Giovanni
Battista Belzoni: il padovano che ispirò Indiana Jones
   
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Non tutti sanno che il personaggio di Indiana Jones fu ispirato al
grande regista americano
George Lucas, da un
archeologo e avventuroso padovano, Giovanni Battista Belzoni, che voleva diventare
ingegnere idraulico ma che finì per scavare alla ricerca di tombe di faraoni
tra le sabbie del Sahara.
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Un gigante
alto 2 metri e 10 che nella sua vita avventurosa fece di
tutto, sfuggì al reclutamento dell'esercito rifugiandosi in
un convento dei Cappuccini, fece il venditore ambulante di
talismani a
Parigi, calcò il
palcoscenici inglesi come il gigante Sansone Patagonio, fino ad arrivare nel
paese per il quale sarebbe stato ricordato dai posteri, l'Egitto, con
scoperte per l'epoca veramente incredibili. Belzoni spiega Marco Zatterin
nel sua biografia sull'archeologo italiano "stabilì un modus operandi che
tutti avrebbero seguito", una strategia di scavi ordinata e
metodica.
La
prossima volta che capitate a
Londra, andate nella sezione egizia, dove
possiamo ancora oggi ammirare al
British Museum, uno dei musei più
importanti del mondo, il busto di Ramses II, noto come il "Giovane Memmone",
trovato dall'esploratore italiano. Belzoni nel 1820 pubblicò in inglese il
resoconto delle sue scoperte che diventarono il primo best seller
sull'antico Egitto due secoli prima di Christian Jacq e nel 1821 organizzò a
Piccadilly la prima mostra, con catalogo illustrato, sulla Valle dei Re.
In questo articolo vogliamo introdurvi alla storia di un personaggio
veramente straordinario ingegnere, barbiere, monaco, attore e circense
(dove veniva chiamato col titolo che poi si porterà sempre dietro di "The
Great Belzoni"). Gigante di fatto che divenne uno dei giganti
dell'archeologia egiziana del XIX secolo. A volte diffamato come volgare
"tombarolo", Giovanni Battista Belzoni è forse l'esploratore più importante
e ancora meno ricordato degli ultimi 200 anni. Fu la prima
persona a penetrare il cuore della seconda piramide di Giza e il primo
europeo a visitare l'Oasi di Siwah e a scoprire la città in rovina di
Berenice, sul Mar Rosso. Nel 1823, all'età di quarantacinque anni,
Belzoni morì di dissenteria nel tentativo di raggiungere la misteriosa città di
Timbuktu. Non c'è mai stato un personaggio come lui nella storia delle
esplorazioni.
L'inizio di tutto
Belzoni, primo di quattro figli di un barbiere,
Giacomo Bolzon e di Teresa Pivato, donna dalla statura fuori dal comune, fu tante prima di diventare una
delle figure più controverse nella storia dell'archeologia egiziana. Un uomo
di dimensioni eccezionali, con un ego di proporzioni comparabili, che
procurò al British Museum alcuni dei suoi tesori più grandi.
Oggi, tuttavia, il tipico visitatore di quel museo non sa nulla di Belzoni,
e molti archeologi moderni lo considerano come un vandalo ignorante,
tombarolo e trafficante di reliquie.
Nato a Padova nel 1778 e morto a Gwato in Benin nel 1823, Belzoni era un
uomo alto più di due metri, dotato di forza erculea, tanto che come primo
lavoro si esibisce in un circo in prove di forza. Per questo fin da giovane
era detto "Il gigante" o come lo chiamavano in famiglia "Giambatta". Geniale ed
inquieto poco più che ragazzo fugge a
Roma nel
1794 e si aggrega ad un circo itinerante per l'Europa facendo, oggi diremmo,
il "body builder". Il suo girovagare si conclude nel 1803 a Londra, dove
trova occupazione in spettacoli teatrali e come inventore di suggestivi
giochi di luce e d'acqua.
Belzoni
a Londra
Londra,
11 Aprile 1803, ore 17.30. Al teatro Sadler's Wells (che ancora
esiste in Rosebery Avenue)
fervono i preparativi per il prossimo
attesissimo spettacolo che comincerà di lì a pochi minuti.
Edison non ha
ancora inventato le sue lampadine e l'illuminazione come è avvenuto da
sempre è affidata alle candele, che ora sono accese. Nell'edificio (che oggi risulta
parecchio diverso rispetto a quei giorni) affluiscono i primi spettatori,
giunti per lo spettacolo dell'impresario, compositore e scrittore Charles
Dubdin. Lo spettacolo prevede vari numeri: musica, brevi commedie,
pantomime, giochi d'acqua. Sono in tutto quasi cinque ore circa di
intrattenimento, interrotte da pause per acquistare da bere o per mangiare
qualcosa. Gli artisti sono famosi, ma questa volta un nuovo nome spicca nel
cartellone: "Signor Giovanni Belzoni - The Patagonian Sampson (Il Sansone
della Patagonia)". Quando l'esibizione ha inizio, il teatro è gremito, i
duemila posti disponibili sono andati a ruba. Giovanni Battista Belzoni sale
sul palco e dalla sala si levano urla di stupore. Quell'uomo sembra un
autentico prodigio della natura: alto due metri e dieci (quando l'altezza
media era di poco meno il metro e 70 per un uomo), avanza con un copricapo
di piume sulla testa, l'ampio torace nudo e un gonnellino di pelle. Indossa
calzari e sembra un vero selvaggio della Patagonia, il Patagone, mai
visto, ma entrato nell'immaginario collettivo europeo dopo le
descrizioni del navigatore e cavaliere vicentino Antonio Pigafetta
che aveva partecipato alla spedizione di Ferdinando Magellano e che
completò la circumnavigazione del globo dopo la morte di quest'ultimo. I
resoconti di viaggio di Pigafetta (La Relazione del primo viaggio intorno
al mondo) furono ritrovati solo sei anni prima dallo scienziato e
poligrafo Carlo Amoretti nella Biblioteca Ambrosiana, dove era
bibliotecario, e destarono un enorme interesse nell'opinione pubblica
europea, trattandosi di uno dei più preziosi documenti sulle grandi scoperte
geografiche del Cinquecento. Per chi non lo sapesse Pigafetta osservò anche
e risolse il problema del "tempo perduto", in seguito noto come la
differenza fra fusi orari nel mondo.
Dall'alto della sua molte, il venticinquenne
padovano Belzoni dai riccioli rossi scruta il pubblico con i suoi occhi azzurri. Il
viso dai lineamenti regolari sembra riflettere il suo animo di gigante
buono. Il numero inizia: Giovanni indossa un imbragatura di metallo con
due pedane laterali. Dodici uomini compaiono sul palco e si sistemano
nella struttura: otto su due lati e tre in testa. Il gigante si alza e
solleva tutti con un gesto elegante, apparentemente senza fatica. Il
pubblico sbalordito esplose in un fragoroso boato di ammirazione. Per
il Sansone Patagonico è il trionfo.
?
davvero sorprendente il fatto che, dopo alcuni anni che il suo nome compare
nelle locandine inglesi di spettacoli teatrali e da fiere di paese,
ritroviamo Belzoni in una scritta autografa celebre, incisa nella camera
mortuaria nella piramide di Chefren, a Giza: "Scoperta da G.Belzoni, 2
mar 1818". Qualcuno starà sicuramente storcendo il naso. ?certo che
nessun studioso attuale si sognerebbe di incidere il proprio nome su un
monumento antico, ma a quei tempi Belzoni non fu il solo a farlo e
l'archeologia era nella sua fase iniziale. In pochi anni il nostro "gigante"
padovano passò da teatrante ad archeologo e in questa veste passerà alla
storia: l'uomo che portò alla luce Abu Silbiel e che riempì di tesori
le sale del British Museum che ancora oggi è possibile ammirare.
La necessità di apporre la propria firma descrive più di
qualunque altra cosa la rivalità che doveva esserci tra gli
archeologici-egittologi-avventurieri del tempo.
Tutto
comincia a Padova e continua in Inghilterra
Giovanni Battista Bolzon nacque a
Padova il 5 novembre 1778, quando ancora la città era parte
della Repubblica di Venezia (che finì ricordiamo nel 1797 dopo
il Trattato di Campoformio tra la Francia napoleonica e
l'Austria). Il cambio di cognome da Bolzon a Belzoni avvenne
probabilmente in Inghilterra per dare un fascino più esotico
alla sua figura in vista delle esibizioni nei teatri. In modo un
po' fantasioso in una sua corrispondenza, Belzoni giustifica la
sua scelta come un ritorno a un presunto cognome originario di
famiglia, le cui radici sarebbero romane. Compiuti 16 anni, nel
1794, è proprio a Roma che il giovane Belzoni si dirige,
attratto dalla storia e dalla grandezza della città papalina.
Nella "Caput Mundi" si dedica agli studi di idraulica,
la sua grande passione. Dopo quattro anni tuttavia, dopo avere
abbattuto
Venezia, i Francesi arrivano anche a
Roma. Il futuro
archeologo allora se ne va e si dirige prima in Francia e poi fa
ritorno nella sua Padova per restarci molto poco. All'inizio del 1800 insieme al fratello minore Francesco parte per
Amsterdam
per cercare di migliorare ancora le sue conoscenze di
ingegneria idraulica. Non riesce tuttavia a trovare lavoro e
torna nuovamente a Padova. Nel 1802 decide di recarsi in
Inghilterra e dopo una serie di coincidenze e circostanze
fortuite comincia a lavorare nel mondo dello spettacolo diventando per
nove anni una autentica star impersonando il già citato Sansone Patagonico e
il Capo Nero, il capo di una tribù di cannibali africani.
L'incontro con Sarah, la futura Signora Belzoni
Durante le turnè teatrali in Gran
Bretagna Giovanni Belzoni conosce la sua futura moglie Sarah
Banne. Di lei abbiamo una descrizione particolare niente
meno che di
Charles Dickens in un suo articolo dal titolo
The Story of Giovanni Belzoni che parla di lei come una
giovane donna carina dall'aria delicata. Quest'ultimo aggettivo
sarà anche stato vero, tuttavia per stare accanto per 20 anni a
un uomo come Belzoni alla delicatezza Sarah avrà unito
sicuramente anche una
forza e una intraprendenza fuori dal comune.
Dopo un periodo di ingaggi teatrali in
Spagna e Portogallo i coniugi Belzoni nel 1814 giungono a
Malta,
allora in mano inglese, con l'intento finale di raggiungere la
capitale dell'Impero Ottomano,
Istanbul e provare a fare fortuna
da quelle parti. Doveva essere una breve parentesi prima di
tornare in Italia. Tuttavia le cose non andranno così. A La
Valletta Belzoni conosce Ishmael Gilbratar un agente
commerciale di Mehemet Alì, il pascià d'Egitto fondatore
del moderno stato egiziano. Il pascià cercava tecnici per
rendere più efficiente la gestione delle acque del Nilo e
Belzoni aveva in mente una macchina idraulica rivoluzionaria. Dopo un
periodo di adattamento Belzoni rusci a interessere proficue
relazioni con la comunità straniera nel paese nord africano.
Oltre a numerosi inglesi, conobbe l'esploratore svizzero
Johann Burckhardt, lo scopritore di Petra, che si era
convertito all'Islam e che si faceva chiamare Sheikh Ibrahim.
Tra la comunità straniera in Egitto
non mancano gli italiani. Tra loro un piemontese, Bernadino
Drovetti, che servì come console la Francia fino al 1815. Un
cercatore di antichità che, vendute al re di Sardegna, saranno
la base del futuro
Museo Egizio di Torino,
quello che diventò l'arci-rivale romanzesco di Belzoni.
Drovetti, l'arci-nemico di Belzoni e altri avventurieri italiani
Solo Belzoni seppe sconfiggere sistematicamente
quest'altro italiano, che fece la parte del "cattivo" e che sulle vestigia
dei faraoni costruì un impero. Bernardino Drovetti, piemontese di Barbania,
come detto nel 1815 era console francese di Alessandria d'Egitto. Ufficiale
napoleonico, si guadagnò la fiducia nientemeno che di Giocchino Murat salvandogli la vita nella battaglia di
Marengo. La carriera diplomatica gli consentì di diventare per lungo
tempo il gran monopolista delle antichità egizie. In pochi anni collezionò
statue e reperti straordinarie, che in seguiti vendette ai Savoia (e che
formano oggi il cuore del Museo Egizio di
Torino)
al Louvre e al Museo di
Storia Antica di
Berlino. Drovetti era abile,
astuto, cinico quanto lo richiedeva il suo ruolo. Fra lui e Belzoni,
inizialmente amici, si sviluppò presto una rivalità accesa. Drovetti non
lesinò espedienti per fermare il gigante padovano. Così fecero i suoi
agenti, antieroi affascinanti, ma con pochi scrupoli.
La banda Drovetti pullulava di piemontesi. C'era Antonio Giovanni Lebolo,
originario di Castellamonte, anche lui ex militare napoleonico
fuggito in Egitto dopo Waterloo. Era talmente dentro la sua parte che
abitava in una tomba nella Valle dei Re. Scavò per anni e una sua mummia è
diventata pietra miliare nella storia dei mormoni (venne venduta al
teatrante americano Michael Chandler, insieme a alcuni papiri che poi
vennero tradotti in modo totalmente fantasioso e furono da basa al canone
della dalla chiesa mormone fondata da Joseph Smith il capo e fondatore dalla
chiesa). Il compagno di Lebolo era il sabaudo Giuseppe Rosignani,
disertore dall'esercito francese che si unì a Drovetti dal 1811 al 1834: è
ricordato per il tentativo di uccidere Belzoni. Veniva da Moncalieri
il dottor Filiberto Maruchi (o Marucchi), medico curante del
governatore di Tebe. La "Banda Drovetti" fu a lungo la più forte ed efficace
istituzione della comunità internazionale in Egitto, ma i libri di storia
hanno dimenticato questi coraggiosi e astuti avventurieri cui solo Belzoni
seppe tenere testa. A Tebe, allora si parlava arabo, inglese e francese. Ma
quando gli affari diventavano privati, le trattative si facevano in
italiano.
Belzoni viene
colpito dal fascino delle antichità egizie
Fino al 1816 ogni energia di Belzoni viene
dedicato alla costruzione della macchina idraulica che gli aveva
commissionato Mehmet Alì. Il progetto tuttavia non va in porto è questo pone
al padovano davanti alla scelta di tornare indietro e riprendere la carriera
di teatrante, che in realtà considerava poco meno di un ripiego, oppure
restare in Egitto, inventandosi un nuovo mestiere. Conosce poco dopo
Henry Salt, nuovo console britannico ad Alessandria d'Egitto e
personaggio molto interessato alle antichità egizie. Dopo la spedizione
napoleonica, l'Egitto e i resti del suo glorioso passato sono di gran moda
in Europa e Salt si era messo in testa di rifornire di reperti il British
Museum e chi l'aveva finanziato e appoggiato nella sua missione diplomatica
in terra egiziana. L'archeologia e l'egittologia stavano allora muovendo in
primi passi e gli scavi usavano metodi oggi impensabili come la dinamite per
aprirsi un varco tra possibili ritrovamenti. A nessuno oggi verrebbe in
mente di affidare campagne di scavo a un ex attore con la passione per
l'ingegneria idraulica. Ma l'Egitto in quegli anni era un territorio
inesplorato per la gran parte delle persone e non si richiedevano particolari qualifiche
se non uno buona dose di spregiudicatezze, determinazione e coraggio. La
comprensione poi dei manufatti che venivano trovati era ancora del tutto
incomprensibile: la decifrazione dei geroglifici grazie al ritrovamento della
Stele di Rosetta sarebbe avvenuto solo 8 anni dopo grazie a Jean-François
Champollion.
Per il momento quindi Belzoni è l'uomo giusto per
intraprendere sfide di questo genere. Se ne va in giro abbigliato da
egiziano con tanto di turbante. La sua mole incute rispetto e paura. Il
primo incarico che riceve da Salt è il recupero di una scultura, un busto,
del peso di sette tonnellate, che giaceva tra le rovine di Tebe e che
era nota come il Giovane Memmone (ma che in realtà era del faraone
Ramses II), che doveva essere destinate al British Museum. Combattendo
contro il caldo, la lentezza degli operai locali, la corruzione e le
menzogne dei capi tribù pronti a vendersi al migliore offerente, oltre a tante
altre problematiche logistiche e ambientali, Belzoni riesce nell'impresa.
Durante il viaggio di ritorno avvista un obelisco sull'Isola di Iside
sul Nilo e ne
prende possesso in nome delle autorità britanniche (ma la prenderà in
seguito). Si dirige quindi verso
Assuan dove il suo amico Burckhardt nel 1813 avevo notato le rovine
di un tempio ricoperto di sabbia presso Abu Simbiel.
Lì
l'avventuriero italiano accarezza
l'idea
di aprire un varco e di essere il primo a penetrare all'interno
del tempio. Ci hanno già provato in tanti, tra cui
l'inglese William Bankes, Giovanni Finati, un italiano di
Ferrara,
convertito anche lui all'Islam ed ex
soldato dell'esercito del pascià e l'immancabile Drovetti. Belzoni tenta
anch'egli nell'impresa titanica di spostare l'enorme quantità di sabbia che
ricopre le rovine. Finite le risorse finanziarie a sua disposizione decide
di rimandare il progetto, non prima tuttavia di incidere il suo nome su una
statua
di Ramses II.
Sulla via del ritorno Belzoni trova non poche
difficoltà dovute agli ostacoli che da quel momento in poi riceverà da
Drovetti. Si arriverà ad una vera e propria guerra di spie, con tanto di
attentati, sabotaggi e minacce di morte. Drovetti arriva addirittura a
orchestrare la distruzione di 12 statue che Belzoni aveva rinvenuto nell'Isola
di Philae (altro nome con cui è conosciuta l'isola di Iside sul Nilo, Patrimonio dell'Umanità Unesco), presso il
Tempio di Iside. Il padovano tuttavia non sembra prestare molta
attenzione a questi sotterfugi e ritornando verso nord prosegue gli scavi
tra Karnak e la Valle dei Re, riportando alla luce un'altra
importante statua, quella del faraone Sethi II e aprendo al contempo
un passaggio attraverso la tomba del faraone Ay, una delle 8 tombe
reali che Belzoni scoprirà nella sua carriera di archeologo.
Rientrato al Cairo con il Giovane Memmone Belzoni
scopre che Salt, il suo finanziatore, ha cominciato a finanziare anche
un altro
italiano, Giovanni Battista Caviglia, da
Genova, capitano di mercantile ed esploratore.
Quest'ultimo lasciò la sua nave ormeggiata ad Alessandria d'Egitto,
ed offrì i suoi servigi a diversi collezionisti di oggetti egizi; la maggior
parte dei suoi scavi furono eseguiti per conto di Salt per il quale cominciò a lavorare a
Giza, dove trovò l'accesso alla piramide di Cheope e lavorò al
dissotterramento della Sfinge.
L'ultimo scavo attorno alla Sfinge era stato eseguito nel 160 d.C per ordine
dell'imperatore romano Marco Aurelio, ed essere stato il primo
a scavare sullo stesso sito dopo 16 secoli assicurò a Caviglia una grande fama tra gli egittologi. I
lavori furono imponenti, sia per l'enorme dimensione del manufatto, sia per
l'azione del vento che di notte riportava la sabbia a coprire circa la metà
di quanto veniva scavato di giorno, e si rese necessario l'impiego di un
centinaio di lavoratori locali . Mano a mano che gli scavi proseguirono venne
alla luce un' impressionante serie di manufatti egizi ed iscrizioni greche e
romane, a testimonianza di come i conquistatori che si succedettero tennero
in grande considerazione la preservazione e la manutenzione di questi
capolavori dell'arte antica.
Salt cercò di fare collaborare Belzoni e Caviglia.
Il padovano ammirava il genovese ma, come scrisse nel suo resoconto di quei
giorni, voleva andare per la sua strada: "Pensando che non fosse giusto dividere la gloria di
un uomo che
aveva di già fatte tante cose da solo non volli prestarmi." Belzoni
cercava gloria personale e convinse Salt a finanziargli un secondo viaggio
nell'Alto Egitto: gli sarebbero state pagate le spese e avrebbe ottenuto una
lettera di raccomandazione dalla Society of Antiquaries di Londra a
cui vendere eventualmente i manufatti trovati, ma non avrebbe ricevuto
nessun compenso.
Seconda spedizione
di Belzoni
Nella sua seconda spedizione, accompagnato da un
uomo di fiducia di Salt, Henry Beechey e fronteggiando gli atti di
sabotaggio di Drovetti, Belzoni riesce a portare alla luce a Luxor la testa del
faraone Thutmosi III, anch'essa oggi al British Museum. Riesce anche ad
accumulare un discreto numero di vasi canopi, amuleti, scarabei strappati
alle mummie e papiri, riuscendo anche a visitare la necropoli nobiliare di
Gurna, cosa non facile, vista la sua stazza. Il 1° agosto, dopo varie
difficolta logistiche e ambientali riesce a penetrare nel tempio di Abu
Simbiel, scoprendo delle sale magnifiche, ma nessun oggetto di valore
trasportabile. Ritorna poi a Luxor dove riesce a fare un ritrovamente
sensazionale, la tomba del faraone della XIX dinastia Sethi I (padre
di Ramses II) con undici stanze affrescate e un sarcofago di alabastro
finemente scolpito. ?un trionfo, guastato tuttavia dalle incomprensioni
con Salt, che lo definisce un suo "impiegato", cosa che offende Belzoni,
convinto di lavorare per l'Inghilterra e per il British Museum. Poco dopo
riceve anche la notizia della morte per dissenteria del suo amico Buckhardt
a soli 32 anni. Qualche mese dopo il suo entusiasmo si riaccende quando al
Cairo scopre l'accesso perduto alla piramide di Chefren battendo sul
tempo il suo rivale Dovretti (che voleva utilizzare la dinamite).
Terza spedizione e ultime scoperte di Belzoni
Arrivato a Tebe per la sua terza spedizione ,
dall'aprile 1818 al febbraio 1819, Belzoni scopre che Salt e Drovetti si
sono spartiti le aree di scavo. Tuttavia, con un colpo di fortuna, riesce in
due giorni di lavoro a trovare una statua di Amenophis III, anch'essa
oggi al British Museum. Poi precedendo un agente di Drovetti Fréderic
Caillaud, riesce a identificare i resti di Berenice, il porto sul
Mar Rosso fatto costruire da Tolomeo II. Dopo avere recuperato
l'obelisco lasciato nell'Isola di Iside per Bankes (che oggi si trova
nell'omonima villa che prese il suo nome) ed avere avuto altri scontri con
Drovetti e i suoi agenti, Belzoni e la moglie Sarah prima di ripartire per
l'Europa decidono di andare alla scoperta dell'Oasi di Siwah nell'aprile del
1819, alla scoperta del tempio di Amon, con il celebre oracolo
consultato anche da Alessandro Magno (momento inserito in modo stupendo
nella trilogia dedicata ad Alessandro, di Valerio Massimo Manfredi).
A settembre del 1819 i Belzoni sono a bordo di una
nave con destinazione Venezia. L'anno dopo l'editore inglese John Murray
pubblica i resoconti dell'esperienza egiziana dell'avventurio padovano
Narrative of the Operations and Recent Discoveries in Egypt and Nubia,
riccamente illustrato da Alessandro Ricci e dallo stesso Belzoni. Il libro è
un grande successo, tradotto in molte lingue tra cui il tedesco e
l'italiano. Per Belzoni è il culmine del successo che ha sempre desiderato,
le sue frequentazioni londinesi diventano altolocate e di prestigio.
Una mostra sull'Antico Egitto a Piccadilly che include la ricostruzione della tomba di
Sethi I, usando i calchi originali, viene aperta ul 1° maggio 1821 negli
spazi dell'ex London Musuem e contribuisce a diffondere la passione per
l'Egitto tra il pubblico britannico. I coniugi Belzoni sono invitati a
San Pietroburgo dallo Zar Alessandro I
e, nello stesso anno, anche una mostra a
Parigi riscuote un'enorme successo. Sempre nel 1821 entra a far
parte della massoneria inglese. Tuttavia, le controversie sulla vendita del
sarcofago di Sethi I (che ora si trova al
John
Soane's Museum di Londra), il comportamento del British Musuem che lo considera
poco più di un avventuriero (ma che riempie le sue stanze con i manufatti
rinvenuti da Belzoni), e le liti con il fratello Francesco lo amareggiano e
gli fanno desiderare nuove avventure e nuovi successi. Decide di fare
un'ultima epica impresa: arrivare a Timbuctu, città di leggendaria ricchezza
e crocevia di carovane dai punti più lontani dell'Africa e da dove nessun
europeo era mai riuscito a tornare indietro. ?proprio durante questo
viaggio che Belzoni, il 3 dicembre 1823 muore a Gwato in Benin, per una una
dissenteria. Fu sepolto sotto un albero. Aveva 45 anni.
Giovanni Battista Belzoni ha compiuto
molte
e importanti scoperte in Egitto, ma è importante tenere a
mente che, anche se spesso è considerato come il primo
egittologo, non era un archeologo professionista. I suoi metodi
di scavo erano spesso controversi e distruttivi per i canoni
attuali. Nonostante questo, la sua vita è stata quanto di più
simile a un romanzo di avventura che si possa trovare, e Dio
solo sa quanto il mondo abbia bisogno di eroi che in qualche
modo facciano sognare la gente. I sogni rendono sempre migliore
la realtà. E noi in Italia ne abbiamo avuti tanti di eroi, solo
che spesso sono dimenticati a favore di personaggi più
luccicanti, provenienti quasi sempre dall'America. Belzoni pochi
lo conoscono, ma almeno ispirò la creazione di uno degli eroi
più conosciuti di tutti, Indiana Jones. Eppure il primo è stato
reale e il secondo no.
Nel 1825
la moglie di Belzoni, Sarah,
espose i suoi disegni e i modelli delle tombe reali di Tebe a
Londra e Parigi, riscuotendo ancora tanta attenzione e curiosità
postume. Il nome di Belzoni rimarrà per sempre
legato al periodo d'oro dell'eggittologia e di un mondo
avventuroso, pieno di rischi, ma ricco di spunti di coraggio,
tentativi di dare un senso all'ignoto e poesia, che ora non
esistono più.
Howard Carter, lo scopritore della tomba di
Tuthankhamon dirà di lui: "I suoi scavi furono fra i primi su larga scala
nella Valle dei Re e bisogna riconoscergli il giusto merito per il modo in
cui li ha condotti."
di Massimo Serra per Informagiovani-Italia
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