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Nel panorama della storia dell'umanità, poche figure brillano con la
luminosità poliedrica di Leonardo da Vinci. Artista, scienziato, inventore e
filosofo, Leonardo incarnava l'ideale rinascimentale dell'uomo universale,
un individuo la cui curiosità insaziabile lo spingeva a esplorare e innovare
in una miriade di campi. Nato nel piccolo borgo di Vinci, nella Toscana del
XV secolo, Leonardo avrebbe lasciato un segno indelebile non solo nell'arte,
con capolavori come "La Gioconda" e "L'Ultima Cena", ma anche in discipline
come l'anatomia, l'ingegneria e l'aerodinamica.
Inizi
Leonardo da Vinci, uno
dei personaggi più affascinante del
Rinascimento
nacque il 15 aprile 1452 presso il villaggio di Vinci, a
circa 95 km da Firenze, sempre comunque all'interno dei domini
della città toscana.
L'epoca in cui vive Leonardo è sicuramente tra le più stimolanti, tra
le più ricche di fermenti innovativi e creativi. Dopo il rifiorire della
cultura umanistica e la "rinascita" delle arti, l'uomo, ormai "centro del
mondo", nel periodo compreso tra il 1450 e 1550, allarga enormemente
l'ambito delle proprie conoscenze.
L'invenzione della stampa,
insostituibile strumento di diffusione della cultura, la scoperta di nuovi
mondi, di nuove civiltà, sono solo alcune tappe di quell'irripetibile
periodo della storia dell'umanità in cui vanno intese e inquadrate la vita e
l'opera di Leonardo da Vinci.
La sua personalità è diventata quasi l'emblema della straordinaria sete di
conoscenza, della sconfinata curiosità dell'uomo verso tutti gli aspetti di
una realtà da sempre in profondo ed inarrestabile mutamento. La sua mente
poliedrica ha spaziato in ogni settore della scienza, della tecnica e
dell'arte, ricercando in ogni campo i comuni meccanismi, le leggi
fondamentali che governano, regolano e danno vita ai fenomeni della natura.
Non si sa quasi nulla della primissima attività di Leonardo, nato il 15
aprile 1452 presso Vinci, un piccolo borgo nei dintorni di Empoli,
all'interno dei domini
Firenze.
L'ambiente artistico fiorentino, e in particolare la bottega di Andrea
Verrocchio dove, fra 1469 e 1478 circa, si svolge il primo
apprendistato, sono di fondamentale importanza per la sua successiva
attività. A
Milano,
dove risiede dal 1482 al 1499, stimolato dalla cerchia di letterati, artisti
e scienziati gravitanti attorno alla corte di Ludovico il Moro, si immerge
con passione sempre crescente negli studi di matematica, anatomia,
meccanica, ottica, idraulica e botanica.
I suoi dipinti milanesi mostrano la
compenetrazione tra ricerche scientifiche e artistiche, attività per Leonardo armonicamente complementari. Gli anni successivi al soggiorno
milanese, trascorsi tra Firenze, Milano e
Roma, vedono gli interessi di
Leonardo espandersi ecletticamente ed esprimersi in invenzioni, progetti,
disegni, appunti e annotazioni sui più svariati argomenti. Leonardo
continuerà a dedicarsi alla pittura, che considera l'espressione
artistica suprema. Significativamente, egli conserva presso di sé, negli
anni trascorsi in Francia (1516-1519) fino al giorno della morte, l'opera
che rappresenta l'estremo risultato delle sue ricerche artistiche e
scientifiche, un dipinto da sempre riconosciuto come uno dei capolavori
assoluti di tutta la storia dell'arte: la
Gioconda
definita in tempi recenti "l'autobiografia dipinta dell'artista".
Il periodo fiorentino (1452-1482)
Sorprende constatare come di Leonardo sì
disponga di una sostanziale esiguità di dati biografici certi. Nonostante
l'enorme massa dì manoscritti e disegni rimasta come preziosa eredità,
sono scarse infatti le attestazioni di questo periodo, poche le lettere, pochissimi
i
disegni o i dipinti sicuramente datati. Risulta pertanto impossibile
ricostruire gli anni della sua adolescenza ed è estremamente arduo
ripercorrere le tappe della sua prima formazione. Figlio naturale del
avvocato Pietro d'Antonio e di una certa Caterina, Leonardo nasce nei pressi
di Vinci, il 15 aprile 1452. Sua madre, che era una contadina non si era
curata di sposare il padre del bambino. Proprio nell'anno in cui nasceva
Leonardo, il padre sposava una donna del suo ceto di 16 anni e Caterina
doveva accontentarsi di un marito contadino. Caterina "cedette" il piccolo
Leonardo a Piero e alla sua nuova moglie, cosicché il fanciullo crebbe negli
agi di una famiglia semiaristocratica, anche se privo dell'affetto materno.
Forse fu in quell'ambiente della sua infanzia che egli acquistò il gusto
delle vesti raffinate e l'avversione per le donne. Nei pressi di Vinci
frequentò la scuola del vicinato, si dedicò con passione alla matematica,
alla musica e al disegno, e rallegrò suo padre col canto e il suono del
liuto.
Nel 1469 il padre Pietro, che nel frattempo si arricchiva, comperava molti
possedimenti e trasportava la famiglia a Firenze e sposava quattro mogli,
una dopo l'altra e darà a Leonardo sette tra fratelli e sorelle. Nominato notaio della
Signoria di Firenze, si trasferisce nella città toscana con la famiglia e Leonardo, allora
diciassettenne, entra nella bottega di Andrea Verrocchio, come
apprendista dove rimane per
circa otto anni, assimilando dapprima le conquiste fondamentali del
Rinascimento fiorentino, mutuando poi dal maestro una più accentuata
scioltezza nella composizione, opponendosi infine, in armonia con la
propria natura e le inclinazione, agli schematismi intellettuali, alla
linearità e alla asprezza di forme caratteristiche di certa pittura
fiorentina della seconda metà del secolo. Tutto il mondo della cultura
conosce la storia raccontata dal
Giorgio Vasari circa l'Angelo
dipinto da Leonardo nella parte sinistra del Battesimo di Cristo del
Verrocchio e lo stupore del maestro dinanzi alla bellezza della figura,
tanto che abbandonò la pittura per dedicarsi alla scultura. Probabilmente
questa abdicazione non è che una leggenda post-mortem, dato che il
Verrocchio compose altri quadri dopo di quello. Forse in quel periodo di
apprendistato Leonardo dipinse l'Annunciazione che ora si trova al
Louvre, ove l'angelo è goffo e la Madonna ha un atteggiamento di sorpresa e
di spavento. Difficilmente infatti avrebbe potuto apprendere la grazia dal
Verrocchio. Leonardo nella bottega del suo maestro all'età di vent'anni. In
quell'anno (1472) fu ammesso far parte della Compagnia di San Luca,
una associazione composta soprattutto da farmacisti, medici e artisti,
acquartierata nell'Ospedale di Santa Maria Nuova. Qui Leonardo trovò,
con molta probabilità, l'occasione di studiare sia l'anatomia interna sia
quella esterna.
Se
generalmente risulta assai difficile definire la precisa responsabilità
dell'artista nelle opere uscite dalla bottega del Verrocchio (data la tipica
organizzazione del lavoro, che prevedeva una stretta collaborazione fra gli
allievi) nessun dubbio può sussistere invece per il disegno rappresentante
un Paesaggio del val d'Arno (che si trova al Gabinetto dei Disegni e
delle Stampe, Firenze), il più antico lavoro datato di Leonardo, in base ad
un'annotazione autografa recante la data 5 agosto 1473. Ad un anno di
distanza dall'iscrizione alla corporazione dei pittori, l'artista mostra un
nuovo modo di porsi nei confronti della natura: la realtà è così come gli
appare; l'atmosfera, non più perfettamente trasparente, si pone come filtro
tra la vista e l'immagine, mutan-done di conseguenza la percezione ottica.
Il disegno, eseguito dall'artista ventunenne, ne prefigura già l'interesse,
poi coltivato e approfondito per tutta la vita, verso i fenomeni della
natura, e la sua concezione dell'arte come strumento d'indagine sugli
stessi.
Anche
il primo saggio "pittorico" tradizionalmente assegnato dalla critica al
giovane Leonardo, conferma pienamente tale inclinazione: il viso fanciullo
dell'angelo dipinto sulla sinistra della tavola attribuita al Verrocchio con
la partecipazione del giovane Leonardo, rappresentante il Battesimo di
Cristo è modellato con un'estrema delicatezza di sfumature cromatiche; i
lineamenti sembrano stemperarsi per effetto della luce che ne ammorbidisce i
con-torni, ma contemporaneamente dà vita agli effetti di tenerissimo sfumato
nella re-sa delle carni e di estrema leggerezza nei capelli che fluiscono
vaporosi. Il paesaggio sullo sfondo, riecheggiante vallata del disegno degli
Uffizi sul Paesaggio della val d'Arno, è analogamente avvolto da uno
spazio atmosferico che sembra voler fondere, in un impasto. di forma, colore
e luce, i diversi elementi
della natura in una sintesi cosmica.
Ancora fortemente vincolata agli insegnamenti di Andrea Verrocchio,
è la policroma Annunciazione degli
Uffizi,
che denota ancora l'immaturità dell'artista. Se l'impostazione complessiva
della scena va riferita ad un modulo compositivo già in uso e rivela il
peso di certi schematismi accademici, la straordinaria qualità cromatica e
luminosa dell'immagine, la minuziosa attenzione verso gli elementi del
mondo della natura, l'estrema sensibilità con cui è reso il
paesaggio oltre la balaustra, conferiscono al dipinto una peculiarità e un
fascino già pienamente leonardeschi.
I lavori successivi evidenziano in in
misura
via via più marcata, il progressivo costituirsi nella mente dell'artista di
una concezione della pittura come espressione ideale delle proprie
conoscenze scientifiche e l'evoluzione del suo stile segue dunque
costantemente quella del suo pensiero.
Una settimana prima che compisse i ventiquattro anni, Leonardo e
altri tre giovani furono chiamati davanti alla Signoria
Fiorentina riunita, per rispondere dell'accusa di aver avuto
rapporti omosessuali. L'inchiesta finì in un nulla di fatto. Il
7 giugno 1456, l'accusa fu ripetuta, l'Assemblea fece
imprigionare Leonardo per breve tempo e lo rilasciò,
assolvendolo per mancanza di prove, o probabilmente godette di
qualche appoggio potente. Un anno dopo l'accusa, gli fu offerto
uno studio, nei giardini Medici, ed egli accettò. Nel 1478, la
Signoria stessa gli chiese di dipingere una pala d'altare nella
Cappella di San Bernardo, in Palazzo Vecchio. Non
si sa bene perché egli non abbia adempito all'incarico, che poi
preso dal Ghirlandaio; Filippino Lippi terminò
l'opera di quest'ultimo. Ciononostante la Signoria diede a lui
(e al
Botticelli) un altro incarico: quello di dipingere
il ritratto di due uomini impiccati per la Congiura dei Pazzi
contro Lorenzo e Giuliano de' Medici. Leonardo si
interessava di tutto. Ogni posizione e atteggiamento del corpo
umano, ogni espressione su di un volto giovane o meno, gli
organi e i movimenti degli animali e delle piante, l'ondeggiare
del grano nei campi fino al volo degli uccelli, le erosioni e
gli aumenti delle montagne avvenuti attraverso vari cicli, le
correnti delle acque e lo spirare dei venti, le variazioni del
tempo e le gradazioni dell'atmosfera, l'inesauribile varietà dei
corpi celesti, tutto ciò gli apparve di una bellezza sconfinata.
Il ritornare di continuo su questi soggetti non diminuì mai per
lui la meraviglia e il mistero che in essi si racchiudeva.
Riempì pagine e pagine con le sue osservazioni e con i disegni
riproducenti le loro forme svariate.
Quando i monaci del
Monastero di San Scopeto gli chiesero di dipingere un quadro
per la loro cappella (1481), egli fece tanti schizzi dei
particolari e delle forme che si perse nei dettagli e non fini
mai l'Adorazione dei Magi. Tuttavia essa rappresenta uno
dei suoi quadri migliori. Il piano dal quale egli lo sviluppò
era disegnato su un tracciato prospettico strettamente
geometrico, e tutto lo spazio restava diviso in quadrati di
grandezza decrescente. Da ciò si vede che in Leonardo il
matematico sempre gareggiava e spesso cooperava con l'artista.
Tuttavia quest'ultimo era già in pieno sviluppo, come si vede
nella posa e nei lineamenti della Vergine che conserverà nelle
opere successive di Leonardo; nei Magi capiti in modo notevole
(dato che si trattava di un artista molto giovane) nel carattere
e nell'espressione proprie della vecchiaia; e infine nel
filosofo di sinistra, dall'espressione assorta di chi è immerso
in una speculazione quasi scettica, come se il pittore fosse fin
d'allora riuscito a vedere la narrazione evangelica con uno
spirito involontariamente incredulo, e tuttavia ancora devoto.
Intorno a queste figure se ne raccolgono tante e tante altre,
come se uomini e donne di tutti i generi si fossero affrettati a
recarsi presso questa capanna per cercarvi ansiosi il
significato della vita e la luce del mondo, trovando la risposta
in un susseguirsi di nascite.
Il capolavoro incompiuto, sbiadito
dal tempo, è esposto nella Galleria degli Uffizi a
Firenze, ma fu Filippino Lippi che eseguì il dipinto,
ordinato dai frati scopetani. Iniziare qualcosa, concepirlo in
modo troppo grandioso e perdersi negli schizzi dei particolari;
vedere, oltre il soggetto, una prospettiva sconfinata di forme
umane, di animali, di piante e costruzioni architettoniche, di
rocce e di monti, di ruscelli, di nuvole e di alberi, il tutto
avvolto in un mistico chiaroscuro; lasciarsi assorbire più dal
concetto della pittura che dalla sua realizzazione tecnica;
lasciare agli altri l'incarico minore di dare il colore alle
figure disegnate e poste in modo da metterne in evidenza il
significato; abbandonarsi alla disperazione, dopo lunghe fatiche
della mente e del corpo, per l'imperfezione con cui la mano e la
materia avevano dato vita a ciò che era stato sognato; questo,
tranne qualche eccezione, doveva essere sino alla fine il
temperamento e il destino di Leonardo.
Di estremo interesse si rivela il
Ritratto di Ginevra Benci assegnabile cronologicamente agli
anni 1474-1477. La donna effigiata in opposizione all'allora dominante
canone estetico botticelliano —espressione di un'estrema sensibilità
lineare e di un tipo di bellezza femminile ideale, quasi atemporale —
presenta tratti somatici fortemente individualizzati, artisticamente
"ricreati" per mezzo del colore e della luce. L'impostazione quasi frontale
della giovane consente infatti al pittore di ridurre al minimo
l'incidenza dei profili lineari; il volto, dagli ampi volumi appiattiti, è
delicatamente modellato da sottilissimi giochi chiaroscurali; la sua
pallida luminosità risplende sullo sfondo di un cespuglio spinoso che si
staglia in controluce lasciando intravedere, ai lati, un paesaggio di acque
e di piante.
Di poco successivi sono due dipinti rappresentanti entrambi la
Vergine col Bambino. La Madonna del garofano (oggi all'Alte
Pinakothek di
Monaco) pur
presentando strette analogie con i primi saggi pittorici di Leonardo con
opere uscite dalla bottega del suo Maestro rivela tratti stilistici che
diventeranno tipici dell'artista. La duplice fonte di luce penetra dalle
aperture del fondo e, con l'immagine temporaneamente, colpisce
frontalmente l'immagine, si diffonde sulle forme facendone vibrare gli
ampi, maestosi volumi e conferendo all'incarnato un primo,
delicatissimo, effetto di sfumato. Questa tela, per diversi motivi, per
lungo tempo è stata attribuita alla bottega del Verrocchio e ancora
molto esperti propendono per quella attribuzione.
Una più calda densità cromatica del mezzo luminoso e un più accentuato
arrotondamento delle forme caratterizzano invece la Madonna Benois,
dipinta probabilmente attorno al 1478 (ora al
Museo Ermitage di
San Pietroburgo). La costruzione del quadro è tutta
imperniata sul piccolo fiore che la Madre porge al Bambino: attorno ad
esso gravitano i dolcissimi giochi di mani e le reciproche
corrispondenze di sguardi dei protagonisti, completamente assorti nella
intimità della scena familiare. La naturale "compenetrazione" dei corpi
della Madonna e del Bambino, disposti in realtà secondo studiatissimi
schemi obliqui contrapposti ma straordinariamente equilibrati;
l'effetto sfumato dei morbidi contorni delle figure, che sembrano
palpitare, muoversi nella densità del mezzo atmosferico; e soprattutto
l'estrema sensibilità con cui è reso l'intimo rapporto affettivo,
emozionale che lega madre e figlio, evidenziano la completa
maturazione stilistica del
maestro.
L'opera che tuttavia attesta gli
estremi progressi ottenuti dall'artista nell'incessante indagine sugli
elementi della natura e sui moti dell'animo umano, prima della partenza
per Milano, è l'Adorazione dei Magi (oggi alla Galleria dei
Uffizi a Firenze). Ricevuta la commissione
nel 1481, Leonardo interpreta il soggetto tradizionale in modo
rivoluzionario e intensamente drammatico: attorno al gruppo della
Madonna con il Bambino, fulcro dell'intera composizione, si raccoglie
l'umanità, sconvolta dall'evento. I Magi si prostrano offrendo i
loro doni, la folla gesticolante non riesce a trattenere
l'emozione, la concitazione dei movimenti sembra trasmettersi da
una forma all'altra; sullo sfondo le grandiose architetture in
rovina e la
lotta
di guerrieri a cavallo simboleggiano la parte del mondo e di
umanità ancora all'oscuro della promessa di salvezza.
La tavola,
nonostante l'incompiutezza, conferma la piena maturazione dello
stile dell'artista e rappresenta un'apertura verso tutti i
lavori che Leonardo realizzerà negli anni a venire. Non lontano
dall'abbozzo dell'Adorazione dei Magi è il San
Gerolamo (che oggi si trova presso la Pinacoteca Vaticana
nei
Musei Vaticani),
probabilmente l'ultimo lavoro approntato dal maestro prima di
abbandonare Firenze. La particolare impostazione della figura
pone in risalto gli interessi anatomici di Leonardo, rivolti in
questi anni ai problemi della dinamicità del corpo umano nello
spazio. Il santo penitente, in atto di percuotersi il petto, sta
inginocchiandosi o è in procinto di alzarsi, così come indica la
flessione del ginocchio; l'articolazione scultorea del corpo si
unisce all'estrema scioltezza dell'esecuzione pittorica. Nel 1482 Leonardo lascia la città
toscana e parte alla volta di Milano, mettendo la propria esperienza al
servizio degli Sforza.
Il
periodo milanese (1482-1499)
Leonardo, giunto a Milano tra la primavera e l'estate del 1482,
vi trova un clima intellettuale particolarmente vivace e
stimolante: negli anni di Ludovico il Moro alla corte
sforzesca si era infatti costituito, quasi in gara con Firenze,
un raffinato centro di cultura umanistica, polo d'attrazione per
scienziati, artisti e letterati come Bramante, il
matematico Luca Pacioli ed il musicista Franchino
Gaffurio. Nella lettera che Leonardo, allora trentenne,
inviò a Ludovico, reggente di Milano, nel 1482, non traspare
nessuna esitazione, né il senso della spietata brevità del
tempo, ma solo le ambizioni sconfinate di un giovane, forte
delle sue intatte energie. Ne aveva abbastanza di Firenze;
sentiva vivo il desiderio di vedere luoghi e volti nuovi. Aveva
sentito dire che Ludovico aveva bisogno di un ingegnere
militare, di un architetto, di uno scultore e di un pittore.
Ebbene, egli poteva essere tutte queste cose insieme. Cosi egli
scrisse questa famosa lettera:
"Avendo, Signor mio Illustrissimo, visto & considerato oramai
ad sufficienzia le prove di tutti quelli che si reputono maestri
e compositori de instrumenti bellici, et che le intenzione e
operazione di ditti instrumenti non sono niente alieni dal
comune uso, mi exforzerò, non derogando a nessun altro, farmi
intender da V. Excellentia, aprendo a quella li secreti mei, e
appresso offerendoli ad omni suo piacimento in tempi opportuni,
operare cum effetto circa tutte quelle cose che sub brevità in
parte saranno qui di sotto notate: 1) Ho modi de ponti
leggerissimi & forti, & atti ad portare facilissimamente... 2)
So in la obsidione de una terra toglier via l'acqua de' fossi,
et fare infiniti ponti, gatti & scale & altri instrumenti
pertinenti ad dieta expedizione... 3) Ho ancora modi de bombarde
comodissime & facile ad portare, et cum quelle but. tare minuti
(saxi a similitudine) di tempesta... 4 ) Et quando accordesse
essere in mare, ho modi de molti instrumenti actissimi offender
& defender, et navili che faranno resistenzia al trarre de omni
grossissima burn barda & polver & fumi. 5) Item ho modi, per
cave & vie secrete & distorte, fatte senza alcuno strepito, per
venire (ad un certo) & disegnato (loco), ancora che bisognasse
passare sotto fossi o al-cuno fiume. 6) Item, farò carri
coperti, securi e inoffensibili, e quali intrandi' intra li
inimica cum sue artiglierie, non è si grande moltitudine di
gente d'arme che non rompessino. Et dietro a questi poteranno
seguire fanterie assai, illesi e senza alcuno impedimento. 7)
Item, occorrendo di bisogno, farò bombarde, mortari et
passavolanti di bellissime & utile forme, fora del comune uso.
8) Dove mancassi la operazione de le bombarde, componcrò
briccole, mangani, trabucchi & altri instrumenti di mirabile
efficacia & fora del usato; ct insomma secondo la varietà de'
casi, componerò varie & infinite cose da offender & di
(fendere). 9) In tempo di pace credo satisfare benissimo a
paragone de omni altro in architet-tura, in composizione di
edificii & pubblici & privati, & in conducer acqua da uno loco
ad uno altro. Item, conducerò in scultura di marmore, di bronzo
e di terra, similiter ín pittura, ciò che si possa fare ad
paragone de omni altro & sia chi vole. Ancora si poterà dare
opera al cavallo di bronzo, che sarà gloria immortale & eterno
onore de la felice memoria del Signor vostro patre & de la
inclita Casa Sforzesca. Et se alcuna de le sopra dicte cose a
alcuno paressino impossibile e infactibile, me offero
paratissimo ad farne esperimento in el parco vostro, o in qual
loco piacerà a Vostr'Excellentia, ad la quale humilmente quanto
piú posso me recomando."
Non conosciamo la risposta di Ludovico,ma si sa che Leonardo
giunto a Milano, si conquistò molto velocemente l'affetto del
Moro. Alcuni raccontano che Lorenzo il Magnifico lo
avesse mandato da Ludovico come zuccherino diplomatico, per
consegnargli un bellissimo liuto. Altri invece narrano come
avesse vinto un concorso musicale a corte e fosse ivi
trattenuto, non per le qualità che egli "con ogni umiltà"
aveva dichiarate, di possedere ma per la musicalità della voce,
per il fascino della conversazione, per il dolce e delicato
suono della lira che aveva costruito con le proprie mani,
dandole la forma di una testa di cavallo. Pare che Ludovico lo
tenesse con sé, non per ciò che valeva, ma come giovane
brillante che, anche se architetto di minor valore rispetto al
Bramante, e troppo inesperto per le costruzioni militari,
poteva organizzare le rappresentazioni di corte o le sfilate per
la città, poteva ornare le vesti della moglie, dell'amante o
delle principesse, poteva dipingere affreschi e ritratti, e
forse costruire dei canali, per migliorare l'irrigazione della
pianura lombarda.
L'artista del Rinascimento fra un quadro e
l'altro doveva saper fare quasi tutto. Il Bramante stesso si
occupò di tutto questo. Chissà che una parte almeno della
personalità di Leonardo non trovasse diletto nel disegnare vesti
e gioielli e che, abile cavallerizzo qual era, non si divertisse
a dipingere cavalli in corsa sulle pareti delle scuderie. Adornò
la sala da ballo del castello per il matrimonio di Beatrice
d'Este, costruì una speciale stanza da bagno per lei, eresse nel
giardino un delizioso padiglione d'estate e dipinse altri
"camerini" per le feste di palazzo. Esegui i ritratti di
Beatrice d'Este, di Ludovico, dei loro figli e delle amanti di
Ludovico: Cecilia Gallerani e Lucrezia Crivelli.
Questi dipinti sono andati perduti, a meno che la Belle
Ferronnière del Louvre non sia Lucrezia. Il Vasari parla dei
ritratti di famiglia come "maravigliosi" e il quadro di Lucrezia
ispirò a un poeta una fervida lode sulla bellezza della dama e
sulla bravura dell'artista. Forse Cecilia fu la modella di
Leonardo nella Vergine delle Rocce. Il quadro era stato
ordinato nel 1483 dai Fratelli della Concezione e doveva
essere la parte di centro di una pala d'altare nella Chiesa
di San Francesco. La copia originale fu più tardi comperata
da Francesco I di Francia e portata al Louvre.
Osservandola, notiamo il volto dolce e materno che Leonardo
userà tante volte in seguito, l'angelo simile a quello del
Battesimo del Verrocchio, i due fanciulli delicatamente
disegnati, e lo sfondo di rocce incombenti che solamente
Leonardo poteva concepire come abitazione della Madonna. I
colori sono diventati più cupi col tempo, ma probabilmente
l'artista volle ottenere un effetto di penombra: i suoi quadri
sono tutti pervasi di una atmosfera nebulosa "sfumata". Questo è
uno dei dipinti più belli di Leonardo, superato solo dall'Ultima
Cena, dalla Monna Lisa e da La Vergine col Bambino
e Sant'Anna.
L'ultima Cena
L'Ultima Cena e la Gioconda sono
tra i quadri più celebri del mondo. A ogni ora, ogni giorno,
ogni anno, i pellegrini entrano nel refettorio che racchiude
l'opera più ardita di Leonardo. In quella semplice costruzione
rettangolare, i frati domenicani che erano ospitati chiesa
preferita di Ludovico, la
Chiesa
di Santa Maria della Grazie, consumavano i loro pasti. Non appena
Leonardo giunse a Milano, Ludovico lo incaricò di eseguire l'Ultima
Cena sulla parete di fondo del refettorio. Per tre anni
(1495-98), con molte interruzioni, Leonardo vi lavorò o ci si
diverti, mentre il duca e i frati fremevano per i suoi continui
ritardi...Continua a leggere sull'
Ultima Cena di
Leonardo
Riassumendo, durante i sedici anni di permanenza nel capoluogo
lombardo l'eccezionale versatilità di Leonardo nei diversi campi
della scienza, della tecnica e dell'arte, sembra essere quasi
completamente assorbita dalle richieste della corte sforzesca.
Lo si vede infatti all'opera attorno al 1489-1490 come geniale
ideatore di fastosi apparati scenici e di congegni meccanici per
giostre e spettacoli di corte, come disegnatore di costumi per
feste e tornei, come abile improvvisatore di poesie, favole e
indovinelli. Nello stesso arco di tempo, come esperto di
architettura, si applica allo studio del problema del tiburio
del Di conseguenza è nuova la rappresentazione dello
spazio, concepito non più secondo i principi della
prospettiva, ma piuttosto creato "naturalmente" per effetto
dell'atmosfera, cioè di quella fusione impalpabile di aria, luce
ed ombra che avvolge, ma contemporaneamente conforma, tutte le
cose. Anche le figure, anziché essere realizzate attraverso
l'uso tradizionale del disegno e del chiaro. scuro, sono
generate dall'effetto naturale della luce e dall'impercettibile
graduarsi dell'ombra sui corpi, che acquistano così
quell'estrema delicatezza nei tratti e quella morbidezza
plastica che sono proprio il fondamento dello "sfumato"
leonardesco.
L'immediata ripercussione della nuova concezione
artistica sulla scuola pittorica regionale si registra, con un
effetto forse ancora più dirompente, nella ritrattistica, campo
in cui Leonardo introduce a Milano una vera e propria
rivoluzione figurativa. Il Ritratto di musico della
Pinacoteca Ambrosiana, la Dama
con l'ermellino che si trova a
Cracovia
e il
Ritratto di dama del Louvre la cosiddetta
"Belle Ferronnière", sconvolgono infatti gli schemi
tradizionali della ritrattistica milanese, solita a
rappresentare i personaggi di profilo, secondo un gusto ancora
tipicamente araldico. Mentre la paternità leonardesca del Musico
dell'Ambrosiana è stata in passato spesso oggetto di
discussione, i più recenti contributi critici si rivelano
sostanzial-mente concordi nel riconoscerne la piena autografia,
ammettendo, solo in alcuni casi, un marginale intervento di
Ambrogio de' Predis nella parte inferiore del dipinto. Il
ritratto manifesta con evidenza la direzione verso cui si
andavano sviluppando le ricerche pittoriche di Leonardo: il
busto del personaggio, che sembra ruotare nello spazio tagliando
in diagonale il piano della tavola, e l'acuta penetrazione
psicologica del volto, dal modellato robusto ed incisivo ma
indagato nei minimi particolari.
Sono
tutte espressioni di uno studio sempre più
intenso ed approfondito della dinamica del corpo
umano e della rappresentazione dei moti
dell'anima. Questi stessi elementi sono
orchestrati con maggiore sapienza compositiva ed
una più consapevole padronanza dei mezzi tecnici
nel ritratto di Dama con l'ermellino che
può essere considerata una delle più alte
espressioni dell'arte leonardesca, una sorta di
punto d'arrivo degli studi di anatomia cui
l'artista si applicava da parecchi anni, così
come attestano gli schizzi e i disegni
conservati sui fogli dei suoi taccuini. Il busto
della giovane, capolavoro di grazia ed eleganza,
ruota sinuosamente nello spazio secondo un
andamento spiraliforme, splendidamente concluso
da un volto straordinario per intensità e
contenuta carica emotiva. Ad infondere vita
all'immagine concorre, con modi che rimandano a
certa pittura d'oltralpe o all'arte di
Antonello da Messina, l'effetto del fascio
di luce che accompagna e quasi conforma la
costruzione, investendo il viso della dama,
scendendo lungo la spalla e cadendo sulle
braccia che stringono il candido ermellino.
Il
capolavoro dell'attività milanese di Leonardo,
ed una delle opere capitali di tutto il
Rinascimento, è l'Ultima cena,
realizzata tra 1495 e 1497 nel refettorio del
Convento di Santa Maria delle Grazie, in essa trovano infatti il proprio
compimento, al più alto grado, i meditati studi
sulla raffigurazione dei moti umani. Alle ferme
parole di Cristo annuncianti il prossimo
tradimento, la concitata agitazione degli
apostoli sembra placarsi, e quindi risolversi
artisticamente in armonica unità, attraverso la
sapiente orchestrazione delle forme, dei
movimenti e dei gesti dei personaggi, resi in
una scala superiore al naturale e
ritmicamente accorpati a gruppi di tre. Anche
la particolare costruzione prospettica, che
riprende e continua, ampliandole illusionisticamente, le
strutture architettoniche reali, e la veduta luminosa che si
scorge oltre le aperture dello sfondo, conferiscono all'intera
scena una forza e una monumentalità senza precedenti.
Gli
anni della maturità (1500-1519)
In seguito al brusco capovolgimento delle sorti politiche della
Signoria sforzesca, con l'invasione delle truppe francesi di
Luigi XII, il maestro, ormai celebre in tutta la penisola, si
allontana dal ducato insieme agli allievi Gian Giacomo
Caprotti, detto il Salai e Luca Pacioli, e portando con sé, assai probabilmente, manoscritti fitti di note,
appunti e osservazioni, insieme a fogli sciolti, quaderni e
taccuini traboccanti di profili, ritratti, caricature, volti di
esseri mostruosi o deformi, dettagli anatomici stupefacenti per
la bellezza del tratto e la meticolosità della descrizione:
tutte preziose testimonianze degli studi sulla figura umana
condotti negli anni milanesi. Dopo una breve sosta a Vaprio
d'Adda, presso la casa dell'allievo prediletto Francesco
Melzi, Leonardo si reca a
Mantova,
dove trascorre un breve periodo, ospite dei Gonzaga.
Nel
tentativo di trattenerlo a corte, Isabella d'Este gli
commissiona il proprio ritratto, di cui oggi al Louvre si
conserva il cartone, eseguito a carboncino e pastello. Nel marzo del 1500 Leonardo si ferma a
Venezia
per offrire la propria consulenza in lavori di ingegneria
militare; quindi, nell'agosto dello stesso anno, dopo diciotto anni di assenza,
ritorna a Firenze, ospite del Convento dei Serviti alla
Santissima Annunziata. Vi rimane, salvo brevi interruzioni,
per cinque,
fino al 1506. In questo arco di tempo, nonostante alcune
testimonianze del periodo, lo descrivano sempre più affascinato dallo
studio delle scienze e profondamente immerso in esperimenti
matematici, l'artista realizza dipinti che costituiscono le basi
dell'evoluzione di tutta l'arte cinquecentesca.
Una composizione con Sant'Anna, la Madonna, il Bambino e San
Giovannino (oggi alla
National Gallery di
Londra) sembra catalizzare in questo momento l'attenzione
di Leonardo. In realtà si tratta di sin ulteriore sviluppo di un
tema, quello della composizione piramidale, affrontato in
precedenza nella Vergine delle rocce. A documentare
l'importanza che tale tema aveva assunto nella sua sfera
creativa, oltre a numerosi schizzi e disegni preparatori,
rimangono il cartone della National Gallery e
la tavola del Louvre, risalente con ogni probabilità
all'inizio del secondo decennio del Cinquecento.
L'opera londinese manifesta il miracoloso equilibrio tra arte e
natura, tra materia e spirito: la sapiente costruzione del
gruppo, la compattezza e la monumentalità delle forme si
sposano felicemente con la naturalezza dei movimenti delle
figure e il morbido fluire dei loro panneggi, con l'intensità
espressiva dei volti e la dolcezza infinita degli sguardi.
Maria, Sant'Anna, il Bambino e il piccolo Giovanni esprimono in
modo compiuto la poetica dei "moti e dei fiati" già propria
degli apostoli dell'Ultima cena, ma con un'emotività più
contenuta e profonda, con una perfezione di forme che diventa
manifestazione della perfezione armonica del creato. La tavola
ora al Louvre attesta il momento conclusivo della ricerca. La
solidità e la compattez-za del gruppo londinese viene allentata
nel dipinto parigino da una più accentuata dinamicità delle
forme. Le "vibrazioni' che sembrano emanare le rocce in primo
piano, la sapiente orchestrazione dei movimenti delle figure,
che si compenetrano spontaneamente, si abbracciano e quindi si
sciolgono secondo un armonico fluire di ritmi, studiatissimi ma
apparentemente naturali, vengono poi "sottomesse" maestro ad una
visione razionale. La varietà dei fenomeni della realtà risulta
così espressa attraverso una composizione geometrica che è
significazione dell'assoluta armonia dell'universo, della natura
e dell'arte.
Durante il 1502 Leonardo trascorre un breve periodo in qualità
di architetto e ingegnere militare alle dipendenze di Cesare
Borgia, l'ambizioso figlio di papa Alessandro VI che,
valendosi dell'appoggio paterno, era riuscito a costituire un
proprio stato nella Romagna e nell'Italia centrale. Rientrato a
Firenze nel marzo 1503, Leonardo riceve dal gonfaloniere della
Repubblica Pier Soderini l'incarico di dipingere su una
delle pareti della nuova Sala del Gran Consiglio in
Palazzo Vecchio,
un enorme affresco celebrante il trionfo dei fiorentini sulle
milizie milanesi di Filippo Maria Visconti nella famosa
Battaglia di Anghiari, del 1440. Del grandioso lavoro vinciano
non sono sopravvissuti né disegni di insieme, né particolari
degli episodi laterali. Solo attraverso alcune incisioni e poche
copie (la più celebre è il disegno di Rubens ora al Louvre) ci
è nota la scena principale della composizione, la lotta
furibonda di cavalli e cavalieri per la conquista del
Gonfalone, simbolo della città.
Nel 1506 Leonardo abbandona di
nuovo Firenze per ritornare a Milano, invitato dal governatore
di Francia Charles d'Amboise. Oltre alla Battaglia di Anghiari, negli anni fiorentini avrebbe iniziato —
secondo Vasari, il ritratto di
Monna Lisa
e il dipinto, in seguito andato perduto, della Leda con il cigno, attestazione, insieme ad alcuni disegni
rappresentanti Nettuno con i cavalli marini, dell'interesse del
maestro verso alcuni temi mitologici, in particolare per quelli
che potevano diventare incarnazioni della forza, generatrice o
impetuosa, della natura. A Milano soggiorna, salvo sporadiche e
brevi interruzioni, fino al 1513. Nel capoluogo lombardo presta
la propria collaborazione in lavori di architettura ed
ingegneria idraulica, si applica intensamente allo studio del
Monumento equestre per Gian Giacomo Trivulzio
(1511-1512), realizza il dipinto con Sant'Anna ora al
Louvre ed infine, insieme ad alcuni aiuti, porta a termine la
seconda versione della Vergine delle rocce (ora alla
National Gallery di Londra).
In questo periodo Leonardo subisce in misura sempre maggiore il
fascino degli studi matematici e scientifici, interessi che
continua ad approfondire a
Roma,
dove si trasferisce nel 1513, prendendo alloggio in Vaticano,
nella Villa del Belvedere, sotto la protezione di Giuliano de'
Medici. Il maestro, ormai anziano, si mostra schivo nei
confronti dei fasti dell'ambiente romano, dominato allora da
Raffaello e dalla sua cerchia. Vivendo sostanzialmente
appartato, realizza, fra le altre cose, una serie fantastica
di disegni sul tema del Diluvio , che tradiscono
apertamente le inquietudini degli ultimi anni del grande
artista, la crisi della sua concezione dell'uomo come centro
dell'universo e riflesso della sua perfezione armonica.
Negli
anni milanesi e romani Leonardo ritorna inoltre sul tema della
figura umana, portando a termine due opere di estremo interesse
, il cosiddetto Bacco e il San Giovanti
Battista incarnazioni di un nuovo ideale di
bellezza, ambigua e indeterminata, che trova compiuta
realizzazione
nella Gioconda. La tavola, insieme al San Giovanni Battista
e alla Sant'Anna, accompagna il maestro
in Francia nel 1517. Ricoperto di onori, nominato da
Francesco I "premier peintre, architecte et méchanicien du roi",
Leonardo risiede nel Castello di Cloux, presso Amboise, fino
alla morte, avvenuta il 2 maggio 1519, dedicandosi alle sue
ricerche e ai disegni, sconvolgenti, sul tema del Diluvio.
A
quel ritratto di donna, iniziato attorno al 1503-1506, e
destinato a diventare il più celebre dei suoi dipinti, Leonardo
lavora molto probabilmente fino agli ultimi anni, in un perpetuo
processo di perfezionamento formale. Il quadro, pertanto,
rappresenta l'incarnazione di tutta l'esperienza" vinciana, la
sintesi sublime degli studi sulla complessità dei fenomeni
naturali e sui movimenti del corpo umano che Leonardo aveva
affrontato, approfondito e tentato di materializzare per tutta
la vita. La donna ritratta non incarna quindi un ideale canone
di bellezza femminile ma, pur essendo un personaggio fortemente
individualizzato, diventa la cristallizzazione dell'individuo
umano che compendia in sé, equilibrandoli, tutti gli stati
possibili della natura. È attraverso il mezzo pittorico, portato
ad un livello di estrema raffinatezza tecnica, che riusciamo a
penetrare la profondità del pensiero leonardesco: i trapassi
tonali, cromatici, luministici, sempre più sottili e delicati,
uno "sfumato" sempre più morbido e avvolgente, una stesura di
velature sempre più leggere e trasparenti, conferiscono alle
forme della donna, così come ai monti e alle acque del
paesaggio, il margine di indeterminatezza che diventa
espressione del perpetuo divenire, del perenne rinnovarsi della
vita e della natura.
L'eredità
L'eredità di Leonardo da Vinci è immensa. L'eccezionalità del
suo talento, la molteplicità delle sue capacità pratiche e la
potenzialità dei mezzi del suo pensiero, gli sono state già
universalmente riconosciute in vita; la sua fama, il suo
prestigio, non sono mai venuti meno nel corso dei secoli. Solo
in epoca relativamente recente tuttavia, a partire cioè
dall'inizio del secolo, accanto al Leonardo pittore è cominciato
a venire alla luce, prima timidamente, poi col passare degli
anni e con l'approfondimento costante degli studi critici, a
prendere forma e a definirsi sempre più nettamente, un Leonardo
sconosciuto, riscoperto ed ancora solo parzialmente recuperato:
il Leonardo matematico, ottico, fisico, scienziato.
Incalcolabile è l'influenza della sua produzione pittorica sua
sull'arte del Cinquecento, soprattutto se confrontata con
l'esiguo numero di opere attribuitegli con sicurezza. Dipinti
come la Vergine delle rocce o l'Ultima Cena,
ritratti come quello del Musico o di Cecilia Gallerani,
furono il costante punto di riferimento per tutta la generazione
successiva di pittori lombardi, che assimilarono immediatamente,
con esiti talvolta decisamente mediocri, le novità iconografiche
e stilistiche del maestro. I "modi" della pittura leonardesca
non rimasero ovviamente circoscritti alla sola Lombardia, ma
ebbero un'enorme ripercussione in tutta l'Europa cinquecentesca:
Giorgione,
Dürer, Raffaello,
Michelangelo, Correggio non poterono fare a meno di
studiare e confrontarsi costantemente con i capolavori vinciani.
Un'incontrastata fortuna critica e letteraria ha sempre
accompagnato nel tempo la figura di Leonardo. Ma l'immagine
mitica, ottocentesca, dell'artista geniale e un po' stravagante
ha lungamente impedito una più obiettiva messa a fuoco della sua
personalità. Solo da pochi decenni lo studio, la trascrizione e
l'interpretazione dell'imponente massa di disegni, annotazioni e
appunti affidati ai codici superstiti, ha ridimensionato
l'immagine romantica dell'artista per lasciare il posto ad
un'altra ancora più grande, che sta quindi progressivamente
prendendo forma su basi storiche e filologiche.
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