, posti in
corrispondenza dei due assi, perché riservati a un pubblico
scelto. Nell'unico conservato, sul lato nord-orientale, si
possono ancora vedere le basi di due colonne di un
portichetto, sormontato in antico da una quadriga. In modo
simile doveva presentarsi anche l'ingresso sul lato opposto,
destinato come il primo alle autorità politiche. A
enfatizzarne l'importanza e il prestigio concorreva anche la
decorazione a stucco figurata delle volte delle arcate, oggi
poco leggibile e ricostruibile solo da disegni
cinquecenteschi.
In corrispondenza dell'asse maggiore si trovano invece gli
ingressi riservati ai gladiatori. Tutt'intorno il
monumento era un'area di rispetto, pavimentata in
travertino, e segnata da grossi cippi di pietra, cinque dei
quali ancora in piedi sul lato settentrionale. Ai bordi
dell'area correva invece un portico a due ordini, del quale
rimangono pochi resti oltre la strada moderna, sulle pendici
del colle Oppio.
L'interno del Colosseo
L'ingresso attuale del Colosseo si apre sul lato meridionale, in
corrispondenza dell'asse minore. Lo stato di conservazione
della cavea e, allo stesso tempo, la visibilità dei
sotterranei dell'arena, originariamente coperti da una
pavimentazione lignea, non contribuiscono certo a restituire
un'immagine realistica e coerente dell'edificio,
tuttavia in compenso aiutano forse a capire il sistema dei
corridoi e dei passaggi interni. Ai quattro ordini esterni
rispondono internamente i diversi settori delle gradinate.
Mentre i due monumentali accessi sull'asse minore, riservati
come detto alle autorità politiche, conducevano a due
pulpiti centrali, dei quali nulla è rimasto, una serie di
altri percorsi obbligati, ripetuti simmetricamente e
costantemente nei singoli quadranti della cavea, conduceva
il resto del pubblico ai posti assegnati.
Il complesso sistema di raccolta e di canalizzazione delle
acque induce a credere che esse in antico fungessero da
latrine. Il percorso coperto, comunque, era destinato al
personale di servizio legato ai giochi ed era raggiungibile
da ingressi posti nel quarto corridoio anulare della cavea e
chiusi al pubblico da porte, delle quali restano i fori dei
cardini sulle soglie di marmo. Le strutture visibili oltre
una cancellata, sul lato dell'ingresso attuale e in
corrispondenza della galleria di servizio (ampiamente
ricostruita nel secolo scorso) appartengono invece a un
passaggio sotterraneo, ricordato dalle fonti come il luogo
del tentato assassinio dell'imperatore Commodo. Esso
conserva tratti della pavimentazione a tessere bianche e
nere, del rivestimento in marmo, dell'intonaco dipinto
nonché della decorazione a stucco delle volte.
Al secondo settore della cavea, o maenianum primum,
dotato di otto gradinate in marmo, si accedeva invece da
rampe poste nel terzo corridoio anulare; altre rampe, assai
più ripide, e poste specularmente alle prime, conducevano al
terzo settore, o maenianum secundum, ulteriormente
diviso in due fasce, imum e summum, che era la
zona più fitta di posti a sedere. Agli stessi settori si
poteva giungere anche tramite le scale poste nel secondo
corridoio anulare, una delle quali, restaurata, permette
ancora oggi di salire al piano superio-re. L'ultimo settore,
infine, posto in corrispondenza del quarto ordine esterno,
era formato da strutture lignee (maenianum summum in
ligneis) e coronato da un portico di ottanta colonne
marmoree (al piano terra sono attualmente depositati alcune
porzioni di colonne e alcuni capitelli risalenti in parte al
restauro di età severiana).
Un restauro degli anni trenta del nostro secolo ha
ricostruito, se pure nelle forme solite della gradinata, una
parte del settore senatorio, ancora ben visibile in
corrispondenza dell'ingresso orientale. Tra il muro del
podio e il bordo dell'arena si trovava una galleria di
servizio coperta, ora quasi del tutto scomparsa, e visibile
solo nella parete di fondo, ove si aprivano ventiquattro
nicchie, rivestite di cocciopesto (una miscela di
frammenti laterizi o lapidei, impastati con calce, usata
come rivestimento di pareti o come pavimentazione, a scopo
di protezione contro l'umidità o con funzione decorativa) e
pavimentate in travertino.
Il complesso sistema di rampe e di passaggi permetteva un
agile afflusso e deflusso di pubblico, ma soprattutto
garantiva il rispetto della distribuzione dei posti,
rigidamente prefissata e articolata per fasce sociali.
La distribuzione dei
posti all'interno del Colosseo
L'ingresso ai giochi del Colosseo, in quanto
spettacoli pubblici, era libero, ma l'attribuzione del
settore era regolato da rigide divisioni sociali.
Le 80 arcate di ingresso al pian terreno erano
numerate progressivamente, ad eccezione delle quattro
principali con propilei, riservate agli imperatori,
alla famiglia imperiale e alle vestali. Il
fatto curioso era che la distribuzione dei posti delle
tribune prevedeva l'uso di tessere personali, alle
quali corrispondeva un posto assegnato, numerato, in un
settore predeterminato. Anche il percorso da seguire
all'interno dell'anfiteatro per giungere al proprio posto
era indicato sulla tessera, un sistema molto "moderno".
I 7 gradini del podium, oltre ad ospitare i palchi
imperiali, erano riservati a magistrati e senatori. Nella
bassa cavea trovavano posto gli appartenenti all'ordine dei
cavalieri. La inedia cavea, composta da 19 gradinate
e servita da 32 accessi, apparteneva alla media borghesia.
Il Maenianum summum o alta cavea, formato da 37
gradoni, era lasciato al popolo. Nel primo settore,
costituito da ampi ripiani sui quali erano disposti i sedili
(subsellia). Questo era il podio riservato ai
senatori, al quale si accedeva direttamente, tramite una
breve rampa, da ingressi situati nel quarto corridoio
anulare. La vicinanza all'arena favoriva certo la vista per
gli spettacoli, ma aumentava il rischio di danni collaterali
ai feroci spettacoli per gli spettatori illustri: rischio
che venne eliminato con la costruzione di un'alta e robusta
transenna lungo il bordo del podio.
Complessivamente i settori in pietra corrispondevano a 50
file di gradoni, mentre i posti riservati alla plebe, il
popolino, erano in legno. È stato calcolato che in base
alla superficie lineare totale delle tribune corrispondeva a
circa 30.000 metri. Tenendo in considerazione i calcoli
appena menzionati, si ritiene che il Colosseo potesse
contenere fino a 73.000 spettatori.
Fu l'imperatore Augusto a regolamentare con cura la
separazione delle diverse classi in tutti gli spettacoli
pubblici nelle varie arene romane. Tra le epigrafi a
noi giunte, una designa il posto riservato ad ambasciatori e
diplomatici stranieri (appellati come hospites), un'altra
ne designa l'origine etnica Gaditanorum (di
Cadice).
Altri frammenti ancora documentano posti speciali per i
giovani praetextati. Questi ultimi erano giovani non
ancora giunti all'età "virile" e dunque ai doveri civici,
che indossavano la toga praetexta, la toga romana
bordata di una striscia purpurea, riservata ai magistrati,
ai sacerdoti più importanti e ai giovani fino al compimento
dei 16 anni), o per gli insegnanti di scuola paedagogi
I'80 d.C. giunto fino a noi
decretava anche i posti riservati nella cavea ai membri del
collegio sacerdotale degli Arvali, separati e
distinti nei diversi settori (a partire dal podium fino ai
gradini lignei), a seconda del grado rivestito nella
gerarchia del collegio.
I senatori avevano invece il privilegio di posti nominali,
sui quali era trascritto per esteso il gentilizio, come
documentano i blocchi marmorei iscritti, oggi disposti
intorno all'arena, ma in origine montati lungo il margine
del podio come parapetto. Sulla fronte troviamo la dedica
per i restauri effettuati alla cavea dal prefetto di Roma
Flavio Paolo negli anni centrali del V secolo. Sul retro
invece sono le epigrafi con i nomi di diversi senatori
incisi in corrispondenza dei posti di appartenenza della
prima fila.
In altri casi i nomi erano incisi sul bordo superiore dei
gradini marmorei, e venivano progressivamente abrasi e
sostituiti con lo scorrere degli anni: quelli tuttora
leggibili appartengono alla classe senatoria del tardo V
secolo, quella che per ultima presenziò agli spettacoli
prima dell'ultimo spettacolo avvenuto nel 523 d.C.
I Giochi del Colosseo
Gli spettacoli che avevano luogo nel Colosseo
erano essenzialmente di due tipi: combattimenti tra
gladiatori (in antico munera) e le simulazioni di caccia ad animali
feroci (le cosiddette venationes). Il problema
delle origini di questi spettacoli, in special mono dei
munera, è molto
dibattuto, anche tra gli autori antichi. Alcuni di loro
danno infatti rilievo alle componenti di derivazione
etrusca: e citano, a riguardo, la figura dell'inserviente
incaricato trascinare via dall'anfiteatro i corpi senza
vita dei gladiatori, assimilabile a quella del demone
etrusco Charun, oppure ricordano l'origine etrusca del
termine lanista, adoperato dai romani per designare
l'impresario che reclutava ed esercitava i gladiatori.
I
combattimenti tra gladiatori
Altri
autori classici, sono di parere diverso, tra questi Tito Livio (Storia di
Roma, IX, 40,17) che attribuiscono la primogenitura dei giochi
all'ambiente campano. Non a caso, infatti, dal mondo
osco-lucano provengono alcune pitture funerarie con
raffigurazioni di scene di corsa con i carri, di pugilato e
di duello, che verosimilmente rappresentano le più antiche
testimonianze figurate di giochi gladiatorii ante litteram.
Efficace espressione degli ideali di forza e di valore
propri della classe gentilizia, i giochi appartenevano ai
rituali collettivi della classe aristocratica del mondo
italico: e questo spi-ga la forma che essi assunsero a Roma
in una prima fase, come esibizione privata di potere e di
prestigio familiare. Il termine con il quale venivano
designati munera, significava "spettacoli offerti" alla
comunità. I primi furono organizzati in occasione dei
funerali di Bruto Pero, nel 264 a.C., per cura dei figli del
defunto; ma il loro numero crebbe in pochi anni così
vertiginosamente, da richiedere una legge apposita (la lex
Tullio de ambitu del 61 a.C.), che riducesse gli eccessi
dovuti al fatto che erano divenuti facili strumenti di
propaganda politica ed elettorale. Successivamente, i
giochi furono affidati esclusivamente alle cure degli
imperatori e promossi solo in occasione di eventi pubblici e
di inaugurazioni ufficiali.
La regola voleva che essi
fossero indetti e finanziati da un editor, il quale, dopo
aver preventivamente contrattato il prezzo dei singoli
gladiatori con il lanista, provvedeva a pubblicizzare per
tempo il programma. I gladiatori entravano nell'anfiteatro
immediatamente prima dello scontro, accompagnati dall'editor,
e si mostravano al pubblico percorrendo in tondo l'arena.
Tra loro c'erano condannati a morte, schiavi, prigionieri di
guerra, ma anche uomini liberi, che esercitavano la "gladiatura"
come una vera professione. Negli scontri armati, che
duravano fino alla sconfitta di uno dei due, era richiesto
il massimo coinvolgimento: a provocare e vivacizzare il
duello provvedevano gli incitatores, il personale
dell'arena che assisteva da vicino agli scontri.
Chi dei due contendenti non avesse manifestato sufficiente
impegno poteva essere punito con la morte. Ai vinti,
altrimenti destinati al colpo finale, o ai gladiatori che
non erano più in grado di combattere, era consentito di
chiedere la grazia (missio), concessa dall'editor, o
ancora più spesso dagli spettatori.
Poiché l'investimento finanziario nella realizzazione dei
munera era consistente, la tendenza a risparmiare la
vita dei gladiatori era piuttosto diffusa; al contrario,
l'uccisione di tutti i vinti, quale compare in alcune
raffigurazioni a mosaico, era segno di particolare
generosità da parte dei finanziatori. I gladiatori morti,
una volta accertatone il decesso con un ferro rovente che
scoraggiava ogni tentativo di simulazione, venivano
trasportati fuori dall'anfiteatro attraverso la Porta
Libitinaria, e condotti nello spoliarium. Ai
vincitori erano di norma assegnate la palma e la corona, e
talvolta premi in denaro; viceversa, ai condannati a morte
ai quali era stata concessa la libertà, ovverosia la
sospensione dall'obbligo della gladiatura, era assegnata una
dava di legno (rudis).
I
combattimenti con e tra animali
Le venationes, invece, prevedevano combattimenti con
animali o tra animali feroci, nel tentativo di simulare vere
e proprie cacce. L'associazione ai munera gladiatorum
risale essenzialmente all'età imperiale; in precedenza esse
rientravano nella categoria dei giochi funebri e soprattutto
trionfali e, come tali, si svolgevano nel circo. La moda si
era diffusa a Roma a seguito delle guerre di conquista nel
Mediterraneo, che avevano tra l'altro segnato l'arrivo
nell'Urbe dei primi animali esotici, quali leoni,
pantere, leopardi e ippopotami.
Sono ben note sono le prime venationes con pantere e
leopardi promosse da Fulvio Nobiliore nel 186 a.C. e
di Scipione Nasica e Publio Lentulo nel 169
a.C. Con il passare del tempo, crebbe la passione per gli
animali esotici e i trionfatori iniziarono a fare a gara per
esibirne di sempre più curiosi: come il rinoceronte,
trasportato da Pompeo nel 55 a.C., o la giraffa,
condotta ai giochi da Cesare nel 46 a.C.
Il personale impegnato nei giochi era formato anche in
questo caso da forzati: dai venatores, che avevano il
compito di condurre le cacce, anche a rischio della propria
vita, e dai bestiarii, cui spettava invece l'onere di
custodire gli animali nei sotterranei dell'anfiteatro e di
condurli fino al piano dell'arena. Altri invece provvedevano
ad accudire le varie specie di fiere nei vivarii di
proprietà dell'imperatore.
Esistevano diversi tipi di cacce, svolte talora in sequenza
nella stessa mattinata. Un tipo prevedeva l'inseguimento e
la cattura di animali feroci di specie diverse; un altro il
combattimento tra due animali (ad esempio un elefante contro
un toro, oppure un rinoceronte contro un orso), fino
all'uccisione di quello che aveva avuto la sorte peggiore.
Un terzo ancora, del tutto incruento, era condotto da un
cacciatore armato di rete. Il successo delle cacce era
assicurato dallo stupore e dall'eccitazione che esse
riuscivano a suscitare nel pubblico. Gli scenari e gli
sfondi naturali che improvvisamente apparivano dal centro
dell'arena, e le fiere con i venatores che ne balzavano
fuori, ogni volta in soluzioni più prodigiose e nuove,
volevano espressamente scatenare emozioni forti e imprimersi
nella memoria degli spettatori. Per i decennali di
Settimio Severo ci furono grandiosi festeggiamenti e
giochi; una venatio ebbe inizio con la simulazione di un
naufragio, come racconta Cassio Dione.
L'uso di condannare a morte i disertori dandoli in pasto
alle belve fu inaugurato da Scipione Minore intorno alla
metà del II secolo a.C, e definì il rituale poi molto
diffuso della damnatio a bestias, con il quale
venivano puniti i malviventi. Talora ciò aveva luogo durante
rappresentazioni a soggetto mitologico, come per esempio la
messa in scena del mito di Orfeo, il musico che incantò gli
animali al suono della lira.
In età repubblicana, per assicurare continuità e regolarità
agli spettacoli, era fatto obbligo ai magistrati edili di
provvedere al loro finanziamento; successivamente, la cura
delle venationes venne assunta dalle casse imperiali.
I sovrani ebbero così occasione di dar sfoggio della loro
generosità ideando spettacoli sempre più sfarzosi, talora
partecipandovi in prima persona.
"(Commodo) il primo giorno uccise da solo cento orsi
col-pendoli dalla balaustra del podio; il teatro era diviso
da due muri intersecati che avevano una galleria intorno e
si divi-devano reciprocamente in due parti; questo aveva il
fine di separare gli animali in quattro gruppi, perché
potessero così venire colpiti da tutte le direzioni e da
poca distanza". (Cassio Dione, LXXII, 18)
Il gusto per la spettacolarità delle cacce, così come per la
variopinta ricchezza di animali esotici, fece aumentare
sensibilmente il commercio a essi legato, al punto tale che
fu necessario istituire un servizio imperiale specializzato.
I giochi gladiatorii, osteggiati dagli imperatori cristiani,
furono sospesi da Onorio e definitivamente aboliti
con Valentiniano nel 438 d.C. Restarono
esclusivamente le venationes, indette per l'ultima
volta nel 523 d.C.
L'abbandono e il riuso del Colosseo
La perdita delle funzioni originarie dell'anfiteatro
produsse nei secoli la trasformazione e il degrado
progressivo delle sue strutture. In un primo tempo vi si
insediarono alcune abitazioni ottenute nei vani dei corridoi
anulari al piano terra. In seguito, nel XII secolo, fino
alla prima metà del XIII, l'edificio fu inglobato nella
fortezza della famiglia dei Frangipane. Era nel
frattempo iniziata l'opera di spoliazione sistematica dei
blocchi di travertino, dei rivestimenti marmorei e di tutto
ciò che poteva in qualche modo essere riutilizzato, comprese
le grappe metalliche che univano in antico i blocchi di
pietra. Per recuperare le quali, furono praticati i fori
ancora visibili su tutta la superficie delle murature.
Lo spoglio trasformò progressivamente alcuni settori del
monumento in vere e proprie cave, fino ad arrivare alla
demolizione dell'anello esterno meridionale. La necessità di
una più rigorosa politica di tutela fu denunciata invano
dagli umanisti romani della prima metà del Quattrocento: le
attività di scavo, infatti, furono addirittura incrementate,
a vantaggio delle fabbriche monumentali allora in
costruzione, prima fra tutte quella della
Basilica di
San Pietro.
Successivamente la Chiesa fece dell'arena un luogo
consacrato, dai primi del Cinquecento fu sede di una
cappella, e dal 1720 delle edicole della via Crucis,
disposte lungo il suo perimetro. Tra il Seicento e
Settecento le demolizioni furono ridotte e vennero avviati i
primi, timidi, interventi di tutela; nel corso
dell'Ottocento, e per la prima volta, furono intrapresi
scavi sistematici a opera di Carlo Fea (tra 1812 e
1815) e di Pietro Rosa (tra 1874 e 1875). Le indagini
portarono al disseppellimento delle strutture ipogee
dell'arena rendendo così necessaria la rimozione delle
edicole e della cappella originariamente posta presso il
settore orie-tale della cavea. Negli stessi anni si
effettuarono i primi, significativi, interventi di
consolidamento e restauro. Tra il 1805 e il 1807 Raffaele
Stern costruiva lo sperone in laterizio nel settore
orientale; e dopo di lui Giuseppe Valadier, nel 1827,
restaurava sul lato opposto l'alzato del medesimo anello
esterno. Altri lavori tra il 1831 e il 1852, interessarono
la struttura interna, nei versanti meridionale e
settentrionale. Infine, altri restauri, soprattutto alla
cavea e ai sotterranei, furono realizzati negli anni trenta.
Ludus Magnus, la scuola dei Gladiatori
Tra via Labicana e via di San Giovanni in Laterano,
in un'area transennata al centro della piazza, sono visibili
le strutture del Ludus Magnus, la più grande scuola
gladiatoria di Roma antica. Gli scavi, avviati nel 1937 e
proseguiti tra il 1957 e il 1961, hanno messo in luce solo
il settore settentrionale dell'edificio dal quale è però
facile intuire la struttura curva della cavea. L'ausilio di
un frammento della Forma Urbis (la pianta marmorea di
Roma di età severiana a noi pervenuta in frammenti che
disposte nella parete all'angolo meridionale del Tempio
della Pace, parete che oggi fa parte della Basilica
dei Santi Cosma e Damiano), fove è riportata la
denominazione dell'edificio, ha permesso una definizione
precisa e completa del complesso. Esso era composto da
un'arena ellittica (con l'asse maggiore di 62 metri e quello
minore di 45) circondata dalle gradinate di una piccola
cavea, originariamente rivestita di lastre marmoree.
Gli ingressi principali all'arena erano posti sull'asse
maggiore, mentre in corrispondenza di quello minore erano
previsti palchi per le autorità. Intorno alla cavea si
trovava un portico a due ordini di colonne tuscaniche in
travertino, provvisto di fontane angolari (una di queste è
stata ricostruita in corrispondenza dell'angolo nord-ovest
dell'area), sul quale si affacciavano gli alloggi destinati
a ospitare i gladiatori. In corrispondenza del lato
settentrionale dell'area scavata (affacciata su via Labicana)
è visibile, in discreto stato di conservazione, una serie di
cellette provviste anche di scale per salire ai piani
superiori.
Nel Ludus i guerrieri erano alloggiati in permanente stato
di cattività e sottoposti a una ferrea disciplina di
allenamento quotidiano. Una galleria sotterranea connetteva
direttamente l'arena all'ingresso orientale del Colosseo. La
costruzione originaria risale all'età domizianea e dovette
cancellare un quartiere abitativo di età tardo
repubblicana-augustea, del quale lo scavo conserva ancora
tracce evidenti. I resti della cavea e dell'arena
appartengono invece a un restauro successivo di età traianea.
Accanto al Ludus Magnus, dovevano affacciarsi nella piazza
altri edifici analoghi: il Ludus Matutinus per
l'allenamento dei venatores, il Ludus Dacicus
e il Ludus Gallicus, che derivavano il nome dal luogo
d'origine dei gladiatori che vi alloggiavano. Nelle
immediate vicinanze dobbiamo immaginare inoltre tutte quelle
strutture con funzioni ausiliarie che sappiamo associate al
Colosseo, quali: lo spoliarium, dove erano raccolti i
cadaveri dopo gli scontri nell'arena, il saniarium,
dove venivano portati i gladiatori feriti, e l'armamentarium,
adibito a deposito delle armi. E inoltre, verosimilmente più
a nord, i Castra Misenatium, ove alloggiava il
personale della flotta destinato alle manovre del
velarium, e il Summum Choragium, ove erano
custoditi i macchinari scenici.
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