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Il Giardiniere - Van Gogh -1889
  
Il Giardiniere (anche conosciuto come
Ritratto di un giovane contadino)
di
Vincent Van Gogh è una delle opere più famose conservate alla
Galleria Nazionale d'Arte
Moderna di Roma, questo anche per la sua travagliata
storia (non ultimo il rocambolesco furto avvenuto nel 2000).
Il dipinto, che ritrae un semplice contadino venne
eseguito nel settembre del 1889, durante il soggiorno del pittore (che allora
aveva 36 anni, un anno prima della sua morte) all'interno dell'ospedale
psichiatrico nel comune
Saint-Rémy-de-Provence in
Provenza.
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Sei anni prima, nel 1883, in una
lettera al fratello Theo, Van Gogh scriveva: "Sento in me una tale
potenza creativa che sono sicuro che dovrà arrivare il momento in cui, per
così dire, creerò qualcosa di buono ... voglio lasciare di me un qualche
ricordo sotto forma di disegni o dipinti, eseguiti non per compiacere un
certo gusto in fatto d’arte, ma per esprimere un sincero sentimento umano,
qualcosa di molto alto... qualcosa di sacro". Solo tre anni prima
Van Gogh, nel 1880, aveva deciso di diventare pittore, a 27 anni. Comincio a
dipingere che ne aveva 30. In sette anni la sua produzione fu incredibile.
Quasi non passò giorno senza produrre un dipinto. Dopo la sua prematura
morte le opere di Van Gogh faticarono a trovare mercato (in tutta la sua
vita vendette solo un quadro, ad Anne Boch, la Vigna Rossa).
Con gli anni dopo l'altrettanto prematura morte del fratello
Theo Van Gogh, sostegno economico e sentimentale di una vita,
avvenuta pochi mesi dopo, fu sopratutto la moglie di Theo, Johanna Borger che raccontandone la vita
attraverso le lettere, promovendo le sue prime esposizioni, lo farà diventare
piano piano emergere sulla scena artistica internazionale. Ci furono altri
ingredienti favorevoli che consentirono alla figura di Van Gogh di diventare
un punto di riferimento nella Storia dell'Arte occidentale, ma probabilmente
la più romantica e interessante fu l'aiuto disinteressato che il pittore
olandese ricevette dal negoziante di colori burbero e buono
Père Tanguy a
Parigi.
Senza di lui forse
non avrebbe nemmeno continuato a dipingere).
Il Giardiniere è un'opera molto significativa, in quanto considerata la
più importante del pittore olandese tra quelle presenti nelle
collezioni pubbliche italiane. Capolavoro del periodo provenzale
di Van Gogh, racchiude alcuni dei temi fondamentali della sua
pittura, come il tema del ritratto, il rapporto con la natura e
l'accostamento dei colori primari e complementari. In questo
quadro si possono ben
notare le
variazioni di colore che subentrarono nello stile del pittore,
una volta arrivato in
Provenza.
A Saint-Rèmy-de-Provence Van Gogh viene curato per sospetti
sintomi di epilessia e seguito dal dottor Théophile Peyron, direttore della clinica psichiatrica
Maison de Santè. Il dottore si stupì del fatto che
il suo paziente con l'orecchio bendato (dopo l'incidente con
Gaugin ad
Arles, vedere la
biografia di Van Gogh) si fosse presentato
volontariamente per il ricovero. In questo periodo Van Gogh passava le giornate nella sua stanza, guardando
il giardino dell’ospedale che si distende dietro la finestra a
sbarre, oppure dipingendo fuori dalla clinica, sempre
sorvegliato. Dalle lettere con il fratello Theo risulta tuttavia
che, pur in un momento così difficile, il pittore fosse abbastanza cosciente e forse più consapevole
della propria arte.
Il personaggio nel quadro di Van Gogh, Il Giardiniere,
sembra quasi come un alter ego del Pittore: il vago sorriso che
tradisce una certa malinconia, l'accettazione quasi
"ironica" la propria sorte. Diceva anni prima: "Fare brillare
per gli uomini la propria luce. Questo è, io credo, il dovere di
ogni pittore. Ma se questa luce dovesse diffondersi attraverso
le esposizioni, a mio parere, non se ne avrebbe una trasmissione
diretta. Io mi auguro si diano occasioni più numerose e migliori
delle esposizioni, per accostare l’arte al popolo". La
natura circostante, con la verde vegetazione del giardino
dell'ospedale psichiatrico da cui non poteva allontanarsi e che
farà da sfondo ad altri quadri, è una scenografia giusta per un
tormento che cerca sempre e comunque la pace. Ormai Van Gogh è
completamente padrone della sua personalissima tecnica
pittorica, lo stato della sua mente non conta. Il soggetto del
quadro, nonostante l’umiltà della sua professione, emerge con
fierezza dal volto in primo piano. I colori sono, sopratutto per
il pittore, una speranza, da contrapporre all'indurimento che si
sta creando dentro la sua testa che a tratti gli impedisce di
vedere il minimo spiraglio verso il futuro. Il crollo psichico
avviene dopo che il sogno di mettere su atelier artistico
assieme a Gauguin ed Emile Bernard, svanisce.
Il Giardiniere da quando fu eseguito, da Van Gogh a
quando ha trovato la sua attuale collocazione, ha avuto una
storia tutta particolare che culmina con l'acquistato da parte
della Galleria di Arte Moderna di Roma nel 1989 e con il famoso
furto nel maggio 1998, insieme all'Arlesina, l'altro Van
Gogh presente nella Galleria Nazionale e ad un
Cezanne
Le Cabanon de Jourdan. Per fortuna poi la tele vennero ritrovate
qualche settimana più tardi.
Dopo la morte di Van Gogh Il Giardiniere , che all'epoca
si chiamava Il Contadino, entrò nel
mercato dei collezionisti, arrivando nella galleria parigina del
mercante di origini ebree Paul Rosenberg (agente tra gli
altri di Pablo Picasso, Georges Braqu e Henri
Matisse), nel 1910, venne
acquistato da Gustavo Sforni, raffinato intellettuale pittore
macchiaiolo nonché collezionista che nei primi del novecento che
porterà a Firenze, città dove risiedeva, capolavori della moderna
pittura francese tra cui il Ritratto di monsieur Chocquet
(1889) di Paul Cézanne, due tele a olio di Maurice Utrillo e un
quadro di Edgar Degas. Sforni portò in Italia Van Gogh,
quando il pittore olandese era completamente sconosciuto.
Successivamente dipinto venne prestato per la
prima mostra italiana dedicata agli impressionisti,
organizzata dallo scrittore, pittore e saggista Ardengo Soffici
(che era nato a Rignano sull'Arno nel 1879) tra l'aprile e maggio del 1910
nei locali del Lyceum Club di
Firenze. La tela, esposta
con il numero 71, era affiancata dalle opere di Paul Cézanne,
Edgar Degas, Jean-Louis Forain, Paul Gauguin,
Henri Matisse,
Claude Monet, Camille Pissarro, Pierre-Auguste Renoir,
Henri Toulouse-Lautrec e 18 sculture di Medardo Rosso.
Sempre nel 1910 Soffici ne diede un giudizio non proprio
positivo, visto che nell'opera di Van Gogh vi vide una rottura
con la lezione di Cézanne, artista da lui molto apprezzato.
Il gusto e l'apprezzamento per l'artista olandese non era ancora
maturo in Italia. Ritornato all'interno della collezione, Sforni, intuendo le
critiche che sarebbero scaturite alla visione in Italia del
capolavoro da parte dei contemporanei, lo conservò gelosamente
in casa sua, permettendo di vederlo solo ad amici e
intellettuali che lui frequentava, attenti alle nuove tendenze
d'oltralpe e alle innovazioni impressioniste e
post-impressioniste.
Dopo la morte del collezionista, avvenuta nel 1940, il dipinto
verrà lasciato in eredità allo zio di Sforni, l'avvocato Giovanni Verusio
insieme a tutta la collezione di dipinti che, oltre ai già
citati autori francesi, comprendeva tele di Giovanni Fattori (più di
quaranta opere tra olii e taccuini) Telemaco Signorini e
Gino Severini.
Nonostante Van Gogh non avesse ancora raggiunto la popolarità
che il mercato dell'arte gli porterà negli anni Ottanta del
Novecento, il
dipinto era già riconosciuto come il pezzo più pregiato e di
valore della collezione, tanto che durante la fine della seconda
guerra mondiale l'avvocato Verusio, rifugiatosi in un casolare
nella campagna toscana lo nasconderà in una cassa di legno sotto
la paglia, all'interno di una limonaia di Pian dei Giullari,
una zona collinare di Firenze, per
proteggerlo dalle razzie dei soldati tedeschi.
Finita la guerra, nel 1945 il quadro venne esposto a Palazzo Pitti
all'interno della mostra sulla pittura francese organizzata dal
grande critico d'arte di stanza a Firenze Bernard Berenson
La peinture française à Florence e poi nel 1952 nella
retrospettiva organizzata dallo storico dell'arte e editore Lamberto Vitali a
Palazzo Reale a
Milano dal titolo
Vincent Van Gogh. L'opera iniziò a assumere
importanza anche in Italia e nel 1954 lo
stato italiano la dichiarò di interesse storico e
artistico e perciò vincolato.
Nel 1966 la moglie dell'avvocato, Sandra Verusio, portò in salvo
la tela dall'Alluvione di Firenze, mettendolo nel baule della
sua auto e portandolo nella loro casa Roma. Lì la tela rimase nella sala
da pranzo dell'abitazione per circa dieci anni (anche se spesso
sostituita da un copia), venendo visitata personalità di spicco
della società romana. Da quella sala da pranzo passarono personalità
sia del mondo artistico, come Renato Guttuso e come il critico d'arte
Giuliano Briganti, sia personaggi come l'avvocato
Agnelli.
Nel 1977 Verusio, in pieni anni di profonda instabilità sociale
in Italia e temendo un furto, decide di vendere la tela all’antiquario
Silvestro Pierangeli per 600 milioni di lire. Pierangeli nel
1983 dichiaraa di aver acquistato il quadro
per conto del gallerista e mercante d'arte svizzero Ernst Beyeler risultando un
prestanome. Lo Stato italiano a questo punto esercitò il suo
diritto di prelazione ma lo fece (si svegliò per così
dire) solo nel 1988. Lo stato italiano si mise in moto solo
quando Beyeler annunciò di voler vendere l’opera alla Collezione
Peggy Guggenheim di Venezia per 14 miliardi di lire. Solo il 17 dicembre del 2009 l'Alta
Corte di Giustizia di Strasburgo chiude la vicenda durata un
quarto di secolo. Beyeler perde la causa contro l'Italia, che
gli paga "solamente" 1,5 milioni di euro di compensazione e 50
mila euro in spese legali, ma il quadro ha oggi un valore
infinitamente superiore e si può ammirare a Roma.
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