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Grand Tour - Il viaggio per imparare a
vivere. Storia, itinerari e tappe fondamentali del viaggio nella
Penisola compiuto da intellettuali e artisti tra '600 e '800.
Coniato da Richard Lassels
nel suo viaggio del 1670 in Italia, il termine "Grand Tour"
è venuto a riferirsi ai viaggi di una elite nord europea,
in maggioranza brittanica, in
Francia, in Svizzera, e nel Sud dell'Europa ed aveva
apparentemente un carattere educativo. L'obiettivo primario del
Grand Tour era il viaggio in Italia, dove giovani artisti,
aristocratici e uomini di stato, vennero a toccare con mano i
resti della cultura classica. Le origini del Tour si possono
trovare nel XVI secolo, ma toccò il suo apice nei secoli tardo
XVII e XVIII.
Che cos'era il Grand Tour?
Forse
se qualcuno di voi fosse stato un nobile brittanico o nord
europeo nel XVIII secolo, avreste completato la vostra
formazione attraverso un periodo di viaggi alla scoperta
dell'Europa, in particolar modo della nostra Italia. Il Gran
Tour poteva durare da pochi mesi a 8 anni, quindi solo i
più ricchi, di tempo e denaro potevano metterlo in pratica.
Intraprendendo il Tour, i giovani imparavano a conoscere la
politica, la cultura e l'arte delle terre vicine. Il Grand
Tour fu il primo episodio documentato di turismo di massa:
precursore, due secoli fa, delle stagionali migrazioni per
sfuggire ai grigiori del Nord e cercare il sole del Sud.
Ma i circa 100 mila inglesi e
le molte migliaia di tedeschi, scandinavi e russi, che nel
Settecento calarono sull'Italia erano attratti, più che dal sole
inteso come invito alla spiaggia, dal sole dell'arte e della
cultura, inteso come luce e come vita. Ci fu un momento, nel
XVIII secolo, in cui la cultura di un nobile, di uno scrittore o
semplicemente di una signorina di buona famiglia non poteva
essere completa senza un viaggio culturale europeo, con l'Italia
meta essenziale. «Un uomo che non sia stato in Italia -
scriveva Samuel Johnson - sarà sempre cosciente della propria
inferiorità, per non avere visto quello che un uomo dovrebbe
vedere».
Perché l'Italia?
La destinazione principale del Grand Tour è stata l'Italia, con
il suo patrimonio di antichi monumenti romani e greci. Il gusto
del XVIII secolo venerava l'arte classica e la cultura degli
antichi. Gli inglesi, in particolare, erano attirati in Italia
per la loro ammirazione per le nostre antichità e il desiderio
di vedere in prima persona i monumenti della civiltà antica come
il
Colosseo
a
Roma, e tali meraviglie della natura come le
eruzioni vulcaniche del Vesuvio vicino a
Napoli.
Manuali per sopravvivere al
Grand Tour
Il Grand Tour poteva essere
pericoloso, bisognava fare molta attenzione ai tipi di letto che
le locande e i posti di ristoro offrivano al viaggiatore stanco,
affamato e alla ricerca di comfort. Il giaciglio poteva essere «abitato»
oppure «guernito» e qualche volta si potevano avere
entrambe le combinazioni. Nel primo caso chi viaggiava andava
incontro alla coabitazione con cimici e pulci. Il magistrato
ugonotto francese Maximilien Misson, scrisse una
vera e propria guida al Grand Tour nel 1668 dal titiolo Nouveau
Voyage d'Italie, dove in appendice raccomandava che se non
ci si poteva portare dietro una brandina bisognava almeno avere
con sé lenzuola o coperte. Poi venne la fortunatissima guida di
viaggio dell'inglese Mariana Starke, invece, consigliava,
a scopo di protezione, un ampio camicione da notte da indossare
sopra i vestiti. Lo scrittore francese Stendhal nel suo romanzo
più famoso La Certosa di Parma, riferisce di un viaggio
di uno storico inglese che "non pagava mai niente, nemmeno
per la più piccola sciocchezza senza prima guardare il suo
prezzo nei viaggi di una certa signora Starke, un libro che ...
indica al prudente inglese il costo di un tacchino, una mela, un
bicchiere di latte e così via ".
Il letto «guernito», annotava
Johann Georg Keyssler in un'altra famosa guida secentesca
di ben 2200 pagine dal titolo Nuovi viaggi in Germania,
Boemia, Ungheria, Svizzera, Italia e Lorena, è quello
confortato da «una graziosa pollastrella», e poteva risultare "estremamente
gradevole". Per chi apprezzava questo tipo di compagnia, tra
le città «proibite» c'era
Messina - gran quantità di «polvere, pulci,
puttane» - e
Venezia dove c'è da scialare tra «signorine» e
mezzane. Il viaggio come sfida all'ignoto: a partire dal
Cinquecento, e in numero
sempre crescente nel secolo dei Lumi e nell'Ottocento, caleranno
a frotte i giovani
impegnati nel «Grand Tour» d'Europa e d'Italia, desiderosi di
completare e arricchire
la propria formazione sulle più svariate discipline, dalla
botanica e mineralogia,
all'idraulica, alla storia dell'arte, alla pittura e al disegno.
Ma non solo per
questo. Il viaggio è battesimo, è una completa iniziazione non
esclusivamente culturale
ma anche sessuale. John
William Polidori, autore del
Il Vampiro (uno dei primi romanzi "vampireschi" mai
apparsi) scrisse nei suoi diari di viaggio in compagnia di un
giovane Lord Byron «Il nostro eroe (Byron) avvertì i suoi tutori
che anche lui avrebbe compiuto quel Grand Tour da molte
generazioni ritenuto indispensabile
per la formazione di un giovane; si teneva per assodato che i
giovani dovessero
acquisire una certa qual familiarità con il vizio, sì da poter
tener testa agli
anziani ed evitare di passare da allocchi ogni volta che si
affacciassero alla conversazione
argomenti scabrosi». E Byron di familiarità con il vizio se ne
prese parecchia. William Bosswell, per non essere da meno, racconta con dovizia
di particolari le
sue deliziose «cavalcate» di viaggio con cameriere fiorentine e
senesi; William
Beckford, aristocratico ventiduenne, fu costretto a distruggere
la prima redazione
di un suo esplosivo diario di erotica peregrinazione.
La "mania", in ogni caso, dilagava come una febbre in tutta
Europa. Annotava un
ignoto viaggiatore nel 1772 che «la mania dei viaggi è arrivata
a un punto tale
che non c'è cittadino di buona forma economica che non voglia
godere della conoscenza,
per quanto fugace, della Francia, dell'Italia, della Germania».
Ma anche se non
si tratta che di una «fugace» visita alle capitali (che comunque
non durerà meno
di cinque, sei mesi), la preparazione del Grand Tour, a cui a
partire dal Cinquecento
si accingono avventurieri, attori, letterati e poi i rampolli di
nobili o ricche
famiglie, magari in compagnia di illustri ma squattrinati
precettori come Adam Smith, Hobbes, Locke
etc, è minuziosa, richiede
mesi, forse anni. Esistono una serie di complicati dettami, di
norme di sopravvivenza,
di precauzioni, di scelte di abiti, di carrozza e locande, come
racconta nel suo interessantissimo saggio del Attilio
Brilli in "Quando viaggiare era un'arte"
del 1995, che
delineano
il profilo del buon viaggiatore, di colui che riuscirà cioè a
"trarre più profitto"
in tutti i campi della sua formazione e a imbattersi in minori
rischi.
E i giovani
travolti dall'ardore per questa difficile arte non erano certo
in pochi: circa
40 mila erano le presenze annuali straniere tra Francia e Italia
a metà del secolo
dei Lumi (il settecente per chi avesse qualche amnesia), e in crescita nel tempo. Sono gli albori del moderno
turismo giovanile
di massa. La minuziosa programmazione, per cui fioriscono guide
e manuali, sembra
anticipare i viaggi del «tutto compreso» con il tour pianificato
minuto per minuto.
Allora, però, i dolori del giovane viaggiatore potevano arrivare
copiosi persino
se il viaggio veniva condotto con il massimo dispendio e grande
opulenza.
Infatti chi immagina
il turista settecentesco come un ardimentoso solitario a cavallo
del suo destriero certamente commette un errore: «Il servitore scelto per
accompagnare il giovin Signore
dovrà avere familiarità con la lingua franca, dovrà saper
scrivere con calligrafia
chiara, dovrà poi avere qualche nozione di chirurgia...»,
predica un manuale del
bon ton peripatetico del Settecento. Se un solo servitore non
aveva tutte queste
virtù, si rimediava alla qualità con la quantità e giovanotti e
giovanette venivano
scortati da veri e propri cortei. Per esempio, il conte di
Burlington, Richard Boyle
noto come l'architetto-conte,
il filantropo che portò in Inghilterra lo stile nel classico,
nel 1714
arrivò nella penisola con un seguito di quindici persone, tra
cui un esperto di
giardini, un cuoco e un contabile. Fondamentale per la sicurezza
e la comodità degli
spostamenti era poi la scelta della carrozza «che sarebbe stata
- scriveva John
Irving il Vecchio - il sostituto dell'abitazione per molti mesi». Così, per
non negarsi nessun
lusso, i più facoltosi e chi poteva permetterselo, come Lady
Marguerite Blessington, (che scrisse Conversations with
Lord Byron nel 1834 dopo avere incontrato più volte il poeta
a
Genova durante il suo Grand Tour e l'anno
seguente in Vagabondaggio in Italia)
avevano carrozze
a doppie molle, fornite di materassi, cuscini, toeletta,
biblioteca. Oppure ancora
Lord Byron che viaggiava con il suo serraglio di animali che servivano allo
svago o alla cucina,
oppure
Charles Dickens e famiglia che si muovevano in un elegante furgoncino
trainato da quattro
cavalli con portaliquori in cuoio e lampade per il giorno e per
la notte.
Per i meno
abbienti le carrozze di posta somigliavano a stipatissimi
torpedoni di fortuna, oppure a un intasato volo low cost, con
l'inconveniente che si doveva stare insieme ad altre persone parecchie settimane
coltivando antipatie,
pessimi umori e cattivi odori. E non solo. Numerose memorie
offrono suggerimenti
per non restare anchilosati dopo un immobilismo magari di ore. Guasti meccanici erano all'ordine
del giorno e bastava
una tempesta per mandare all'aria la più solida delle strutture,
come capitò a Dominique
Vivant Denon, nel 1778, futuro primo direttore del
Louvre,
accompagnato da giovani pittori,
che vicino a
Brindisi vide volare nel fango decine di disegni e
acquerelli.
Comunque,
se l'Italia offriva le strade migliori (le peggiori la Russia,
la Polonia e la Prussia) però la Penisola già da allora era afflitta
secondo i viaggiatori del Grand Tour da un truffaldino
sistema di tangenti come riporta ancora
Mariana Starke. «Le classi lavoratrici italiane sono sempre in
combutta fra loro
per defraudare i viaggiatori, per cui l'insegnante d'italiano
che vi procura una
camera d'affitto riceve dal padrone di casa una certa somma che
vi viene addebitata
insieme alla pigione; il valet de chambre che corre a noleggiare
un calesse per
vostro conto, riceve dal proprietario un salario mensile che
verrà caricato sulle
spese di noleggio...».
Arte del Grand Tour
Mentre i nobili venivano
ad affinare i loro gusti visualizzando l'arte della Roma antica,
studenti d'arte provenienti da tutte le parti d'Europa venivano
in Italia per imparare l'arte dai modelli antichi. L'arte
prodotta in Italia durante l'epoca del Grand Tour mostrava una
stretta osservazione del paesaggio naturale e dei manufatti
antichi, celebrava i moderni costumi italiani, e commemorava le
visite dei ricchi mecenati.
Un itinerario artistico che
partiva dal «sogno dell'Italia» e che, attraverso paesaggi,
feste, folklore e riscoperta dell'antico, si concludeva spesso
con la moda di scopiazzare l'Italia nell'Inghilterra. E così,
fra Canaletto,
Pompeo Batoni, Bellotto, Piranesi,
Claude Lorrain, Zoffany, Fragonard, Joshua Reynolds e
Angelica Kauffmann si annidavano nomi relativamente sconosciuti; ma tutti
con qualcosa da dire - compresi i cartografi, che con quel
turismo d'elite avviarono un redditizio business, un'esplosione
commerciale, fatta di tesori ritrovati e di falsi confezionati
su misura. Molti artisti - non ultimo lo stesso Canaletto -
dovettero la loro fortuna in terra inglese proprio alla
riscoperta dell'Italia da parte di principi, mercanti e
scrittori. L'Italia dell'arte e dell'architettura ma anche delle
feste e del buon vivere era una sorta di grande palcoscenico per
i playboy d'allora, per i giovani bene (con tutore), per gli
aspiranti alla politica che facevano il Grand Tour come oggi si
andrebbe in America per prendere il «master» e che al ritorno ne
erano premiati diventando deputati quasi a colpo sicuro.
di Massimo Serra per Informagiovani-Italia
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