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The
Monument - Il Monumento del Grande Incendio del 1666.
The Monument è una colonna commemorativa alta 62 metri eretta
tra il 1671 e il 1677 per ricordare il Grande Incendio di
Londra. Si trova vicino al London Bridge e sulla sua sommità si
apre una terrazza panoramica aperta al pubblico.
ALondra
si trovano migliaia di monumenti e molti sono di gran lunga più
importanti di questo, ma ormai da più di 300 anni i londinesi
continuano a chiamarlo semplicemente "The Monument", il
Monumento. Si tratta di una colonna in stile dorico, alta 61
metri, che fu eretta da Christopher Wren e Robert
Hookend 1671-77 per ricordare il "Great Fire", il Grande
Incendio di Londra, che divampò nella notte del 2 settembre
1666 in Pudding Lane (60 metri da The Monument) per
terminare dopo cinque giorni al Pye Corner. |
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Un
primo progetto prevedeva una scultura con lingue di fuoco in ottone dorato
uscenti da feritoie; si ripiegò invece su una colonna adornata alla sommità
da un’urna dorata. Una scala a chiocciola interna di 311 scalini, conduce ad
una piattaforma quadrata da cui si gode una splendida vista sulla
City di Londra e sul Tamigi. Sul lato ovest del
piedistallo c’è un rilievo di Caius Gabriel Cibber: sullo sfondo il
disastro e in primo piano la ricostruzione operata da Carlo II, in
vesti romane, aiutato dal Tempo, dal Trionfo e dall’Abbondanza.
Nel
1665 gli abitanti di Londra uscivano, poco più che dimezzati, dall’incubo
della Great Plague (la Peste); l’incendio dell’anno successivo
sorprese pertanto una città semideserta. La Corte si era trasferita
momentaneamente ad
Oxford e la
popolazione sopravvissuta era variamente dislocata nelle campagne assieme a
tutti i rappresentanti dei vari organi di governo. Inizialmente lento, il
fuoco, sollecitato da un forte vento spirante da est, fece quindi scempio
non di vite umane, ma di 176 ettari della City, distruggendo 460 strade, 89
chiese (fra le quali la
Cattedrale di St. Paul)
e oltre 13.000 abitazioni.
"È
stato calcolato che gli affitti delle case distrutte dal fuoco nella City
ammontassero alla cifra di 600.000 sterline annue", questa l’eloquente
annotazione di Samuel Pepys che assistette al disastro. Nell’area
compresa a sud dalle colline del Kent e del Surrey e a nord da
quelle di
Hampstead e
Highgate
fu impossibile trovare traccia dell’antica City, delle sue costruzioni
medievali e di quelle elisabettiane: praticamente del volto della città
anteriore al 1666.
La
Torre di Londra,
la Cattedrale di Westminster e Westminster Hall, la Tempie
Church, Whitehall e Charterhouse erano fortunatamente
salve, ma tutto il resto dovette essere ricostruito ex-novo e non certo con
la sovvenzione di Compagnie Assicurative, inesistenti a Londra prima del
1680. I progetti per la ricostruzione presentati da Wren, da Robert Hooke,
da Evelyn e da William Petty, per quanto ambiziosi,
avveniristici ed armoniosi, rimasero lettera morta, anche se in occasione
dei rifacimenti furono apportate non poche migliorie.
Christopher
Wren fu designato nel 1669 Sovrintendente generale, con l’incarico di
ricostruire le chiese distrutte e di conservare ed edificare residenze reali
ed edifici pubblici. Negli ultimi trenta anni del secolo ricostruì
parzialmente o interamente 45 chiese, 34 delle quali sopravvissero fino al
1940. La ricostruzione fu attuata secondo un piano regolatore fissato dal
Parlamento; strade, vicoli e case vennero classificati in base alle
dimensioni e all’importanza e furono dettate rigide norme circa l’altezza
degli edifici e i materiali da usarsi per la loro ricostruzione.
Le
vie furono allargate e si ebbe anche un notevole miglioramento
dell’illuminazione stradale e delle forniture idriche. Il risultato fu che
la Londra medioevale, con le sue viuzze anguste e le case di legno, cedette
il posto ad un sistema stradale ed edilizio ancor oggi funzionale. Ormai
Londra si avviava a divenire una grande metropoli, quella che conosciamo
oggi. È da notare però che il nuovo volto della City non fu soltanto quello
architettonico. Cambiò infatti anche la geografia umana della zona
maggiormente colpita dall’incendio. Molti di quelli che avevano dovuto
abbandonare la propria casa non vi fecero più ritorno, o vi tornarono solo
per lavorare, preferendo abitare nei sobborghi della città. Questa zona finì
per essere popolata quasi esclusivamente da artigiani e operai, provenienti
talvolta addirittura dall’estero.
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