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Manuel Vázquez
Montalbán, nato a Barcellona nel 1939, è un pilastro della letteratura
spagnola del XX secolo. Celebre romanziere, poeta e giornalista, è meglio
conosciuto per i suoi romanzi polizieschi incentrati sul carismatico
detective Pepe Carvalho. Oltre all'intrattenimento, le opere di Montalbán
offrono un'acuta critica della Spagna post-franchista, combinando astuzia
narrativa con una penetrante analisi sociale. La sua eredità letteraria
rimane un faro nel panorama culturale spagnolo.
Manuel Vazquez Montalban
(Barcellona 14 giugno 1939 - Bangkok, 18 ottobre 2003) è
stato uno scrittore e giornalista e intellettuale spagnolo,
molto popolare, oltre che in Spagna, in Italia, considerato
una delle più importanti figure di testimonianza del post
Franchismo e del periodo di transizione spagnola verso la
monarchia costituzionale e l'entrata del paese nella
Comunità Europea. È stata una delle voci critiche più
rispettati del paese, autore di un vasto numero di lavori
letterari che hanno incluso diversi generi letterari, dal
reportage, alla storia, alla poesia e naturalmente al
romanzo, genere quest'ultimo che lo ha portato alla ribalta. |
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Raggiunge la fama con la creazione del
personaggio-detective Pepe Carvalho, una versione
ironica catalana e ironica di Maigret o Marlowe,
avventuriero dagli spiccati interessi erotico-gastronomici,
protagonista di suoi numerosi romanzi polizieschi,
Tutti la critica del suo paese ha sempre riconosciuto un
ruolo molto importante a Vazquez
Montalban nella cultura spagnola. Fino alla fine dei
suoi giorni è rimasto fedele alla
sua nativa Barcellona, che ha descritto in
modo denso e riconoscibile nei suoi paesaggi letterari, con angoli e
personaggi che parlano il linguaggio di strada catalano
misto a un castigliano delle periferie; in questo, come in
molte altre cose, è rimasto fedele alla sua origine,
perché era figlio illegittimo di un galiziano
repubblicano in esilio, Evaristo Vazquez, e di Rosa, e
lui nacque il 14 giugno 1939, poco dopo la fine del la
guerra civile.
Tra il lavoro giornalistico e letterario
Nella metà degli anni ottanta entrò nel quotidiano El
Pais come editorialista. Era un lavoratore molto
veloce e instancabile, con una curiosità senza limiti,
che
mostrò le sue doti in tutti i generi del
giornalismo, che praticò da quando aveva diciotto anni.
Aggiunse alle forme tradizionali di scrittura, una vene
satirica inconfondibile, mentre altre volte riusciva a mantenere
una struttura e un tono del racconto classico, come
quando intervisto subcomandante Marcos dei guerriglieri
zapatisti detenuti nel Chiapas in messico.
Dal 1979, dopo aver ottenuto il Premio Planeta per i
mari del Sud, gli ultimi due decenni della sua vita
furono caratterizzati da una trasformazione volontaria e
ambiziosa della sua carriera letteraria. I suoi nuovi romanzi erano più rischiosi
e più liberi. Questo aspetto peculiare fu
inaugurato nel 1985 con Il pianista , un lavoro in cui
mise tutto il suo talento e dove è possibile leggere
alcune delle sue più toccanti e fedeli ricostruzioni
delle vicende della Barcellona sotto la Guerra Civile
Spagnola.
Di seguito due articoli italiani, uno di Bruno Arpaia
del Sole24ore e l'altro di Antonio Tabucchi, sul grande
scrittore catalano subito dopo la sua morte avvenuta il
18 ottobre 2003 Bangkok.
- da Il Sole-24 Ore, 19 ottobre 2003
Lo sguardo attento di Manolo
di BRUNO ARPAIA
Stavolta Pepe Carvalho e
Biscuter dovranno affrontare un lungo viaggio da
soli.
Nelle circa mille pagine di Millennio, il nuovo libro già quasi pronto, i
due personaggi di Manuel Vázquez Montalbán dovranno fare il giro del mondo
e, allo stesso tempo, i conti con i grandi simboli del secolo che ci siamo
appena lasciati alle spalle. Ma il loro autore, purtroppo, non potrà più
accompagnarli. Forse Carvalho, uno dei pochi eroi di carta capaci di
sopravvivere al proprio creatore, in questo, momento starà bruciando libri
nella sua casa di Vallvidrera a Barcellona, starà sfogandosi in cucina,
starà piangendo insieme a noi per la prematura scomparsa di Manuel, a soli
sessantaquattro anni, in un aeroporto thailandese.
Ci mancherà, Manolo, e molto. Perché è sempre più difficile saper abbinare,
come nel suo caso, intelligenza, generosità e calore umano. Perché ci sarà
data sempre più raramente l'opportunità di conoscere persone "necessarie"
come lui, con quel suo modo di essere intellettuale: colto, profondo, ma
allo stesso tempo assolutamente passionale e irriverente, attratto dal
calcio, dalla cucina, dalle minime manifestazioni della vita, sulle quali
sapeva riflettere come pochi. «Cinema e canzoni», amava ripetere, «si sono
alimentati di letteratura. È ora che la letteratura si alimenti di cinema e
canzoni. I programmatori del divorzio tra cultura d'elite e cultura di massa
moriranno sotto il peso della massificazione della cultura».
Perciò lo ricorderemo a lungo per i suoi romanzi polizieschi, per il suo
personaggio di detective che trent'anni fa segnò l'inizio di una rottura con
la tradizione letteraria spagnola ed europea dell'epoca. «Ai giovani», aveva
raccontato in un intervista a Stefano Malatesta «si chiedeva di scrivere
l'Ulisse. Se non eri raffinato, ermetico, un acrobata o un giocoliere di
parole, però di genere lento, estenuante, non contavi. Non se ne poteva più
di quella letteratura d'avanguardia. Mi ricordo che Rafael Alberti diceva
che i personaggi di questi romanzi impiegavano trenta pagine per salire le
scale. Volevo scrollarmi di dosso il peso di una letteratura entrata in un
vicolo cieco».
Fu così che, in qualche modo, nacque il "noir mediterraneo",
che, secondo la definizione dello stesso Vázquez Montalbán, era un incrocio
«tra hard boiled tradizionale e nuovi substrati culturali, destinato a
proporsi come poetica del neocapitalismo, cioè di una società
supercompetitiva in cui l'intreccio tra crimine e politica è costante,
fragilissimo il limite tra il legale e l'illegale». E fu così che nacque Carvalho, che fece la sua prima apparizione in un libro del 1972 intitolato
Ho ammazzato J.F. Kennedy. Da allora, quello strambo detective ne aveva
fatta di strada. Diversamente dal Maigret di
Simenon, che in tutti i suoi
libri è rimasto sempre uguale a se stesso, Pepe Carvalho è cambiato,
invecchiato, diventando preda di forze oscure che non riesce più a dominare.
Eppure, in tutti questi anni, è stato il termometro di un'epoca, il
sismometro dei passaggi da un periodo di grandi speranze e utopie a uno di
disincanto e di delusione, superando i limiti di un personaggio romanzesco e
diventando parte del nostro stesso paesaggio sociale. Attraverso i suoi
occhi abituati a cogliere i più impercettibili segnali dei cambiamenti
sociali e politici, abbiamo assistito alla morte di un dittatore, alla
caduta del Muro, allo sgretolarsi delle ideologie, per ritrovarlo infine,
dopo qualche parentesi a Madrid e a Buenos Aires, con L'uomo della mia vita,
nella "sua" Barcellona post-Olimpiadi del 1992, ormai quasi irriconoscibile:
«Una città inservibile, bella ma senz'anima, una città pastorizzata».
L'aveva trasformata il tempo, che non aveva risparmiato le sue zampate al
detective, rendendolo più vecchio, e dunque più lucido, più disincantato,
più nostalgico. Un uomo che continuava a bruciare libri, a sfornare ricette,
a pronunciare folgoranti Battute, a risolvere casi complicati, ma che si
sentiva molto vicino alla sconfitta definitiva.
Troppo facile identificarlo con il suo autore, leggere quel suo libro come
un presagio. Anche perché a Manolo sarebbe dispiaciuto essere ricordato
soltanto come l'inventore di Carvalho. Era nato come poeta, infatti, e da
poeta continuava a scrivere e a vivere. Oltre ai suoi libri di poesia, che
varrà la pena rileggere e rivalutare, ci aveva dato anche meravigliosi
romanzi senza Carvalho, come Galìndez, forse il suo più riuscito, e numerosi
saggi appassionati e graffianti. Ma era stato anche militante politico,
aveva fondato riviste e conosciuto le prigioni del franchismo, e quelle
esperienze l'avevano certamente segnato in tutta la sua attività di saggista
e di polemista sui giornali di mezzo mondo. Era stato comunista, ortodosso
nell'epoca della clandestinità e della dittatura, ma la sua straordinaria
apertura mentale l'aveva trasformato ben presto nel motore della
trasformazione culturale e politica della sinistra spagnola prima della
Transizione. Dopo, la sua ironia e la sua implacabile irriverenza avevano
aperto la strada a un nuovo modo di partecipare alle vicende del proprio
tempo, avevano indicato un modello che era insieme letterario, politico e
umano. Non sempre, magari, si era d'accordo con le sue analisi, ma si poteva
star sicuri che nascevano da una profonda onestà intellettuale, da un occhio
abituato a cogliere, dai segnali apparentemente più insignificanti, la
direzione del vento e a restituirla sulla carta senza infingimenti e senza
riguardi per nessuno. Come dovrebbe accadere normalmente e invece, in quest'epoca
che lui riteneva «un tempo stupido fra due tempi tragici», raramente accade.
Perciò ci mancherà, e molto.
Ciao, Manolo.
-
da L'Unità, 19 ottobre 2003
Un antifascista che amava la vita
di ANTONIO TABUCCHI
Manuel Vázquez Montalbán era un mio amico. Era un uomo scontroso, allegro,
ironico, fermo e coraggioso. Siamo diventati amici troppo tardi rispetto a
quando conobbi il suo nome per la prima volta. Allora erano gli anni
Sessanta, e lui con altri tre studenti antifranchisti, Salvator Clotas,
Marti Capdevila e Ferran Fullà, era rinchiuso nel carcere di
Lleida per aver
scritto ed espresso opinioni non gradite rispetto a quelle che il
generalissimo Franco gradiva gli fossero espresse. E opinioni, così, nella
Spagna di allora, erano considerate "attività contro lo Stato".
Manolo conosceva la sua Barcellona come forse nessun altro (non sono giusto,
anche altri amici, come Jorge Herralde e Enrique Vila Matas o
Juan Marce la
conoscono altrettanto bene); solo che lui l'aveva «adottata». O meglio,
aveva adottato la Barcellona orfana, quella dei quartieri antichi, popolata
da gente povera, da marginali, da pensionati, da vecchi repubblicani che
sono sopravvissuti alle fucilazioni di Franco e all'età. La Barcellona di
Mercé Rodoreda, quella della Plaza del Diamante, dove ci sono ancora le
feste popolari con i lampioni di carta e le ragazze per ballare calzano
scarpe bianche con il tacco alto. La Barcellona che ritrovate nei suoi
libri: pensioncine incredibili frequentate da clienti incredibili, locali
dove si gioca a carte o a dama in un irrespirabile atmosfera di «tabaco
negro», ristorantucoli dove si mangiano i migliori piatti di pesce del
Mediterraneo.
Manolo amava molto la cucina, era un gastronomo sopraffino. Ma soprattutto
amava la vita. Una volta mi disse che da ragazzo aveva capito cos'era il
franchismo dal motto che esso aveva adottato: «Viva la muerte!». Il suo
eroe, Pepe Carvaiho, riprende uno dei generi più ricchi e vitali della
letteratura spagnola, la picaresca. Pepe in fondo è un picaro che fa il
detective, uno che si arrabatta, un povero Cristo, uno del Sud, insomma,
come siamo noi del Sud. Tutto il contrario del detective anglosassone, che
veste lo smoking, gioca a canàsta e beve champagne. Ma non è detto che per
scoprire delle malefatte si debba indossare lo smoking.
Oltre ai suoi molti romanzi, Manolo, con gli strumenti del grande scrittore
che era, ha scritto una biografia. Quella di Francisco Franco. Una biografia
magnifica, un'analisi impeccabile a cui i politici spagnoli nostalgici non
hanno mai obiettato. Peccato che non sia mai citata dai pubblicisti che
recentemente in Italia si sono dati da fare per rivalutare il franchismo. Ho
sentito dire alla televisione italiana che era morto «uno scrittore
controcorrente». Se la definizione ha in sé qualcosa di esatto, è sinistra
per tutti noi. Montalban era uno scrittore antifascista: dunque, qual è la
corrente?
Manolo mi mancherà, ne sono certo. Mancherà a molti. Ma gli scrittori hanno
un vantaggio sui conduttori dei programmi che ogni sera imbastiscono
chiacchiere in televisione. Spento il televisore, le loro parole muoiono. I
libri invece restano, tanto le videocasssette di certi programmi, magari
gridati e scandalosi, chi se le rivede? Se non lo aveste ancora fatto,
leggete libri di Montalbán, sono una buona compagnia. Poi li mettete da
parte, e quando vi pare ve li rileggete.
50 frasi che avrebbe potuto
pronunciare Pepe Carvaiho
- "La verità è un lusso che pochi possono permettersi."
- "In un mondo di bugie, dire la verità è un atto rivoluzionario."
-
"Il cibo è l'ultimo rifugio dell'anima."
-
"Ogni persona ha un mistero; il trucco è saperlo leggere."
-
"La politica è il teatro degli inganni."
-
"La memoria è selettiva; ricordiamo ciò che vogliamo dimenticare."
-
"La giustizia è spesso una questione di prospettiva."
-
"In amore, come nella guerra, tutti i colpi sono permessi."
-
"Le persone non cambiano, solo le circostanze lo fanno."
-
"La solitudine è un'arte che pochi maestri conoscono."
-
"Barcellona è una donna che non rivela mai tutti i suoi segreti."
-
"Il passato è un romanzo che riscriviamo ogni giorno."
-
"Il potere corrompe, ma l'impotenza non è migliore."
-
"La libertà è il diritto di scegliere le proprie catene."
-
"Ogni indizio racconta una storia; bisogna solo saperla ascoltare."
-
"Nella vita, come negli scacchi, ogni mossa conta."
-
"La vendetta è un piatto che si serve freddo, ma spesso si riscalda."
-
"I segreti sono come vino; con il tempo, migliorano o diventano aceti."
-
"La lealtà non ha prezzo, ma spesso ha un costo."
-
"Il dolore è l'unico linguaggio universale."
-
"La morale è flessibile come una canna al vento."
-
"Il denaro parla, ma raramente dice la verità."
-
"Ogni crimine è un grido; il mio lavoro è capire cosa dice."
-
"L'innocenza è un lusso che nessun adulto può permettersi."
-
"La storia è scritta dai vincitori, ma i vinti hanno le storie
migliori."
-
"La vita è un puzzle di cui mancano sempre alcuni pezzi."
-
"Il dubbio è l'ombra costante dell'investigatore."
-
"In un mondo perfetto, sarei senza lavoro."
-
"La corruzione è il lubrificante della burocrazia."
-
"Il silenzio è la risposta più forte a una domanda non posta."
-
"La morte è l'unico mistero che non posso risolvere."
-
"Il desiderio è la radice di tutti i peccati e di tutte le virtù."
-
"Ogni bugia ha un granello di verità."
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"La notte rivela ciò che il giorno nasconde."
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"Il destino è il nome che diamo alle nostre scelte sbagliate."
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"L'amore è il crimine perfetto; tutti ne sono colpevoli."
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"La paura è il miglior amico dell'uomo."
-
"La vita è un libro che si legge all'indietro."
-
"Il caso non esiste; ci sono solo coincidenze programmate."
-
"La verità è come l'olio; emerge sempre."
-
"La bellezza è un'arma più letale della violenza."
-
"Ogni persona è un universo di segreti."
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"Il tempo è l'unico giudice imparziale."
-
"L'ignoranza è la madre di tutti i crimini."
-
"Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce."
-
"Il vino è la lente attraverso cui vedo il mondo."
-
"Le parole possono mentire, ma le azioni rivelano sempre la verità."
-
"L'umorismo è l'ultimo rifugio contro la disperazione."
-
"Il pericolo è il prezzo che paghiamo per l'avventura."
-
"Il successo è la migliore vendetta."
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