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Il
"Ritratto dei coniugi Arnolfini" di Jan Van Eyck del 1434 è
un capolavoro dell'arte fiamminga che raffigura il mercante
Giovanni Arnolfini e sua moglie. Celebre per i dettagli
realistici e i simbolismi nascosti, l'opera mette in mostra
la maestria tecnica nell'uso della luce e della prospettiva.
Il Ritratto dei Coniugi Arnolfini di
Jan Van Eyck
è uno dei capolavori più popolari della
National Gallery di
Londra ma venne dipinto a
Bruges, su
commissione di ricchi mercanti di tessuti di
Lucca,
nel 1434. Questo piccolo capolavoro ad olio, su una tavola di rovere, ha
influenzato i pittori e la storia stessa dell'arte, da
Velázquez a
David Hockney. Il ritratto è diventato un simbolo del matrimonio, ma
l'identità della coppia e il significato della scena sono ancora
incerti.
Il quadro
di van Eyck è anche uno dei più studiati di sempre. Il
contesto è quello delle
Fiandre, zona compresa
prevalentemente nella parte nord dell'attuale Belgio, una delle aree più ricche
dell'Europa di quegli anni, con Bruges insieme a
Firenze,
una delle più ricche città del mondo, grazie
soprattutto ad una fiorente attività industriale e commerciale. Solo re,
nobili di alto lignaggio o persone molto ricche, come facoltosi mercanti, potevano commissionare un
quadro del genere a un'artista del genere e Giovanni Arnolfini (che si era stabilito
nel nord Europa come agente della famiglia Medici) aveva
questi requisiti.
La gente diceva che van Eyck era un'alchimista, e non c'è da stupirsi:
c'è qualcosa di magico, e
non solo in senso simbolico, in questo dipinto; il modo in cui
sembra agire come una finestra su un ambiente reale, prima di
tutto. Questo
celeberrimo quadro è da sempre un oggetto misterioso per gli
storici dell'arte che hanno tentato di stabilire il suo
contesto. Ci sono state molte interpretazioni classiche, tra
cui l'analisi di Erwin Panofsky, che sosteneva che il
dipinto fosse una sorta di documento legale per testimoniare
un matrimonio. È ormai noto tuttavia, che quest'ultimi argomenti si
basavano su uno studio dell'opera non ancora pienamente approfondito.
Questo è un dipinto in cui ogni dettaglio sembra dirci
qualcosa. Per esempio, il piccolo cane è un emblema di lussuria?
Significa forse il desiderio della coppia di avere un bambino in
quel grande letto rosso, come lo storico dell'arte Craig
Harbison sostenne? O è l'immagine della fedeltà
cristiana? E la donna, alludeva al suo desiderio di
maternità tenendo e raggruppando il suo vestito sul
ventre? O è solo che, come si può vedere in altri quadri dipinti
da Van Eyck, al pittore piaceva dipingere donne con grandi stomaci?
C'è solo una certezza: quanto rappresentato appare come un mondo reale,
con persone reali. La chiave per l'immagine è lo specchio
sulla parete. Lo specchio, in modo così significativo posto
tra la coppia, è l'immagine di ciò che questo dipinto
afferma di essere: un vero riflesso. L'artista e Arnolfini
erano cortigiani del duca di Borgogna, Filippo il Buono, ma
quanti di noi sanno esattamente chi era Filippo il Buono? Questa
coppia benestante, gli Arnolfini, ha ottenuto, attraverso il ritratto, ciò che i faraoni pensavano di
poter raggiungere attraverso la mummificazione: i due hanno
passato indenni i secoli, insieme con il loro cane, i loro bei vestiti e
le arance. Il significato di questo dipinto è che la
ricchezza - la ricchezza di assumere Van Eyck come
ritrattista - può
far acquistare l'immortalità, almeno nell'arte. Mi chiedo
perché un'opera così famosa non sia sfruttata
commercialmente da una città come Lucca, da dove gli
Arnolfini venivano. Tra l'altro Arnolfini (che si spense
l'11 settembre 1472) dispose nel suo testamento (aperto a
Lucca il 10 dicembre 1474) che gli esecutori curassero la
creazione di un beneficio perenne alla Chiesa di San Romano
a Lucca, in cambio di un lascito. Il beneficio perenne
consisteva in una messa quotidiana nella
Chiesa di San Romano
a Lucca (in teoria la messa andrebbe celebrata ancora oggi...
non c'era un limite temporale nel testamento, ma ora nel bel
edificio dall'interno barocco,
diventato auditorium, non vengono più celebrate funzioni
religiose). Il capitolo della chiesa ebbe in dote, per
celebrare "ad infinitum" le messe in memoria di Arnolfini, beni
terrieri per 400 fiorini d'oro di Lucca, 357 ducati larghi e 8
bolognini. Una cifra molta considerevole per l'epoca (1).
Guglielmo Petroni scrittore
lucchese (autore tra l'altro della Morte del fiume
premio Strega), scrisse a proposito del capolavoro di Jan
van Eyck e di Lucca: "Saranno quei nomi familiari anche
oggi a ogni lucchese? Saranno quei volti così nostrani che
par d'averli incontrati più volte al passeggio di via
Fillungo? Sarà che quei due, con quell'arietta domestica e
raffinata, verso la metà del ‘400, là a Bruges,
magnificamente integrati nell'ambiente... in definitiva
erano rimasti così lucchesi che perfino l‘ambiente colmo di
simboli fiamminghi sembra assimilarsi alla chiusa e
silenziosa intimità di certe case lucchesi... Sarà insomma
quello che non so, ma sicuro è che i due sposini per me son
di casa". (2)
A Lucca si trovano ancora tracce
degli Arnolfini in una via, nel nome di un palazzo e
nell'eco di una ricchezza che fu.
Quanto si può analizzare un quadro?
Quest'opera eccezionale si
presta, come abbiamo visto, a più di una lettura. Quello che
colpisce subito è il suo realismo che rasenta la perfezione
fotografica: gli sposi hanno volti giovanili (per i tempi)
ma allo stesso tempo intensi, per la solennità del momento;
i
loro abiti sono sfarzosi, la mano destra della donna è
abbandonata in completa fiducia in quella del marito. I
dettagli sono talmente raffinati da aver creato un intera
letteratura sul loro significato: il tappeto, il cagnolino,
gli zoccoli, le arance, l'unica candela sul lampadario, il
rosario, la spazzola e soprattutto lo specchio, dove si
vedono riflessi di spalle i testimoni di nozze che, ponendo
così l'osservatore nella stessa posizione che fu del
pittore, ripropongono in una
prospettiva più complessa
l'intera ambientazione. Per la prima volta un pittore
propone una rappresentazione più complessa dello spazio: in
una stessa immagine possiamo vedere la stanza da due punti
di vista, quello del pittore e quello, opposto, dei
personaggi ritratti. Si
ha
così una rappresentazione dello spazio a 360°. Nello
specchio vediamo i due coniugi di spalle e, tra di essi, si
vedono altre due figure: una delle due è ovviamente il
pittore che sta eseguendo il ritratto. Pittore che colloca
la sua firma in forma insolita, scrivendo, proprio sopra lo
specchio, "Johannes de eyck fuit hic 1434": Jan
Van Eyck è stato qui. Questo quadro fu a lungo tra i
tesori del re di Spagna (i Paesi Bassi divennero una
provincia spagnola per 130 anni), e deve essere stato visto da
Velazquez, che replicò l'escamotage dello specchio
nel suo celebre dipinto
Las Meninas, che si può ancora
oggi vedere al
Museo del Prado a
Madrid. Van Eyck era molto
interessato agli effetti della luce: la pittura ad olio gli ha
permesso di rappresentare con grande finezza in questo
quadro tutti i particolari, a cominciare dallo scintillante
lampadario di ottone.
Vediamo ora insieme alcuni
dettagli interessanti del quadro.
La
coppia
Tra i mercanti stranieri che
vivevano nella prospera
Bruges del XV c'erano i membri della
famiglia Arnolfini da Lucca. Grazie alla loro
abilità, combinarono il commercio
con la finanza e furono tra i primi banchieri d'affari
lucchesi a imporsi nelle Fiandre.
Non si è mai saputo per certo quale Arnolfini fu
ritratto, e forse non si saprà mai con certezza. L'ipotesi
più probabile è che si trattasse di Giovanni Arnolfini,
che dovrebbe avere sposato Giovanna Cenami nel 1426, (figlia di
un'altra ricca famiglia lucchese, che dovrebbe
essere la donna nel ritratto) e
che in seguito potrebbe essersi legato ad un'altra compagna
in seconde nozze. Tuttavia, non vi è alcuna prova documentale
di un ulteriore matrimonio. Sono state fatte le più svariate
ipotesi in merito, tra cui quella che il dipinto fosse stato
concepito proprio come memoriale alla moglie morta. Secondo
la ricercatrice Margareth L. Kostner un
parente quasi omonimo Giovanni di Nicolao
Arnolfini fu il personaggio rappresentato nel doppio
ritratto di Van Eyck assieme a Costanza Trenta, da
lui sposata nel 1426. Per altri la moglie dell'Arnolfini
sarebbe stata fiamminga. Verso la fine di questo articolo vi
parlerò della tesi di uno studioso lucchese, Marco Paoli,
secondo il quale il dipinto sarebbe un autoritratto del
pittore stesso e di sua moglie.
La
gravidanza?
Giovanni
e la moglie non avevano figli registrati. Il ritratto
fu quindi da considerarsi come una memoriale alla consorte, che
sarebbe morta di parto? Gli artisti amavano rappresentare le
donne in una posizione di gravidanza, sia che fossero
davvero o meno incinta. La gravidanza, come la fertilità, è una qualità
essenziale in una moglie. Ci sono altri simboli di
fertilità, dal letto rosso al tappeto - una merce rara e
costosa nell'Europa del nord XV secolo, associate a una
camera da parto. Inoltre, la figura scolpita sulla sedia
dietro la donna è Santa Margherita, patrona del parto.
Il
letto
Questo letto è ciò che gli ospiti
si sarebbero aspettati di vedere in una sala di ricevimento.
Non poteva essere stato utilizzato per dormire, ma
sottintendeva implicitamente che il padrone di casa era
di uno status sufficientemente elevato da esibirne il possesso,
come un ornamento.
Il
candelabro
Il
candelabro ha solo una candela accesa, che simboleggia la
fiamma dell'amore. Quella rappresentata era una usanza tipica delle Fiandre, il
fatto di lasciare un'unica candela accesa, il primo giorno
delle nozze. Ma bisogna anche ricordare che una candela
accesa è anche usata sempre nel Tabernacolo della chiesa, simbolo della presenza
permanente di Cristo.
Le arance sul
tavolo
>Le
arance erano all'epoca una prelibatezza rara, importata dal sud
più caldo. Erano
apprezzate per le loro proprietà culinarie e spesso se ne aggiungeva la
scorza nella preparazione delle salse, che animavano il rigido inverno fiammingo.
Il frutto e il fiore dell'arancia erano simboli dell'amore e del
matrimonio, ed i medici raccomandavano le arance
addirittura al fine di scongiurare la peste (il premio Nobel
Linus Pauling con il suo famoso libro sulla vitamina C
sarebbe arrivato solo 5 secoli più tardi).
I sandali e il
tappeto
I
sandali rossi (sul pavimento) erano un elemento davvero alla
moda del corredo di una donna benestante. Il cuoio tinto era un
altro lusso, con toni scuri, il più difficile da realizzare.
Con l'abbellimento delle borchie in ottone lucido, questi
sandali dovevano essere un costoso "status symbol".
Viceversa i sandali fatti di legno e cuoio in primo piano
sono da uomo, mentre quelli rossi che si trovano in secondo
piano, ai piedi del letto, sono da donna. Questo tipo di
zoccoli era quello tipico olandese di chi conduceva una vita
proba e laboriosa e Van Eyck li ha probabilmente inseriti
nella sua opera perché concorressero a dare l’impressione di una dimensione familiare
e intima (e quindi di
unione matrimoniale già avvenuta). Il tappeto accanto al
letto, proveniente dall'Anatolia, è molto lussuoso e costoso, un altro segno della ricchezza
e della posizione raggiunta dall'Arnolfini.
I vestiti
Entrambi
i personaggi di questo quadro indossano i prodotti che hanno
reso Bruges il centro di un impero commerciale: pelliccia,
seta, lana, lino, pelle e oro. L'abito della moglie ha
dimensioni sorprendenti (una replica fatta nel 1997 dagli
studenti della Wimbledon School of Art di Londra richiese 35
metri di materiale!!). La Signora Arnolfini era avvolta da
pelliccia di scoiattolo, che gli esperti ci dicono richiedesse
fino a 2.000 pelli. La pelliccia più costosa e prestigiosa
all'epoca
era quella di zibellino, riservata ai reali e
all'aristocrazia. Il Tabarro (il mantello a ruota da
uomo) di Giovanni Arnolfini è avvolto da una
pelliccia di martora, che con le sue tonalità prugna era
un'altra affermazione di ricchezza, poiché le tinture scure
erano le più costose da produrre.
Lo specchio
Lo
specchio fornisce un nuovo soggetto, altre due persone che
entrano nella stanza. L'iscrizione latina sopra di esso,
Johannes Van Eyck fuit hic (Jan Van Eyck fu qui),
conferma la presenza dello stesso artista in questa stanza
inventata. La superficie leggermente convessa circolare era
l'unica forma disponibile per gli specchi di vetro che erano
un elemento domestico raro. Solo pochi privilegiati avevano
infatti il beneficio di vedere il proprio volto.
Le perle e il
pennello
La
stringa di perline ambrate alla sinistra dello specchio è un
"paternoster", un tipo di rosario, che si produceva a
Bruges. Van Eyck stava forse facendo pubblicità ad una
industria locale che esportava tramite Arnolfini. Le perline
simboleggiavano la pietà femminile ed erano un regalo
consueto che un uomo regalava alla sua sposa. Il pennello,
appeso alla destra dello specchio, rappresenta la tenacia e
l'umiltà della madre di Cristo, che suggerisce la tradizione
fiamminga di mostrare personaggi biblici in un contesto
moderno.
Il cane
Si
tratta di un grifone di Bruxelles, il discendente di una
lunga stirpe di terrier delle Fiandre allevati per la
cattura di topi. La razza raggiunse l'Inghilterra nel XIX
secolo e le sue caratteristiche sono ancora attentamente
valutate dagli attenti cultori del pedigree canino.
Il piccolo cane simboleggia la fedeltà (il nome del cane
Fido comune origine dal latino fido, "fidarsi").
I personaggi
Varie e diverse ipotesi si sono fatte sui personaggi del
celebre doppio ritratto di Van Eyck. Nel 1934 lo storico
dell'arte tedesco, Erwing Panofsky (4), uscì con una
saggio sull'argomento in cui sosteneva che il dipinto
rappresentasse la cerimonia privata delle nozze fra Giovanni
di Arrigo Arnolfini e Giovanna Cenami. Tutti i particolari
di questo capolavoro alludono, sempre secondo Panofsky, al
rituale del matrimonio a cui Jan Van Eych aveva partecipato
come testimone.
Altri studiosi hanno sostenuto tesi alquanto diverse. Per
esempio che il quadro alludesse a un vero e proprio
contratto d'affari fra due sposi. Altri hanno sostenuto che
il dipinto fosse destinato agli Arnolfini di Lucca per
esaltare la grande fortuna economica raggiunta dal loro
parente nelle Fiandre. Nel 1990 Jacques Paviot, un
ricercatore francese, trovò nell'archivio di
Lille, nelle Fiandre francesi, un documento secondo il
quale Giovanni Arnolfini e la Cenami si erano sposati nel
1447, cioè sei anni dopo la morte di Van Eyck e che quindi
non potevano essere identificati con i personaggi del
quadro.
Un'altra ricercatrice, Margareth L. Kostner in un
saggio del 2003 (The Arnolfini double portrait: a simple
solution) ha avanzato l'ipotesi che l'uomo ritratto
fosse un loro stretto parente, cioè Giovanni di Nicolao
Arnolfini rappresentato assieme a Costanza Trenta, da lui
sposata nel 1426, quando la donna aveva poco più di 13 anni.
Costanza, tuttavia, a complicare le cose, secondo un
documento della madre era morta nel 1433, un anno
prima della realizzazione del dipinto. Per la Kostner,
quindi, l'opera non rappresenta il legame del matrimonio, ma
è una
sorta di memoriale per scomparsa di Costanza a un anno dalla
morte.
Ritorniamo un po' indietro
Ci sono stati
diversi membri di questa famiglia lucchese, gli Arnolfini,
nel nord Europa all'inizio del XVI secolo. In città come
Parigi e Bruges vi erano colonie di famiglie
mercantili italiane in questo periodo. Queste famiglie erano
attivamente impegnate nel settore del commercio di tessuti e
di altri materiali di lusso per le esigenze della nobiltà
del nord Europa. Molte di queste famiglie furono
coinvolte anche nel settore bancario. Lo storico fiammingo
Antonius Sanderus, nel XVII secolo, ci offre una
visione della cosiddetta Bourse, la Borsa, o
quartiere finanziario di Bruges (il nome Borsa intesa come
Borsa valori deriva da una casa dove i mercanti si riunivano
per contrattare lettere di credito, la casa della famiglia
Van Bourse).
Gli
edifici dominanti erano al tempo proprio nella Domus
Florentinorum e la Domus Genuensium, le case
fiorentine e genovesi. I registri contabili dei principi
europei del nord avevano registrazioni frequenti di prestiti
concessi da questi mercanti italiani per contribuire a
sostenere il fabbisogno di capitale liquido per sostenere le
famiglie principesche. A Bruges c'era un Giovanni di
Arrigo Arnolfini nato a Lucca circa nel 1400 che viveva in
città dal 1421. Una voce nell'Archivio di Bruges registrò
che il 1 luglio di quell'anno Giovanni fece una
grande vendita di sete e cappelli. Nel 1423, Giovanni era
impegnato in operazioni con il duca di Borgogna Filippo
il Buono. Ci fu quell'anno un grosso pagamento
all'Arnolfini da parte del duca per una serie di sei arazzi con
scene della della Vergine Maria, destinati come regalo
al papa. In un'altra registrazione del 1446 si trovano
tracce di un prestito da parte di Giovanni Arnolfini al
Duca. Forse in cambio del prestito, Filippo diede al
mercante lucchese il diritto di riscuotere le tariffe sui
beni importati dall'Inghilterra per un periodo di sei anni.
Questo redditizio privilegio fu poi rinnovato per altri sei
anni. Intanto a Lucca, la zia Ginevra Cavalcanti
si
era sposata con Lorenzo de Medici, fratello di
Cosimo de Medici detto il vecchio. Nel 1461, Giovanni
divenne consigliere e ciambellano del duca, e fu nominato
cavaliere nel 1462. Luigi XI di Francia nominò
Arnolfini consigliere e governatore delle finanze
della Normandia. Giovanni morì nel 1472 e fu sepolto nella
cappella dei mercanti lucchesi presso la Chiesa
agostiniana di Bruges.
Giovanni sposò la sua omonima Giovanna Cenami, la figlia di una delle più
importanti famiglie lucchesi stabilite nel nord Europa. La
nonna di Giovanna era la nipote di Dino Rapondi che
insieme ai suoi tre fratelli erano stretti promotori
finanziari e banchieri per i duchi Filippo l'Ardito,
Giovanni di Borgogna, e il già citato Filippo il
Buono tra la fine del XIV secolo e l'inizio del XV
secolo. Nel 1432, quando l'ultimo dei quattro fratelli
Rapondi morì, Filippo il Buono fece celebrare una speciale
messa cantata per loro. Il matrimonio e le alleanze
come quella tra le famiglie Cenami e Rapondi non erano
solo questioni private, con il futuro delle imprese
delle famiglie indissolubilmente legate. Per Giovanni Arnolfini sposare un membro di una famiglia così importante
fu senza dubbio un notevole impulso alle sue fortune
finanziarie.
Sappiamo che la coppia morì senza figli. Tuttavia forse
avevano avuto figli da precedenti unioni, anche se non c'è alcuna
prova di questo. Ci sono documenti di tribunale che provano
che Giovanni ebbe una relazione extra-coniugale (quando era già rimasto
vedovo). Infatti nel 1470, quando Arnolfini
aveva ormai 70 anni, un'età molto considerevole per l'epoca,
una donna lo portò in giudizio per farsi restituire i
gioielli che Giovanni le aveva dato e poi le aveva ripreso.
La donna cercò anche di farsi dare una rendita e la
proprietà di alcune case a lui intestate e promesse
all'amante.
Da
quanto detto possiamo azzardare una considerazione. Nel
ritratto dei Coniugi Arnolfini c'è una presenza invisibile.
Van Eyck richiama l'attenzione su ciò che non può essere
mostrato direttamente, Dio, il simbolo più grande
nell'Europa cristiana. Probabilmente c'è anche un'altra
presenza invisibile, che è quella Filippo il Buono.
Perché?
È improbabile che gli Arnolfini o
i Cenami potessero avvicinare Jan Van Eyck direttamente per
dipingere il doppio ritratto. Dal momento che quest'ultimo
era il pittore di corte di Filippo il Buono. Gli Arnolfini o
i Cenami avrebbero dovuto avere il permesso del duca per
poter disporre del Maestro. La firma del pittore documenta
il suo ruolo di testimone all'evento e, come membro della
corte ducale, Van Eyck era come un rappresentante stesso del
duca. Così la sua firma porta con sé sia la sua testimonianza
personale che
l'avvallo ducale. Non si sa
di preciso da dove sia nato l'impegno del duca Filippo verso
gli Arnolfini per un quadro del genere: una promessa
precedente, un compenso per un servigio, una dimostrazione
di stima e di affetto? Quale che sia la risposta il dipinto
può essere visto come un preciso attestato dell'appartenenza
dell'Arnolfini alla ristretta cerchia del duca. Del resto Arnolfini era così importante nella corte ducale di Bruges
che Van Eyck dipinse un altro Ritratto di Giovanni
Arnolfini nel 1440 che ora si trova alla
Gemäldegalerie di
Berlino.
Com'è finito il
quadro alla National Gallery di Londra?
In
un altro documento trovato nell'Archivio di Stato di
Lucca troviamo un Giovanni Arnolfini (omonimo ma
sicuramente parente dell'altro Giovanni), che aveva una
banca nella città di
Lione, e che lasciò cospicui debiti alla sua
morte. Tra questi quelli con un certo Giovanni Joffrey
signore di Sallignon (3) che con la successiva discesa
in Italia di Luigi XII (per non far minacciare in
alcun modo l'indipendenza lucchese), fu saldato con 2500
scudi d'oro nel 1500. Questo potrebbe spiegare in parte
l'alienazione successiva del patrimonio del personaggio
ritratto insieme alla moglie da Van Eyck, compreso il quadro
stesso e il fatto che gli Arnolfini di Lucca non ne siano
mai entrati in possesso.
Dall'inizio
del XVI secolo fino allo scoppiò della Rivoluzione
Francese, il Ritratto dei Coniugi Arnolfini è stato
parte della collezione degli
Asburgo, che furono per un paio
di secoli padroni dei Paesi Bassi. Per un periodo il dipinto
rimase nelle Fiandre, appartenendo prima a Margherita
d'Austria, figlia dell'Imperatore
Carlo V,
passando poi alla sua morte passò a Maria d'Ungheria. Dato che
Margherita (madre del condottiero Alessandro Farnese)
passò molto tempo in Italia nei feudi che il padre
imperatore le aveva donato, è lecito supporre che il dipinto
di Van Eyck restò per un periodo in Italia, magari
avvicinandosi lungo il tragitto alla natia Lucca
dell'Arnolfini. Margherita d'Austria e Maria d'Ungheria
erano rispettivamente figlia e nipote di Maria di Borgogna
(l'ultima discendente della famiglia dei duchi di Borgogna).
Le prime referenze sul dipinto che si conoscono sono negli
inventari di Margherita d'Au
stria del 1516. Il quadro nel
1523/24 era tra i beni di Margherita che si trovavano a
Malines, dove la nobildonna esercitava la sua protezione
delle arti e delle scienze (sotto la sua protezione c'era
tra gli altri Erasmo da Rotterdam).
Fonti
attendibili stabiliscono che il dipinto fu un regalo alla
reggente dei Paesi Bassi (Margherita) da parte di Don
Diego de Guevara, ambasciatore e figura di spicco
nella corte asburgica sia in Spagna che nel Nord Europa
(egli stesso oggetto di un bel ritratto di Michael Sittow
anch'esso esposto alla National Gallery of Art di Londra). Quest'ultimo servì quattro,
forse cinque, successivi duchi di Borgogna, dai Valois fino
agli Asburgo, soprattutto nei Paesi Bassi. Fu anche
attendente personale dell'imperatore Carlo V. È ricordato
per essere stato un significativo collezionista d'arte. Come
de Guevara fosse entrato in possesso del quadro di Van Eyck
non ci è noto. Il cortigiano spagnolo possedeva anche
dipinti di Rogier van der Weyden e di
Hieronymus Bosch, venduti poi a Filippo II di Spagna e
oggi al museo del Prado.
Nell'ottobre 1555, come parte
degli accordi presi per la divisione dell'impero asburgico a
seguito della decisione di
Carlo V di abdicare, l'imperatore
trasferì la sovranità dei Paesi Bassi a suo figlio
Filippo II. A quel punto Margherita d'Austria terminò la
sua reggenza. Come conseguenza di questi
sviluppi, le principesse austriache si prepararono a
partire per la Spagna. Alla morte di Margherita nel 1530 il
dipinto fu ereditato da sua nipote Maria
d'Ungheria,
che nel 1556 andò a vivere in Spagna. Alla morte di questa
il quadro passò a Filippo II.
Un dipinto di due
delle giovani figlie del re di Spagna il "Ritratto delle Infante di
Spagna Isabella e Catalina" oggi al Prado, commissionato
da Filippo è chiaramente una copia della posa delle figure
del quadro di Van Eyck. Tra l'altro questa "copia"
fu dipinta da
una dimenticata pittrice italiana, citata anche nelle
Vite di
Giorgio Vasari e apprezzata da
Michelangelo,
Sofonisba
Anguissola
da
Cremona. Nell'inventario
dei beni di Maria d'Ungheria del 1556, viene annotata anche
la prima citazione allo specchio nel quadro di Van Eyck. Da
questo momento il Ritratto dei Coniugi Arnolfini
entrò a far parte della collezione reale di Spagna e vi
rimase almeno fino al 1789, quando il dipinto è documentato
per l'ultima volta nel Palazzo Reale di Madrid.
Resta abbastanza oscuro come il dipinto sia stato trafugato dalla
corona spagnola durante gli anni turbolenti delle Guerre
Napoleoniche. Il quadro ricomparve in qualche modo nei
Paesi Bassi nel 1815. Forse fu uno scambio tra fratelli
Bonaparte, uno Giuseppe che fu Re di Spagna, e uno
Luigi, che fu Re d'Olanda, messi lì dal fratello imperatore.
Un ufficiale dell'esercito britannico, il colonnello James
Hay, scoprì il dipinto appeso alla parete, nel luogo a
Bruxelles dove era in
convalescenza dopo la Battaglia di
Waterloo. Quando si ristabilì del tutto, comprò il
quadro e lo portò in Inghilterra dove cercò di rivenderlo
al principe reggente inglese. Hay non riuscì nel suo
intento, così lasciò l'opera di van Eyck a un amico, il quale lo tenne appeso a
una parete per anni, intanto che Hay proseguiva la sua
carriera militare, soprattutto all'estero. Un'altra teoria, forse più
probabile, è senza dubbio la presenza di Hay alla Battaglia
di Vitoria (1813) in Spagna, dove venne intercettato un
carico di opere d'arte di cui il re Giuseppe Bonaparte si
era appropriato e che stava cercando di fare uscire dalla
Spagna. Potrebbe essere stato a quel punto che Hay
ne ne impossessò segretamente, per poi inventare la storia
successiva ed evitare possibili future rivendicazioni da
parte della Spagna stessa. Infine, sotto consiglio di un
restauratore
chiamato Seguier, la National Gallery comprò il capolavoro
di Van Eyck da Hay, che ne frattempo era diventato generale,
per 630 sterline. Ora il valore di mercato è tra 28 e 35
milioni di sterline, ma forse molto, molto di più, come si
dice in questi casi è "inestimabile". Cioè, è
impossibile fare una stima, dare un prezzo, a un capolavoro
del genere.
E se quelli non fossero gli
Arnolfini ma Van Eyck e la moglie?
Nel 2010 esce un libro dove lo
studioso Marco Paoli, direttore della Biblioteca Statale di
Lucca, suggerisce e propone una tesi coraggiosa, fuori
dagli schemi sul dipinto di Bruges: i coniugi ritratti da Van Eyck potrebbero non essere gli Arnolfini, ma il pittore
stesso e sua moglie Margaretha (Jan Van Eyck alla
conquista della rosa: il Matrimonio "Arnolfini" della
National Gallery di Londra : soluzione di un enigma.
Pacini Fazi Editore).
Il quadro avrebbe un intento
preciso: celebrare la nascita del primo figlio maschio e
l'amore per la moglie, con una chiara ispirazione al
Roman de la Rose, capolavoro della letteratura medievale
francese, ben noto nella corte di Borgogna.
L'identificazione con gli Arnolfini, secondo Paoli, deriva
unicamente da un'assonanza linguistica: quella di Hernoult
le fin o Arnoult Fin, i nomi che vennero dati al soggetto
del quadro ai primi del Cinquecento, quando nacquero gli
inventari, con la grafia francesizzante del cognome Arnolfini ("Arnoulfin"). A proporre il riconoscimento con un
Arnolfini furono, nel 1857, furono due storici dell'arte, uno
inglese e uno italiano Joseph Archer Crowe e
Giovanni Battista Cavalcaselle, che si basarono sul
fatto che nel Quattrocento la famiglia lucchese era stata
molto attiva nel mercato della seta di Bruges. Per Paoli nessun altro indizio sarebbe mai stato mai
trovato a conferma dell'ipotesi. Né c'è un documento che
attesti un contatto di qualsivoglia natura tra Van Eyck e gli Arnolfini. Il quadro,
poi, sarebbe rimasto insolitamente sempre nelle Fiandre
quando sia gli Arnolfini che i Cenami avevano discendenti a
Lucca. Secondo Paoli, i protagonisti del dipinto non
avevano tratti
mediterranei, ma nordici.
Per quanto coraggiosa e a suo modo
"rivoluzionaria", non sono convinto su questa ipotesi. Sul fatto che
il quadro sia rimasto nei
luoghi d'origine si può opporre quello che abbiamo saputo
circa il fatto che la famiglia Arnolfini, che non aveva
avuto figli,
aveva dei grossi debiti pendenti poco dopo la morte di
Giovanni e questo potrebbe aver dato luogo alla perdita di
parte del patrimonio, quello più lontano da Lucca. Sui
tratti nordici o meno dei personaggi, la tesi è un po' più
blanda. Ancora oggi i discendenti delle più diverse culture
che si sono succedute in Italia hanno spesso tratti
"nordici" piuttosto che mediterranei. Lucca era del resto
una città "longobarda", capitale effettiva del regno
longobardo della Tuscia a cui ha dato anche l'ultimo re
d'Italia longobardo, Desiderio.
In
ogni caso la tesi di Paoli è sicuramente affascinante, quasi
eretica perché, come ammette lo stesso autore, destoricizza
un icona dell'arte. Se fosse presa per buona la sua
teoria il quadro dovrebbe intanto essere ribattezzato in un altro
modo. E anche la storia stessa di Lucca ne risentirebbe (anche se la maggior
parte dei lucchesi non sa nemmeno chi sia Giovanni Arnolfini).
Il fatto curioso e divertente poi è che a confutare
la storia ortodossa di questo dipinto sia proprio un
lucchese.
Ma
Paoli porta altri indizi a sostegno della sua tesi.
La firma di Van Eyck nel luogo simbolo della vita
matrimoniale, secondo lo studioso, sarebbe risultata inaccettabile
per qualunque committente dell'epoca: si sarebbe trattato di
consegnare agli osservatori la notizia che un altro uomo, il
pittore, era passato da quel luogo. Quindi sarebbe lo
stesso pittore il soggetto del quadro: orgoglioso
dell'alto status sociale raggiunto, è un ritratto di sé stesso
e della moglie ambientato nella camera da letto, un ambiente
dove solo lui, legittimo marito, poteva permettersi di
scrivere "Jan Van Eyck fu qui". Altro indizio
sarebbe la somiglianza della supposta Giovanna Cenami con il
ritratto, certo, di Margaretha Van Eyck conservato a Bruges.
Per quanto riguarda questo ultimo punto c'è un quadro
ispirato a quello di
Van
Eyck, Sant'Eligio e i fidanzati (anche conosciuta
come Sant'Eligio nella bottega di un orefice) di
Petrus Christus del 1449, dipinto 15 anni
dopo il primo.
Certo l'ambientazione non è così intima come la camera da
letto, ma sempre di un luogo di casa si tratta. In 15 anni
la fama del dipinto doveva essersi diffusa, tanto da farne
opera di ispirazione per altri grandi pittori dell'epoca. Ma
non c'è traccia (o almeno non è ancora stata trovata) ne accenno al fatto che Christus o qualcun altro sapesse che l'opera di Van Eyck fosse un autoritratto.
Si sarebbe di certo saputo. L'artista che era morto 8 anni prima non avrebbe
avuto motivo di nasconderlo. Anche il tempo trascorso era stato così breve che
la memoria degli eventi non poteva essere stata dimenticata. Lo stesso Filippo
il Buono - che aveva Van Eyck alle sue dipendenze come pittore di corte - che morì dopo parecchi anni, nel 1467, non fece mai
nessun tipo di accenno a questo, nei suoi inventari o nelle
sue memorie. Quello
che è certo è che Giovanni Arnolfini fu tra i suoi più
fedeli sudditi, alleati, finanziatori e probabilmente amici. Come
ulteriore indizio a sfavore della tesi di Paoli c'è il quadro di Van Eyck
(a sinistra) che da
molti è accreditato come autoritratto del pittore Ritratto di uomo con turbante rosso (qui a fianco) che
mostra un uomo molto diverso da quello del Ritratto dei
Coniugi Arnolfini.
Il mistero continua...
Di Massimo Serra per
Informagiovani-Italia
1.
Archivio di stato di Lucca
2. Il nome delle
parole Rizzoli 1984
3.
Archivio di Stato
4. Erwin Panofsky and The
Arnolfini Portrait 1934
Vedere anche l'articolo dedicato alla
Madonna del Cancelliere Rolin.
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