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Ultima Cena - Leonardo da Vinci
L'Ultima Cena e la
Gioconda sono
tra i quadri più celebri del mondo. A ogni ora, ogni giorno,
ogni anno, i pellegrini entrano nel refettorio che racchiude
l'opera più ardita di
Leonardo.
In quella semplice costruzione rettangolare, i frati domenicani che erano
ospitati nella chiesa preferita del duca di Milano Ludovico il Moro,
la
Chiesa
di Santa Maria della Grazie,
consumavano i loro pasti. Non appena l'artista giunse a
Milano,
nel 1482,
Ludovico lo incaricò di eseguire l'Ultima Cena sulla
parete di fondo del refettorio. Per tre anni (1495-98), con
molte interruzioni, Leonardo vi lavorò o ci si divertì, mentre
il duca e i frati fremevano per i suoi continui ritardi.
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Il
priore (se vogliamo credere al Vasari) si lamentava con Ludovico
dell'apparente indolenza di Leonardo e si chiedeva perché mai
egli stesse seduto per ore intere davanti alla parete senza dare
nemmeno una pennellata. Leonardo non fece fatica a spiegarlo al
duca, il quale invece ebbe qualche difficoltà nello spiegarlo al
priore, che il lavoro più importante dell'artista è nella
concezione e non nell'esecuzione, perché (come dice il Vasari)
gli uomini d'ingegno fanno di più quando meno lavorano. In
questo caso vi erano due particolari difficoltà, diceva Leonardo
al duca, una di concepire delle fattezze degne del figlio di
Dio, e l'altra di raffigurare un uomo senza cuore come Giuda.
Forse, egli suggerì astutamente, avrebbe potuto servirsi come
modello per l'Iscariota dell'anche troppo nota faccia del priore
di Santa Maria delle Grazie.
Leonardo si aggirava per tutta
Milano in cerca di teste e di volti che gli servissero per gli
apostoli. Fra centinaia di soggetti scelse i lineamenti che egli
trasfigurò con la sua arte in quelle teste, individualizzate in
modo sorprendente, che rendono famoso questo capolavoro che ha
subito i danni del tempo. Talvolta egli fuggiva dalla sua strada
o dal suo studio per recarsi al refettorio e aggiungere una
pennellata o due al dipinto. Il concetto era grandioso, ma irto
di difficoltà per un artista. Si limitava a sole figure
maschili, a una tavola modesta in una stanza disadorna; ci
poteva essere un panorama o un paesaggio molto ristretto, e non
ci si poteva servire della grazia di qualche donna come
contrasto alla forza degli uomini; infine non si poteva dare
vita a n movimento delle figure per la mancanza di una azione.
Leonardo lasciò intravvedere uno scorcio di paesaggio dalle tre
finestre situate alle spalle del Cristo. Sostituì l'azione
raffigurando la Cena nell'attimo di tensione in cui, Gesù
profetizza che uno dei dodici , lo tradirà e ciascuno, pieno di
spavento, di orrore o di meraviglia chiede: "Son forse io?".
Si sarebbe potuto anche scegliere l'istituzione dell'Eucarestia,
ma ciò avrebbe immobilizzato tutti i tredici volti in
un'espressione solenne e stereotipata. Qui, al contrario, più
che la violenza dell'azione materiale, c'è la ricerca e la
rivelazione delle anime, che mai nessun artista ha svelato con
tanto acume in un solo dipinto. Per gli apostoli Leonardo esegui
innumerevoli schizzi preliminari, alcuni dei quali, per esempio
quello di Giacomo Maggiore, di Filippo e di Giuda, sono disegni
di una potenza e di una finezza tali da poter stare a paragone
solo con quelli di
Rembrandt
e di Michelangelo. Quando si trattò di concepire il volto del
Cristo, Leonardo si accorse che la sua ispirazione si era
esaurita con gli apostoli. Secondo il Lomazzo (che scriveva nel
1557) un vecchio amico di Leonardo, Zenale, gli consigliò di
lasciare incompiuto il volto del Maestro divino dicendo:"Veramente sarebbe impossibile immaginare due volti più belli o
più delicati di quelli di Giacomo Maggiore e di Giacomo Minore.
Accetta dunque la tua disgrazia e lascia incompiuto il Cristo,
altrimenti, paragonato agli apostoli, non risulterebbe il loro
Salvatore o il loro Maestro". Leonardo accettò il consiglio.
Egli o un suo allievo fecero un famoso schizzo (ora alla
Pinacoteca di Brera) della testa del Cristo, che però esprimeva
una tristezza effeminata e una rassegnazione poco consone
all'eroica decisione presa quand'eglì entrò calmo nel
Giardino del Getsemani. Forse mancava a Leonardo quella riverente pietà
che, aggiunta
alla
sua sensibilità, alla sua profondità e alla sua bravura, avrebbe potuto
condurre il dipinto più vicino alla perfezione. Siccome era un pensatore
oltre che un artista, Leonardo evitava gli affreschi come nemici del
pensiero, perché questo genere di pittura doveva essere eseguito velocemente
dovendo posarsi su gesso umido e appena applicato, prima che si asciugasse.
Egli preferiva dipingere su un muro asciutto usando la tempera, che
consisteva in colori misti a una sostanza gelatinosa, perché questo metodo
gli permetteva di ponderare e di fare delle prove. Ma i colori non aderivano
permanentemente alla superficie e anche quando Leonardo era ancora vivo
(basta pensare alla normale umidità del refettorio e alle inondazioni
saltuarie durante i periodi di piogge continuate) la pittura cominciò a
screpolarsi e a cadere. Quando la vide il Vasari (1536) era già in
parte cancellata, e quando la vide il Lomazzo, sessanta anni dopo che era
stata finita, era già molto sciupata. I frati, poi, collaborarono alla
rovina, aprendo una porta fra le gambe degli apostoli, per andare in cucina
(1656). L'incisione da cui viene ricavata la riproduzione che è nota a tutto
il mondo non proviene dall'originale, ma da una copia imperfetta eseguita da
un allievo di Leonardo, Marco d'Oggiono. Oggigiorno si possono
soltanto studiare la composizione e i contorni generali, mentre ben poco
rimane delle sfumature e delle sottigliezze. Qualcuno ha detto che con
l'Ultima Cena nasce a grande stagione del ritratto Cinquecentesco; l'opera è
un ponte ideale che collega l'arte fiamminga del Quattrocento (con il suo
gusto per il dettaglio nitido e minuzioso alla
Van Eyck,
le sue figure e lo sfondo del paesaggio) e le successive scoperte della
fisiognomica di Lavater o Lombroso e della psicanalisi di Freud, imponendosi
come un genere di enorme successo nei secoli successivi. Quando è possibile
ammirare oggi del dipinto leonardesco lo si deve a un imponente restauro
che, tra il 1977 e il 1999, ha richiesto ben 50 mila ore di lavoro e 60
indagini scientifiche. Nonostante i difetti
di conservazione già presenti nell'opera quando Leonardo la lasciò, alcuni
si accorsero subito che essa rappresentava uno dei più grandi dipinti
che il
Rinascimento avesse mai prodotto.
Durante
l'ultimo conflitto mondiale Santa Maria delle Grazie fu devastata da un
bombardamento alleato. Miracolosamente si salvò la parete del refettorio
proprio dove si trova il capolavoro vinciano. Dopo la guerra i lavori di
ricostruzione e ripristino della chiesa iniziarono subito e furono portati a termine
velocemente ed oggi in pochi direbbero, che la chiesa dove so trova il
capolavoro di Leoanrdo sessant'anni fa fosse stato ridotto ad un ammasso di macerie.
Per vedere l'opera leonardesca, si deve andare a fianco della Chiesa di
Santa Maria delle Grazie, a sinistra dell'ingresso principale. Visitabile
tutti i giorni eccetto lunedì dalle 8.15 alle 18.45. La prenotazione al
Cenacolo è obbligatoria (allo 02.92800360). La visione è rigidamente
controllata: si può entrare a gruppi di 20 persone alla volta per 15 minuti.
Il costo del biglietto è di 8 euro, anche se esistono molte categorie
scontate.
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