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Augusto De Angelis - Biografia e opere.
Scrittore e giornalista italiano, Augusto de Angelis (1888-1944) è
stato un maestro del giallo all'italiana. Con il personaggio del commissario
De Vincenzi ha creato uno dei personaggi più iconici del genere in Italia,
dando vita a romanzi dalle trame serrate e dal taglio psicologico.
di Massimo Serra
Augusto
De Angelis
nacque a Roma nel 1888 ed è
ricordato per essere stato il padre del
giallo italiano, uno dei primi scrittori del genere poliziesco.
Sono famosi i suoi romanzi del commissario De Vincenzi, della squadra mobile di Milano. Nei libri
di De Angelis, le indagini criminali sono concepite in modo innovativo
rispetto al passato, sono indagini
modernamente socio-psicologiche, capaci di suscitare
durante il loro
corso, riflessioni
profonde sulla vita da parte del lettore. Il commissario De Vincenzi, il suo
personaggio più celebre, è un "profiler", traccia il profilo psicologico e
comportamentale dell'autore di un crimine, arriva alla spiegazione finale
del delitto, immergendosi nelle
ragioni dei personaggi, nei loro umori, nelle loro solitudini.
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Nato
a Roma il 28 giugno 1888, ma milanese di adozione, De Angelis da giovane
ebbe una solida formazione classica. Lasciati gli studi di
giurisprudenza per una carriera giornalistica, collaborò con i più
importanti quotidiani italiani della prima metà del Novecento, da La
Stampa e La Gazzetta del Popolo a Torino a Il Resto del
Carlino di Bologna fino al milanese L'Ambrosiano.
De Angelis era uno che si lanciava. Poco più che ventenne, nel 1910 scrisse
una commedia dal titolo Pupattolina, e la mandò, senza troppe
pretese, a Dina Galli e Amerigo Guasti, all'epoca due vere
star del teatro italiano (il cinematografo, come veniva chiamato allora, si
sarebbe affermato anni dopo). "La mandai, perchè, senza averlo voluto
deliberatamente, mentre scrivevo la commedia, io non vedevo quella mia
creatura scenica vivere, se non nella persona di Dina." Con sua grande
sorpresa Guasti rispose al giovane De Angelis, e salvo fargli riscrivere il
terzo atto, la commedia venne accettata e di lì a pochi mesi (il 20 gennaio
1911) debuttava in un teatro Valle di Roma esaurito. Potete leggere queste
vicende nello spassoso libro di De Angelis Dina Galli ed Amerigo Guasti:
vent'anni di vita teatrale italiana del 1923. Tra l'altro si
tratta di un volume molto interessante sulla storia del teatro italiana tra
fine '800 e inizio '900.
De Angelis romanziere esordì con il
romanzo Robin agente segreto (1930), ispirato da un romanzo di
Joseph Conrad, un intrigo internazionale, sullo sfondo
una impetuosa storia d’amore con una donna misteriosa. In precedenza aveva già scritto Fra le quinte della guerra: diario d'un
soldato (1912) e tradotto dal francese I cuori utili, di
Paul Adam (1929) e L'accusatore, di Jules
Claretie (1930).
Il successo letterario venne dai romanzi con
protagonista il Commissario de Vincenzi, una quindicina in tutto,
scritti nel breve lasso di tempo compreso tra il 1935 ed il 1942.
Probabilmente de Angelis avrebbe
scritto molti altri romanzi con il suo commissario, ma morì nel 1944 a causa di un'aggressione
da parte di un fascista (o più probabilmente a causa del fisico debilitato
dalla prigione, in cui fu
rinchiuso con l'accusa di anti-fascismo).
Scrivere gialli durante il fascismo
De Angelis è stato un appassionato giornalista, saggista e
drammaturgo. Era in qualche modo un personaggio conosciuto e apprezzato
all'interno del panorama culturale italiano. Uomo versatile, tenne, a
partire dal 1927 dagli studi di via Santo Spirito a Milano, anche una
trasmissione radiofonica in quella che sarebbe diventata la prima radio
italiana, la EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche),
l'antesignana della RAI (Radio Audizioni Italiane). Celebre, tra le altre,
restò per esempio la sua intervista a Maksim Gor'kij (il padre del realismo
socialista) durante un suo soggiorno curativo in Italia. Negli studi dell'EIAR
Augusto De Angelis ambientò in seguito il romanzo Il Do tragico del
1937, con protagonista il commissario De Vincenzi.
Nel 1935, ad esempio, fu segretario nella giuria italiana per il concorso
mondiale del romanzo, presieduto da
Luigi
Pirandello, con altri membri
della giuria come Emilio Cecchi, Franco Ciarlantino, Lucio
d'Ambra, Augusto Foà, Salvator Gotta, Gastone Gorrieri,
Attilio Momigliano e Michele Saponaro.
De A ngelis fu attivo durante gli anni del Fascismo in Italia, periodo in cui la sua
produzione letteraria risultò inizialmente bene accetta, per finire poi censurata dal regime, che impose
anche il sequestro dei
romanzi del genere noir. Al tempo infatti, il genere
letterario noir era considerato come un prodotto della cultura
anglo-sassone, e per questo osteggiato, oltre che per motivi
propagandistici, poiché si tendeva a far scomparire il crimine dalle
cronache e dalla letteratura, alla ricerca di un mondo ordinato e perfetto.
Riuscì invece a creare, nonostante i limiti della censura
fascista sul giallo, una figura di poliziotto, il suo celebre commissario De Vincenzi, svincolata sia dai modelli
anglosassoni che dai modelli dell'"uomo forte" del regime fascista. I tempi
erano duri per chi non simpatizzava con il fascio e De Angelis seppe
abilmente destreggiarsi, con lo stesso acume del suo commissario, lasciando
la politica sullo sfondo delle sue storie e dedicandosi pienamente al
problema dell’uomo di fronte al male. Tutto questo senza rinunciare alla
costruzione di un personaggio "anonimo", l'alternativo commissario
appunto, tanto lontano dal super uomo e per niente celebrativo del regime. De Angelis
evitò di dare al commissario De Vincenzi un’"aurea più fascista",
attribuendogli ad esempio un fisico più imponente o modi più
aspri e meno "riflessivi".
Le interviste a Mussolini
Sono molto interessanti le interviste di De Angelis a Benito Mussolini. Queste
interviste "a tu per tu" si svolsero nel 1922, 1929 e 1933 e furono
pubblicate su vari giornali, trovando seguito anche nella stampa estera. La figura del
Duce che emerge da queste interviste è quella di un politico un po'
patetico, narcisista, con sogni di grandezza che si vede come il
liberatore dell'Italia e dell'Europa, un moderno Cesare che avrebbe
riportato l'Impero Romano alla sua antica grandezza.
De Angelis (lui stesso antifascista) in queste interviste fece riferimenti
alla dipendenza di Mussolini da Hitler e dalla Germania. In una di queste De
Angelis chiese al "Duce" in modo che oggi chiameremo "politicamente
scorretto": "Crede che il Fuehrer sarà fedele alla sua parola di triplice
Alleanza? O crede che alla fine vorrà regnare come signore dell'Italia?".
Mussolini rispose stizzito che "Il Fuehrer è un uomo d'onore!" Gli
uomini d'onore mantengono la parola. La nostra è una nuova epoca, un'epoca
in cui il valore della lealtà supera l'ambizione personale!"
De
Angelis nel 1929 non capiva ancora se Mussolini fosse semplicemente esaltato
o un semplice ingenuo. Forse intuiva che "l'onore" si sarebbe
trasformato in
disonore, ma non poteva certo prevedere che la "Nuova Epoca" si sarebbe
trasformata in orrore. Alcuni suoi pensieri profetici e pessimisti
trapelavano di tanto in tanto nelle interviste e in tutti i suoi scritti.
Sembra che Mussolini fosse infuriato dal "taglio" che De Angelis dava nei
suoi articoli. Si racconta che nell'ultima
intervista del 1933 (subito dopo l'elezione di Hitler a Cancelliere della
Germania), Mussolini chiese a De Angelis di "...dire la verità o la
verità ti raggiungerà". De Angelis disse la verità, ma non era quella di
Mussolini, e alla fine "la verità fascista" lo raggiunse nel luglio del
1944 quando venne arrestato.
Contemporaneamente ai suoi articoli e alle sue interviste, De Angelis dedicò
le sue energie al teatro, che rimase una passione per tutta la vita, e sul
quale tornò spesso ogni volta che gli fu possibile.
Le parole della figlia, Franca De Angelis
Come
scrisse anni dopo la figlia di De Angelis, Franca, ricordando il padre:
"Mussolini non amò mai il poliziesco, lo guardò sempre con sospetto e da un
certo punto in poi iniziò a perseguitarlo. Quali i motivi di questa marcata
antipatia? Innanzitutto, agli occhi degli esponenti del regime, questo
genere letterario favoriva la corruzione dei costumi, soprattutto quelli dei
giovani lettori: nei libri gialli, infatti (secondo Mussolini) il bene e il
male diventavano categorie morali un po’ troppo interscambiabili e assai di
frequente l’autorità veniva derisa e la virtù messa in discussione. Per non
parlare del fatto che i colpevoli risultavano spesso personaggi accattivanti
e simpatici… Quindi i romanzi polizieschi, più o meno consapevolmente,
finivano per gettare negli animi il seme della delinquenza (diceva
Mussolini!) e per questo non andava favorita la loro diffusione, che
bisognava anzi contrastare in tutti i modi! Nonostante De Angelis si
battesse con vigore e ricchezza di argomenti per difendere la letteratura
gialla, sostenendo, a ragione, che a fare male è sempre e solo la cattiva
letteratura, di qualsiasi genere e colore, e che accusare i romanzi
polizieschi di favorire la delinquenza sarebbe come dire che i romanzi di
Flaubert spingono all’adulterio e quelli di Pirandello alla pazzia, le sue
considerazioni non servirono a salvare il giallo dagli interventi della
censura. In tempi di nazionalismo forzato e di cultura autarchica, i romanzi
polizieschi furono visti come portatori di stili di vita stranieri,
soprattutto inglesi e americani, e quindi deprecabili: “Agatha Christie
(scrivevano i Fascisti di Mussolini) dimostrava che nessun grado, per quanto
elevato della gerarchia sociale è garanzia di rispettabilità per chi lo
ricopre; … Patrick Quentin svelava con amarezza gli aspetti sconcertanti del
costume e del “vivere civile? nella società moderna; … Dashiell Hammet
andava assumendo tinte polemiche di denuncia contro la polizia, le
istituzioni politiche, conniventi col mondo della delinquenza...E nel
romanzo poliziesco il regime incontrò sempre resistenze, il giallo fu sempre
uno strumento refrattario alla glorificazione del regime: in un primo tempo
il fascismo non nascose la sua antipatia per il genere ma gli permise di
vivere relativamente in pace; poi, giudicandolo addirittura nocivo e
pericoloso, tentò di eliminarlo: ‘Ci si domanda cosa si aspetta a fare un
repulisti energico e bonificatore di tutta questa zavorra di carta sprecata,
come ad esempio ha fatto il Giappone con la musica jazz, tanto più che in
questo caso non si tratta solo di una giusta ritorsione verso nemici che
anche quando non erano tali hanno sempre misconosciuto la nostra
letteratura, quanto di fare opera meritoria per l’educazione morale e
letteraria del popolo nostro.’ Arriviamo all’agosto 1941 quando: «Il
Ministero della Cultura Popolare ha disposto per ragioni di carattere morale
che la pubblicazione disposto per ragioni di carattere morale che la
pubblicazione dei libri gialli sia sotto forma di periodici, sia di
dispense, venga sottoposta alla preventiva sua autorizzazione. Il Ministero
ha disposto inoltre che vengano ritirati dalla circolazione non pochi
romanzi gialli già pubblicati e che giudica nocivi per la gioventù.
L’incarico di ritirare tali libri è stato affidato agli editori stessi."
L’ultimo volume dei “Libri Gialli? Mondadori prima della fine della
Seconda Guerra Mondiale fu "La casa inabitabile" di Ezio D'Errico
dato alle stampe nell’ottobre 1941 (che in quegli anni condivideva con De
Angelis il favore dei lettori). Il Ministero della Cultura Popolare (o
Milcunpop) con un’ordinanza del 1° giugno 1943, dispose il sequestro "di
tutti i romanzi gialli in qualunque tempo stampati e ovunque esistenti in
vendita". L'ultimo romanzo con protagonista il commissario De Vincenzi,
"Curti Bò e la piccola tigre bionda", andò in stampa il 30 aprile 1943.
Scrivere storie con cui tutti possano relazionarsi
La più
grande aspirazione di De Angelis era quella di scrivere "storie che coinvolgessero sia
il cuore che l'anima" - "storie", come diceva lui stesso "che
conducessero la mente attraverso un labirinto intellettuale in un modo
accessibile a tutti i lettori: giovani e anziani, accademici e non, uomini e
donne di tutti i ceti sociali e di tutte le classi sociali". Si proponeva di
scrivere "storie per ogni uomo; storie con cui tutti potessero relazionarsi".
A questo scopo, De Angelis si rivolse alla narrativa popolare, in
particolare al genere della biografia romanzata e alla storia dello
spionaggio.
Il suo "Robin, Agente Segreto" fu pubblicato nel 1928, ed
ebbe un certo successo; si trattava di una parodia della storia dello spionaggio convenzionale, piena di agenti
britannici, donne affascinanti, personaggi sospetti e codici segreti. Eppure De Angelis non aveva ancora trovato la "storia", il "personaggio" che cercava,
il personaggio con cui tutti avrebbero potuto relazionarsi. Poi riuscì a
crearla: il Commissario Carlo De Vincenzi, una figura da contrapporre a quelle
di poliziotto e investigatore oramai famose delle
letterature straniere. Così, con qualche punta polemica, De Angelis
rivendicava il suo buon diritto a scrivere storie d’indagine ambientate in
Italia e con personaggi italiani. Il suo protagonista seriale, che torna di
romanzo in romanzo, il commissario De Vincenzi avrebbe voluto diventare un poeta
ma
si ritrova a fare il poliziotto: attività diverse, ma in fondo simili perché
entrambe avvicinano a quei congegni complicati e delicati che sono il cuore
e il cervello degli uomini, dove sono racchiusi i segreti più reconditi
dell’esistenza.
La città in cui De Vincenzi agisce è Milano, la più moderna,
la più europea delle città italiane degli anni venti e trenta; il
commissario è un uomo colto, conosce Freud, ama la letteratura russa, non
ignora Edgar Allan Poe e si ricollega in maniera dichiarata tanto al
cavalier Dupin quanto a Philo Vance. Nella sua vita ha amato una sola
donna ed era una ragazza ebrea. Anche questo potrebbe essere stato un problema tra De Angelis e il regime fascista,
il fatto che il protagonista delle più famose
storie criminali italiane fosse innamorato di un'ebrea.
Era una situazione piuttosto imbarazzante, politicamente sconveniente e
pericolosa, soprattutto perché le storie di De Angelis erano già tradotte in
tedesco.
Gli articoli sulla Gazzetta del Popolo
Se nella letteratura De Angelis era riuscito a "dissimulare" il suo pensiero
politico, negli articoli giornalistici, non riuscì a mascherarlo
più di tanto. Diventato uno dei giornalisti di punta della cronaca
italiana del periodo, lo scrittore aveva palesemente manifestato – com e
raramente accadeva in quel periodo – il proprio sarcasmo nei confronti dei
protagonisti politici e istituzionali dell'allora Italia (Mussolini, ma
anche il re).
Quando nel 1943 i Gialli Mondadori furono chiusi, De Angelis
fuggì a Bellagio, sul lago di Como, con la moglie e le nipotine. Ma era
troppo tardi. Per gli articoli
sulla "Gazzetta del Popolo", che scrisse tra il 25 luglio all'8
settembre 1943, fu arrestato con l'accusa di essere antifascista. Fu liberato
dopo diversi mesi di detenzione, indebolito nel fisico e nello spirito e morì poco dopo essere rientrato nella sua residenza
sul lago
di Como, a Bellagio.
I dubbi sulle cause della morte
Uscito dal carcere, la malasorte attendeva
De Angelis, sotto le spoglie
di una donna. Non è chiaro l'episodio ma pare che, dopo essere stato scagionato da tutte le accuse, De Angelis
avesse incontrato infatti, per caso, la donna che lo aveva denunciato, che gli chiese
scusa per tutto quello che gli aveva causato. A quell'incontro era
presente anche il compagno di lei, tal Pietro Varoni (o Varone),
un noto fascista. Alcuni sostengono che
lo scrittore accettò le scuse, ma che il fidanzato della donna, credendo che
tra i due ci fosse un qualche legame, lo picchiò a sangue. Altri
sostengono che la donna, vedendolo appena uscito dal carcere,
con la salute così precaria, tentò di scusarsi. Alla reazione, non
entusiasta dello scrittore, l'accompagnatore della donna, sentendosi offeso,
aggredì il povero malcapitato. In ogni caso, l'aggressione fu
violenta e De Angelis, già provato dal carcere, morì per le ferite
riportate, qualche giorno dopo, il 18 luglio 1944, a soltanto 56
anni.
Un articolo del Corriere della Sera del 21 Ottobre 1950 riporta la
notizia del processo a Varoni e da una chiave di letture leggermente diversa
degli avvertimenti:
Il
romanziere Augusto de Angelis fu perseguitato ma non ucciso:
"Il sostituto procuratore generale presso la Sezione d'accusa della
Corte d'appello ha chiesto il proscioglimento per amnistia del milanese
Pietro Varoni. accusato di omicidio preterintenzionale del romanziere
AugustoDe Angelis. Il fatto risale a sei anni fa e cioè al 2 luglio 1944, ed
avvenne presso l'imbarcadero di Bellagio sul lago di Como, dove i due erano
sfollati: il primo per sottrarsi al pericolo dei bombardamenti, l'altro
perché perseguitato politico. Il De Angelis riteneva il Varone autore di una
denuncia presentata ai nazi-fascisti contro di lui, per avere espresso
sentimenti filo-inglesi egridato "Viva l'Inghilterra!" all'annuncio di una
vittoria alleata. Questa sembra essere stata l'origine di un battibecco
sorto fra i due; battibecco che si concluse con alcuni schiaffi e, pare, con
un calcio che il Varoni avrebbe sferrato all'avversario. Poco dopo il De
Angelis, infermo e sempre più perseguitato, trovava rifugio presso
l'ospedale di Como, dove decedeva per malattia polmonare" stando almeno al
referto dei medici. L'autorità giudiziaria però, alla quale carabinieri
avevano denunciato la lite, tacendo opportunamente il suo movente politico,
ordinava la riesumazione del cadavere per una necroscopia. E questa
stabiliva che le lesioni causate al romanziere dal Varoni erano state
«concausa della morte». Il Varoni venne pertanto arrestato sotto l'accusa di
omicidio preterintenzionale, ma successivamente fu posto in libertà
provvisoria. Frattanto, a richiesta della difesa, veniva affidata al prof. Cazzaniga, della Università di Milano, una consulenza tecnica, che negava
potersi in qualsiasi modo far risalire la causa della morte del De Angelis
alle percosse del Varoni. Ora, come si é detto. il sostituto P. G., nella
sua requisitoria, ha creduto che si debba trattare non di omicidio
preterintenzionale, ma di lesioni volontarie semplici: donde la richiesta,
di proscioglimento.
Il genere poliziesco
La
data di nascita ufficiale del giallo è l'aprile del 1841, quando in un giornale
di Filadelfia comparve il racconto di
Edgar Allan Poe "Gli assassini della rue Morgue", cui seguirono
"La lettera rubata" e "La rovina di casa
Usher". Poe azzeccò subito tutto: il personaggio centrale
dell'investigatore dilettante, intellettuale e raffinato, il suo
ammiratore-narratore, il delitto nella stanza chiusa, l'applicazione del
metodo deduttivo secondo il procedimento logico e la soluzione del mistero con
la sorpresa ad effetto. Il nuovo filone narrativo ebbe un successo
strepitoso.
Gli esperti spiegano che leggendo romanzi dove un presunto colpevole
risulta poi innocente, mentre la colpevolezza nascosta di qualcun altro,
viene smascherata, provoca nel lettore un sollievo e un effetto appagante.
In un contesto tutto italiano si collega
Augusto De Angelis, insieme al suo commissario De Vincenzi. Negli anni che
seguono verranno Carlo Emilio Gadda col suo commissario Ingravallo alle
prese con un maledetto imbroglio nella Roma fascista, e scrittori come
Giorgio Scerbanenco, Fruttero & Lucentini e altri.
I paesi anglosassoni, più veloci e scaltri
nello sfruttare il nuovo filone, fecero dell'Inghilterra
la patria del romanzo poliziesco. Il sarcastico Sherlock Holmes, scapolo
(chissà perché tutti i grandi detective sono scapoli), un po' misogino,
incline alla cocaina, raggiunse tanta popolarità che invano il suo autore,
Arthur
Conan Doyle, cercò di sbarazzarsene per passare a generi letterari
ritenuti «più seri».
Inglese è Padre Brown di Chesterton. Edgar Wallace,
sempre inglese, riempì all'epoca le librerie di tutto il mondo con ben 173 romanzi
gialli. E
poi le storie di delitti nella pacifica e silenziosa campagna inglese del
fenomeno Agatha Christie, forse la maggiore giallista di sempre, certo la
più letta. In America nacquero Philo Wance, Ellery Queen, Perry Mason, Nero Wolfe grasso e abitudinario.
Tutti
eroi dell'analisi comportamentale, individualisti per eccellenza. Il belga
Simenon creò il
grande Maigret casalingo e con la pipa, e una folla di personaggi sperduti
nella grande città, o in villaggi nebbiosi, omicidi che commettevano sbiaditi
delitti, oppressi da un peso psicologico da cui il poliziotto alla fine li liberava, quasi
come un confessore. Negli Anni Trenta "la narrativa poliziesca si spogliò
delle buone creanze per diventare selvatica", scrisse Chandler. Libera dalle
pastoie del genere deduttivo, nacque la "scuola dei duri", con a capo Hammett
e poi l'amaro e romantico Chandler. I loro "detective" (Sam
Spade, Philip Marlowe e Mike Hammer) sono personaggi che sembrano vivere alla
giornata e che spesso finiscono in conflitto con la polizia.
Investigatori che, per il loro passato o per i
metodi che usano, finiscono per esercitare un loro personale senso della giustizia.
La critica
letteraria del periodo fascista
La critica letteraria dell'epoca (siamo in piena epoca fascista) non fu
benevola con il nuovo genere "giallo" e cercò a più riprese di
stigmatizzarlo come scrittura “degenerata?, che poteva influire
pesantemente sull’animo dei giovani italiani. Lo scrittore e editorialista
della stampa Alberto Savinio scriveva nel 1932: “…Il romanzo poliziesco è
essenzialmente anglosassone. La metropoli inglese o americana, con i suoi
bassifondi sinistri e popolati come gli abissi marini di mostri ciechi, le
sue squadre di delinquenti disciplinati e militarizzati, le sue folle nere
come l’acqua delle fogne, l’aspetto spettrale delle sue architetture, offre
il quadro più favorevole, la messinscena più adatta al quadro del delitto.
S’immagina male un romanzo poliziesco dentro la cinta daziaria di Valenza o
di Mantova, di Avignone o di Reggio Emilia. Il viaggio di Cristoforo
Colombo, nonché segnare la fine dell’evo di mezzo, segna pure nel mondo
latino, il fallimento del mistero della mezzanotte. Nel mondo anglosassone
invece esso mistero non solo perdura, ma col volgere del tempo si rimoderna,
si industrializza, si meccanizza, si standardizza. E come concepire romanzo
poliziesco cui manchi l’atmosfera, il brivido del mistero della mezzanotte??
De Angelis aveva risposto a queste critiche, in parte, nella prefazione ad
alcuni suoi romanzi: “...L’essenziale, inoltre, per me è creare un
clima. Far vivere al lettore il dramma. E questo lo si può ottenere anche
facendo svolgere la vicenda in Italia, con creature italiane. […] Questo è
certo, ad ogni modo. Che, se il romanzo poliziesco deve nascere anche da
noi, ha da essere romanzo italiano, caratteristicamente nostro,
luminosamente nostro. Metterci proprio noi a scriver storie poliziesche, con
personaggi americani o inglesi, che si svolgono su suolo straniero, non
potrà mai costituire esercitazione artistica, nonché arte. Raffazzonatura
semmai. Pedissequa imitazione.?.
Il banchiere assassino, del 1935,
fu
il primo romanzo giallo di De Angelis, che sebbene non sia stato il
primo scrittore italiano a praticare il genere poliziesco, certamente è da
considerarsi il primo ad averne compreso il potenziale, in termini di
pubblico e di possibilità narrative, e a sapere andare oltre le proposte di
romanzi gialli che arrivavano
dall’estero (Agatha Christie
ed Edgard Wallace, lo stesso Simenon).
Poliziesco
all'italiana
De
Angelis, nonostante le mille difficoltà del tempo, e ricorrendo a tanti stratagemmi — fra gli
altri quello, abituale, di dover assegnare nomi e cittadinanze straniere ad
assassini e a vittime, benché gli uni e le altre fossero talvolta
identificabili perfino con personaggi italianissimi esistenti — scrisse molto, affermandosi come autentico romanziere poliziesco, e
tenendo fede alla sua «sfida» che rilanciava con sottile ironia:
"Il romanzo poliziesco è il frutto rosso
di sangue della nostra epoca. È il frutto, il fiore, la pianta che il
terreno poteva dare. Nulla è più vivo, e aggressivo della morte oggi. Nel
romanzo poliziesco tutto partecipa al movimento, al dinamismo contemporaneo:
persino i cadaveri che sono, anzi, i veri protagonisti dell’avventura. Nel
romanzo poliziesco ci riconosciamo quali siamo: ognuno di noi può essere
l’assassino o l’assassinato...".
Ecco ancora le sue parole:
"Ho voluto e voglio fare un romanzo
poliziesco italiano. Dicono che da noi mancano i detectives, mancano i
policeman e mancano i gangsters. Sarà, a ogni modo a me pare che non
manchino i delitti. Non si dimentichi che questa è la terra dei Borgia, di
da Romano, dei Papi e della Regina Giovanna...
Prima di scrivere i suoi polizieschi,
l'autore aveva riflettuto molto sulla possibilità di creare un genere nuovo per
l'Italia, staccandosi dai gialli americani e inglesi, dal detective
superuomo e dalle indagini basate solo sugli indizi. Grazie anche a queste
riflessioni De Angelis riuscì a creare un
poliziesco tutto autoctono, capace di far vivere ai lettori un dramma, di
farli immergere a pieno nel clima della storia, conquistandoli pagina dopo
pagina con personaggi complessi.
Quelle presentate da De Angelis erano
atmosfere vere, le vicende narrate erano ambientate nella metropoli italiana
simbolo della modernità dell'epoca,
Milano,
le storie intrise di indagini socio-psicologiche
erano capaci di suscitare riflessioni profonde sulla vita e conquistarono i
lettori. La Milano che viene ricordata anche nel libro nel quinto romanzo di
Umberto Eco "La misteriosa fiamma della regina
Loana" del 2004. Quando il protagonista colpito da un ictus,
risvegliandosi dopo alcuni giorni completamente senza memoria, decide di
riscoprire insieme a vecchi quaderni, dischi e fumetti, le antiche letture
della sua giovinezza, riesce pian piano a recuperare parte del suo passato.
Una di queste letture è L'Albergo delle tre rose di Augusto De
Angelis (capitolo 14).
Carlo de Vincenzi
Il personaggio più noto creato da De Angelis
è l'ispettore
Carlo De Vincenzi, un intellettuale più che un uomo di legge,
sicuramente diverso dallo stereotipo dell'investigatore alla Sherlock Holmes,
e lontano dalle figure tradizionali del genere noir inglese. Il Commissario De Vincenzi è poliziotto italiano degli anni '30, tanto sofisticato e ricco di umanità
quanto poco «in linea» con i suoi tempi, col regime fascista.
Il
Commissario De Vincenzi ama poco le gerarchie, disprezza — seppur con
cautela — i potenti, finisce col parteggiare per i vinti che pure di solito
si trova ad arrestare, rifugge dalla brutalità, si serve della "tecnica"
investigativa soltanto per lo stretto necessario: la sua "arma" di indagine
è infatti, il saper cogliere la particolare atmosfera che aleggia sul luogo
del delitto, che circonda i personaggi. Ancora, i suoi spostamenti avvengono
in tram, non usa quasi mai il suo ufficio per interrogare gli indiziati ma
preferisce aggirarsi sulla scena dell’omicidio scambiando poche frasi, ora
con l’uno ora con l'altro, cercando di cogliere l’indizio rivelatore, di
captare la frase sfuggente e di carpire i segreti che quasi tutti gli uomini
nascondono, per giungere a quello che ha fatto scattare la molla del delitto.
Capace di leggere nel profondo della mente e
del cuore umano, De Vincenzi cerca la verità del delitto nella psicologia
delle persone, in motivazioni e impulsi profondi. I casi in cui si trova invischiato si rivelano sempre come
intricati grovigli di menzogne, di oscuri retroscena, di lontani misfatti
che finiscono col ricondurre nuovamente al delitto. L’enigma si può sciogliere soltanto illuminando il passato,
attraverso continui colpi di scena, mentre tanti indizi, confondono
all'inizio le acque ma
alla fine, si rivelano univoci e funzionali all’intreccio.
Di lui i suoi fedeli
collaboratori dicono che più che il capo della squadra mobile doveva fare il
poeta…
Insomma, gli
ingredienti mescolati da De Angelis sono quelli classici dello scrittore
poliziesco di rango: suspense, suggestione, efficacia, e soprattutto "lealtà" verso il lettore,
lo spettatore. La chiave
del giallo è lì, disseminata fra tutti gli altri indizi, e chiunque può
giungere alla soluzione nello stesso tempo e usando le stesse armi del
commissario De Vincenzi: l'intuito, l'attenzione, la capacità di cogliere
ogni dettaglio, la costanza nel riuscire a far quadrare tutte le tessere
del mosaico.
De Vincenzi come Maigret?
A quale «modello» di investigatore più celebre paragonare De Vincenzi? Di volta in
volta è stato definito umanissimo come il Maigret di Simenon, romantico come
il Marlowe di Chandler, intellettuale come il Philo Vance di Van Dine, ma in
ogni caso — come ha ricordalo Oreste Del Buono — tanto caparbiamente
italiano da poter essere considerato un immediato predecessore e un parente
abbastanza stretto del commissario Ciccio Ingravallo di Quer
pasticciaccio brutto di via Merulana di Gadda.
De
Angelis come Simenon? Effettivamente De Angelis ricorda per stile e carattere un
grande della letteratura mondiale del periodo, il belga
George Simenon,
celebre soprattutto per aver dato vita al personaggio del commissario
Maigret.
In verità tra i due commissari, De Vincenzi e Maigret, c'è una
certa differenza, e non
solo fisica, ma soprattutto di ambientazione (quella della Milano fascista
per il commissario De Vincenzi, un uomo riflessivo che lavora nell'ombra,
tutto il contrario di quei personaggi esibizionisti e virili cari alla
letteratura fascista.). Certo
i due commissari sono accomunati dall’amore per l'arte e la cultura e ancor di più dall'amore
per la
poesia e sono pazienti, con ottima memoria e con buon senso dell'umorismo.
Carlo De Vincenzi è vicino a Maigret e lontano dai clichè dell'investigatore
di stampo anglosassone e dalle sue tecniche d'investigazione. Il
detective non è un superuomo e l’indagine non è puramente indiziaria.
L’umanità del commissario ed il realismo delle situazioni conquistarono il
pubblico italiano.
A lungo dimenticate, le opere di De
Angelis furono riscoperte intorno agli anni Sessanta - Settanta del
secolo scorso, grazie anche agli sceneggiati televisivi della RAI
(1974-1975) e, ancor prima, allo scrittore Oreste del Buono, che
ripubblicò alcuni romanzi.
La
serie TV
Molti
dei libri di De Angelis furono adattati negli anni '70 dello scorso secolo
per la RAI televisione italiana e trasmessi in episodi
con protagonista l’attore Paolo Stoppa, che indossava le vesti del
detective colto e malinconico, il commissario De Vincenzi appunto. L'autore
scrisse una quindicina di romanzi con protagonista il commissario tra il 1935 ed il 1942
e altri ne avrebbe scritti sicuramente se non fosse morto nel 1944.
De Angelis riuscì a creare, nonostante la censura fascista sui "Gialli"
(tra cui l’obbligo di adottare nomi stranieri per i personaggi che si
rendevano colpevoli di qualche delitto e quello di non rappresentare
suicidi), una figura di poliziotto molto diversa e più realistica rispetto
ai modelli anglosassoni ed ad altri autori italiani, che avevano preferito
ambientare le loro storie all'estero e con personaggi stranieri.
Disse di lui Oreste del Buono
Oreste del Buono, uno dei massimi conoscitori di De Angelis ce lo racconta
così:
"Era
pieno di progetti e di sogni (un ciclo intero di romanzi seri sull'umanità
tra le due guerre, una lunga serie di commedie). Di quanto aveva tentato e
di quanto avrebbe tentato di fare, purtroppo, ci restano quasi
esclusivamente i romanzi polizieschi..."
"Fu un geniale cronista, di vari quotidiani. Le sue capacità di
giornalista erano fuori discussione, avrebbe fatto una grande carriera, se
soltanto si fosse piegato un poco ai tempi in cui gli era toccato vivere. Ma
a un'abdicazione simile non seppe rassegnarsi mai, anche se questo implicava
restrizioni, disagi, affanni. Per campare lavorò sempre moltissimo e i
romanzi gialli costituirono una risorsa, quando con le sue idee trovava
difficile scrivere per i quotidiani gonfi di retorica del regime. Lui, però,
non sottovalutò mai lo scriver gialli, non lo degradò ad attività meramente
utilitaristica. Ci pensò, ci ripensò, formulò anche qualche sua teorizazione
tipo «Poe non ha conosciuto Freud. Ma oggi scrivendo un romanzo poliziesco
non si può ignorare Freud» o «L'arte dell'autore di romanzi polizieschi
consiste nel far passare dall'incosciente al cosciente senza esagerare,
però, le facoltà divinatorie dei lettori»...Il fascismo non esiste nei
romanzi del suo ciclo. Esiste la vita come attesa monastica in Questura,
esiste la vita come ebollizione infernale nella città che sta crescendo
senza misura, ma non esiste il regime. I contatti, caso mai, li tiene l'azimato
Questore con l'eterno garofano rosso all'occhiello da cambiare tre volte al
giorno. De Angelis si ostinava a ritenere il fascismo un fenomeno
transitorio da non prendere in considerazione."
Opere
De Angelis scrisse una ventina
di opere, in un arco di tempo tra il 1930 e il 1943. Scrisse anche diverse
commedie teatrali, due biografie e un volume di ricordi
di Dina Gali, attrice da lui preferita, attiva nel primo Novecento e molto
apprezzata dal pubblico. Oltre ai polizieschi e alle biografie si dedicò
alle traduzioni. Nel
1934 scrisse Maria Antonietta - Regina di Francia, la
biografia della regina più controversa di Francia, e nel 1936 tradusse
L'esercito segreto dell'Inghilterra: rivelazioni di un sanzionista,
di Robert Boucard.
Il 1936 fu un anno abbastanza prolifero per De
Angelis, con i romanzi Sei donne e un libro,
Giobbe Tuama & Co., La barchetta di cristallo,
Il canotto insanguinato, Il candeliere a sette fiamme
del 1936 (dove in pieno periodo fascista si schierò
palesemente a favore del popolo ebraico),
L’albergo delle tre rose, Intelligence Service. La
fucina dello spionaggio inglese, Hitler e il Reno e
L'amante di Cesare (una breve biografia sulla regina egizia
Cleopatra), che insieme alla biografia su Maria Antonietta, raccolse nella
serie di opere di "donne nella storia".
Cronologia delle opere
Romanzi del ciclo del Commissario De Vincenzi
ROBIN AGENTE SEGRETO (1930)
IL BANCHIERE ASSASSINATO (1935)
SEI DONNE E UN LIBRO (1936)
GIOBBE TAUMA & C. (1936)
Il CANNOTTO INSANGUINATO (1936)
IL CANDELIERE A SETTE FIAMME (1936)
LA BARCHETTA DI CRISTALLO (1936)
L'ALBERGO DELLE TRE ROSE (1936)
IL DO TRAGICO (1937)
IL MISTERO DELLA "VERGINE" (1938)
LA GONDOLA DELLA MORTE (1936)
L'IMPRONTA DEL GATTO (1940)
LE SETTE PICCHE DOPPIATE (1940)
IL MISTERO DI CINECITTA' (1941)
IL MISTERO DELLE TRE ORCHIDEE (1942)
L'ISOLA DEI BRILLANTI (1943)
CURTI BO' E LA PICCOLA TIGRE BIONDA (1943)
Altre opere
Dina Galli ed Amerigo Guasti: vent'anni di vita teatrale italiana
(1923)
Interviste e sensazioni (1926)
Viaggi con Claudine (1927)
Maria Antonietta - Regina di Francia (1934); Lucchi 1960
L'amante di Cesare
(1936)
Hitler e il Reno (1936)
Intelligence Service. La fucina
dello spionaggio inglese (1936)
La vita comica ed eroica di Dina Galli (1938, sull'attrice)
Opere teatrali
"Pupattolina", 1911
"Burle d'amore", 1913
"Lo specchio", 1915
"Bluff", 1921
"L'uomo che recita", 1924
"Il pellicano", 1927
"I gamberi impazziti", 1928
"La giostra dei Peccati", 1929
"All'insegna dei gamberi" , 1929 (con Dina Galli)
"Anita", 1932 (dramma storico garibaldino scritto con Mario Ottolenghi)
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