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Il
monumento funebre di Ilaria del Carretto, opera di Jacopo
della Quercia nella Cattedrale di Lucca, è considerato uno
dei capolavori scultorei del primo Rinascimento italiano.
Nessun
monumento funerario, si legge nel libri di storia
dell'arte, eguaglia la stupenda serenità, il lirismo
intenso e trattenuto del monumento funebre di
Ilaria del Carretto, vero e proprio simbolo
della città di Lucca. Sembra ancora di sentirlo quel
ritmo dannunziano, a stordire l'animo tra antiche
signorie e leggiadre fanciulle.
"[...] Ora donne la bianca fiordaligi | chiusa ne' panni,
stesa in sul coperchio | del bel sepolcro; e tu
l'avesti a specchio | forse, ebbe la tua riva i suoi
vestigi. | Ma oggi non Ilaria del Carretto |
signoreggia la terra che tu bagni, | o Serchio [...]
" (Gabriele D'Annunzio, Elettra)
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Di Lucca D'Annunzio ricorda chi in vita ebbe a donar
sorrisi e in morte romantiche vestigia... costei era Ilaria
del Carretto, nata savonese e morta lucchese, seconda
moglie di Paolo Guinigi, signore della città. Figlia
del marchese della Liguria occidentale, il suo
matrimonio con il Guinigi (forse all'epoca l'uomo più ricco
d'Europa), fu convenuto da Gian Galeazzo Visconti,
signore di Milano, per rinforzare l'alleanza contro
la Signoria di Firenze. Di lei si diceva che era
bellissima, ben educata e di buona dote.
Un
dramma di altri tempi
Ilaria arrivò a Lucca in pieno inverno, il 2 febbraio del 1403.
Era poco più che ventiquattrenne quando fuori dalle
Mura di Lucca, a Ponte San Pietro, incontrò il
suo futuro marito, di sei anni più anziano, e già vedovo della
giovane Antelminelli (quest'ultima, ricordiamolo, era a sua
volta discendente di
Castruccio Castracani).
Ilaria e Paolo si
sposarono il giorno seguente nella
Chiesa di San Romano, con sfarzo e alla presenza
della maggiore nobiltà lucchese. La città però ebbe modo di
conoscere la giovane donna per soli due anni, il tempo di due
gravidanze: la prima, completatasi con la nascita di Ladislao,
la seconda con la nascita di una bambina che porterà il suo
stesso nome (Ilaria Minor) e il cui parto le fu fatale. Aveva solo 26 anni
quando morì nel 1405 dando alla luce una figlia di nome
anch'essa Ilaria.
In
ricordo di Ilaria
Pochi
anni dopo,
Jacopo della Quercia
le dedicò quel
famoso monumento funebre, "gesto' artistico" tra
i più belli della storia d'arte italiana. La
scultura fu commissionato al Della Quercia dallo stesso
marito Paolo Guinigi, allo scopo di eternare la memoria
della moglie. Da quel viso
scultoreo, che oggi si ammira nella
Cattedrale di San Martino a Lucca, sembra quasi
potersi leggere le piccole gesta quotidiane di una giovane
signora di altri tempi, tale è il perpetuo fascino che
l'artista senese ha assicurato ai posteri.
Il capolavoro scultoreo ci permette di conoscere le vicende
storiche legate ad Ilaria del Carretto. Ricorda il
Vasari nel 1568:
"… A Lucca e quivi a Paolo Guinigi che n'era signore fece per
la moglie che poco inanzi era morta, nella chiesa di San Martino
una sepoltura; nel basamento della quale condusse alcuni putti
di marmo che reggono un festone tanto pulitamente, che parevano
di carne: e nella cassa posta sopra il detto basamento fece con
infinita diligenza l'immagine della moglie d'esso Paulo Guinigi
che dentro vi fu sepolta; e a' piedi d'essa fece nel medesimo
sasso un cane di tondo rilievo, per la fede da lei portata al
marito…"
Una
sepoltura vuota
Recenti
studi hanno stabilito che Ilaria in
quella magnifica tomba non è mai stata sepolta; le sue spoglie furono infatti conservate nella chiesa
di Santa Lucia, nel complesso di San Francesco
da poco magnificamente restaurato, sempre a Lucca. Al
centro degli studi è la
cappella Guinigi, nella quale furono sepolti diversi
membri della nobile famiglia lucchese. Sempre nella
cappella, ma separate dal resto, appaiono alcune altre
tombe, resti di singole sepolture appartenenti secondo
gli studi alle mogli del Guinigi. Costui ebbe infatti
ben quattro mogli: Maria Caterina degli Anterminelli,
la prima giovanissima moglie (aveva solo 12 anni quando
morì nel 1400 per una epidemia di peste), Ilaria del
Carretto, quindi Piacentina da Varano
e
infine Jacopa Trinci,
ultima moglie (sposata nel 1420 e morta nel 1422). Una di
queste sepolture ospita uno scheletro di età compresa
tra i 20 e i 27 anni, che viene attribuito proprio ad
Ilaria del Carretto.
Poco
importa la presenza o meno di un corpo ormai svanito.
Nella memoria storica rimane la splendida opera d'arte.
A commuovere è ancora oggi, dopo sei secoli, quel
monumento funebre scolpito con grande maestria, capace
di emozionare, di commuovere osservando quel piccolo
cane ai piedi della giovane, che guarda a lei
supplicando nuove carezze. Non accetta l'evento, non è
in grado di interpretarlo. Non abbiamo elementi per
capire se il cane sia o meno esistito; pare infatti
rappresentare un simbolo di fedeltà coniugale, come si
usava all'epoca, soprattutto nelle corti del nord
Europa, con le quali le signorie toscane erano bene in
contatto. Da un punto di vista artistico, la sua
posizione porta lo spettatore ad uno sguardo di
prospettiva più ampio e profondo verso il volto della
giovane.
Il Guinigi era un uomo di potere e di cultura, capiva l'arte e
ne riconosceva il valore. Per questo volle continuare a
manifestare il proprio amore e il proprio potere con una tomba
non comune in Italia, e in una posizione, quella all'interno del
Duomo della sua città, che doveva ricordare ai lucchesi il
potere della famiglia Guinigi. Andava a crearsi di fatto una
cappella signorile nel transetto della chiesa.
Ruskin s'innamorò di
Ilaria
Per il grande critico d'arte vittoriano John Ruskin, la
scultura di Jacopo della Quercia dedicata a Ilaria del Carretto
era la più bella scultura del Rinascimento. Ruskin amava
moltissimo Lucca, forse più di Venezia o Firenze, e nel corso di
30 anni, soggiornò qui molte volte; prendeva posto in una camera
con vista sulla Piazza Napoleone all'Hotel Universo (che sta
sempre lì). Leggete anche del suo apprezzamento per
Santa Maria Forisportam, tesoro dimenticato,
che tutt'oggi custodisce due preziosi quadri di Guercino, il
pittore preferito da Sgarbi. Ruskin non mancò di tornare a Lucca
a fare visita alla sua "Ilaria", di cui dipinse anche quattro
splendidi acquarelli. Così scrisse dopo la prima volta al
cospetto della scultura:
"Ella giace su un semplice cuscino, con un cagnolino ai
piedi. La veste di foggia medievale è assai modesta, attillata
alle maniche e chiusa al collo, le ricade sul petto a
fitte larghe. Il capo è cinto da una fascia con tre fiori a
forma di stella e i capelli sono acconciati e i capelli sono
acconciati alla maniera di Maddalena, con una ondulazione che si
nota appena là dove sfiorano le guance. Le braccia sono adagiate
dolcemente sul corpo e le mani si congiungono nell'atto di
abbassarsi. Il morbido drappeggio scende fino ai piedi, quasi
celando il cane."
Da lì in poi Ilaria sarebbe sempre rimasta nel cuore del
grande critico, quasi un innamoramento durato tutta la vita.
30 anni dopo scrisse: "Devo fermarmi un attimo con il
pensiero alla tomba di Ilaria del Carretto e a quanto
precocemente, allora, ebbi la certezza che da quel momento
sarebbe stata per me il modello supremo."
Le ferite di
Ilaria
Il 4 maggio del 1987 tutti i giornali d'Italia e d'Europa
titolavano: "Vandali sfregiano in duomo il sarcofago di
Ilaria del Carretto I danni maggiori. " Il sarcofago di
Ilaria del Carretto fu sfregiato da alcuni componenti di un
gruppo di studenti in visita alla città. I danni maggiori
furono arrecati alle rosette e al putti scolpiti nella parte
sinistra del cenotafio, scalfiti da qualche oggetto
contundente. Questo gesto, purtroppo ricorrente a danno di
capolavori dell'arte italiani, produsse un danno che fu
restaurato, con tanto di polemiche tra esperti per
l'eccessiva lucidatura finale. La scultura reca ferite anche
al naso, causata da una credenza locale: portava fortuna
baciarle il naso, diceva la tradizione popolare, "e le
bimbe che lo fanno si sposano presto".
Conclusione
Sembra addormentata la giovane Ilaria, assopita nei secoli di un
sonno irreale. Quanti sono stati nella storia coloro che sono
accorsi a contemplare questa meraviglia d'arte? Quanti hanno
provato quel sentimento misto tra frustrazione, pace e carica
poetica? Nessuna sofferenza è rimasta sul volto, perché non è
una morte quella rappresentata, ma un sonno sereno. Qui sta la
grandezza di un artista come Jacopo della Quercia, capace di
creare non il monumento celebrativo di una defunta, ma il
ritratto di una persona viva, che sfida la caducità della
materia e lo scorrere inesorabile del tempo.
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