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Vita di Marino
Marino - Biografia e opere
Marino
Marini pittore, incisore e scultore italiano tra i
più importanti e conosciuti al mondo nel XX secolo
nasce a Pistoia il 27 febbraio 1901 e muore a
Viareggio il 6 agosto del 1980. Dopo un iniziale
periodo naturalista il suo percorso si volse al
recupero dell'antico, reinventato in una chiave
drammaticamente espressionista. L'arcaismo di Marini
si differenzia fin dalle prime formulazioni dal
gusto di Novecento per una diversa libertà
nell'organizzare i riferimenti culturali e una
maggiore problematicità nella loro assunzione. |
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Nei ritratti, teste sferiche, allucinate di antichi romani o etruschi,
l'astrazione formale è nello stesso tempo studio diretto e spontaneo delle
fisionomie. Le sue Pontone (1940), i Giocolieri (1944, New
York), i Nudi (1947, Milano, Collezione Jucker) sono forme
architettonicamente chiuse come calchi lavici, in rapporto drammatico con lo
spazio, irte di punte, spigolosità e impennate repentine. Ma dove il
vitalismo tragico dell'artista pistoiese meglio si esprime è nella serie dei
Cavallo e cavaliere (1935-60), dove le due figure, unite
simbioticamente, visualizzano una condizione di terrore (Grande cavallo,
1951, New York, Collezione Rockefeller) o una unità primordiale (Cavaliere,
1951, Londra ). Negli anni Cinquanta, nel clima delle ricerche postcubiste,
le sue opere giungono ai limiti dell'astrazione, ma conservando intatte la
forza espressiva e la capacità inventiva (L'idea del cavaliere,
1956).
Il percorso di un
grande artista
Toscano ed europeo, mediterraneo e nordico, Marino Marini si formò a
Firenze
tra le due guerre mondiali: a quattordici anni incontrò Auguste Rodin
e ne rimase impressionato, a sedici si iscrisse all'Accademia delle Belle
Arti, seguendo i corsi di pittura e incisione e dal '22 quelli di
scultura. Nel '26 apre il suo primo studio a Firenze, in via degli Artisti,
frequentato da stranieri che collaborano a disegnare e a dipingere "a
creare forme più vere del vero". Tre anni dopo si trasferisce a
Monza, invitato da
Arturo Martini per sostituirlo nell'insegnamento della scultura
all'Istituto Superiore per le Industrie Artistiche. Con opere della fine
Anni Venti, legate al gruppo toscano di "Novecento", si apre la Mostra.
Dipinti come il famoso Autoritratto con donna del 1927 o il Lanzichenecco, disegni con
ritratti maschili, nudi femminili, acquerelli con paesaggi, sculture come il
Cieco del 1928. «Fiutano» la pista da seguire, ancora incerti tra il liberty
di Galileo Chini, gli insegnamenti di Domenico Trentacoste, il luminismo di
Medardo Rosso. La
strada di Marino diventa segnata dalla scultura antica: "Il mio arcaismo, i miei
etruschi... Non c'è da spiegare tanto, il mio io è nato lì, i miei nonni
sono quelli, è una civiltà che ancora oggi esce dalla terra".
La tradizione
toscana etrusca, romanica, rinascimentale riaffiora prepotente negli Anni
Trenta, si mescola alle suggestioni della civiltà classica, proprio allora
riscoperta dagli scavi. Questa si amalgama con le "visioni parigine"
(il primo
viaggio a
Parigi è del 1928) di
Degas e di Maillol e più tardi, nel 1934, con
le sculture gotiche ammirate nel Nord, come il famoso Cavaliere di Bamberg.
Nascono le statue immobili, silenziose, sospese nel mito: turgide figure femminili, ancora sfiorate dalla luce (Bagnante
1934, Ragazza seduta 1929/30), maschere dal sorriso enigmatico, l'Autoritratto del
1930, e poi il Piccolo angelo scolpito in pietra nel 1933 per la Quinta Triennale,
perduto tra le macerie della guerra, è ricomparso grazie ad un fotografo
col titolo di Donnina di Milano.
Tra le sue opere un grande Icaro
di legno, un ragazzo del popolo trasformato in eroe del mito, Ersilia,
un icona borghese e solenne. Si definiscono contemporaneamente i grandi
temi, che accompagnano fino alla fine l'opera dell'artista: Ritratti,
Pomone,
Cavalieri. Ne vediamo nella sua produzione una serie straordinaria in pietra, gesso, legno,
dipinti su tela.
I ritratti
Che cos'è il ritratto per Marino Marini? Introspezione
psicologica, indagine fisica e psichica, rivelazione del carattere e di
un'epoca. Lo dicono gli splendidi bronzi della Signora Verga, di Fausto Melotti, del
1937, la scorbutica Madame Melms, del 1943, la dolce e sensitiva
Marina (la moglie), che si chiamava in realtà Mercedes Pedrazzini
(sposata il 14 dicembre 1938 e chi gli sarebbe stata sempre accanto), ma lui
la chiamava così. Nel 1940 lascia Monza per diventare professore alla
facoltà di scultura dell'Accademia di Torino e l'anno successivo
diventa titolare della cattedra di scultura all'Accademia di belle arti
di Brera a
Milano.
Altri ritratti sono l'inquieto Lamberto Vitali, sino all'intenso volto di
gesso di Mies van der Rohe, del 1967. Forme solide, quattrocentesche, ma
anche di materia sfatta e frantumata negli ultimi anni. "Il ritratto —
scriveva Marino — è il modo più diretto per entrare nel mondo dell'umanità.
Il nostro secolo è rappresentato e descritto storicamente sul volto degli
uomini. Possono essere scrittori, artisti, politici, ma anche industriali e
commercianti...".
Pomone e Cavalieri
Accanto ai ritratti, spiccano
formosi i nudi femminili delle Pomone, simboli di fertilità, tratte dalla
tradizione latina. Blocchi compatti e assorti negli Anni Trenta, contorti in
sensuali chiaroscuri o in tormentati bronzi nel periodo bellico, scoppi di
colore acceso nel 1950, seguono tutto l'iter dell'artista. Ma è soprattutto
nei Cavalieri che si coglie la grande galoppata di Marino nell'arte e nella
vita. I primi, come il grande Cavaliere di legno dei
Musei Vaticani del
periodo 1935-37, sono eroi mitici, solidi e forti, che riprendono la tradizione, dal
Marco Aurelio, Capitolino, al Colleoni e al Gattamelata.
Riflettono,
certo, il decennio fiducioso '30-'40: insegnamento a Monza, viaggi a Parigi
e nel Nord-Europa, contatti con l'arte internazionale, successo a Biennali e
Triennali. Ma, nel 1940, la guerra, il rifugio a Tenero, vicino a Locarno
(città natale della moglie) fino al 1946, portano
immagini diverse: cavalli e cavalieri irrequieti, afflosciati, satirici come
in quel piccolo altorilievo in bronzo del 1943, o nelle decine di bellissimi
disegni. Si reca spesso a Zurigo e
a Basilea continuando a esporre fino al 1945. Solo nel 1948 torna a Milano
dove riprende a insegnare e torna a ricoprire la cattedra all'Accademia di
Brera a Milano, dove guida verso l'affermazione internazionale la giovane
scultrice Amalia Del Ponte. Peggy Guggenheim acquista un suo Cavaliere,
L'angelo della città, e lo installa a Venezia davanti al suo museo,
dove si trova tuttora (vedere
Collezione Peggy Guggenheim).
Marino Marini prese coscienza del momento storico: "Nel 1943 ho fatto
qualche Cavaliere goffo, obeso, con l'elmo in testa. Intendevo esprimere il
ridicolo dell'esaltazione di un uomo che vuol comandare, che si crede grande
ma che non ha nessuna ragione di crederlo, perché grande non è...". Le
allusioni al condottiero del momento sono chiare. Il mito, insomma, si è già
inclinato per lasciare spazio all'uomo ed al suo tragico destino. "Gli
uomini hanno scoperto qualcosa che è più grande di loro, che non riescono
più a dominare, che diventa pericoloso per l'umanità. L'artista avverte
tutto ciò come e cento volte più degli altri e moltiplica questa paura...".
Le forme, armoniche, si aprono in tagli e buchi, si contorcono in linee che
fanno pensare a Calder e a Picasso, diventano dinamiche. Ed ecco l'ultima
eccezionale serie dagli Anni Cinquanta alla fine: cavalli che si impennano,
nitriscono, cadono, uomini che scivolano impotenti dalla groppa, che tendono
braccia e gambe. Sono Miracoli, Guerrieri, Gridi, che tentano una disperata
quanto inutile difesa. Sono sempre più
scheletrici, mutilati, ridotti a blocchi e a forme astratte di grande
espressività, dallo splendido Cavaliere in gesso, del 1953, dei Musei
Vaticani, al drammatico Miracolo, in bronzo, del 1953-54, sino agli ultimi
squadrati, cubisti del 1960-70.
Toscano e europeo
mediterraneo e nordico Marino Marini a 14 anni incontra Rodin. Neanche
trentenne riceve la cattedra di Arturo Martini. ?il bruciante inizio della
carriera d'uno dei più originali artisti del XX Secolo.
All'alba del 6 agosto 1980 Marino Marini, con accanto la compagna della vita
"Marina" e il suo allievo prediletto, lo scultore giapponese Kengiro
Azuma si spegne all'età di 79 anni dopo una lunga malattia nella sua
casa di Viareggio. Non aveva figli. Verrà poi sepolto a Pistoia, sua città
natale il giorno dopo. Uno dei suoi ultimi gesti fu quello di donare alla
città di Firenze 123 delle sue opere che sono state sistemate nella ex
chiesa di San Pancrazio, trasformata in museo. Altre opere Marino Marini le
ha lasciato alla città di Viareggio, cui era legato da tanti ricordi e
affetti, che risalgono sino al tempo della sua infanzia.
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